è una SORPRESA!!!…
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Ogni promessa è debito!
Avevo promesso di raccontare la nascita di questi miei primi tre romanzi che formano la trilogia “Se devi sognare, esagera!”.
Non avevo idea di quello che mi accingevo a fare, tutto nacque in un’alba di tanto tempo fa, la scrittura mi era sempre interessato, già all’età di venti anni con la mia Olivetti scrivevo di getto dei piccoli racconti (li ho ancora gelosamente custoditi) ma quella mattina scattò una molla.
Era una giornata fredda e gelida d’inverno, era passata da poco la Epifania e fui colpito da una figura alle quattro di mattina, intabarrato con una strana valigetta che entrava in un’auto che lo stava aspettando.
Nei giorni che seguirono, cercai di avere maggiori informazioni e venni a conoscenza, che nonostante l’età avanzata, qualcuno a denti stretti, mi disse che era uno Chef , ma la sua passione e il suo amore per la professione, la sua fama così conosciuta da essere richiesto per dei convivi particolarmente impegnativi e il suo nome in codice tra di loro era “Il Maestro”.
Non era il suo primo lavoro, era solo una grande passione!
Non saprò mai la verità…
ma una mattina scendendo a fare la spesa, ci incrociammo, fu un attimo e mi fermò…
Signore..
…e mi chiamò, e così fu, rimanemmo sul marciapiedi nei pressi di una rivendita di frutta e verdura a parlare per almeno due ore, ripeto non saprò mai se l’avesse fatto di proposito a fermarmi o se avesse saputo che mi stavo informando discretamente su di lui, , disse che mi aveva riconosciuto perché si ricordava che ero stato l’insegnate di suo figlio tanti anni prima e che ora viveva a Boston, fu piacevole e imbarazzante, ma fu un fiume in piena di parole, mi raccontò la sua vita, mi parlò della sua bella famiglia, della prematura scomparsa della moglie e dei suoi frequenti viaggi all’estero per il suo lavoro, era il Responsabile per una grossa Compagnia americana per la manutenzione e per l’antincendio nei capannoni che ospitavano su tre turni circa tremila operai e poi un solo accenno alla cucina, amava cucinare e null’altro e…alla fine chiese di me, cosa facessi e cosa avevo fatto nel passato, ci lasciammo come due amici che si erano ritrovati dopo tanto tempo …
…quando ritornai a casa, iniziai a scrivere e diedi sfogo alla mia immaginazione e fantasia, non mi aveva parlato del suo lavoro da Chef, ma mi aveva trasmesso tanta energia positiva!
Furono giornate e nottate frenetiche, fui letteralmente “rapito” dalla storia che scrivevo (totalmente immaginaria) e posso assicurare che tutto iniziò a delinearsi da solo, la mia era una “stesura del cuore” e tale ho voluto che rimanesse… non una “stesura ragionata”, con tanti errori, ma non mi interessava, volevo solo conoscere dove mi avrebbe portato e qui nacque il secondo romanzo “Il castello”.
Scrivere è una follia, è una passione che ti prende e non ti lascia più!
Ho impiegato sessanta giorni della mia vita nei momenti liberi per portare a termine questo progetto, ma sono stati i più belli davanti ad una tastiera!
Non avevo idea della fine della Trilogia, ma anche quando dormivo sognavo i miei personaggi e da questi sogni nacque la fine “Vita reale”.
Di sicuro è la prima volta che scrivo della nascita di un romanzo, ci sarà ancora un’altra volta? Non lo so, ma sappiate che ognuno dei miei romanzi ha un sogno dietro!
Un abbraccio e buona lettura.
Araldo Gennaro Caparco
(P.S. – un consiglio per chi li volesse acquistare e leggere, iniziate dal Primo “Il Maestro” e poi se dovesse intrigarvi, leggete il Secondo),,,e la fine!
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…”…
Il Maestro aveva con se il cofanetto, in una borsa di pelle, l’appoggiò vicino e stava parlottando con Isa, nel frattempo la mia innata curiosità e quel senso di malessere che sentivo ancora più forte, invece di sedermi con loro, mi portai verso una finestra che dava dalla parte posteriore del salone, anche li era presidiato da alcuni uomini armati.
Ero così preso, che non mi accorsi che qualcuno era entrato, Isa con un colpo di tosse mi richiamò.
Eccolo lo Sceicco, nel suo abito bianco immacolato, una cintura alla vita, portava uno stiletto di cui si vedeva l’elsa che luccicava, un turbate sulla testa di vari colori, entrò con due persone, che stavano ad un passo dietro, aveva si e no cinquant’anni:
-Benvenuti
Un sorriso ampio, sciolse la tensione di quel momento.
Il Maestro si alzò in segno di riverenza:
– Mi dispiace dell’increscioso errore.
E lui:
– Mi dispiace, di non potervi ospitare come dovrei, ma quando sono stato avvertito del ritrovamento del mio plico, ho sentito il desiderio di ringraziare la persona che così velocemente aveva rasserenato la mia esistenza.
Ci accomodammo dopo le presentazioni, e ci fu servito del te, in un servizio di porcellana di una ricchezza incredibile.
Dopo questo rito, in perfetto silenzio, lo Sceicco fece un gesto e si avvicinò uno dei due che erano entrati con lui, porgendo un plico al Maestro, lui fece lo stesso e ne consegno quello in suo possesso:
– Non guarda?
Era lo Sceicco.
-Perché dovrei?
Rispose il Maestro, riponendo il plico nella borsa di pelle così come l’aveva ricevuto.
Si vide lo stupore sul suo viso, poi come se stesse seguendo il corso dei suoi pensieri, iniziò a parlare:
– Erano tre anni che non ritornavo qui, devo ringraziarla non solo di avermi riportato il regalo che domani farò a mia moglie per il 28° anniversario di matrimonio, ma perché mi ha dato l’opportunità di ritornare qui.
Il Maestro, ascoltava rapito il suo perfetto italiano, fece cenno di non capire quello che voleva dire, ma lui:
– Alle volte ci sono luoghi dove non si vorrebbe più ritornare, ero a Capri ieri e per evitare di farle fare un viaggio lungo, ho deciso di venire qui. Sono sceso dalla barca, solo quando i miei uomini mi hanno avvertito via radio che eravate arrivati.
Non potevo, forse non dovevo!
Ma il suo tono che andava abbassandosi sempre di più quasi rotto in gola mi aveva colpito:
– Sono molto colpito dalle sue parole, forse sarò indiscreto, ma posso farle una domanda?
Mi guardò come se mi avesse visto per la prima volta, i suoi occhi si fissarono sui miei, poi quasi come un senso di liberazione:
– Mi dica giovane signore
Non devo balbettare, c’era Isa che mi guardava incredula, il Maestro accigliato in segno di preoccupazione, ed io:
– Ho ammirato il suo Parco, esplosione di colori e aromi, segno di gioia e di cura continua, ma nell’aria non ho sentito la stessa sensazione, è stata solo una mia impressione?
Lo Sceicco si alzò, imponente faceva quasi paura, ad un suo gesto, fece allontanare tutti dalla sala, poi si voltò verso il Parco e disse:
-Sono meravigliato della sua sensibilità, ammiro le persone che cercano di darsi delle risposte e che hanno il coraggio di chiedere.
Mi aspettavo una stoccata che mi avrebbe di sicuro tramortito, ma così non fu:
– Lei ha ragione, quello che ha detto risponde a verità, non so come abbia fatto ma ha colto in pieno il mio pensiero. Si, è vero, non c’è anima, qui tre anni fa ho perso l’unica figlia che avevo…
Volevo morire!
Non era mia intenzione ferire nessuno, ma oramai la frittata l’avevo fatta:
– Signore…
Dissi io.
Lui si girò verso di me, non era arrabbiato, ma quasi sollevato:
– La mattina facemmo colazione in questa sala, eravamo una trentina di persone, erano quasi le 10.00, Yahra espresse il desiderio di fare un bagno prima dell’ora di pranzo, io è la madre acconsentimmo, insieme con le amiche, presero un motoscafo che era ormeggiato e si allontanarono verso il largo, aveva 21 anni. Stavo ancora guardandola dalla terrazza, quando dopo pochi minuti, ci fu l’esplosione.
Si accasciò sulla poltrona, Isa si alzò e verso dell’acqua in un bicchiere, la ringraziò con gli occhi.
– Giuro io non volevo, sono mortificato.
Lo ero veramente!
Non potevo credere a quello che stavo sentendo, cercavo un riparo volevo scomparire all’istante, alle volte il silenzio è la cosa migliore da fare.
Ma come mi era venuto in mente?
– Non è colpa sua, lei non poteva sapere, però mi ha dato l’occasione di liberarmi di questo peso che porto da anni dentro il cuore, non sono arrabbiato con lei, si tranquillizzi.
Solo allora, Isa si accorse che stavo tremando come una foglia, mi venne vicino:
– Non volevi e ne sapevi, stai tranquillo.
Accompagnato da lei, mi sedetti anch’io.
Volevo piangere ma non potevo!…”…
…”…
Ci inoltriamo verso la città, oramai siamo alle 07.30, le persone iniziano a muoversi, il traffico non mi aiuta, ma riesco comunque a non perdere di vista l’auto.
Stiamo andando verso la zona industriale, così recita un cartello appena oltrepassato, dedalo di vie tra capannoni, nudi e deserti.
Ecco la freccia, si svolta a sinistra, lungo rettilineo, in fondo vedo qualcosa, si è una struttura in cemento e vetro tutta illuminata, quasi come ad una festa, l’auto si dirige sul piazzale di ingresso dopo la sbarra, una guardia giurata ha aperto il varco e poi chiude, è finita!
Supero, è inutile cercare di entrare, non ho nessuna ragione per entrare, mi posiziono in modo da non essere visto dal vigilante, scendo. In alto troneggia un enorme tabellone “La Mimosa” s.p.a., e che sarà? Mi affaccio al di la delle grate di protezione sulla strada, “capelli bianchi” sta scendendo, questa volta senza bastone ma con la sua strana valigetta, si avvia a passi veloci verso una delle entrate, di lato vedo due furgoni parcheggiati, li riconosco sono gli stessi del porto, l’altro certamente sarà per l’altro “carico”, quale carico?.
Non faccio altro che fare delle domande, se dovessi raccontare questa storia, mi rinchiuderebbero, ho pedinato un perfetto sconosciuto, un mio dirimpettaio di palazzo, a che pro?
E poi che ci faccio a Cassino? E a Pozzuoli?
Sto maturando l’idea di andare via, prima di fare altri danni a me stesso, è perfettamente inutile fermarmi, la struttura è enorme, se cerco di entrare entro a far parte di quelle persone da codice penale, vado via, sarà una frustrazione per non esserci riuscito, ma almeno sarò libero, me ne farò una ragione.
Nel frattempo accedo la seconda sigaretta della giornata, mi guardo intorno, decido di fare qualche passo intorno, alberi, alberi dovunque, uccellini che salutano il mattino, fregandosene del sottoscritto e dei suoi pensieri, sono arrivato all’angolo, ci sono diversi autotreni, in posizione di carico, strano, non hanno nessuna scritta pubblicitaria, bianchi come il latte.
Il silenzio dalla struttura, non ha eguali, non c’è un rumore, poco distante noto un gruppo di persone con camici bianchi che stanno entrando, sarà una struttura sanitaria? Poi ecco in un altro spiazzo alle spalle della struttura, decine di auto, segno di tante persone all’interno.
Il mistero si infittisce, basta, devo trovare un modo.
Ritorno all’auto, faccio delle ricerche sul telefonino, nulla non mi riporta nessun tipo di attività, l’azienda viene menzionato come “società si servizi”, strano per una s.p.a di quelle dimensioni.
Metto in moto, faccio tutto il perimetro dell’azienda, lo rifaccio per la seconda volta, ho deciso cosa fare!
Ho deciso farò la “pecorella smarrita”.
Mi avvicino al cancelli d’entrata, fermo l’auto e chiedo alla guardia giurata:
Vedo che la guardia giurata mi guarda, come un ex terrestre, poi esce dalla guardiola e viene verso di me:
Pazientemente, rientra nella guardiola per uscirne poco dopo con una cartina:
Capisco che il mio tentativo sta vacillando:
Faccio finta di andare verso l’auto, nel frattempo arriva un auto a tutta velocità, la sbarra si è alzata prontamente e poi…torno indietro.
Dico sconsolato ad alta voce a il guardiano:
Mi risponde, allora mi attacco alle ultime parole:
Ho giocato sporco, lo so! Ma non potevo trovare di meglio, quel “ci investiva” ha gratificato la guardia ed io ho avuto l’appiglio che cercavo, non deve essere semplice passare otto ore in una guardiola senza poter parlare con qualcuno e ho stimolato a dirmi quattro parole.
La guardia riesce dal guardiola e:
Meglio non entrare in dettaglio, potrebbe insospettirsi, allora:
Sono un bugiardo, lo riconosco, ma è la mia curiosità innata e voglio sapere al più presto, senza fare danni dove “capelli bianchi” mi ha portato, evito di guardare la guardia, mi sta soppesando lo sento, mi sta squadrando e il mio vestire casual e pratico non mi aiuta, ci vuole un rinforzo e prima che lui parli:
Bingo, ci ho azzeccato, la guardia sorride rilassato e:
Ci siamo!
E ora come me la gioco questa notizia, che dico? Cosa mi invento? Dimostrarmi molto interessato oppure no? Chiedere informazioni dirette o indirette? Sorvolare?
Ho poco tempo, davanti, non devo sbagliare, mi gioco tutto…
E’ strano, quando arrivi ad un traguardo, in qualunque ambito, resiste una certa ritrosia nel voler conoscere la verità, quasi un rifiuto, un desiderio di allontanare quel momento tanto agognato.
Cosa faccio? Cerco di non far capire il mio interesse senza tirare troppo la corda:
Vogliamo scommettere, vincerei facile forse:
Oh cavolo, mi sta sfuggendo la fine, cosa faccio? Domanda diretta a risposta diretta, è l’unica soluzione:
…”…
Già il mio lavoro, nota dolente!
Il mio ambiente di lavoro non era male, ma ero anche l’ultima arrivata e il Capo Dipartimento dopo la mia presa di servizio, mi destinò ai controlli delle aziende che avevano avuto dei provvedimenti disciplinari, non era certo il massimo per me, anche perché venivo da un luogo dove ero operativa e svolgevo la mia professione in diversi campi, ma in particolare alla cura dell’alimentazione degli animali, quindi visite periodiche degli allevamenti e controllo degli andamenti in caso di malattia.
Qui, invece, dovetti per forza fare buon viso a cattivo gioco, nessuno voleva prendersi questa rogna, anche perché se le aziende non ottemperavano ai provvedimenti, ero responsabile della loro definitiva chiusura, decisone da prendere dopo aver trasgredito per tre volte ai nostri provvedimenti e a nessuno faceva piacere prendersi questa responsabilità che portava malumore e relativi conseguenze giudiziarie, si poteva arrivare anche all’arresto dei titolari d’azienda.
Proprio per questo, mi furono assegnate due vigili sanitari che periodicamente svolgevano i controlli con me, ma spesso, almeno in quel mese, capitò più volte di non averli per sopraggiunte emergenze sanitarie, non era previsto dalla legge ma così mi capitò quel giorno, dovevo recarmi in località Granelli per visitare un allevamento di polli per un controllo a sorpresa, erano accusati di utilizzare antibiotici in forma massiccia nell’alimentazione dei volatili, sia per aumentare la produttività e per evitare possibili epidemie.
Fu un’esperienza da dimenticare, non appena arrivai con l’auto di servizio nel cortile, non feci nemmeno in tempo a scendere che fui accolta con degli spari di fucile, non ci pensai due volte, rimisi in marcia e dopo una certa distanza feci la segnalazione al Dipartimento, fu concordata un’azione con i vigili sanitari e i carabinieri da fare in altra data ma mi fu consigliata di depositare denuncia ai carabinieri per quello che mi era capitato, cosa che feci immediatamente, e che cavolo, ero pur sempre un pubblico ufficiale!
Ecco l’animo con cui ripresi la strada di ritorno, il Capo Dipartimento mi disse che per quella giornata ero esentata di ritornare in ufficio, ero scombussolata e lui sapeva bene di cosa si trattava, stavo rimuginando sull’accaduto quando dovetti frenare all’improvviso, davanti a me sulla strada si era posata un volatile, frenai per non investirlo, ma quando lo guardai attentamente, non riuscivo a crederci, era un anatra Kaki Campbell, spensi il motore, ma in un attimo riprese il volo, scesi dall’auto e la seguivo con lo sguardo.
Incredibile, solo una volta l’avevo vista in Inghilterra, quando fui inviata per un aggiornamento internazionale, in una delle visite guidate da parte dell’organizzazione veterinaria della Cornovaglia, ci fecero visitare un allevamento di tale razza, ne fui talmente colpita che alla fine dell’aggiornamento, come risultato finale, la mia tesina fu proprio su questo volatile e già allora, circa cinque anni fa, relazionando al mio ritorno, espressi l’auspicio che tale razza potesse essere allevata in Italia per le sue proprietà specifiche, sia per la carne che per le uova.
Non so nemmeno il perché, ma cercai di dirigermi dove l’avevo vista volare, ma nulla, non era possibile, rischiavo di perdermi, quindi dopo un poco ritornai all’auto, ma una volta a casa, dopo una doccia ristoratrice mi stavo accingendo al computer, volevo fare delle ricerche, suonò il citofono
– Pronto
– Un pacco per lei, bisogna firmare.