Archivio mensile novembre 2023

29 Novembre 2023 – Un sogno…una storia tutta da raccontare. – di Araldo Gennaro Caparco

Si racconta che quando si rivela un sogno…questo non si avvera!

Poco male, so perfettamente che questo non si avvererà e quindi…lo voglio rivelare:

ho sognato che per la penultima settimana di dicembre…organizzavo con tanti amici…un…”Villaggio Felice” nella mia Oasi della serenità, dove si avverte

“Il rumore del silenzio”

http://ebook.simpliweb.it/prodotto/il-rumore-del-silenzio/

…prima della stalla con il sotterraneo…donne che lavorano la lana ai ferri e con il fuso…uomini ad un tavolo che costruiscono oggetti di legno da regalare ai bambini che vengono a visitare la grotta di Natale…cose di poco conto..un simbolo…

…all’ingresso del cortile…il ciabattino…alla sua destra nella rientranza…due pittori con i loro treppiedi..di fronte sulla scalinata…la lavandaia…poi di seguito l’arrotino…l’osteria…e …poi lo scrivano con il suo tavolino e lo sgabello…sotto l’arco il maniscalco che prepara i ferri per il cavallo…e prima della stalla…i venditori…di tutto un po….
…il menu dell’Oste…i primi: pasta e fagioli, polenta conciata e zuppa forte….tutti a tavola a festeggiare il Natale di Nostro Signore…insieme.
Araldo Gennaro Caparco

29 Novembre 2023 – Il segreto di Adelmo. – Racconto di Araldo Gennaro Caparco

Quella settimana, al comune di Roccapinna, fu molto estenuante per me, finalmente arrivò il sabato e non vedevo l’ora di uscire dal lavoro

– Ragioniere, allora ci vediamo domani mattina?

Alzai la testa, ero distratto

– Si, certo! A domani mattina.

Invece di sorridere mi uscì una smorfia, per fortuna era già uscito dalla porta prima di notarla.

Chi aveva parlato?

Il mio capo era il ragioniere generale del Comune!

Roccapinna è un comune che se lo si cerca sulle cartine geografiche, spesso non si riesce a localizzarlo e non tutte le cartine lo riportano sulle colline marchigiane è un comune di duemilacinquecento abitanti, diviso in due frazioni,  sopralmonte e sottoalmonte, secoli fa il paese era solo sul monte, poi con l’industrializzazione, il dopo guerra, molti decisero di costruire in pianura e ora dopo decenni di migrazioni di famiglie, sopralmonte era abitato da trecento e due abitanti, anzi trecento e tre adesso, l’ultimo a risalire sono stato io, non per scelta ma per lavoro.

Prima abitavo con mia madre in pianura, lei viveva con la pensione di mio padre di reversibilità morto anni prima, ex operaio edile in tutta Italia, in effetti non avevo mai avuto una sede stabile, io e mia madre seguivamo lui e i cantieri dove andava a lavorare, quand’era in attività era molto ricercato, uno dei migliori nelle verifiche  e il coordinamento delle squadre di operai per la messa in opera del calcestruzzo, era salito al cielo troppo presto all’età di sessantasei anni, nemmeno il tempo di godersi qualche anno di pensione, sette infarti in una notte lo portarono via.

Mi chiamo Adelmo, nome troppo impegnativo per me ma era il nome del nonno paterno, ma tutti mi chiamano Dado, quando morì mio padre eravamo a Palermo da due anni, all’epoca mi ero diplomato in ragioneria e dopo ero sotto le armi a Cagliari in rafferma prolungata di tre anni, qualche anno dopo mia madre decise di tornare nella casa materna e quindi quando fui congedato tornai anch’io a Roccapinna.

Durante l’ultimo anno di militare partecipai ad un concorso in quel comune ed ora eccomi qui da due anni inquadrato come ragioniere addetto alle cartelle esattoriali inevase, ero sulla soglia dei trent’anni e visto che la sede del comune si era trasferita sottoalmonte, lasciarono gli uffici finanziari a sopralmonte, quindi per evitare di fare la spola decisi che era arrivato il momento di andare a vivere da solo e presi in locazione una casetta singola su tre piani, piccola ma confortevole.

Mi piaceva quel posto, non c’era la vita frenetica della cittadina, il silenzio era notevole ma i paesaggi colmavano quella tristezza che pervade quando si vive da soli, facevo lunghe passeggiate quando ero libero dal lavoro e covavo una passione segreta, portavo con me un notes e disegnavo quello che più mi colpiva.

L’invito del mio capo per la mattina successiva per mezzogiorno era dettato da una piccola competizione alla bocciofila locale, non erano molte le persone che conoscevo, ma avevo accettato lo stesso, non arrivai mai al palazzetto quella domenica!

Mi stavo preparando quando sentii il campanello della porta e…

…era mia madre con un grosso bustone giallo nelle mani!

– Ciao Dado, è arrivata questa busta per te.

Sorpreso

– Vieni mamma, ma che piacere, entra.

– No, non posso, ho la macchina fuori posto e poi mi aspettano in chiesa per il coro.

Stranamente, senza attendere nessuna risposta, sorridendo, girò le spalle e corse via, la seguii con gli occhi mentre entrava in auto e partì di corsa, quasi scappando, appoggiai la busta sul tavolo della cucina meravigliato dal suo comportamento  ma ancora di più curioso di vederne il suo contenuto, ma non so perché evitai di dare subito importanza, terminai di vestirmi, faceva freddo, eravamo ai primi di novembre e dalla televisione avevo saputo che erano in arrivo delle nevicate, non alle nostre altezze, ma nelle vicinanze, ero in procinto di mettermi la sciarpa, quando mi feci coraggio e aprii quella busta…

…c’erano delle cartine geografiche con delle parti colorate in rosso i bordi, poi alcuni documenti risalenti ad almeno una cinquantina di anni prima della mia nascita e alla fine un cartoncino con su scritto

“Al mio pronipote Adelmo con tutto il mio affetto e ricorda che: “La tradizione è memoria!”. Tuo prozio Adelmo”

Annesso al cartoncino con una graffetta un bigliettino

“Notaio Di Rinaldo – Pristina. Via Oleandri 12”

e a penna…

“L’aspetto lunedì 5 novembre 2020 alle ore 10.00 nel mio studio”

Firmato con sigillo rosso.

Ero a bocca aperta, poi tentai di capirci di più, ma per me quelle cartine geografiche non avevano nessun senso, telefonai a mia madre, ma il cellulare era spento, mi ricordai della messa, presi l’auto e l’aspettai fuori la chiesa  a sottoilmonte, eccola in uscita

– Mamma!

Si girò per nulla stupita dal vedermi, era in compagnia di un uomo, capelli brizzolati, ben vestito, si avvicinarono

– Ciao Dado, dimmi?

Guardai lei, poi l’uomo

– Sono Aldo un amico della mamma, finalmente ci conosciamo

E stese la mano.

Titubante risposi all’invito

– Dovrei parlarti!

Le dissi e lei

– Scusami Aldo ti raggiungo al ristorante…

E poi verso di me

– …andiamo a casa.

E fu così che venni a conoscenza, della sua amicizia con Aldo da oltre due anni era un  vedovo con una figlia sposata e due nipotini, quando ne parlava le si illuminarono gli occhi, poi mi parlò del mio prozio Adelmo, con la moglie aveva fatto ristorazione fino a pochi anni prima di ammalarsi, era un intenditore di vini ed era conosciuto per i suoi frequenti viaggi all’estero, cinque anni prima aveva perso la moglie e lei l’aveva accudito da quando era ritornata nella sua città natale.

Solo una settimana prima di partire per gli Stati Uniti aveva detto

“Ci vediamo al mio ritorno dopo l’operazione al cuore, ho un regalo …”…..

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

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Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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28 Novembre 2023 – Il coraggio di resistere! – Favola moderna di Araldo Gennaro Caparco

Aeroporto di Milano

Cosa stavo pensando?

Un anno fa, mi trovavo nella stessa sala d’attesa, quella mattina dovevo partire per Madrid in Spagna, avevo vinto una borsa di studio di tre mesi per un approfondimento della Legge internazionale sulle adozioni, ma…

…già, ma…

…squillò all’improvviso il cellulare…

…e tutto cambiò!

La mia vita non era stata facile, orfana dei genitori a quattordici anni, io e mia sorella più grande di cinque anni ci trovammo all’improvviso catapultati in un’altra città, Caraglio in provincia di Torino, a casa della nonna materna, fu lei che da quel momento in poi ci accolse e ci guidò.

Poi, purtroppo mia sorella una sera tornando dal lavoro a soli trent’anni perse la vita per un maledetto tir che la travolse…e per me fu un colpo mortale, fui fortunata che la nonna, ormai oggi novantenne con uno spirito di una trent’enne, cercò di risollevarmi dal buio completo in cui ero caduta

– Figlia mia, lo so che ti manca, ma la vita deve andare avanti.

Piangevo, erano due settimane che non uscivo di casa

– Ma come faccio nonna, sono rimasta…

Lei mi accarezzò i capelli

– Non sei sola, siamo insieme!

E mi abbracciò!

Già, quella telefonata in aeroporto mi cambiò la vita e ancora non sapevo di quanto, guardai il display, era la clinica dove era ricoverata per un controllo mensile la nonna

– Pronto…

E tutto cambiò!

Raccolsi le mie cose, mi fiondai alla ricezione dei voli e mi feci rimborsare il biglietto, fui fortunata, non volevano, mancavano pochi minuti all’imbarco, ma c’era una ragazza più o meno della mia età, non era riuscita a trovare un biglietto per Madrid e quando sentì quello che stavo chiedendo

– Vendilo a me!

Non ci pensai due volte e glielo feci pagare la metà, non la finiva di ringraziarmi e poi, di corsa alla stazione dei tassì, entrai nel primo

– Clinica Nostra Signora di Guadalupe prego.

Tornai a casa a notte inoltrata, mi raggomitolai sul divano e piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste, in clinica

– Lei è la nipote Cloe?

Lo guardai, avevo un velo davanti agli occhi

– Si

– Mi dispiace averla turbata, sua nonna non voleva, sapeva che era in aeroporto…

Lo fermai, stropicciandomi gli occhi per scacciare il velo

– Mi dica!

Fu sorpreso

– Così giovane e così determinata!

– Grazie.

– Sua nonna ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, purtroppo non è in convenzione con l’ASL, dobbiamo intervenire sul cuore prima che sia troppo tardi, mi dispiace….

Le sentivo, le gocce di pianto, ma le ricacciai

– Quanto verrebbe a costare?

Era titubante

– Dottore?

– Tutto compreso…

Si fermò

-…diecimila euro! Cinquemila all’accettazione e gli altri al termine dell’operazione dopo la degenza.

Un colpo allo stomaco mi avrebbe fatto meno male…

…diecimila euro…un’enormità!

Con quest’animo l’indomani mattina mi recai a Torino, ero determinata a chiedere un prestito dando in garanzia il monolocale che avevo acquistato un anno prima con i soldi che mi avevano lasciato i miei genitori, il risarcimento dell’incidente di mia sorella e una quota parte dei soldi che mi aveva voluto donare mia nonna per evitare che facessi la spola tra Milano e Caraglio e la Facoltà di Giurisprudenza di Milano.

Ma nulla!

I soldi mi servivano in una settimana e tra banche e finanziarie, pur essendo notevolmente interessate ad acquisire la garanzia del monolocale, risposero che per istruire la pratica e portarla a termine ci voleva circa un mese.

Presi il treno ad alta velocità per Milano delle diciotto, ero stanca e delusa, non sapevo proprio a quale santo votarmi, ero a digiuno e mi avviai verso il distributore automatico per prendere qualcosa, lì vicino c’erano due ragazze che stavano parlottando concitatamente, pur non volendo

– Ma io lo denuncio…

Disse la più giovane sui ventitré anni…

E l’altra

– …ma perché non mi hai fatto entrare…

– Non ha voluto…

– Ma cosa è successo?

Lei diventando rossa dalla rabbia, guardandola diritto negli occhi

– …mi ha offerto del denaro per restare incinta…

Mi scappò il caffè dalle mani, si accorsero di me solo allora e disorientate immediatamente

– Andiamo via!

E lasciò cadere un biglietto in tanti pezzi a terra!

Giuro, non sapevo cosa fare, le guardai allontanarsi, ero sola nel vagone ristorante, quasi in uno stato ipnotico raccolsi quei quadratini, nascondendoli in tasca come se avessi rubato qualcosa.

Arrivai a Milano verso le diciannove, c’era un treno in partenza sul binario opposto, guardai, era diretto a Torino, non so cosa, saltai sul treno…

– Pronto?…

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…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

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27 Novembre 2023 – Il volo del cormorano. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Valleamare è una cittadina sul mar Tirreno, con una popolazione di circa cinquecento abitanti, è isolata dai centri più urbanizzati delle città vicine ma è sede di due importanti presidii che servono il comprensorio, il presidio sanitario di pronto soccorso con l’appoggio di due elicotteri per le urgenze e l’altro presidio, la farmacia comunale.

Shimon era il farmacista di origine ebraica, autorevole con la sua “divisa”,  un elegante vestito nero con una rendigote così lunga, arrivava all’altezza delle ginocchia, incuteva timore solo a guardarlo, cosa che praticamente mi capitava tutti i giorni tornando da scuola, c’era una ragione per passare di la ogni giorno, abitavo all’esatto opposto dalla sua abitazione, ed era sua figlia Sara, si nonostante  la mia giovane età, dodicenne, mi ero perdutamente innamorato di lei.

A scuola eravamo nella stessa classe fin dalle elementari, ma praticamente per lei ero un perfetto sconosciuto, troppo bella e perfetta per me, un viso pieno di lentiggini, capelli biondi, alle medie i suoi capelli avevano raggiunto il suo fondo schiena tra l’invidia delle sue coetanee, vestiva sempre in modo accurato, ma mai, dico mai ero riuscito a parlare con lei, tranne per qualche saluto sporadico.

Il mio era un amore platonico, unidirezionale!

Alle superiori, la mia famiglia non potendo sostenere i costi per inviarmi al liceo nella città vicina, mi dovetti accontentare , giocoforza fui iscritto all’unica scuola presente a Valleamare, una succursale distaccata dell’istituto alberghiero.

Lei era e continuava ad essere presente nella mia immaginazione, quindi conoscendo gli orari dell’autista che l’accompagnava con l’auto all’uscita della scuola, facevo in modo di essere presente sulla sua strada, per poterla salutare.

– Leo vieni?

Si, mi chiamo Leo, diminutivo di Leopoldo, il nome del nonno, grande chef, ma non ho preso da lui purtroppo, mio padre fa il pescatore e mia madre invece cucina in un ristorante sul mare “Il volo del cormorano” in onore dei numerosi uccelli acquatici che nidificano nella zona, lei si ha preso del padre e ne sfrutta tutte le sue ricette, sono figlio unico, ma ho un’amica del cuore, Anna, abbiamo la stessa età e frequentiamo la stessa scuola superiore, a lei racconto tutti i miei segreti e lei fa altrettanto con me, almeno credevo

– Anna dimmi?

– Dobbiamo correre, scommetto che ti sei dimenticato che oggi inizia la prima lezione per il brevetto di pilota

Una mano in fronte, bugiardo matricolato

– Hai ragione, andiamo!

E ci mettemmo a correre, dovevamo arrivare alla capitaneria di porto per frequentare il corso per la navigazione come pilota, oltre le cinque miglia marine, fu una mia idea e coinvolsi pure lei

– Ma dove ce l’hai la testa?

Non volevo rispondere, pensai ad una bugia, ma poi, sapevo che mi sarei pentito, proprio con lei non potevo

– Sara!

Si fermò di botto

– Ancora, ma allora non hai capito che è meglio lasciare stare, lei non ti fila proprio e lo sai.

La guardai stupito, era la prima volta che si rivolgeva così

– Perché?

Arrabbiata

– Lascia stare!

E entrammo alla capitaneria, era iniziata già la lezione, ci sedemmo agli ultimi posti, la stanza era buia e stavano facendo vedere dei filmati, scrissi sul cellulare

– Sei cattiva?

Lei, dopo averlo letto, mi rispose

– Scusami, non so cosa mi sia preso.

– Scuse accettate!

Risposi, mi fece un bel sorriso.

Quando si accese la luce, il tenente di vascello fece l’appello e grande fu il mio stupore quando sentii il nome di Sara, sentii il “presente” ma avevo la vista offuscata dall’emozione e non riuscivo a capire da dove provenisse, Anna era più stupita di me, alla fine della lezione non mi mossi da quella sedia, eccola la vidi, mi passò accanto

– Ciao Leo, pure tu qui?

Come un ebete, feci solo si con la testa e lei scomparve, mi sentii scrollare, era Anna

– Sveglia, allora?

– E che…

– Allora ti ha parlato hai visto.

– Si, ma mi sono comportato come un imbecille.

Sottovoce disse qualcosa

– Che dici?

Rossa, non aggiunse parola e si avviò all’uscita seguito da me, fuori mi bloccai, stava parlando in inglese con uno dei partecipanti, non ero proprio una cima in quella lingua, Anna lo era, le chiesi di tradurmi quello che dicevano

– Ma tu guarda che mi fai fare!

– Ti prego sorella.

Stava per aggiungere qualcosa, ma poi decise di astenersi, si avvicinò a loro e poi

– Stanno parlando della festa di fine anno di stasera, da noi all’alberghiero, è  invitata e lui si è offerto di accompagnarla.

Ecco!

Ero sorpreso, non l’avevo mai visto a quello la, biondo, occhi azzurri, un fisico di un atleta, ben vestito, doveva avere la mia età, di certo l’avrei notato

– Ma sei sicura?

Per tutta risposta

– Perché non glielo chiedi!

E stava per avviarsi, la seguii, si io e lei ci eravamo conosciuti nello stesso istituto alberghiero, lei era più piccola di me di due anni, e io avendo perso un anno alle medie e un altro anno alle superiori, avevo ventitre anni e lei ventuno anni come Sara, lei seguiva il corso di chef ed io quella di commis di sala

– Anna, chi è quello?

Mi guardò

– Sei patetico!

– Dai, sei la mia mi amica del cuore, dai.

E così facendo la presi per le spalle dolcemente e la feci girare, sentii è vero un lieve tremore di lei ma non diedi importanza, ma quando mi guardò, era diversa, più dolce

– Ti prego!

E unii le mani in segno di preghiera, funzionava sempre con lei

– E va bene, viene da una delegazione di Londra, in visita intercollegiale con noi, si chiama James ed è anche ebreo come Sara.

Ecco perché, pensai e va bene allora si conoscono per questo, mi calmai un poco

– Grazie, sei…

Finì la frase

– Stupida

Sorrisi

– No, fantastica.

– Andiamo che è tardi.

Abbassando la testa, la presi sottobraccio e l’accompagnai a casa, poi mi avviai al ristorante dove lavorava mamma, quel giorno mio padre avrebbe fatto tardi, c’era la campagna della pesca dei tonni e quindi non sarebbe tornato se non a notte inoltrata, mamma mi stava aspettando e insieme pranzammo, dopo dovette ritornare in cucina, tra poco sarebbero arrivati i clienti e il padrone del locale, Giacobbe, pur sopportando che mangiassi con lei, non ammetteva ritardi nel servizio di cucina.

Già, stasera c’era la festa di fine anno, l’avrei rivista, inviai un messaggio ad Anna

“Vieni con me stasera”

“Perché?”

“Mi sento impacciato ad arrivare da solo”

“A  che ora?”

“Alle diciannove, va bene?”

“Si”

Avevamo la divisa ufficiale della scuola, ma quando la vidi sulla porta, restai meravigliato, in così poco tempo, aveva aggiustato i capelli alzandoli e come aggiunta alla divisa, aveva un sciarpa gialla che faceva il paio con i suo occhi castano chiaro

– Sei uno splendore!

– Finiscila, perché mi hai invitata?

– Mi faceva piacere e…mi devi aiutare devo parlarle, dai…

– Approfittatore.

Rispose arrabbiata

– Lo sai che sono anni che ci provo.

– Si, lo so e…

– Mi aiuterai?

No rispose, entrò in auto e in pochi minuti arrivammo, era una festa in grande, stasera ci saremmo salutati e sarebbe stato scelto uno solo per categoria che avrebbe ricevuto una borsa di studio per l’università e un viaggio premio, tutti eravamo in gara, anche noi due, cercavo nella folla Sara, ma non la vedevo, Anna si allontanò per salutare degli amici della sua classe ed io cercavo di curiosare per trovarla, messaggio sul cellulare

“L’hai trovata?”

Era Anna

“No”

“Ma allora ci fai o  lo sei, sta li sul banco della giuria con il padre”

Guardai meglio, era vero, mi meravigliai, poi lessi sullo striscione di benvenuto, sotto al palco

“Premio speciale offerto dalla Farmacia Shimon”

Ecco perché, c’era pure lei, stupenda e bellissima in un abito celeste che lasciava scoperto quasi il suo seno,  in quel momento i nostri occhi si incrociarono, lei alzò la mano per salutarmi e io goffamente risposi allo stesso modo, inutile dire, mi bloccai come una statua, mai mi aveva salutato così cordialmente.

Furono assegnati i premi, ma ne io ne Anna, eravamo tra i vincitori, non ero deluso, non mi importava nulla, volevo solo affiancarla e quando iniziarono le danze la stavo aspettando sotto al palco, ci sarei riuscito, volevo invitarla a ballare, ma…ad un certo punto, sentii la voce di Anna che stava urlando

– Ma come ti permetti?

Era si lontana, ma avevo sentito bene, mi girai e fu un tutt’uno per raggiungerla in mezzo a quelli scalmanati che ballavano, quando arrivai la vidi rossa in volto, con un gruppo di tre ragazzi che sghignazzavano e cercavano di alzarle la gonna, lei faceva di tutto per fermarli, ma loro imperterriti l’avevano circondata

– Ma si può sapere che state facendo?

E arrivai vicino a lei, mi risposero in inglese e uno dei tre cercò di darmi una bottigliata in testa, lo schivai, poi con un colpo ben assestato sulle palle lo feci rotolare a terra, fu un attimo, gli altri due si buttarono su di me, presi calci e pugni a non finire, erano più grossi di me, ma quando vidi uno dei due che cercò di baciare con violenza Anna, trovai il coraggio di rialzarmi e assestai un pugno al primo che faceva scudo all’amico che voleva approfittarsi di lei, gli ruppi il naso, poi di corsa, mi buttai a peso morto sull’ultimo, era di spalle, ma si girò e mi beccai un pugno sui denti, vedevo Anna atterrita, non mi fermai e con una testata stesi l’ultimo, presi Anna per mano

– Andiamo via!

E senza attendere la sua risposta, mi feci largo nel capannello di persone che si era formato, i quali invece di dare una mano, scattavano fotografie e filmati, sulla porta c’era Sara che aveva assistito a tutto.

Invece di andare in macchina, facemmo una corsa verso il mare

– Stai bene?

Era spaventata

– Tranquilla!

Per tutta risposta si mise a piangere, poi con un fazzoletto cercava di fermare il sangue sul mio viso

– Mi hanno preso alla sprovvista, poi uno dei tre ha cercato di mettere le mani sotto la gonna, aiutato dagli altri che si erano messi davanti per non farsi vedere da quelli che stavano ballando, ma tu stai perdendo sangue.

In effetti avevo il naso sanguinante

– Non ti preoccupare, ti ho sentito e sono accorso.

– Mi dispiace.

Eravamo vicino al mare, con il fazzoletto tamponai il sangue, la camicia era andata e pure la giacca, sentivo dolori in tutto il corpo, all’improvviso mi accasciai sulla sabbia

– Leo?

Urlò

– Chiamo qualcuno?

La fermai

– No lascia perdere, ora mi passa.

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Mi svegliai, avevo la febbre molto alta, avevo solo un vago ricordo di quella sera, cioè,  quando tornai a casa avevo nascosto il vestito nell’armadio e mi ero buttato sul letto, per tutta la notte sentii un freddo addosso, ma adesso mi guardavo intorno ma non riconoscevo la mia stanza, poi la vidi, stava ai piedi del letto era Anna

– Che ci fai qui? Ma dove sono?

Lei alzò la testa, si illuminò

– Dio sia lodato ti sei svegliato.

Corse a bussare un campanello, cercai di alzarmi dal letto, ma non ci riuscivo, poi guardai meglio ero in una stanza con altre persone, quattro letti solo allora realizzai, ero in ospedale, Anna era venuta vicino alla testata del letto, incredula, senza parole

– Anna che ci faccio qui?

Finalmente

– Hai…

Arrivò un medico con un’infermiera e prima che potessi dire qualcosa

– Uscite tutti, dobbiamo portare fuori un malato.

La vidi, stava piangendo, fu l’ultima immagine di lei quel giorno!

Nonostante le mie proteste e le invocazioni per sapere cosa mi era successo, non mi risposero e con un gesto veloce mi trasportarono su una lettiga, poi un corridoio e alla fine, vidi in alto, Sala Operatoria.

.-.-.-.-.-.–.-.-.

Sono passati tre mesi d’inferno, in sala operatoria venni a conoscenza che mi dovevano operare per un ematoma al cranio, avevo tre costole incrinate, stavano quasi perforando il polmone e una frattura alla gamba destra ma non ebbi nemmeno il tempo di chiedere altro, dopo aver firmato il consenso informato mi fu fatta l’anestesia totale e operato.

Seguirono altri tre mesi ancora in ospedale, tra uscita dalla rianimazione e terapia intensiva, l’operazione aveva dato un buon esito, ma ora arrivava la fase più difficile, la riabilitazione.

In tutto questo, litigai di brutto con Anna, veniva spesso a trovarmi, fu lei che mi raccontò quello che era accaduto,  dopo quella notte, mi disse che la mattina successiva stava per venirmi a trovare, quando vide vicino casa l’autoambulanza, mia madre si era accorta che respiravo a fatica, avevo la febbre alta, mio padre era già andato a pescare all’alba, si vide persa e telefonò in ospedale, mandarono la guardia medica, ma la dottoressa dopo una visita veloce, chiamò il 118 per ricoverarmi in ospedale, lei e mia madre seguirono l’autoambulanza e dopo il ricovero scoprirono la verità sul mio stato di salute, mio padre era sconvolto, non sapeva nulla, furono i vicini che lo avvertirono al suo ritorno.

Avevo saputo da mia madre, che lei nei momenti liberi, rimaneva con me, ero contento, era la mia amica del cuore,  ma quel giorno le chiesi di Sara, lei non voleva rispondermi, poi dietro mie insistenze, venni a sapere che lei era andata alla direzione della scuola per denunciare quei tre che l’avevano molestata, ed era pronta ad andare dai carabinieri a raccontare tutto, raccontando anche come mi avevano conciato, ma trovò solo un muro di gomma e non avendo sufficienti prove per fare una denuncia per molestie, non trovò nessuno che la potesse aiutare.

Una sua amica ben informata, invece, la mise al corrente che il gruppo degli inglesi era partito dopo due giorni in  gran fretta e con loro era andata anche Sara, James era il suo fidanzato e il padre di lei per tacitare la scuola ed evitare le proteste in Inghilterra per il loro comportamento, aveva fatto una grossa donazione per sistemare la palestra della scuola.

– Leo mi senti?

Avevo chiusi gli occhi, tutto il mondo in quel momento mi era crollato addosso, tutte le mie aspettative, i miei sogni con lei ed ora me la ritrovavo fidanzata e in Inghilterra

– Leo, stai bene?

Ero arrabbiato con lei, quando aprii gli occhi

– Se quella sera l’avessi fermata, forse avrei avuto l’opportunità di parlarle, di esprimere quello che sentivo per lei, ma invece…

E la guardai, avevo gli occhi iniettati di rabbia!

Lei scoppiò a piangere e andò via e da allora non ritornò più in ospedale.

Avevo solo un chiodo fisso, rimettermi e poi…

…e poi sarei andato in cerca di lei in Inghilterra, mi mancava Anna la mia amica, cercai di telefonarle, chiesi a mi madre di contattarla volevo scusarmi, ma nulla, non venne più.

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Impiegai due mesi per convincere i miei genitori, volevo andare in Inghilterra a cercare lavoro, era una scusa ma loro non lo sapevano, fu un Natale triste per me, non c’era più Sara, Anna era scomparsa e i miei non mi rispondevano, ovvero mamma mi disse che Giacobbe mi avrebbe voluto al ristorante, lui non ci sapeva fare con i clienti in sala e quindi aveva deciso di assumermi, ma non accettai e visto che loro tentennavano decisi da solo.

Tramite la cameriera del farmacista, una donna di una certa età che mi conosceva fin da bambino, venni a sapere che Sara non stava a Londra ma a Bristol e aveva trovato lavoro tramite il padre del fidanzato James, un banchiere molto facoltoso di quella città, come insegnante di italiano al liceo inglese.

Eravamo prossimi al Carnevale, acquistai il biglietto aereo e mi recai al ristorante in una fredda giornata di febbraio per farlo sapere a mia madre

– Ti sei deciso, vero?

Era Giacobbe sorridente

– Per cosa?

Si stupì

– Ad accettare la mia proposta di lavoro, cos’altro?

Non ci pensavo proprio e

– No grazie signor Giacobbe, ma non sono qui per questo.

Meravigliato

– E perché?

Stavo per dargli una rispostaccia, ma poi mi calmai, mia madre lavorava la e lui era stato sempre gentile

– Parto, vado all’estero, ho trovato lavoro a Bristol in Inghilterra.

Dissi sorridendo

– Ma bravo…

E poi si avviò verso la cucina, prima che potessi fermarlo

– Emma c’è tuo figlio, sta per partire per l’inghilterra, ha trovato lavoro.

Veramente non volevo che accadesse così, dopo pochi istanti vidi mia mamma uscire stravolta, stava per venire verso di me, poi un fracasso di piatti rotti in cucina, fece dietrofront all’improvviso

– Anna, ma che succede?

Anna, stava li?

Mi avviai subito, ma sentii solo una porta sbattuta, quella del retro e vidi mia madre, mi stava aspettando sulla porta della cucina

– Perché mi hai fatto questo? Perché sei venuto all’improvviso?

Era arrabbiata, ma in quel momento pensavo alla mia amica, cercavo di guardare dentro, lei si accorse

– E’ andata via!

A casa venni a sapere che due mesi prima, Giacobbe le aveva chiesto di trovare qualcuno in cucina per aiutarla, e lei aveva fatto la proposta ad Anna, aveva accettato ed erano due mesi che lavorava con lei, quando le dissi

– Perché non me l’hai detto?

Per tutta risposta

– Cambiava qualcosa?”…

…segue…
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Due cuori, nato sbagliato.

Nonno – Cos’è un riassunto?

Nipotino – Riassumere una storia solo nei suoi punti essenziali, senza alterare la verità!

Sembra facile, vero?

Ma non è proprio una passeggiata.

Due cuori, nato sbagliato.

L’infanzia del protagonista è un mistero, una voragine buia, un buco che fa il pari con quello delle nostre galassie, il buio completo.

Due, il protagonista, non ricorda nulla dei suoi primi anni di vita, sprazzi di luce alle volte lo abbagliano, era bambino e due occhi di ragazza lo guardano amorevolmente mentre mangia, ma non è la madre.

Due, ricorda poco o niente, una stufa a legna, quella familiare, con dei ciocchi di legna che emanano odore di catrame, acre e fastidioso, bruciano gli occhi ma riscaldano economicamente la stagione invernale.

Due e il suo bagnetto nella conca di stagno colma d’acqua tiepida e il sapone di Marsiglia che brucia gli occhi.

Due, non sa il perché ma si sente nel posto sbagliato, i piedini senza pantofole di notte, il lettino di fortuna sul divano lacero e maleodorante, l’acqua gelida del mattino e la borsa della scuola troppo pesante.

Due, mattino nella scuola privata e pomeriggio con un donnone al piano di sotto che lo sorveglia mentre svolge i compiti di scrittura su uno sgabello a tre piedi da mantenere in equilibrio per non cadere.

Due e una rondine e il suo secondo cuore.

Due e suo Nonno, un omone con il panciotto e uno strano orologio legato con una catenella all’asola dello stesso, ritmicamente guardato per controllare l’ora.

Due e le dieci lire, regalo per le caramelle.

Due è il risveglio, a nove anni, nella scuola pubblica, dove si sente un estraneo.

Due e i genitori, sempre assenti e mai presenti!

…segue….

Araldo Gennaro Caparco

 

 

26 Novembre 2023 – Iole. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

– Non se ne parla proprio…

Pausa

-…ma siete impazziti, cinquemila euro…ma è una miseria…

Pausa

– …ma che vuol dire che è piccolo…è un monolocale…si capisce che è piccolo…o no…lo dice la parola…incredibile…

Pausa

-…basta!…la mia richiesta era di quindicimila euro, più che onesta, ma visto che fate così i simpatici, se trovo qualcuno, mi accontenterò anche di diecimila euro subito, addio.

Non avrei dovuto ascoltare, ma non potevo evitarlo, ero entrato in quel bar solo perché avevo freddo, un bar molto grazioso, un bancone pieno di dolciumi sulla destra entrando, poi subito dopo la cassa e di fronte cinque piccoli separé con due sedie e un tavolino, erano quasi tutti occupati e prima che qualcuno potesse guadagnare il quinto separé mi fiondai, il tempo di sedermi un cameriere sorridente

– Siete stato fortunato!

Lo guardai stupito, ma il suo sorriso mi disarmò, in un altro momento mi sarei arrabbiato, invece

– Grazie.

La mia espressione stupita diceva altro, capì di essere stato inopportuno e con aria professionale

– Gradisce qualcosa?

Mi rilassai

– Si, per cortesia una cioccolata calda e una cialda, grazie.

– Subito!

Con un perfetto dietrofront sparì!

Ero di pessimo umore, sradicato dalla mia città in ventiquattro ore, nemmeno l’auto mi avevano fatto prendere “E’ la tua occasione, vedrai”, solo una valigia con il necessario e poi imbarcato su un aereo, destinazione “Aeroporto Orio al Serio di Bergamo”, quasi svenivo, ero a millecinquecento chilometri da casa!

Ma chi me l’aveva fatto fare?

Figlio di un siciliano e di una toscana, mio padre era il proprietario di un ristorante a Ragusa, mia madre una giornalista e fu proprio lei ad inculcarmi le prime nozioni per il giornalismo e mio padre quello della ristorazione, mia madre ci tenne particolarmente che non prendesi l’accento siciliano d’accordo con mio padre, solo con gli amici parlavo il siciliano che conoscevo molto bene, ma con gli altri parlavo un perfetto italiano.

Da poco avevo festeggiato i miei trenta anni, ero un giornalista investigativo e usavo uno pseudonimo “Lince”, con quello firmavo gli articoli, ma uno di questi fu la causa del mio allontanamento precoce dalla mia amata isola, alla ricerca di uno scoop, tanto desiderato e voluto dal mio Direttore del giornale, era euforico, per la prima volta avevano dovuto far ristampare le copie del giornale perché terminato in tutte le edicole dell’isola.

La ragione?

Avevo scoperto un bidone di immondizia, una commistione, tra politici e mafia con ramificazioni in tutto il territorio italiano, ed era proprio per questo che mi trovavo all’altro capo della nazione, dovevo ricercare, trovare e raccontare, il ramo sporco dei colletti bianchi sul continente con l’aiuto dei servizi segreti italiani, solo loro conoscevano la mia vera identità..

Come da istruzioni prima della partenza, all’arrivo seguii le persone verso l’uscita, non eravamo in molti quella sera, una decina forse, mi avevano detto che all’arrivo mi attendeva un auto e guardando all’uscita vidi una persona con un cartello con solo un nome”Alfio”, mi avvicinai

– Sono io!

Mi squadrò, prese un tablet e dopo essersi rassicurato che ero proprio io quella persona in fotografia

– Mi segua!

In auto, lui davanti e io dietro

– Sul sedile troverà una valigetta, dentro ci sono le istruzioni per la sua permanenza qui, alloggerà per il momento in un appartamento residence “La corte dell’angelo”, poi verrà contattato da un nostro agente, buona permanenza.

Fine comunicazioni!

La sera dopo vennero, uno dei due era l’autista del giorno prima, mi diedero nuovi documenti, mi chiamavo Vieri, nato a Firenze, era un diminutivo di Oliviero “colui che possiede uliveti”, avevo un lavoro presso la Gazzetta di………., come giornalista gastronomico e trentamila euro in contanti, potevo utilizzarli come volevo, un tablet per il resoconto giornaliero e due numeri di telefono cellulare per i contatti con loro con un nuovo cellulare certamente intercettato da loro, ci tennero a precisare che avevo carta bianca per le mie ricerche, ma volevano essere messi al corrente di tutto quello che poteva essere importante per l’indagini.

Erano di poche parole e nella mia mente li battezzai Flick e Flock!

Dai documenti nella valigetta venni a conoscenza che il soggetto che stavamo cercando, per molto tempo era stato localizzato nei paraggi di un quartiere della Bergamo alta ed era proprio lì che mi diressi quella mattina ed entrai in quel bar.

Ero alla ricerca di un alloggio nelle vicinanze, ad onor del vero lo cercavo in locazione, ma non mi sembrò vero ascoltare quella telefonata, detto e fatto, con il giornale in mano mi affacciai al separé e vidi una signora sulla sessantina che stava sbuffando

– Posso?

La colsi di sorpresa ma il più sorpreso fu il sottoscritto, quando dopo aver spiegato che cercavo un alloggio in locazione e che per un puro caso avevo sentito della telefonata, dopo due ore, due cioccolate e dei pasticcini e una visita veloce all’appartamentino che si trovava all’ultimo piano del palazzo del Bar, mi convinse ad acquistarlo, mi disse

“E’ un assegno circolare, lo potrà rivendere quando vuole!”

mi lasciai trasportare dal suo entusiasmo e ci ritrovammo in un’agenzia per completare l’operazione dell’acquisto del monolocale dopo essere passato per una Banca a prelevare, non utilizzai i soldi che mi erano stati affidati, ma i soldi del mio conto corrente personale.

Il monolocale si trovava in un palazzo di cinque piani, c’era il portiere di una certa età e l’ingresso e il resto era molto signorile, la signora aveva fretta di concludere la vendita, l’indomani si sarebbe trasferita negli USA e i soldi le facevano comodo, le brillarono gli occhi quando saldai il tutto in contanti e così in mezza giornata mi trovai un alloggio e una proprietà a Bergamo.

Nel pomeriggio raccolsi le mie cose, quelle poche che avevo con me in albergo e mi trasferii, mi piaceva, all’ingresso aveva un angolo cottura completo di frigorifero piccolo e una mini lavastoviglie, subito sulla destra entrando, un tavolo a parete con due sedie, un letto a scomparsa di una piazza e mezza proprio di fronte la finestra e un armadio a muro a due ante laterale, a sinistra della finestra un micro bagno di spalle all’angolo cucina con tutto il necessario e una doccia con il telo.

Riposi la valigia vuota su delle ante sopra all’angolo cottura e trovai le lenzuola e le coperte imbustate e fresche di lavanderia, telefonai ai miei per raccontare quello che avevo fatto e per poco a mia madre non veniva un infarto

“Ma non vuoi più tornare?”,

sorrisi

“Tranquilla, tornerò presto!”.

Era passata una settimana da quel giorno, la redazione del giornale era formata da molti giovani e la cosa mi fece piuttosto piacere, nemmeno il capo conosceva il perché del mio trasferimento da Ragusa, ma mi avevano fornito di un curriculum di tutto rispetto e quindi non fece nessuna piega e così iniziai a frequentare i ristoranti della città e della provincia.

Cosa stavo cercando?

“Mano mozza”, questo era il suo nomignolo, nella mia indagine a Ragusa spesso avevo sentito bisbigliare il suo nome, ma nei miei articoli non l’avevo mai nominato, dai miei informatori venni a conoscenza che era lui il “Grande burattinaio” crudele come non mai, nessuno era a conoscenza di dove si trovasse, ma tutti indistintamente riferirono che era nel continente, raccolsi dieci cartelle su di lui e d’intesa con il direttore del giornale contattammo i servizi segreti.

Dopo nemmeno ventiquattro ore dalla consegna dell’incartamento, fui convocato nella loro sede una notte e qui venni a conoscenza che da mesi erano alla ricerca di quel soggetto, ma avevano già perso quattro loro agenti e quindi mi proposero di continuare le indagini con il loro aiuto fornendomi tutto il materiale che avevano in possesso, lo studiai a fondo e poi bruciai tutto, come da loro indicazioni.

Non sono certo un eroe, ma quando vidi le foto degli agenti uccisi, tutti giovanissimi e barbaramente uccisi, decisi di continuare le indagini, solo i miei genitori sapevano che mi sarei dovuto trasferire sul continente, ma non sapevano e nemmeno adesso erano al corrente di dove sarei andato a vivere e per cautela anche il perchè, raccontai che mi avevano proposto un lavoro e il doppio dello stipendio e non potevo rifiutare.

Tutto, all’improvviso ebbe una brusca accelerazione, arrivarono delle lettere minatorie al Direttore del giornale a Ragusa che riguardavano “Lince” cioè io e fu anche per questa ragione la  fretta nel farmi espatriare dall’isola, sicuri che prima o poi sarebbero venuti a conoscenza della mia vera identità e a quel punto la mia fine era segnata!

Furono aperti dieci fascicoli dalla Procura generale siciliana sui nomi che avevo fatto negli articoli e su di loro erano in corso delle indagini, non solo nell’isola ma anche presso il Parlamento a Roma e questo aveva mandato in fibrillazione la “famiglia siciliana” ed erano come schegge impazzite, pericolose per tutti!

Dai documenti che mi erano stati forniti, si evinceva che utilizzava una Società di import di pesce e semilavorati, prometteva sconti favolosi ai ristoratori per carpire la loro fiducia, poi nel tempo ritrattava le promesse e chiedeva di saldare gli acquisti in contanti e non più con pagamento dilazionato, questo gli dava l’opportunità di rilevare per poco i locali e tramite questa rete creare nuove piazze dove smerciare droga.

Avevo un elenco di ristoranti da frequentare con la scusa di un articolo promozionale sulla loro attività ne visitai diversi, ma , il mio compito era poter accedere alle informazioni che avrebbero potuto portare ad individuare gli agenti di Mano Mozza.

Quella sera, non potrò mai dimenticarla, tornai piuttosto tardi, dopo la mezzanotte, la ristoratrice era talmente interessata al mio lavoro che mi trattenne per cena, non ero proprio certo che fosse solo per l’articolo, visto i ripetuti messaggi non verbali e gli ammiccamenti vari nei miei confronti, quando ne fui totalmente certo con una scusa mi allontanai, rimandando  la continuazione dell’intervista in un secondo incontro, tra lo stupore di lei, oramai certa della conclusione di una bella  serata a letto!

Appena arrivai nel mio appartamento, mi fiondai sotto la doccia, contento di averla scampata, certo era bella, ma mi ero ripromesso di non allontanarmi dal mio obiettivo, almeno per il momento e fu solo allora che ricordando i momenti della giornata appena trascorsa mi ricordai di un elemento che forse poteva essere utile per le mie indagini, con la scusa di conoscere i fornitori delle eccellenze gastronomiche, cosa che chiedevo in tutti i ristoranti che visitavo, mi procuravo l’elenco dei fornitori .

Quando Alida, mi fornì il suo elenco quel pomeriggio, scorrendolo notai una grossa fornitura di bottarga, lei si era allontanata perchè impegnata in sala con dei clienti, quando ritornò da me, distrattamente dissi

– Utilizzate molta bottarga nelle vostre pietanze?

Fui sorpreso dalla sua risposta

– No!

Le girai il quadernone che avevo davanti

– Scusami, ma questo allora?

Sgranò gli occhi, era un ordine cospicuo di circa cinquemila euro di confezioni da 100 gr di bottarga di pesce, divenne rossa paonazza e chiamò ad alta voce

– Chef?

Non rispondeva, era distante e non aveva sentito, senza dire una parola prese il quaderno e si avviò in cucina, ero troppo distante per ascoltare qualcosa, mi stavo per alzare per avvicinarmi, quando uscì dalla cucina, mi guardò

– Non è nostro l’ordine, è stato un piacere che lo Chef ha fatto ad un suo amico siciliano momentaneamente in difficoltà, ha pagato con i suoi soldi, ecco la ricevuta.

Se c’era una cosa che avevo imparato da mia madre nella sua carriera di giornalista, era di fissare un documento e di memorizzarlo come uno scanner e così ho fatto quel pomeriggio, la ricevuta era della FishDream di Palermo, ora sotto la doccia ebbi una folgorazione, avevo già visto quel nome come fornitori in altri tre ristoranti che avevo visitato e certamente non fornivano pietanze con la bottarga, quindi questo poteva essere un indizio importante per tracciare gli affari di questa azienda palermitana, forse ero sulla strada giusta, con il cellulare mandai un messaggio al mio contatto dell’Agenzia dei servizi segreti per contattarmi la mattina dopo!

Contento della mia intuizione, mi crogiolai ancora con un getto di acqua calda bollente e finìì la mia doccia, mi avviai per mettermi a letto, ma quando rimboccai la coperta…

…mi accorsi che non ero solo in quel letto!

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.

Non riesco ancora a crederci,e… non riesco a trovare le parole per descriverlo, sono ancora sconvolto e contento, è quasi l’alba e sono sulla sponda del letto totalmente nudo, il sole triste d’inverno sta facendo capolino dalla finestra di fronte al letto, sento quel profumo che ha invaso il monolocale e quasi non riesco a respirare, ma come è stato possibile, mi guardo intorno, forse ho sognato tutto, ma no, mi guardo intorno, sulla sedia dall’altro capo del letto, c’è un reggiseno nero ricamato con delle rose piccole rosse che mi guardano…

…allora non ho sognato…è tutto vero…oddio!

Cosa è successo?

Nemmeno il tempo di appoggiarmi sul cuscino, una mano sulla bocca

– Shhhhhhh… sono io amore.

Giuro che respiravo prima, ma quella mano profumata mi aveva tolto il respiro, un attimo dopo, sentii il suo corpo caldo e nudo che mi copriva totalmente, solo per un attimo distolse la mano e

– Ma…

– Non dire nulla, sono due settimane che aspetto questo momento.

E poi?

Non si capì più nulla!

Era una furia scatenata, nonostante lo stupore e la meraviglia del momento, quel contatto fisico mi faceva piacere e poi che cavolo, mica sono fatto di pietra, cercai ancora una volta di fermare quella furia, ma…poi capitolai inesorabilmente e beatamente!

Fui travolto, nel buio non riuscivo a vederla bene, ma il suo corpo unito al mio, non mi lasciava altra alternativa, fu selvaggio e dolce, lasciandomi trasportare in un altro mondo, al di sopra delle mie aspettative, poi…dopo aver raggiunto l’apice, entrambi stremati lei disse

– La lontananza ti ha fatto bene, sembri un altro….

E accese la luce del comodino!

Fu un tutt’uno, con un balzo si rizzò sul letto, incredula lanciò un urlo

– Oddio! Ma tu non sei Tom!

Di rimando, a bocca aperta

– Per nulla!

Finalmente la vedevo, dopo quello che dissi, ero ipnotizzato da lei, mi risvegliai solo per il grido, era una ragazza stupenda, i suoi occhi sgranati erano del colore del mare, aveva dei capelli biondi lunghissimi che in parte coprivano uno dei due seni, un corpo scolpito e un’agilità di una tigre, perche solo un istante dopo il grido con un

– Madonna mia che ho fatto!

Con un colpo di reni, si scaraventò fuori dal letto, dandomi l’opportunità di guardarla per intero, aveva una voglia sotto il seno destro, nera come la pece, sembrava un piccolo cuore abbracciato al seno, di spalle inforcò una gonna, sommariamente una camicetta, prese la borsa e in un amen…sbattendo la porta uscì dalla mia vita.

Mi ero comportato come un ebete, ma cosa avrei potuto fare?

Solo per un attimo, feci il gesto di andarle incontro

– Verdammt (accidenti)! Non ti muovere chiunque tu sia!

Tuonò!

Ecco, quello che era accaduto e sono ancora frastornato e…contento, chiudo gli occhi e la vedo, la immagino e le mie mani stringono il lenzuolo ancora caldo!

E ora?

Cercavo di analizzare il mio stato d’animo, non potendo fare altro, si è vero! Quando ho sentito una mano che mi chiudeva la bocca, ho avuto paura, ma poi un attimo dopo, il suo profumo, il suo corpo…non  ne avevo più!

Ma chi era? Come mai si trovava nel mio letto nel pieno della notte? Chi era Tom?

Domande senza risposta!

Come uno zombie riuscii ad alzarmi, mi trascinai nel bagno e dopo un’abbondante rinfrescata al viso, guardai nello specchio, avevo cinque puntini rossi strisciati sul torace all’altezza del cuore e quasi mi venne un mancamento, erano le sue unghie, si avevo sentito dolore, ma in quel momento nulla avevo avvertito, pensavo ad altro!

Tornai in camera rosso come un pomodoro, sentivo il sangue pulsare e il cuore che batteva le mille miglia, inebetito mi avvicinai alla sedia presi il reggiseno e in attimo fu sulle mie labbra, stavo impazzendo, lo sentivo, avevo bisogno di qualcosa di forte, con un balzo mi avvicinai al frigorifero, mi ricordai che la padrona di casa mi aveva regalato una grappa quando mi aveva consegnato le chiavi dal notaio, mi bloccai, non riuscii ad aprire il frigorifero, sopra erano appoggiate delle chiavi, le guardavo ipnotizzato, di chi erano?

Di certo non erano le mie!

Tentennavo a toccarle, erano tre chiavi in un portachiavi con una placchetta color rosso seguita da una piccola coda, sembrava di volpe argentata, solo la parte finale, deglutii più d’una volta e le presi, le tenevo in mano come una reliquia, solo allora sentii freddo e mi resi conto che ero ancora completamente nudo, senza toccare il letto mi rivestii non lasciando mai quelle chiavi, era un mistero, potevano essere solo di quella ragazza, provai a vedere se aprissero casa e ne fui certo, con l’aiuto di una piccola lente di ingrandimento, riuscii a leggere solo la parte iniziale e finale di una scritta sulla placchetta

“I..e”

Poteva essere tutto, un nome, una località, purtroppo la dicitura prima era logorata dal tempo e illeggibile, iniziai ad esplorare il lato del letto dove poco prima c’era lei, alla ricerca di qualche altra cosa, ma nulla, c’era solo il suo profumo penetrante, sembrava muschio, sul cuscino, sulle lenzuola e sulla sedia….

…segue…

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24 Novembre 2023 – Suma e il bacio rubato!

“Quella notte non riuscivo a dormire, ero in un albergo di prima classe a Rynek Starego Miasta di Varsavia, avevamo raggiunto il nostro scopo, c’erano voluti tre mesi di pedinamenti, appostamenti, ma la squadra aveva funzionato, invece di essere contento e soddisfatto, pensavo a  lei a quella stronza di Nadia, è vero, era passato un anno ma mi bruciava ancora, tornai da una missione in Cina e non la trovai più, solo un biglietto:

“In questa busta ci sono i documenti da firmare per il divorzio, non ho mai smesso di amare il mio ex e da due anni abbiamo una relazione, stiamo partendo per un nuovo lavoro in Australia, ti ho preso in giro, pensavo che i soldi mi avrebbero fatta felice, ma non mi sono bastati, amo un altro, addio!”

Non c’è cosa peggiore per un astemio, di attaccarsi ad una bottiglia di liquore per lenire la rabbia e il dolore… una sbornia colossale, una sola fortuna… i miei collaboratori!

Mi risvegliai completamente nudo nella vasca da bagno, l’acqua era gelida, il tempo di realizzare, da solo non potevo esserci caduto dentro, si aprì la porta

– Finalmente sei sveglio!

Era Cizia la mia collaboratrice e senza attendere risposta verso un secchio di ghiaccio nell’acqua

– Ma, sono nudo!

Sorrise

– Sai che sorpresa!

E uscì ridendo.

Cizia era una componente del mio team, trent’anni ben portati, esperta in armi e in arti marziali, maga nei travestimenti, collaborava con me da cinque anni, elemento prezioso e insostituibile, single per scelta, una volta uno sceicco si innamorò perdutamente di lei, ma lei lo snobbò lasciandolo a bocca asciutta, alta un metro e ottanta, capelli biondi fino alla schiena, due occhi celesti come il mare e un corpo da amazzone da far girare la testa.

Mi chiamo Lio, soprannominato la tigre, trentacinque anni, esperto investigatore nell’ambito bancario e finanziario, risolviamo casi di truffe d’alta finanza, pochi sono quelli che conoscono la nostra squadra, oltre a Cizia c’è un altro collaboratore esperto informatico Teo, esperto anche lui con le armi e peso massimo, quaranta anni ma ne dimostra trenta ed è la nostra guardia del corpo quando siamo in azione, il suo peso è ininfluente, nei cinque continenti molte persone sono andate in ospedale con prognosi da trenta giorni in su, per essersi scontrati con lui.

Ed  eccolo la, sta cucinando

– Allora capo come va?

– Anche tu qui?

Risero a crepapelle

– Quando Cizia mi ha chiamato, non riuscivo a crederci, tu, sbronzo…

– Poi, però quando gli ho mandato la foto dei documenti per il tuo divorzio…

– In cinque minuti, sono arrivato e ti ho trovato già svestito e nella vasca da bagno, ora non pensarci abbiamo un lavoro che ci aspetta, sto cucinando e vedrai che dopo questa colazione all’inglese ti sentirai più in forma che mai.

Mi ricordai tutto e già aveva ragione, senza parlare mi avviai verso il bagno

– E brava Cizia, faccio una doccia calda.

Non dissero nulla!

Il mio tono era eloquente, mi ripresi e li ringraziai e mi ricordai di tutto, la sera prima avevamo cenato con un nostro cliente, contento di aver risolto il suo problema, era da poco passata l’una di notte quando mi ero appoggiato sul letto sperando di poter riposare prima di partire per Roma il giorno successivo, ma notai sul cellulare un messaggio nella segreteria, lo lessi

“Tigre so che siete a Varsavia, un amico comune mi ha detto come rintracciarvi, vi aspetto domani nella mia sede di Amburgo per mezzogiorno o dove volete in quella città, ho un incarico per voi, ho versato sul vostro conto il dieci per cento dell’ammontare dell’incarico, quale acconto, aspetto conferma, Wrote – President of Bank of America”

Saltai dal letto, presi il mio computer e controllai il conto corrente e il nominativo, chiamai i miei collaboratori e li misi al corrente dell’incarico.

E questo è tutto!

Eravamo in auto, direzione Amburgo.

– Lio, non mi sono ancora svegliata, ma mi hai detto che l’acconto…

Teo era alla guida, sorrisi

– Centomila euro…

Un fischio da parte di Teo

– Quindi, l’incarico è di…

Cizia

– Un milione di euro!

Ecco perché eravamo in auto alle due e trenta della notte, avevamo sette ore e mezzo di viaggio per arrivare ad Amburgo, dovevamo essere puntuali, non era un cliente qualunque

– Cizia?

Silenzio

– Cizia?

– Sto già lavorando Lio, non mi distrarre!

Questa era lei, silenziosa e efficiente come non mai, arrivammo alle undici precise, alloggiammo in un albergo vicino alla sede della Banca d’America, presi una suite per noi tre, qui avremmo montato l’ufficio portatile, quando eravamo in giro, portavamo lo stretto necessario, tre computer, registratori da indossare, microfoni direzionali d’alta qualità e ancora altri supporti tecnologici comandati da Teo, mentre Cizia era addetta alle registrazioni

– Trovato qualcosa Cizia?

– Si, forse, vediamo cosa chiedono.

Mi stavo avviando all’appuntamento

– Spogliati!

Era Cizia

– Che intenzioni hai?

Sorrise

– Lo sai quello che dobbiamo fare.

– Ma è necessario?

– Certo!

Dopo avermi nastrato con registratore e auricolare, mandai un messaggio, eravamo di fronte alla Banca d’America

“Ristorante albergo Park Hyatt Hamburg, ore dodici-Tigre”

Erano le undici e quarantacinque, immediatamente

“Perfetto”

  • Teo andiamo!…”

——————————

Splash!

——————————

E’ in attimo, mi ritrovai, bagnato con una spugna maleodorante impregnata di detersivo all’aceto

– Lio, ma sei tonto, tra un quarto d’ora arriva la brigata di cucina!

Oddio, era tutto un sogno, ecco la verità, avevo sognato ancora una volta ad occhi aperti!

– Arrivo, arrivo, ho finito.

– Se continui così ti licenzio!

Chi ha parlato è il mio capo squadra, e già, faccio le pulizie in un ristorante la mattina e il pomeriggio curo l’archivio di un agenzia di investigazioni.

23 Novembre 2023 – Una seconda opportunità. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.

Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!

Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.

Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.

Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.

Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono

– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!

Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino

– Per cosa?

– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!

Ero meravigliato, un provino? A noi?

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?

Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina

– Ma dove vai a quest’ora?

Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…

…suonò il campanello, erano loro!

E questo fu l’inizio della fine!

Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:

“The boys band”

I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti,  increduli …

…e così, ci perdemmo!

Imparai la lingua inglese, ma quando si dice che il successo da alla testa, non è un modo di dire, ma verità assoluta!

Oltre ai soldi, alle ragazze che ci saltavano addosso, arrivarono anche le droghe, prima leggere, poi sempre più pesanti, eravamo sottoposti a stress incalzante, dormivamo poco e male, fui l’unico a rimanere con i piedi ben piantati a terra, anche perché dopo due anni circa di quella vita, persi mio padre per un tumore che raggiunse mia madre, morta dandomi alla luce.

Fu il suo ultimo triste regalo!

Con un aereo dall’Inghilterra, messo a disposizione dalla produzione, lo raggiunsi prima di morire in ospedale tra le mie lacrime e con un filo di voce mi disse

“Ricordati quello che eri prima e cerca di non perderti!”

Mai parole furono più profetiche!

Quella frase rimase così impressa nella mia mente che da allora tutto cambiò, ma per Ludo e Dino purtroppo non andò così, nell’ultimo periodo Dino dovette essere ricoverato più volte per disintossicarsi dalla droga e Ludo subì la sua stessa sorte, non solo per la droga ma si aggiunse anche l’alcol.

La nostra avventura durò otto anni e poi?

Ci perdemmo di vista!

Passarono altri cinque anni da allora e quando mi informai su di loro, venni a conoscenza che Dino lavorava in Inghilterra come Chef in un ristorante di Plymouth e Ludo a Berlino oramai era parte integrante di una comunità di gay, queste furono le ultime notizie dei miei amici.

Quando il complesso si sciolse, cinque anni prima, mi ritrovai da solo, impiegai molto tempo per disintossicarmi da quell’incredibile successo improvviso e decisi di iscrivermi ad una scuola alberghiera, diventai Chef di partita addetto alla griglia e alle fritture, ero taciturno, mi stavo rinchiudendo sempre di più.

Di quell’incredibile avventura mi rimase solo un anello, era in oro con una placchetta nera in superficie con le nostre iniziali a forma di cuore incrociate, fu un regalo che ci facemmo il primo anno, pezzi unici forgiati da un artigiano olandese, promettendoci di non toglierlo e non cederlo mai a nessuno.

Ed eccomi oggi, quasi trent’enne, con un camper come casa e la mia attività al seguito, un food truck, grande come una roulotte per sei persone, modificato e acquistato a Parma.

Prima mi ero trasferito a Lecco, avevo lavorato in diversi ristoranti a Novara, Varese e Como, mi volevano bene tutti, ma non mi sentivo soddisfatto, mi piaceva far parte di una brigata, ma non mi piaceva essere un sottoposto, troppe pressioni in cucina e poi non sopportavo l’arroganza degli Chef, avevo messo da parte i soldi guadagnati con la musica e furono quelli che mi salvarono e mi diedero l’opportunità di finire gli studi e…altro!

Una sera uscendo dal ristorante di Como, una folata di vento a mulinello mi travolse,  riuscii a mettermi al riparo e mi ritrovai tra le mani un volantino, era la pubblicità di una Fiera a Parma dove venivano presentati modelli di automezzi adatti per la ristorazione mobile, nuovi e usati, quella notte non riuscii a dormire, ero alla ricerca di trovare la mia strada, poteva essere quella giusta, decisi di visitare la fiera.

E il giorno dopo…

…fu la giornata che cambiò tutta la mia vita!

22 Novembre 2023 – Sognando per vivere. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Il cielo come ogni mattina era plumbeo, così diverso da quel cielo della mia terra, sempre azzurro e limpido, da casa mia potevo vedere le isole, con lo sguardo le accarezzavo, immaginandomi di fare un salto e trovarmi li,  in mezzo al mare o su una montagna a respirare aria limpida e salubre a pieni polmoni.

Invece!

Invece, eccomi qui, in una città, non la mia,  a mille chilometri di distanza, sono qui da un anno, lavori saltuari di ogni tipo, ma i miei risparmi si stanno assottigliando, la pensione dove abito non costa molto, ma per me, si!

Sono alla ricerca di un lavoro, certo ho trovato anche qualcosa, sono sopravvissuto, ma quel qualcosa non mi accontentava, avevo dei sogni e volevo realizzarli.

Come tutte le mattine, scendo al bar sotto casa e faccio colazione e pranzo, un cappuccino e un cornetto, la titolare è cinese Liu Jang, esperta sommelier così come attestato in numerosi quadretti alle pareti.

C’era molta gente quella mattina,  e già, le persone vanno di fretta di mattina per andare a lavorare, beati loro!

Lei e la sua aiutante sfornano in continuazione, caffè e cappuccini, non ho fretta, attendo, prendo il giornale e inizio a sfogliarlo.

Cosa sto cercando?

Un luogo per dormire! Leggevo gli annunci, non mi ero reso conto di Liu si era materializzata all’improvviso davanti a me

  • Ti ho visto sai, ecco il solito!

Mi risveglio dal torpore

  • Grazie Liu, sei un angelo.

Mi sorride con quella espressione buffa di tutti o quasi gli orientali, apre la bocca, sorriso a tutto denti, si arriccia il naso e gli occhi si socchiudono.

Mi piace guardarla così, lei lo sa

  • Cosa stai cercando? Lavoro?

Si, per la mia consuetudine giornaliera, conosce bene il mio problema

  • No, cerco casa a poco prezzo!

Si fa seria

  • Ti hanno cacciato?
  • No, per il momento, ma manca poco.

Con aria dispiaciuta si avvia al bancone Teresa la sta chiamando per la cassa, lascio raffreddare un poco il cappuccino e cerco di non perdermi neanche una briciola del cornetto, scorro gli annunci ma sono troppo cari per me, mentre sorseggio a piccoli sorsi il cappuccino, vedo arrivare Teresa

  • Liu ti vuole, vai al banco.

Sorpreso, con il cucchiaino prendo l’ultima nuvola d’aria di latte e mi alzo

  • Ascolta Mino, se non fossimo già in otto a casa, con mio marito i tre bambini e i genitori ti ospiterei, ma hai mai preso in considerazione di andare presso una famiglia che affitta una stanza?

Conoscevo questa coabitazione, ne avevo sentito parlare

  • Si, ma non saprei a chi domandare!

Si illuminò

  • Conosco una famiglia, posso parlarci io e se non è tardi troverai una sistemazione, due mesi fa tramite loro ho aiutato due ragazze, so che hanno un’altra stanzetta, il bimbo è piccolo e quindi potrebbe essere libera.
  • Grazie, ma se chiedono garanzie, io non ne ho per il momento.
  • Garantisco io, ora va, cerca un lavoro e io penso al resto.

Le ero riconoscente, avevo voglia di abbracciarla, ma non sapevo se potevo farlo, allora sorrisi come faceva lei imitandola, capì si fece una bella risata.

Mi aveva dato la carica, mi ero ripreso dal grigiore del mattino!

Avevo diviso la città in quattro rettangoli, il modo di operare era sempre lo stesso, cercavo lavoro nella ristorazione, era l’unica cosa che sapessi fare, ma quella mattina, decisi di fermarmi in ogni negozio, era l’ultimo rettangolo, dovevo trovare  assolutamente qualcosa.

Ero determinato, quelle porte sbattute in faccia non mi demoralizzarono, all’ora di pranzo, iniziai con i ristoranti, kebabberie, osterie, trattorie, pizzerie e fui fortunato!

“Osteria  da Davide” trattoria tipica.

Entrai nel locale gremito di persone, ne contai una cinquantina e vidi questo giovane con i capelli racchiusi in una coda di cavallo che si faceva largo tra i tavoli, carrozzine e sedie, portando dei piatti fumanti, chi lo chiamava, chi chiedeva dell’acqua, invece di stare ad aspettare alla cassa come facevo di solito con il mio foglio e il curriculum, mi avvicinai appena fu ad un passo da me

  • Ti serve una mano?

Non ci pensò due volte, mi squadrò

  • Certo!

Tanto mi bastava!

Mi tolsi giacca e cravatta, presi un grembiule di lato alla cassa e iniziai a ritirare dei piatti vuoti ad un tavolo, in tasca c’era un notes e presi l’ordinazione, così feci sistematicamente per altri tavoli vicini e senza dirci una parola ci dividemmo in due la sala e i tavoli e li servimmo in perfetta sintonia.

Una signora si affacciò quando depositai l’ennesimo biglietto

dell’ordinazione, stupita

  • E tu chi sei?

Di rimando, lo indicai

  • Aiuto lui!

Sorrise e continuammo.

Erano le 16.00, quando servimmo l’ultimo, continuai nello sparecchiare i tavoli, poi arrivò la signora , mi passò il tovagliato pulito e dopo aver pulito dei residui i tavoli, con il giovane iniziammo ad apparecchiare per la sera

  • Ciao io sono Davide.
  • Io Mino.

Il tutto sempre lavorando

  • Ci sai fare!
  • Grazie, cerco lavoro!

Si fermò

  • Di che tipo?
  • Di tutto, nella ristorazione.
  • Cameriere?
  • Certo!

Iniziai a pulire a terra.

Mi piaceva questa discussione, tra una tovaglia e le posate da mettere, Davide mi stava studiando lo vedevo, imperterrito continuavo, con un occhio al lavoro e l’altro in cucina dove era andato

  • Vieni Mino, ti presento mia madre.

Andammo in cucina, ordinatissima, fui presentato, c’era la signora Amelia e due indiani

  • Ti ho visto, mio figlio mi ha detto che cerci lavoro, avremmo pensato di tenerti da oggi in prova fino a sabato, servizio pranzo e cena, cinquanta euro al giorno compresi i contributi.

Non urlai in quel momento di gioia solo per non farmi internare, certo non era sicuro, ma era qualcosa, toccava a me farmi apprezzare

  • Accetto, grazie!
  • Ci vediamo alle 18.00.

Amelia mi diede un pacco

  • Ecco ti ho messo qualcosa da mangiare, certamente avresti voluto mangiare prima, ma poi ti sei messo a lavorare.
  • Grazie ma non dovevate.
  • Di nulla, a stasera.

Davide mi accompagnò

  • Se mamma è contenta come lo sono io, hai trovato lavoro.

Avevo le ali ai piedi, mi avviai di buon passo e volevo condividere con qualcuno, andai da Liu, fu contenta, mi misi in un tavolino in disparte e divorai tutto, mi stava aspettando disse, avevamo un appuntamento per la stanza.

Alla fine, ci avviammo, conobbi la famiglia erano delle brave persone, vidi la stanza, un letto a ponte, piccola era piccola, ma non mi interessava, chiesero trecento euro, ma chiudemmo a duecentocinquanta al mese, quando scendemmo non potetti fare a meno di abbracciarla, rimase meravigliata

  • Grazie, grazie, se tutto va bene sabato pago il primo mese in anticipo.
  • Non ho fatto nulla, ma mi ha fatto piacere il tuo abbraccio, benedetto ragazzo.

Avevo solo venticinque anni, i miei genitori erano saliti troppo presto in cielo, sette tra fratelli e sorelle tutti più grandi, sposati e con figli, perdendo i genitori, lentamente si persero pure i contatti, ero sballottato da uno e da un altro, non ce la facevo più, terminata la scuola alberghiera, misi tutto in un borsone, il primo treno ad alta velocità, ed eccomi qui a mille chilometri di distanza, mandai un messaggio, nessuno mi rispose.

Avranno tirato un sospiro di sollievo? Non lo so!

Andai alla pensione, raccolsi quelle poche cose che avevo, avevo la chiave dell’appartamento, prima della mia stanza c’era quella delle due ragazze, ma non c’era nessuno, poggiai al meglio la mia roba, mi rinfrescai e via al locale a lavorare.

Arrivai con un quarto d’ora di anticipo, già erano la, stavano cenando, saltai la cena ero gonfio ma ringraziai per l’invito, Amelia disse che avrebbe messo qualcosa da parte per la notte, mentre loro continuarono tolsi tutte le bottiglie dallo scaffale del bar e tolsi la polvere, rimettendo tutto a posto.

Ero guardato a vista, ma li vidi contenti.

Non avevo idea di quanto fosse difficile coabitare, ma mi abituai lentamente.

Erano passati due mesi da quel giorno, a casa qualche volta incontrai la famiglia, conobbi il piccolo Tommy, ma non incontrai mai le ragazze, i miei orari mi permisero di avere il bagno tutto per me la mattina, spesso facevo colazione con un bicchiere di latte, ma la maggior parte andavo da Liu, cappuccino e dolce, al mattino mi svegliavo tardi e di sera tornavo dopo la mezzanotte, quindi potevo considerarmi un ospite fantasma.

Dopo quella settimana, Davide e la mamma,  contenti, mi fecero un contratto regolare, lavoravamo sodo ma era il mio ambiente, ci stavo bene.

Davide dopo qualche mese si aprì con me, aveva un compagno Amos a Madrid, era gay dichiarato, ma la mamma non riusciva a farsene una ragione e cercava in tutti i modi di evitare di parlarne e con la scusa che da sola non poteva portare avanti il locale, l’aveva costretto a rinunciare a seguire il suo amore, ma due volte al mese prendeva l’aereo e volava da lui, a cavallo del giorno di chiusura del locale.

Avevo tante idee per la testa, ma non volli espormi, mi bastava sapere che avevo la possibilità di uno stipendio settimanale e un posto per dormire, non nascondo che più di una volta, al locale questa smania di migliorare le cose, mi prendeva, ma evitavo di parlare, aspettavo l’occasione giusta.

Eravamo agli inizi di novembre, fuori c’era il gelo, quindi ci anticipavamo a turno per far trovare accogliente il locale, così accadde quel giorno che mi avrebbe cambiato la vita!

Mi anticipai per il pranzo, Davide mi aveva dato da tempo  le chiavi del locale, ero contento, si fidavano di me, questo mi inorgogliva, dopo aver acceso il camino e le stufe a gas, aggiustato i tavoli andai in cucina, volevo fare qualcosa di sfizioso, avevo notato che gli ospiti nell’attesa di quello che avevano ordinato, diventavano qualche volta intolleranti.

Aprii la porta della dispensa e li vidi, due sacchi di polenta da un chilo, il pensiero corse immediatamente a mio nonno, aveva un mulino e il ricordo di quella piccole porzioni di polenta, calde, fumanti, mi riempiva di gioia.

Fu un tutt’uno, misi subito il pentolone, poi come mi aveva insegnato mia nonna la preparai dosando la giusta quantità d’acqua e di sale, nell’attesa che si raffreddasse dopo aver pulito e igienizzato, versai tutto su una lastra di marmo, accesi sotto l’olio della friggitrice.

Arrivò Amelia, ma non me accorsi, poi Davide e gli altri, fischiettavo e lavoravo, feci tanti tocchetti fritti, una montagna

  • Ma bravo!

Piccolo applauso, mi colsero alla sprovvista, mi girai e li vidi, stavano tutti li, diventai rosso, era Amelia che aveva parlato

  • Scusami Amelia, mi sono fatto prendere la mano.

Lei mi guardava e non diceva nulla, poi come i monaci iniziarono ad assaggiare

  • Buoni!

A quel punto spiegai il perché, finalmente Amelia

  • Proviamo, ma la prossima volta mi avverti prima, vero?

Disse sorridendo

  • Certo!

E andai in sala, imbarazzato.

Iniziarono ad arrivare gli ospiti, io e Davide iniziammo a prendere la comanda, oggi erano pappardelle al sugo di carne, cotolette alla milanese con patatine o insalata, dopo aver portato la comanda, trovai già pronti i piattini con la polenta fritta da servire nell’attesa, Amelia aveva aggiunto anche delle bustine di senape, pomodoro kectchup e maionese.

Iniziammo a servirle, sulle prime le persone erano stupite, poi

  • Questo l’offre la casa nell’attesa del primo.

Lessi la soddisfazione sui volti delle persone e anche Davide e la madre se ne accorsero, entrarono due ragazze e un ragazzo, si sedettero, erano infreddoliti, mi avvicinai

  • Allora a che punto sei con la tesi Teresa?
  • In alto mare, quella stupida mi sta facendo perdere un sacco di tempo, e tu?

Non fece in tempo a rispondere, ma io feci in tempo ad osservare l’altra ragazza, alta quanto me, magra da far paura, un viso molto bello, curato, occhi celesti e dei capelli lisci biondi, finalmente si accorsero di me

  • Prego, volete ordinare?

Per evitare il  suo sguardo, mi rivolsi al ragazzo

  • Allora, ragazze ordiniamo?
  • Aura tu che prendi?

Che bel nome pensai, poi notai che parlavano con me

  • Leo tu?
  • Pappardelle

La ragazza Teresa, chiese anche lei solo le pappardelle, non rimaneva che lei, non si decideva, mi chiamarono ad un altro tavolo

  • Posso consigliarla?

Si destò, mi guardava diritto negli occhi

  • Potrei consigliare la cotoletta alla milanese con contorno di patate e carboidrati per antipasto.

Mi guardò perplessa ma sorrise

  • Accetto!

Poi con mio dispiacere dovetti andare dall’altro lato della sala e quindi li persi di vista, Amelia incassò i complimenti per l’iniziativa e volle dirmelo di persona ringraziandomi, Davide non era del solito umore, una volta che lo incrociai

  • Non ti senti bene?
  • No, dopo ti dirò!

Passò del tempo, stavo sparecchiando, quando di spalle

  • Grazie, è stata un’ottima idea.

Mi girai, era lei sorridente

  • Erano anni che cercavo di trovare un posto dove assaggiare della polenta, sono ritornata al sapore alla mia infanzia, mi è piaciuta, grazie.

Non uscivano le parole, feci solo segno di si con la testa e scomparve, ma dietro di lei c’era il ragazzo

  • Ciao ci vediamo, mi chiamo Leo, ma tu chiamami Lea.

Con un cenno della mano, mi salutò, lasciandomi interdetto.

Quando terminammo a pranzo, Amelia si era già avviata a casa, rimanemmo io e Davide, era di venerdì, lo ricordo bene, perché avevamo già stilato un menu speciale per la giornata seguente festa del Santo patrono della città, San Onofrio, stava per dirmi qualcosa quando ricevette una telefonata, mi salutò e sparì.

La sera lo vedevo, era più agitato ma non ebbi modo di parlare con lui, quando terminammo il servizio, nell’aggiustare i tavoli per il giorno successivo, più d’una volta stava per far cadere qualche bicchiere, lo fermai, lo feci sedere

  • Che succede?
  • Amos mi vuole lasciare.

E si mise a piangere, ma non leggermente, ma a singhiozzi pieni, cercai di calmarlo, mi alzai e feci una camomilla, solo dopo un poco si tranquillizzò

  • Perché?
  • Dice che non può avere una relazione a distanza, mi vuole la, con lui, sempre.
  • Ma cosa fa nella vita?

Era la prima volta che lo chiedevo

  • Dirige un call center italiano in Spagna, mi ha dato l’ultimatum, ha prenotato un posto in aereo per domani mattina per Madrid e ha detto che se non mi trova in aeroporto è finita. Ne sono certa, ha trovato un altra, ma io non posso vivere senza di lui….”….
…segue…
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21 Novembre 2023 – La forza e la disperazione. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Vari riconoscimenti in dieci anni nella carriera di ufficiale non hanno impedito che mi comminassero una sanzione disciplinare grave per un’azione condotta male e con madornali errori non dipendenti dalla mia volontà, ed è per questo che sono stato spostato dall’ufficio operativo della narcotici dei carabinieri ad un reparto amministrativo in un’altra caserma da sei mesi.

Ma quello che è peggio, mi tengono inattivo, sono in questa stanzetta da sei mesi senza avere un incarico amministrativo, semplicemente mi ignorano!

Rispetto ai non orari che avevo prima, fare dalle 8 alle 14.00, mi pesa più di tutte le notti che sono stato operativo in pedinamento o appostamenti.

E la centesima volta che apro quest’armadio e lo rimetto a posto, pratiche dell’anno 2016, nessuno mi ha dato l’incarico di farlo, ma qualcosa dovrò pur fare, passo il tempo mortificandomi sempre giorno per giorno.

E’ un braccio di ferro tra me e loro.

Chi sono loro?

Sono i miei colleghi i topi da scrivania che non hanno mai fatto parte di un’azione operativa, sono “ dei senza pistola”, pure quella mi hanno ritirato, quando il capo ufficio mi ricevette, disse che ero stato fortunato che non mi avessero sbattuto fuori dall’arma dei carabinieri.

Non devo dare soddisfazione!

Certo mi macero dentro,  molto, ma no, la soddisfazione di urlare e sbattere i pugni o chiedere un incarico, non la devo dare, prima o poi si arrenderanno, ma non ho nessuna intenzione di farlo io per il momento.

Eravamo ai principi di dicembre, mi recai al bar della caserma, tutti sapevano e tutti mi evitavano, nessuno voleva parlare con me, ero un operativo messo a dimora, a trentacinque anni.

So quello che si aspettano: che dia le dimissioni, ma non lo farò!

Ordino il solito cappuccino, mentre aspetto, cerco i giornali per passare del tempo, stavo per avviarmi alla bacheca

– Allora come ti trattano?

Riconoscerei quella voce tra mille, è quella del mio ex capo

Sottovoce per non farmi sentire

– Buongiorno signore.

E lui sorridendo

– Il Signore è in cielo, lo sai.

– Ma io sono su questa terra all’inferno, a pagare per errori fatti da altri!

Vedo che la fronte si rabbuia

– Hai ragione, ma non ho potuto fare nulla per evitarlo.

– Voi no, lo so, ma i miei documenti, in dieci anni di attività, avrebbero potuto se fossero stati consultati!

Mi prende sottobraccio, vedo da lontano alcuni scribacchini che sorridono tra i denti

– Sono iene, mi tengono isolato.

Si guarda intorno

– Si ricrederanno!

Sono sorpreso, mi ha dato ragione senza dire nulla

– Vedi, c’è una ragione perché sono qui.

Mi fermo

– Quale?

– Andiamo nella tua cella.

Aveva usato la giusta espressione, ma tanti vedendomi in compagnia di un colonnello si meravigliarono, compreso il mio capo ufficio, che avvertito per tempo, si fece trovare sulla porta per omaggiare il suo superiore.

Lui, non lo guardò nemmeno, rispose solo al saluto ed entrammo nella mia “cella”.

– Eccoci!

Si guardò intorno, disgustato, presi una sedia, la mia e lo feci accomodare, già avevo solo una sedia, io mi misi su un gruppo di faldoni che stavano a terra

– Tutti possiamo sbagliare, ma vederti qui mi fa veramente male, so quello che hai fatto in questi dieci anni, non ti ho mai raccomandato e hai fatto tutto da solo, acquistando la stima dei tuoi colleghi, tu non lo sai ma loro hanno scritto una lettera di protesta al comandante generale, dopo che ti avevano escluso dall’operatività.

Ero contento, ma non sorpreso, li conoscevo tutti uno per uno.

– Ho lasciato che la commissione di indagini terminasse il lavoro e poi ho chiesto l’incontro con il Generale Orsola, l’avevo promesso a tuo padre dopo l’attentato cinque anni fa, dove perì anche tua madre, rea di essere solo insieme al marito in una domenica d’estate.

Quel ricordo, mi fece tremare, ero ancora in uno stato di shock

– Lui, mi chiese di tenerti d’occhio, ma non di aiutarti, sul letto d’ospedale prima che finisse. E così ho fatto! Quando è arrivata la cartellina dei documenti, che palesemente riportava che si c’era stato un errore, ma per un difetto di informazione, tu non potevi immaginare che l’uomo che hai arrestato all’aeroporto con la valigetta piena di droga era un ufficiale della guardia di finanza che era stato infiltrato.  Ho parlato con Francesco, il generale, che come sai era mio compagno di corso come tuo padre, poi lui con la laurea ha fatto carriera ed io no, facendo presente il tutto e lui che ben conosceva il caso, mi ha risposto che aveva ricevuto il verbale di chiusura e avevo ragione ma che comunque prima di un anno non avrebbe potuto reintegrarti.

Un anno? Oh mio Dio! Ancora sei mesi in questo tugurio, come farò?

Mi vide che mi ero distratto, mi richiamò all’ordine

– Ascolta, ci sarebbe una possibilità!

Ero attentissimo

– Mentre stavo contestando tale decisione, fu annunciato e fatto entrare un ufficiale della guardia di finanza, vedendomi non voleva parlare, ma fu sollecitato da Francesco “Dica? Il colonnello Piero qui presente è venuto in veste d’amico di vecchia data” lui non voleva, si vedeva, ma sollecitato obbedì “Onde evitare che possa ripresentarsi il problema di qualche mese fa, sono venuto per chiedervi una mano in un caso molto delicato”, mi accomodai poco distante e rimasi in ascolto “ Sappiamo che c’è un grosso carico di droga che sta per arrivare in città, sappiamo chi lo manda ma non chi lo riceverà, il nostro Capo di stato maggiore, vuole scoprire come fanno a smerciarlo nella nostra città per poi arrestare tutta la banda e chi l’ha ricevuto, stroncando il traffico illegale” il generale Orsola era molto attento e gli fece cenno di proseguire “Mi ha mandato qui per chiedervi di infiltrare qualcuno”.

Il discorso si faceva interessante

– “E questo qualcuno valido dove lo trovo adesso sotto le feste di Natale, i nostri agenti sono tutti impegnati, mi chiedete l’impossibile” a quel punto intervenni “ Francesco posso proporti qualcuno?” mi guardò strano, ma intuì subito “Se non accettasse?” ed io “Lo reintegri subito, se accetta?” ci pensò mentre il finanziare ci guardava interdetto “Si!” – “Bene allora, entro domani ti farò sapere, va bene?” il generale guardò il finanziere che disse subito di si, ed eccomi qua!

Mi stava scrutando, cercavo di non incontrare i suoi occhi, ma li sentivo che mi guardava, non lo feci attendere troppo

– Accetto!

Saltò dalla sedia, si alzò e sorridendo

– Lo sapevo!

Così dicendo, dalla borsa che aveva con se, prese la mia pistola e il mio tesserino e li mise sulla scrivania

– Ma come?

– Ne ero certo!

Mentre lui prese il cellulare e fece delle telefonate, guardavo la mia 38 special, quante volte mi aveva salvato, c’era il mio cinturino, automaticamente la incollai al mio piede destro, quello era il suo posto, riposi il tesserino in tasca e dal mio borsello ripresi la catenina con il mio numero di matricola 3828 e la misi al collo, finite le telefonate, sorridente

– Andiamo!

Non volevo chiedere nulla, era la mia unica carta da giocare per uscire da quel tugurio e tanto mi bastava!

Presi quelle poche cose che avevo nell’unico cassetto della scrivania, diedi un ultimo sguardo alla stanza e uscimmo, dal piantone fece chiamare il capo ufficio e presentatosi immediatamente, lo avvertì che da quel momento non facevo più parte del suo ufficio, rimase con la bocca aperta, salutò e fu ricambiato, senza alcun cenno di giustificazione

Solo nel cortile, dissi

– Dove andiamo?

– A pranzo!

Altro non seppi, ma lo stupore era stampato sul viso, l’attendente con l’auto stava fuori alla caserma, evidentemente sapeva dove dovevamo andare o era stato avvertito,  perché non chiese nulla e si avviò.

Dopo circa un’ora entrammo in un ristorante, l’addetto all’ingresso ci guidò verso un tavolo, dove era già seduta una persona, era di spalle, poi si girò

– No, non è possibile?

Feci un salto all’indietro

– Tu?

Il generale

– Vi conoscete?

Eravamo entrambi senza parole, c’erano altre persone, ma cercammo di non farci notare, ci accomodammo

– Certo, è quello che mi ha arrestato!

Di tutte le persone lui era l’unico che avevo sperato di non incontrare più sul mio cammino, ed era invece li, davanti a me, avevamo la stessa età o quasi, non dicemmo nulla per qualche minuto, poi stesi la mano

– Nino

Lui era titubante, poi la strinse

– Visto che dobbiamo lavorare insieme, Andrea.

Il colonnello non commentò, tentò di sdrammatizzare

– Bene, bene, vedo che siete leali, si è trattato di un malinteso e lui ha già pagato caro, ora nel frattempo che ci portano il pranzo, visto che avete un piano e non avete voluto che venisse da voi in caserma, saremmo curiosi di conoscerlo.

Il finanziere si risvegliò e divenne più formale

– L’operazione è troppo importante e non possiamo correre il rischio che qualche talpa la mandi a monte, si è vero sono sorpreso, ma conoscendo il tuo curriculum penso anche che sei la persona giusta per questa operazione.

Sentirlo mi fece piacere e la tensione si allentò!

– In una località a due ore da qui, c’è un distributore di benzina con annesso un piccolo centro commerciale formato da un market, un bar, una pescheria e un ristorante, si trova sull’autostrada. Sappiamo dalle nostre fonti,  che dovrebbe arrivare a giorni un carico di droga, destinato alla capitale, ma non sappiamo quando e a chi dovrà essere consegnato.

Lo guardavo con attenzione

– Abbiamo tentato di infiltrarci, più volte ma è come se qualcuno anticipasse le nostre mosse, abbiamo dovuto fare marcia indietro e in attesa di scoprire la nostra talpa abbiamo chiesto una mano a voi, vista l’urgenza. Nino te la senti di trasformarti in un senza casa per questo mese.

Che vuol dire senza casa? Non mi interessava! Immediatamente

– Si.

Lo avevo sorpreso

– E’ inutile dire che noi due saremo sempre in contatto. Alla fine di questa strada c’è un camper, piuttosto malandato nell’aspetto, ma è solo una parvenza, dentro troverai tutto il necessario, in una busta nell’armadio riceverai altre istruzioni, abbiamo fretta il carico potrebbe arrivare da un momento all’altro e quindi non appena abbiamo ricevuto la telefonata del Generale Orsola, abbiamo pianificato la logistica, te la senti?

Per la miseria, l’azione partiva subito, meglio così

– Certo, una sola domanda, posso restare in contatto con i miei uomini della squadra narcotici?

E lui

– Sono persone fidate?

– Certo li conosco perfettamente!

Vista la perplessità di Andrea, intervenne il colonnello

– Sarò il tramite da Nino per loro.

Dopo qualche minuto di riflessione

– Va bene.

Pranzammo piuttosto velocemente in silenzio, ci stavamo analizzando a vicenda, Andrea mi diede le chiavi del camper e dopo aver salutato uscii da solo.

Alla fine della strada vidi il camper, sembrava un catorcio, c’era ruggine dovunque, ma dentro era tutta un’altra cosa, quando lo misi in moto per allontanarmi dal ristorante, mi resi conto che il motore era come un orologio, veloce e scattante, perfetto!

Dopo qualche chilometro, mi fermai in una piazzola d’emergenza sulla strada statale, presi la busta che mi aveva indicato Andrea, conteneva dei fogli e una somma di denaro, lessi tutti avidamente, ero stato troppo fermo ed ora avevo l’eccitazione dell’azione.

Come era scritto in quei fogli, dopo averli letto li bruciai e mi cambiai d’abito, avevo solo delle tute di diverse taglie e delle scarpe da ginnastica.

La località era sull’autostrada e confinava con una strada che la collegava ad un paese vicino, prima di partire aprii l’armadio piccolo e trovai una stazione radio ricetrasmittente collegata alla Guardia di Finanza e un cellulare, inserii in memoria anche il numero del colonnello e riposi la mia pistola in una piccola  cassaforte, sotto la radio.

Da quel momento, i miei dati anagrafici erano:

Tano………, nato a Siracusa, avevo un passaporto con annulli vari di viaggi effettuati in paesi europei, i documenti erano perfetti e non mi sorpresi dalla velocità con cui erano stati preparati, perché era stato il mio comandante a farli fare, era certo che avrei accettato, presi solo la carta d’identità tipo bancomat e la carta di credito, e partii.

Dopo due ore ero sull’obiettivo, secondo le indicazioni mi posizionai nel parcheggio dei camion, a metà strada tra il distributore di benzina e il centro commerciale, abbassai i piedini di sosta del camper.

Uscii per dare un’occhiata all’esterno e familiarizzare con i luoghi, entrai nel bar, c’era una persona sui cinquanta anni al bancone, chiesi un caffè, nell’attesa mi guardai intorno, pochi avventori, la maggior parte dei camionisti che stavano facendo sosta per mangiare qualcosa, ero così assorto che non mi resi conto che la signora mi chiamava

– Il caffè è pronto!

Mi girai e ringraziando iniziai a sorbire il caffè

– Viene da lontano?

Era classico, mi aveva visto uscire dal camper

– Si, ho fatto un viaggio lungo.

Sempre più curiosa

– Da dove?

Senza infastidirmi

– Dalla Sicilia!

Contenta della risposta, continuai a guardarmi intorno.

Facendo finta di leggere qualche messaggio sul cellulare, fotografavo quello che poteva interessarmi, vidi una ragazza piuttosto rotondetta ma carina seduta ad un tavolo, sembrava in attesa di qualcosa o qualcuno e notai che  metteva in mostra le sue grazie per poi appartarsi con qualcuno che l’abbordava, foto, barista, foto, da li passai al market adiacente, alla cassa un signore attempato, foto, poi feci un giro per i reparti acquistando qualcosa, commessa, jeans e camicetta a quadri, capelli raccolti in una coda di cavallo, foto.

Tornai al camper, scaricai le foto e le inviai ad Andrea

“Mi servono informazioni su queste persone”

Sul cellulare, immediatamente venne visualizzato un ok.

Scesi dal camper, trafficai nel vano posteriore e presi una tanica vuota e con questa in mano mi diressi direttamente al distributore di benzina

– Le dispiace?

Un signore piuttosto alto e robusto era di spalle, intento a fare il pieno di una macchina, si gira e vede il mio gesto rivolto alla fontana per l’acqua

– Prego!

Perdo tempo a riempire la tanica, poi con il cellulare scatto la foto, alla fine

– Grazie.

Faccio per andarmene

– Si ferma molto?

Si dice che la curiosità sia appannaggio delle donne, ma non è proprio così

– Si, per qualche giorno!

Per nulla sorpreso, era abituato evidentemente e mi aveva visto appena arrivato

– Allora le consiglio di spostarsi verso la pescheria, li vicino può approvvigionarsi d’acqua e c’è anche il bocchettone per collegarlo allo scarico del camper e alla luce elettrica, se mi da il documento di identità, attivo la postazione n.1, poi pagherà quello che ha consumato quando andrà via

Stavolta ero io sorpreso da tanta gentilezza

– Grazie, io mi chiamo Tano

E lui stendendo la mano

– Augusto

Prendo il mio documento, lui fa una copia in un bugigattolo di fianco alla pompa di benzina e attiva la postazione.

Con un sorriso, mi consegna il documento

– E’ stato un piacere conoscerla, mi sposto subito, prima che faccia sera.

Aveva voglia di parlare, certo deve essere monotono stare tutta la giornata in attesa dei clienti

– Fa bene, stanotte si prevede burrasca, acqua e vento e forse neve, comunque io abito sopra il bar, se le dovesse servire qualcosa, può chiamarmi.

– Grazie Augusto, prima di posizionarmi è meglio che faccia il pieno, così non avrò problemi.

Con la testa annuisce e ritorno al camper, dopo poco sono al distributore per fare il pieno

– Viene da lontano?

– Si da Siracusa.

– E’ un bel viaggio!

– Si è vero, ma l’ho fatto a tappe, ora mi fermo qualche giorno.

– Fa bene, questa settimana l’autostrada sarà pericolosa per il ghiaccio.

Finisce di fare il pieno, pago, ringrazio e posiziono il camper dove mi aveva consigliato, sono di lato alla pescheria, si sente odore di pesce, ma date le temperature l’odore viene diminuito dal venticello che sta per aumentare, siamo alle 19.00 e visto che è ancora aperta, decido di andarci.

– Buonasera.

Entro, non vedo nessuno, i banchi sono stati puliti per la chiusura, odorano invece di puzzare, alzo la voce

– C’è nessuno?

– Vengo, vengo.

Vedo un ombra che arriva da una stanza del retro, una persona anziana, di certo ha superato i settanta

– Dica, in cosa posso esserle utile?

Prima di rispondere faccio finta di rispondere ad un messaggio e fotografo

– Volevo dirle che mi sono appoggiato col camper qui di fianco a voi, vi do disturbo?

Mi guarda scrutandomi

– No, assolutamente, ma se siete venuto per acquistare qualcosa, ho passato quello che mi era rimasto al ristorante, qui vicino, se vuole può provare a trovare qualcosa anche di già cucinato.

Ringrazio, esco e entro nel ristorante, stranamente e non so perché, pensavo che fosse vuoto, invece ci sono diverse persone che stanno già cenando, non vedo nessun cameriere quindi mi avvio verso la cassa, da li posso dare uno sguardo panoramico, quattro coppie anziane, cinque giovani ad un tavolo, una famiglia all’altro tavolo, l’ambiente è rustico ma carino.

Finalmente intravedo una ragazza che porta un vassoio, no, anzi due vassoi in mano, con qualcosa e corre trafelata verso il tavolo dei giovani, mi passa vicino, faccio appena in tempo a scansarla, uno sguardo e corre via, mi incrocia sulla mia strada al ritorno, hai i capelli attaccati all’occhio destro, è bella e buffa, mi viene da sorridere, mi guarda e mi fulmina con uno sguardo

– Hai bisogno di qualcosa?

La risata mi rimane in gola, mi ha fulminato con due occhi verdi smeraldo, quasi balbettando

– Hai bisogno di aiuto?

L’ho sorpresa, non avrei dovuto ma con la mano destra le sposto i capelli dall’occhio, ha apprezzato il gesto, mi fissa come se fossi un alieno

– Proprio oggi che era la giornata del baccalà, quello stupido di cameriere mi ha mollato, non ti conosco, ma se vuoi…

Non me lo faccio ripetere due volte, tolgo il giubbino e lo sistemo dietro alla cassa seguendola nel retro del locale, ovviamente nel riporre il cellulare, foto. La cucina è perfetta, c’è solo lei, passa ai fornelli e mi chiede di preparare dei…”….

…segue…
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