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22 Gennaio 2024 – Iole. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

– Non se ne parla proprio…
Pausa
-…ma siete impazziti, cinquemila euro…ma è una miseria…
Pausa
– …ma che vuol dire che è piccolo…è un monolocale…si capisce che
è piccolo…o no…lo dice la parola…incredibile…
Pausa
-…basta!…la mia richiesta era di quindicimila euro, più che onesta,
ma visto che fate così i simpatici, se trovo qualcuno, mi
accontenterò anche di diecimila euro subito, addio.
Non avrei dovuto ascoltare, ma non potevo evitarlo, ero entrato in
quel bar solo perché avevo freddo, un bar molto grazioso, un
bancone pieno di dolciumi sulla destra entrando, poi subito dopo la
cassa e di fronte cinque piccoli separé con due sedie e un tavolino,
erano quasi tutti occupati e prima che qualcuno potesse
guadagnare il quinto separé mi fiondai, il tempo di sedermi un
cameriere sorridente
– Siete stato fortunato!
Lo guardai stupito, ma il suo sorriso mi disarmò, in un altro
momento mi sarei arrabbiato, invece
– Grazie.
La mia espressione stupita diceva altro, capì di essere stato
inopportuno e con aria professionale
– Gradisce qualcosa?
Mi rilassai
– Si, per cortesia una cioccolata calda e una cialda, grazie.
– Subito!

 

Con un perfetto dietrofront sparì!
Ero di pessimo umore, sradicato dalla mia città in ventiquattro ore,
nemmeno l’auto mi avevano fatto prendere “E’ la tua occasione,
vedrai”, solo una valigia con il necessario e poi imbarcato su un
aereo, destinazione “Aeroporto Orio al Serio di Bergamo”, quasi
svenivo, ero a millecinquecento chilometri da casa!
Ma chi me l’aveva fatto fare?
Figlio di un siciliano e di una toscana, mio padre era il proprietario
di un ristorante a Ragusa, mia madre una giornalista e fu proprio lei
ad inculcarmi le prime nozioni per il giornalismo e mio padre quello
della ristorazione, mia madre ci tenne particolarmente che non
prendesi l’accento siciliano d’accordo con mio padre, solo con gli
amici parlavo il siciliano che conoscevo molto bene, ma con gli altri
parlavo un perfetto italiano.
Da poco avevo festeggiato i miei trenta anni, ero un giornalista
investigativo e usavo uno pseudonimo “Lince”, con quello firmavo
gli articoli, ma uno di questi fu la causa del mio allontanamento
precoce dalla mia amata isola, alla ricerca di uno scoop, tanto
desiderato e voluto dal mio Direttore del giornale, era euforico, per
la prima volta avevano dovuto far ristampare le copie del giornale
perché terminato in tutte le edicole dell’isola.
La ragione?
Avevo scoperto un bidone di immondizia, una commistione, tra
politici e mafia con ramificazioni in tutto il territorio italiano, ed era
proprio per questo che mi trovavo all’altro capo della nazione,
dovevo ricercare, trovare e raccontare, il ramo sporco dei colletti
bianchi sul continente con l’aiuto dei servizi segreti italiani, solo loro
conoscevano la mia vera identità..
Come da istruzioni prima della partenza, all’arrivo seguii le persone
verso l’uscita, non eravamo in molti quella sera, una decina forse,
mi avevano detto che all’arrivo mi attendeva un auto e guardando

 

all’uscita vidi una persona con un cartello con solo un nome ”Alfio”,
mi avvicinai
– Sono io!
Mi squadrò, prese un tablet e dopo essersi rassicurato che ero
proprio io quella persona in fotografia
– Mi segua!
In auto, lui davanti e io dietro
– Sul sedile troverà una valigetta, dentro ci sono le istruzioni per la
sua permanenza qui, alloggerà per il momento in un appartamento
residence “La corte dell’angelo”, poi verrà contattato da un nostro
agente, buona permanenza.
Fine comunicazioni!
La sera dopo vennero, uno dei due era l’autista del giorno prima, mi
diedero nuovi documenti, mi chiamavo Vieri, nato a Firenze, era un
diminutivo di Oliviero “colui che possiede uliveti”, avevo un lavoro
presso la Gazzetta di………., come giornalista gastronomico e
trentamila euro in contanti, potevo utilizzarli come volevo, un tablet
per il resoconto giornaliero e due numeri di telefono cellulare per i
contatti con loro con un nuovo cellulare certamente intercettato da
loro, ci tennero a precisare che avevo carta bianca per le mie
ricerche, ma volevano essere messi al corrente di tutto quello che
poteva essere importante per l’indagini.
Erano di poche parole e nella mia mente li battezzai Flick e Flock!
Dai documenti nella valigetta venni a conoscenza che il soggetto
che stavamo cercando, per molto tempo era stato localizzato nei
paraggi di un quartiere della Bergamo alta ed era proprio lì che mi
diressi quella mattina ed entrai in quel bar.
Ero alla ricerca di un alloggio nelle vicinanze, ad onor del vero lo
cercavo in locazione, ma non mi sembrò vero ascoltare quella
telefonata, detto e fatto, con il giornale in mano mi affacciai al
separé e vidi una signora sulla sessantina che stava sbuffando….

(Totale 113 pagine)

(Ogni riferimento a persone, luoghi è frutto solo di fantasia)

…segue…
Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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20 Gennaio 2024 – Il segreto di Adelmo – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Quella settimana, al comune di Roccapinna, fu molto estenuante per me, finalmente arrivò il sabato e non vedevo l’ora di uscire dal lavoro

– Ragioniere, allora ci vediamo domani mattina?

Alzai la testa, ero distratto

– Si, certo! A domani mattina.

Invece di sorridere mi uscì una smorfia, per fortuna era già uscito dalla porta prima di notarla.

Chi aveva parlato?

Il mio capo era il ragioniere generale del Comune!

Roccapinna è un comune che se lo si cerca sulle cartine geografiche, spesso non si riesce a localizzarlo e non tutte le cartine lo riportano sulle colline marchigiane è un comune di duemilacinquecento abitanti, diviso in due frazioni,  sopralmonte e sottoalmonte, secoli fa il paese era solo sul monte, poi con l’industrializzazione, il dopo guerra, molti decisero di costruire in pianura e ora dopo decenni di migrazioni di famiglie, sopralmonte era abitato da trecento e due abitanti, anzi trecento e tre adesso, l’ultimo a risalire sono stato io, non per scelta ma per lavoro.

Prima abitavo con mia madre in pianura, lei viveva con la pensione di mio padre di reversibilità morto anni prima, ex operaio edile in tutta Italia, in effetti non avevo mai avuto una sede stabile, io e mia madre seguivamo lui e i cantieri dove andava a lavorare, quand’era in attività era molto ricercato, uno dei migliori nelle verifiche  e il coordinamento delle squadre di operai per la messa in opera del calcestruzzo, era salito al cielo troppo presto all’età di sessantasei anni, nemmeno il tempo di godersi qualche anno di pensione, sette infarti in una notte lo portarono via.

Mi chiamo Adelmo, nome troppo impegnativo per me ma era il nome del nonno paterno, ma tutti mi chiamano Dado, quando morì mio padre eravamo a Palermo da due anni, all’epoca mi ero diplomato in ragioneria e dopo ero sotto le armi a Cagliari in rafferma prolungata di tre anni, qualche anno dopo mia madre decise di tornare nella casa materna e quindi quando fui congedato tornai anch’io a Roccapinna.

Durante l’ultimo anno di militare partecipai ad un concorso in quel comune ed ora eccomi qui da due anni inquadrato come ragioniere addetto alle cartelle esattoriali inevase, ero sulla soglia dei trent’anni e visto che la sede del comune si era trasferita sottoalmonte, lasciarono gli uffici finanziari a sopralmonte, quindi per evitare di fare la spola decisi che era arrivato il momento di andare a vivere da solo e presi in locazione una casetta singola su tre piani, piccola ma confortevole.

Mi piaceva quel posto, non c’era la vita frenetica della cittadina, il silenzio era notevole ma i paesaggi colmavano quella tristezza che pervade quando si vive da soli, facevo lunghe passeggiate quando ero libero dal lavoro e covavo una passione segreta, portavo con me un notes e disegnavo quello che più mi colpiva.

L’invito del mio capo per la mattina successiva per mezzogiorno era dettato da una piccola competizione alla bocciofila locale, non erano molte le persone che conoscevo, ma avevo accettato lo stesso, non arrivai mai al palazzetto quella domenica!

Mi stavo preparando quando sentii il campanello della porta e…

…era mia madre con un grosso bustone giallo nelle mani!

– Ciao Dado, è arrivata questa busta per te.

Sorpreso

– Vieni mamma, ma che piacere, entra.

– No, non posso, ho la macchina fuori posto e poi mi aspettano in chiesa per il coro.

Stranamente, senza attendere nessuna risposta, sorridendo, girò le spalle e corse via, la seguii con gli occhi mentre entrava in auto e partì di corsa, quasi scappando, appoggiai la busta sul tavolo della cucina meravigliato dal suo comportamento  ma ancora di più curioso di vederne il suo contenuto, ma non so perché evitai di dare subito importanza, terminai di vestirmi, faceva freddo, eravamo ai primi di novembre e dalla televisione avevo saputo che erano in arrivo delle nevicate, non alle nostre altezze, ma nelle vicinanze, ero in procinto di mettermi la sciarpa, quando mi feci coraggio e aprii quella busta…

…c’erano delle cartine geografiche con delle parti colorate in rosso i bordi, poi alcuni documenti risalenti ad almeno una cinquantina di anni prima della mia nascita e alla fine un cartoncino con su scritto

“Al mio pronipote Adelmo con tutto il mio affetto e ricorda che: “La tradizione è memoria!”. Tuo prozio Adelmo”

Annesso al cartoncino con una graffetta un bigliettino

“Notaio Di Rinaldo – Pristina. Via Oleandri 12”

e a penna…

“L’aspetto lunedì 5 novembre 2020 alle ore 10.00 nel mio studio”

Firmato con sigillo rosso.

Ero a bocca aperta, poi tentai di capirci di più, ma per me quelle cartine geografiche non avevano nessun senso, telefonai a mia madre, ma il cellulare era spento, mi ricordai della messa, presi l’auto e l’aspettai fuori la chiesa  a sottoilmonte, eccola in uscita

– Mamma!

Si girò per nulla stupita dal vedermi, era in compagnia di un uomo, capelli brizzolati, ben vestito, si avvicinarono

– Ciao Dado, dimmi?

Guardai lei, poi l’uomo

– Sono Aldo un amico della mamma, finalmente ci conosciamo

E stese la mano.

Titubante risposi all’invito

– Dovrei parlarti!

Le dissi e lei

– Scusami Aldo ti raggiungo al ristorante…

E poi verso di me

– …andiamo a casa.

E fu così che venni a conoscenza, della sua amicizia con Aldo da oltre due anni era un  vedovo con una figlia sposata e due nipotini, quando ne parlava le si illuminarono gli occhi, poi mi parlò del mio prozio Adelmo, con la moglie aveva fatto ristorazione fino a pochi anni prima di ammalarsi, era un intenditore di vini ed era conosciuto per i suoi frequenti viaggi all’estero, cinque anni prima aveva perso la moglie e lei l’aveva accudito da quando era ritornata nella sua città natale.

Solo una settimana prima di partire per gli Stati Uniti aveva detto

“Ci vediamo al mio ritorno dopo l’operazione al cuore, ho un regalo …”…..

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

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19 Gennaio 2024 – Il “Principe” – Una favola moderna di Araldo Gennaro Caparco

Roma stazione Termini.

Mai mi sarei aspettata quella raccomandata, ero certa che sarebbe stata solo una prova il partecipare al concorso in magistratura, che cavolo mi dicevo, ho solo venticinque anni e di certo ci saranno molti altri partecipanti più preparati di me.

Era un maxi concorso per 250 posti in tutta Italia, mio padre mi convinse e …

…dopo due mesi dal concorso mentre ero nel locale di mio padre a dare una mano, arrivò il postino e mi diede quella busta gialla indirizzata all’Avvocatessa Anna ……..

…mi tremavano le mani, aveva di sfuggita visto l’intestazione della busta

“Ministero di Grazie e Giustizia”

…mi trovai piegata in due per terra

– Anna che ti succede?

Non riuscivo a parlare, alzai solo la mano destra e mio padre prese il foglio, dopo poco

– Bambina mia, ce l’hai fatta!

Esclamò prima di abbracciarmi per terra, stavamo piangendo, ma fu solo un attimo, i miei occhi si rivolsero sulla mensola sopra la cassa, c’era una foto, era della mia mamma…

…guardai meglio…

…sembrava che sorridesse, strinsi ancora più forte mio padre

E lui

– Tua madre sarebbe orgogliosa di te, ma sono certo che da lassù sta esultando con noi.

Ecco!

Questo era quello che pensavo mentre ero in treno da Milano per Roma, ero stata convocata dal Ministero per conoscere la nostra destinazione di lavoro, dal documento si evinceva che ero la duecentoquarantaseiesima vincitrice…ma non mi importava nulla…avevo bruciato tutte le tappe della mia università e a solo ventitre anni mi ero laureata, partecipai l’anno successivo all’esame di stato e riuscii a vincerlo…

…e tutto questo perché mia madre era affetta da un male terribile e non volevo che lei non partecipasse alla gioia con me…

…e c’ero riuscita!

Ma…

… dopo la sua morte caddi in depressione, furono sei mesi terribili e mio padre tentò tutte le strade per farmi riprendere, lui non avrebbe voluto che l’aiutassi nel locale di mia madre, ma io ero  irremovibile, avrebbe voluto che aprissi uno studio legale, ma non volli e allora accettò solo dopo che avevo promesso di partecipare al concorso in magistratura.

Avevo promesso e non potevo non mantenere, anche se questo mi costava molto, di giorno lavoravo con lui al ristorante e di notte studiavo per il concorso…

…ma alla fine aveva avuto ragione lui, c’ero riuscita e a soli venticinque anni!

Avevo prenotato una camera nell’albergo più vicino, mi rinfrescai e scesi, quando arrivai al Ministero mi tremavano le gambe, all’ingresso c’erano i controlli della sicurezza, versai quelle poche cose che avevo dalla mia borsa e nelle tasche

– Signorina perché è venuta al Ministero?

Ero così assorta che non avevo sentito, poi

– Signorina?

Mi girai e c’era un signore sui cinquant’anni che aveva un foglio in mano

– Mi scusi?

– Di nulla, dovrebbe rispondermi…

Era sorpresa

– …ho qui l’elenco dei visitatori ammessi alla Cerimonia di insediamento dei nuovi magistrati della repubblica e lei non è nell’elenco…

Disse continuando a guardare il foglio, la mano mi tremava, ma cercai di non farlo notare, dalla tasca della giacca presi la preziosa raccomandata che avevo lasciato per ultima nel consegnarla per i controlli e…

…fu un attimo, come vide la busta gialla e cambiò espressione, con una velocità notevole lesse solo il nome

– Mi dispiace, non avevo capito, ma ora so chi e lei.

E con un cenno della testa ai vigilanti immediatamente mi ridiedero le mie cose e si avvicinò

– Venga con me, l’accompagno io!

Ero meravigliata da quell’uomo e lui capì

– Sono il capo dipartimento delle relazioni con il pubblico.

Ecco perche!

Fu la mia fortuna, la testa mi girava per tanta bellezza, c’era uno scalone che saliva al piano superiore contornato di statue, alzai gli occhi e vidi una cupola fatta di vetro che emanava una luce abbagliante sui numerosi marmi che tappezzavano le pareti, ma nulla fu a confronto quando quell’uomo

– Ecco, siamo arrivati, prego!

Si spostò e mi sorrise

– Grazie.

Lui scomparve e io rimasi a bocca aperta, eravamo nell’aula magna più grande che io avessi mai visto, rimasi talmente stupita che non mi resi conto di una hostess che mi stava dando una cartellina, la presi in automatico ringraziando e mi guardai intorno, vi era una moltitudine di persone di una certa età, mi feci piccola cercando un posto alla fine per non farmi notare, ma inaspettatamente la hostess

– Dottoressa mi segua.

E come una imbambolata la seguii, ma quando mi resi conto che mi stava portando in una delle prime file

– Mi scusi, ma non penso che questo sia il mio posto.

E lei, indicando il palco

– Non sono io che ho deciso, è stato quell’uomo che è lì sopra…

Mi girai, ed era quella persona che avevo incontrato all’ingresso che parlottava con il Presidente

-…ci ha raccomandato di portarla qui!

E mi lasciò interdetta, di fianco avevo due persone di una certa età, una delle due all’altra

– Mi hanno detto che il Presidente deve fare un comunicato prima di chiamarci…

E l’altra

– Speriamo bene, ho l’aereo di ritorno a casa tra due ore e sono la tredicesima, non vorrei perderlo, chissà dove mi manderanno…

Per uno strano caso, si rivolsero verso di me entrambe a e all’unisono

– Lei è una giornalista?

Le guardai e non volevo essere scortese

– No, sono una vincitrice del concorso!

Si portarono le mani alla bocca e poi…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

…segue…

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18 Gennaio 2024 – Il volo del cormorano. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Valleamare è una cittadina sul mar Tirreno, con una popolazione di circa cinquecento abitanti, è isolata dai centri più urbanizzati delle città vicine ma è sede di due importanti presidii che servono il comprensorio, il presidio sanitario di pronto soccorso con l’appoggio di due elicotteri per le urgenze e l’altro presidio, la farmacia comunale.

Shimon era il farmacista di origine ebraica, autorevole con la sua “divisa”,  un elegante vestito nero con una rendigote così lunga, arrivava all’altezza delle ginocchia, incuteva timore solo a guardarlo, cosa che praticamente mi capitava tutti i giorni tornando da scuola, c’era una ragione per passare di la ogni giorno, abitavo all’esatto opposto dalla sua abitazione, ed era sua figlia Sara, si nonostante  la mia giovane età, dodicenne, mi ero perdutamente innamorato di lei.

A scuola eravamo nella stessa classe fin dalle elementari, ma praticamente per lei ero un perfetto sconosciuto, troppo bella e perfetta per me, un viso pieno di lentiggini, capelli biondi, alle medie i suoi capelli avevano raggiunto il suo fondo schiena tra l’invidia delle sue coetanee, vestiva sempre in modo accurato, ma mai, dico mai ero riuscito a parlare con lei, tranne per qualche saluto sporadico.

Il mio era un amore platonico, unidirezionale!

Alle superiori, la mia famiglia non potendo sostenere i costi per inviarmi al liceo nella città vicina, mi dovetti accontentare , giocoforza fui iscritto all’unica scuola presente a Valleamare, una succursale distaccata dell’istituto alberghiero.

Lei era e continuava ad essere presente nella mia immaginazione, quindi conoscendo gli orari dell’autista che l’accompagnava con l’auto all’uscita della scuola, facevo in modo di essere presente sulla sua strada, per poterla salutare.

– Leo vieni?

Si, mi chiamo Leo, diminutivo di Leopoldo, il nome del nonno, grande chef, ma non ho preso da lui purtroppo, mio padre fa il pescatore e mia madre invece cucina in un ristorante sul mare “Il volo del cormorano” in onore dei numerosi uccelli acquatici che nidificano nella zona, lei si ha preso del padre e ne sfrutta tutte le sue ricette, sono figlio unico, ma ho un’amica del cuore, Anna, abbiamo la stessa età e frequentiamo la stessa scuola superiore, a lei racconto tutti i miei segreti e lei fa altrettanto con me, almeno credevo

– Anna dimmi?

– Dobbiamo correre, scommetto che ti sei dimenticato che oggi inizia la prima lezione per il brevetto di pilota

Una mano in fronte, bugiardo matricolato

– Hai ragione, andiamo!

E ci mettemmo a correre, dovevamo arrivare alla capitaneria di porto per frequentare il corso per la navigazione come pilota, oltre le cinque miglia marine, fu una mia idea e coinvolsi pure lei

– Ma dove ce l’hai la testa?

Non volevo rispondere, pensai ad una bugia, ma poi, sapevo che mi sarei pentito, proprio con lei non potevo

– Sara!

Si fermò di botto

– Ancora, ma allora non hai capito che è meglio lasciare stare, lei non ti fila proprio e lo sai.

La guardai stupito, era la prima volta che si rivolgeva così

– Perché?

Arrabbiata

– Lascia stare!

E entrammo alla capitaneria, era iniziata già la lezione, ci sedemmo agli ultimi posti, la stanza era buia e stavano facendo vedere dei filmati, scrissi sul cellulare

– Sei cattiva?

Lei, dopo averlo letto, mi rispose

– Scusami, non so cosa mi sia preso.

– Scuse accettate!

Risposi, mi fece un bel sorriso.

Quando si accese la luce, il tenente di vascello fece l’appello e grande fu il mio stupore quando sentii il nome di Sara, sentii il “presente” ma avevo la vista offuscata dall’emozione e non riuscivo a capire da dove provenisse, Anna era più stupita di me, alla fine della lezione non mi mossi da quella sedia, eccola la vidi, mi passò accanto

– Ciao Leo, pure tu qui?

Come un ebete, feci solo si con la testa e lei scomparve, mi sentii scrollare, era Anna

– Sveglia, allora?

– E che…

…segue…su…

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17 Gennaio 2024 – Tra sogno e realtà. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Come disse un amico, quando gli confessai di aver iniziato a scrivere, nell’aprile del 2017 “Certo che ne avevi di roba dentro!”, adesso ho quasi finito, l’orcio dei sogni si sta svuotando, le parole che erano racchiuse da oltre un trentennio sono uscite e sono diventate dei romanzi spontanei.

Cosa vuol dire? Nulla e tutto!

Erano li, in un angolo della mente, sopite, addirittura molte di esse, martoriate, non volevo che uscissero, era il mio scrigno segreto.

Ma poi, come un fiume in piena liberato dall’argine, hanno iniziato a scorrere, in un primo momento lentamente, poi le pietre che le tenevano ferme, si sono sgretolate, un flusso è diventata una esondazione.

Hanno straripato, non c’era un’azione giornaliera senza pensieri e come quando  un assetato nel trovare una fontanella, si imbeve,  ma tutto fa tranne che bere, per mesi, non ho aspettato altro, di rubare momenti e ore al sonno, per continuare a scrivere, soggiogato da quel male interiore, liberarmi.

E ora?

Il sogno continua!

Ho letto e riletto i commenti, delle varie persone che hanno letto e ascoltato i miei racconti e come dice qualcuno, mi sono fatto “persuaso” che ne valeva la pena, per qualcuno di essi, fare dei sacrifici e renderlo vivo, visibile.

E così iniziai a fare le pratiche per acquisire quel bene di cui avevo scritto, nel frattempo delle pastoie burocratiche, complice due bottiglie di cognac, invecchiate abbastanza da costarmi più di centocinquanta euro l’una, convinsi una persona a consigliarmi qualche sceneggiatore che potesse leggere e ascoltare il mio romanzo e trasformarlo in un film.

Certo ero cosciente, dei miei limiti, ma quando iniziai a contattare il primo dei tre, mi resi conto che non era importante, quello che avevo scritto, ma quanto ero disposto a spendere per il suo lavoro e per la restante esecuzione.

Così fu con il primo e anche con il secondo sceneggiatore.

Quasi al limite dell’abbandono, provai con il terzo, non mi volle incontrare, mi mando una mail di risposta alla mia richiesta

“Mi invia il romanzo”

“In cartaceo o in audiolibro?”

“Tutte e due!”

E feci così, passo un mese, ne passarono due, stavo per ricontattarlo, quando ricevo una mail

“Cinquemila euro per la sceneggiatura, ed è sua!”

Era un’enormità per me, ma almeno non mi aveva parlato della sua esecuzione, trattai

“Duemilacinquecento euro!”

“Tremila”

“Duemila euro”

Chiudemmo a duemilacinquecento euro, chiesi i tempi

“Trenta giorni, la metà in anticipo, se supero questa data null’altro mi è dovuto”

Mi mandò le coordinate della banca e versai la metà, era un rischio, certo, non sapevo chi era, sapevo solo che aveva fatto delle buone sceneggiature e poi, era l’ultimo della lista, dopo avrei dovuto abbandonare il progetto.

Non dissi nulla a nessuno, avevo dei risparmi e feci il bonifico.

Inutile dire che passarono i trenta giorni, anche i sessanta giorni!

Quando oramai avevo perso le speranze, dopo quattro mesi

“Questo è tutto!”

Guardavo il file che mi aveva inviato, non avevo il coraggio di aprirlo, mi ripetevo che avevo fatto una cavolata, avevo buttato soldi dalla finestra e lo sapeva solo Iddio che non me lo potevo permettere, la rabbia non mi faceva ragionare, decisi di non aprirlo ancora.

Lo scaricai e lo misi su una penna usb, la riposi nel borsello e andai dal notaio.

L’esborso per le tasse fu maggiorato dalle ultime norme per la compravendita, ma alla fine avevo raggiunto il mio obbiettivo, quella sera non festeggiai, ero stanco e quella notte finalmente, presi la penna con il file e iniziai a leggere.

Grande fu il mio stupore:

“Romanzo non modificabile per sceneggiature!

Sono cosciente che le ho praticamente “rubato” dei soldi, ma dopo averlo ascoltato, ho capito che era un peccato, tagliarle delle scene, eliminare dei commenti, stravolgere la storia.

Detto questo, ho apprezzato molto la sua fervida immaginazione, quindi le do delle tracce, sono degli abbozzi, ma lei farà il resto.

Lasci fare alla sua immaginazione!

In cambio, lei non si dovrà crearsi il problema di trovare gli attori e un regista, sarà compito mio farlo, gratis.

Quando avrà terminato una delle traccia delle cinque, potrà inviarla via email ed io le dirò se va bene o verrà da me modificata.

Se dovesse accettare questo mia proposta, potrà inviare uno sms al n.cell.350 1120…..con un SI.

1 traccia

Il locale

2 traccia

L’organizzazione

3 traccia

L’amore

4 traccia

La rivincita

5 e ultima traccia

La gioia

Aspetterò, abbia fiducia in me”

Alla fine della lettura, ero esterrefatto, darmi dello stupido era poco, ero e rimanevo un coglione, un sognatore che aveva mirato troppo in alto.

E poi chi era questa persona? Perché mi aveva trattato così?

Erano passati quattro mesi di attesa inutile!

Non dissi nulla a nessuno, ma quella notte e quella dopo e quella ancora dopo , non dormii bene, per nulla!

Mi sentivo beffato, illuso e stupido.

Poi!

Era una sfida, pensai, ha promesso qualcosa, la manterrà? Non lo so, ma quelle cinque tracce circolavano nei miei pensieri, sempre, decisi di provare, cosa mi costava?

Nulla!

Avevo già una storia in testa, si dovevo provarci.

Potevo sempre modificare, volevo arrivare alla fine e volevo proprio vedere se lo  “sceneggiatore sconosciuto” avesse mantenuto la sua parola.

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1 traccia – Il locale

-.-.—.–.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Ero sotto le armi da sei anni, avevo conseguito il diploma ma il mondo del lavoro era cambiato, la figura professionale che avevo conquistato dopo cinque anni, era obsoleta.

L’unica cosa che mi rimaneva , era espatriare, ma non me la sentivo, cinque compagni del mio corso accettarono e il tre di agosto di quell’anno partirono con una nave, destinazione: Australia, il sesto sarei dovuto essere io.

E così, dopo aver deciso di non partire, mi rimanevano due strade o aspettare qualche concorso pubblico o entrare nell’esercito, erano anni in cui non molti desideravano passare da un caldo e comodo cantuccio chiamato “casa” ad una rude e forte esperienza, fatta di marce, brande, cubo letto al mattino e sera perfetto e vari sottufficiali e ufficiali non sempre corretti con la truppa.

Ma, davano una paga giornaliera, il sabato per essere precisi ed uno come me, senza arte e ne parte, quei soldi facevano comodo, mi presentai e mi arruolai, i primi sei mesi furono terribili, quante volte ho maledetto quel giorno, per la mia decisione.

Un anno di addestramento militare e poi entrai a far parte del SIE, il servizio informazioni dell’esercito, con uno stipendio regolare, mi piaceva, eravamo il servizio segreto dell’esercito, controllavamo migliaia di posizioni in Italia e all’estero, furono quattro anni di intenso lavoro, poi una buccia di banana e passai dalle stelle alle stalle, anzi alle cucine, declassato ufficialmente “per avvicendamento”, ufficiosamente perché avevo scoperto un figlio di un generale con la complicità di un ufficiale di picchetto, faceva festini in caserma con prostitute e droga ad alto livello una volta a settimana, con la presenza di vari ufficiali e sottoufficiali.

In famiglia? Erano stati tutti contrari al mio arruolamento.

Ma quello che proprio non aveva digerito questa mia scelta, era mio nonno Fernando.

In quegli anni, capitò di tutto e di più, ero a mille chilometri di distanza da casa, poche furono le opportunità di scendere e quasi tutte per funerali, tutto quello che avevo guadagnato l’avevo messo da parte.

La mia posizione lavorativa, in cucina,  iniziava ad essere pesante, ma per mia fortuna incontrai una persona, diede una svolta alla mia vita, era un maresciallo di vecchia guardia, chef e pizzaiolo prossimo alla pensione, non aveva famiglia, si affezionò e volle trasmettere le sue conoscenze.

Mi insegnò di tutto, mi fece partecipare ad un corso per diventare chef e poi alla ASL per avere il titolo sanitario per la somministrazione di alimenti.

Mi diceva spesso:

“Non hai ancora venticinque anni, hai una vita davanti, devi cambiare!”

E cosi fu!

Era un novembre molto freddo, nevicava da quindici giorni, quel mattino fui chiamato dal Colonnello Comandante, ero sorpreso

– Venga si accomodi.

Aveva un’aria di circostanza, la stessa di quando mi aveva comunicato la morte di mio padre con la seconda moglie in un incidente stradale, due anni prima

– Non sono molto bravo a dare cattive notizie, ma devi essere forte, questa è la tua domanda di rafferma, qui tutti sono contenti della tua presenza, sei giovane e potresti prendere il posto del maresciallo che sta per andare in pensione nelle nostre cucine,  ma stanotte è arrivato un telegramma dai carabinieri per te, hanno comunicato che tuo nonno è deceduto, so quanto ci tenevi, me l’ha detto il maresciallo.

Di tutto quello che aveva detto, mi ricordavo solo quattro parole “tuo nonno è deceduto”, fu un attimo, realizzai e svenni

Mi risvegliai in infermeria, vicino a me il maresciallo

– Che è successo?

Mi guardò e senza parlare, mi porse il telegramma, ricordai tutto, mi abbandonai sul cuscino senza una lacrima, era l’ultimo legame familiare e anch’esso si era spezzato

– Coraggio, ce la puoi fare!

Mi strinse la mano

– Ora te la senti di leggere una lettera è arrivata per fonogramma dal Sindaco con il telegramma.

Una lettera? Il Sindaco? Stupito

– Di chi è?

E lui

– Tuo nonno Fernando!

Mi alzai immediatamente, la presi, erano poche righe

“Caro nipote, ho letto e riletto le tue lettere in questi anni di lontananza, come ben sai non ero d’accordo sulla tua scelta, ma l’ho rispettata, ma sei in debito con me!

Sto per lasciare questa vita terrena, non avendo possibilità di telefonarti ho chiesto al Sindaco di venire con il Notaio, ti ho lasciato l’unica cosa importante per me e per te, la Masseria.

Tocca a te adesso! Devi scegliere, so che è ben poca cosa, ma è la sola che ho, puoi lasciarla così com’è o decidere altro o farla vivere per te, per noi.

Un abbraccio, ci sarò sempre.

Il Poeta”

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.-.-

Un mese dopo.

Passai per il cimitero, non c’era nessuno, non so quanto tempo rimasi a pregare, una voce mi risvegliò

– Dino, sei tu?

Mi girai, era un giovane come me, stentai a riconoscerlo, sembrava più vecchio

– Si.

Ci abbracciammo, si chiamava Diocrate, un mio amico d’infanzia

– Parlava sempre di te, mi raccontava quello che stavi facendo, ultimamente mi disse “Sai sta in cucina, è contento” vedendomi meravigliato “ Si, tutto ha una logica!”. Tutti lo amavano, il funerale l’ha organizzato il comune.

Non rispondevo, stavo piangendo, l’amico capì e mi lasciò da solo.

Lo salutai dopo poco e seppi che faceva il custode a tempo determinato al cimitero, ma stava per finire il suo mandato

– E dopo?

Gli dissi

– Nulla, andrò in campagna!

Passai per il comune per salutare il Sindaco, lo ringraziai, volevo pagare il funerale, non volle, poi dal Notaio, ritirai il testamento e il passaggio di proprietà, presi le chiavi e a piedi mi feci quei cinque chilometri fino alla Masseria.

Non avevo la forza, di aprire il cancello.

Stavo li, con il borsone e le due valigie, c’era un masso sulla destra, dove spesso ci sedevamo e mi ricordai delle parole di Angelo il maresciallo quando venne a sapere della mia scelta di andarmene

– Hai fatto la tua scelta, non martoriarti, hai paura? E’ giusto! Lasci il certo per l’incerto. Ma so che sei in gamba e quello che deciderai una volta che sarai giunto, la porterai a termine, costi quel che costi! Lui sarà sempre con te, ti guiderà e tu sarai felice.

Ci abbracciammo come un figlio fa per un padre, mi promise di venirmi a trovare.

Iniziò a nevicare, non potevo rimanere fuori, entrai nell’ampio cortile, il Notaio mi aveva avvertito, non avevano fatto staccare le utenze alla notizia della mia venuta, la neve cominciava a martellare copiosa, con le mani ghiacciate aprii la porta d’ingresso, tutto era in ordine e pulito, solo poche cose c’erano in quella stanza, un comò con delle foto, un frigorifero, un tavolo con quattro sedie, era gelida, dovevo riscaldarla, appoggiai le valigie e accesi il camino, l’emozione era troppo forte, c’era un lettino in quella stanza e così vestito mi buttai sopra piangendo, battendo i denti e mi addormentai.

Verso sera sentii bussare alla porta, pensavo ad un sogno, poi realizzai

– Vengo, vengo.

Mi avvicinai al vetro della porta, era Diocrate

– Che ci fai qui?

Aveva qualcosa in mano, lo feci entrare

– Che freddo fuori! Ho pensato di portarti qualcosa da mangiare.

Lo guardai riconoscente, si era spostato vicino al camino per trovare un poco di caldo.

– Grazie, ma non dovevi.

Sorrise

– Non sai quanto sono contento di rivederti, adesso mangiamo che si raffredda.

E così mangiammo, ricordando la nostra infanzia, era una zuppa di pane con della salsiccia nostrana, era quella preferita da mio nonno nelle serate invernali

– Hai pensato cosa fare?

– Non lo so ancora, sono appena arrivato.

– Ma qualche idea ce l’hai?

– Si qualcosina.

– Bene, allora adesso a dormire, ci vediamo domani.

Stava per mettersi il cappotto, quando sentimmo bussare alla porta, meravigliato andai ad aprire e vidi solo l’ombra nel buio

– Ciao Dino?

Era zia Nannina, la vicina del nonno, abitava all’altro lato della strada, ero contento

– Ma a quest’ora, che fate fuori di casa?

Sorrise, era una vecchina curva per colpa dell’età, ma i suoi occhi erano vividi, mi sbirciava

– Ho visto la luce e ho capito, chi poteva essere a quest’ora mi sono detta, solo una persona, Dino.

L’abbracciai e la feci entrare

– Non sapete quanto mi fa piacere vedervi

Si sedette vicino al fuoco dopo essersi tolto lo scialle, salutò Diocrate

– Ti aspettava tutti i giorni, lo sai?

Abbassai la testa

– Si.

– Mi diceva, vedrai oggi verrà e così sono passati i giorni, i mesi e gli anni.

Diocrate come me era emozionato, ma scelse la via di fuga, ci salutò e sparì nel buio, non dicevo nulla

– Poi una settimana del mese scorso, prima di morire,  è venuto da me…

Ero attento

– …strano pensai, poche volte era venuto, solo quando sapeva che non mi sentivo bene o non mi vedeva per qualche giorno, veniva a farsi una passeggiata con una scusa, ma sapevo il perché,  era preoccupato per me. Ma quella mattina, venne, teneva una busta in mano “Dimmi?” e lui impacciato “Non mi sento bene, so che tra poco salgo in cielo” – “Ma dai, smettila!” – “No, Nannina è così, dovresti fare un favore” – “Dimmi?” – “Sono certo, anzi certissimo che mio nipote verrà qui dopo la mia morte, dovresti dargli questa” e mi diede questa busta. Ecco perché sono qui!

Me la diede, era grande, le mani mi tremavano, ma cercai di non farlo vedere, con cautela la posai sul tavolo

– Grazie, però adesso vi riaccompagno.

– Si, forse è meglio, hai fatto la scelta giusta non te ne pentirai.

L’abbracciai , rispettò la mia decisione di non aprirla e si fece accompagnare, avevo una torcia, al ritorno la spensi e vidi il paradiso in terra, tutto era ammantato di bianco, la luna era piena e la luce illuminava la casa, il cielo era pieno di stelle, sembrava una cartolina, con il cellulare scattai una foto.

Ero tentato di aprire subito la busta, ma avevo paura, poi finalmente presi coraggio, c’era un foglio e una busta con dei soldi, riconobbi la scrittura di mio nonno

“Ero certo!

Non chiederti come facevo a saperlo, lo so! Ora, sei appena arrivato, sei disorientato, non sai cosa fare,anzi, per meglio dire, ti stai domandando cosa devi fare.

Questi sono tutti i miei risparmi, sono tuoi, fai quello che pensi sia giusto fare.

Riposati adesso, poi domani vai a fare colazione da Nannina, lei ti dirà!

Un abbraccio nipote mio.

Il poeta”

Li contai, erano venticinquemila euro, un’enormità per me, non me l’aspettavo e ringraziai il Cielo di aver avuto nella vita una guida come lui, mi aveva sempre spronato a fare meglio ed era per questo che non aveva approvato la mia scelta di arruolarmi, desiderava qualcosa di più per me.

Non vedevo l’ora che si facesse mattina, alle prime luci dell’alba, iniziai ad esplorare casa, il gelo era dovunque, le stanze da letto di sopra erano cristallizzate, ghiacciate, il bagno, uno e solo a piano terra quasi inservibile, la cucina minuscola annessa al salone dove avevo passato la notte, piccola e caotica.

Dopo quella visita interna, uscire fuori diventò indispensabile, avevo bisogno di aria, ed era qui tutta la bellezza di quel luogo a me caro dall’infanzia, eravamo su di un poggio, in lontananza vedevo i crateri spenti di antichi vulcani, guardavo a 360 gradi il circondario, il terreno intorno era di nostra proprietà, circa un ettaro, con pochi alberi da frutto, qualche olivo, una piccola vigna presente sul cortile e una cava abbandonata di tufo.

Zia Nannina, mi aspettava, aveva messo la tovaglia buona, entrando sentivo un buon odore, erano delle frittelle calde con del zucchero a velo sopra, mi fece accomodare e in silenzio facemmo colazione, al momento del caffè dopo il latte fresco che le portavano tutte le mattine dalla stalla poco lontano della nipote

– Sapevo che saresti venuto, tuo nonno ti conosceva troppo bene, quando gli chiesi “E se non venisse?” mi rispose piccato “Impossibile!”

Ero sbalordito, aveva anticipato tutte le mie mosse, e adesso?

Il mio sguardo interrogativo era eloquente

– Si sedette su quello sgabello vicino al camino, “Nannina, quando verrà, dovrai dirgli, adesso che hai avuto il coraggio di lasciare il certo per l’incerto, hai due possibilità o vendere la proprietà o trasformarla”

La interruppi

– Vendere?  E perché?

Sorrise

– Le mie stesse parole, mi disse “E’ solo un’ipotesi, ma la escludo, l’ho fatta valutare si potrebbe ricavare ventimila euro adesso”…”….

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

16 Gennaio 2024 – Tesla. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Dati anagrafici:

Nome Lino, Età 40 anni compiuti da poco,Celibe,Lavoro – Investigatore, Città – Napoli. Bello vero, mica tanto!

Dopo aver avuto un’esperienza in campo lavorativo per dieci anni in una multinazionale, una mattina ti svegli e sei disoccupato!

Smarrimento, farmaci, depressione e chi più ne ha più ne metta, 11 anni di convivenza, stessa modalità, stesso destino, neanche un biglietto, neanche a guardarsi negli occhi ed essere sincera, un sms sul cellulare, il giorno del mio licenziamento “Non ce la faccio più, vado via, parto con un amico in Australia. Addio”.

Ma si può essere così aridi, non dico che la nostra relazione fosse tutta rose e fiori, stavamo bene insieme, almeno credevo, più volte le avevo chiesto di regolarizzare la nostra posizione, e lei niente, “Stiamo bene così!”, figli? Nemmeno a parlarne, dovevamo rifuggire tutte le occasioni che si presentavano, con i nostri amici, che nel frattempo, avevano prolificato.

Avevo accettato tutto, per lei, e ora? Uno sms e si chiude la partita!

Dopo la fase di analisi, coadiuvato da un amico psicologo, durata 24 mesi, alla fine ho concluso, che era una stronza, una grande stronza!

Ed io… un coglione!

Ed eccomi qui, fresco di diploma.

E già a quaranta anni!

Non avendo altre  possibilità nel mio campo lavorativo, oramai sempre più tecnologico dove internet fa il lavoro di dieci uomini o donne in strada a vendere, incontrai per caso alla villa comunale, una domenica, un mio compagno di scuola Pietro. Non mi aveva riconosciuto, lo chiamai io, ci sedemmo su una panchina e dopo cinque minuti, il tempo di raccontare la sua vita, mi interroga sulla mia.

Dopo trenta secondi, avevo finito, tra lo sbalordimento e tre mosche che erano entrate per esplorare la sua bocca, per poi uscirne senza che se ne accorgesse, era solo per stupore, le sue prime parole, anzi la sua unica parola, “Cazzo!” e terminò la conversazione. Seguì un imbarazzante silenzio, che durò diversi minuti, mi offri una sigaretta e accettai di accenderla, poi “Devi rifarti una vita”, lo guardai senza rispondere “Sei stato sempre il più studioso e curioso della nostra classe, tutti, ma proprio tutti, ti avevano come  “confessore”, uomini e donne, perché sapevano che quello che ti rivelavano era come se fosse chiuso in una cassaforte, la tua!”, lo ascoltavo e non capivo, ma mi nascondevo dietro la nuvola del fumo della sigaretta.

– Ascolta, io lavoro da tempo per un’agenzia interinale, l’altro giorno è venuta una nostra cliente a portarci dei volantini, ha un’agenzia investigativa e sta promuovendo un corso, il primo nella Regione Campania.

– E io che c’entro?

– Devi muoverti,  cambiare, scrollarti la negatività che hai addosso, si vede da lontano che sei uno straccio, che ti costa? Vacci a parlare, dammi in tuo numero di cellulare che quando vado a casa ti invio tutto tramite sms, l’indirizzo e il numero telefonico.

Lo feci contento, ma giusto per non farlo dispiacere, ci salutammo e rimasi su quella panchina.

Mi guardavo intorno, famiglie con bambini, nonni con nipoti, badanti con anziani, l’immancabile uomo dei palloncini, le urla di un neonato, nulla mi dava fastidio!

Ero solo immerso nei miei pensieri, nel pomeriggio, Pietro mi inviò quello che avevo promesso, ringraziai e… me ne dimenticai!

Era passata una settimana, la mia giornata era divisa in questo modo, la mattina all’ufficio di collocamento, due fette di pane in cassetta con una sottiletta, era il mio pranzo, poi letto e televisione, televisione e letto. Nel fare lo zapping tra i canali, mi capitò di vedere una pubblicità con una bella signora che invogliava le persone ad iscriversi al primo corso per informatore commerciale.

Fu un lampo, mi ricordai tutto, l’incontro con Pietro e il resto, presi il cellulare e chiamai!

Fu un periodo bellissimo e stancante, non avevo i soldi per pagarmi il corso, e quindi raggiunsi un accordo commerciale con la titolare dell’agenzia, la mattina lavoravo per lei gratis all’archivio e il pomeriggio frequentavo il corso, mille ore, tutti i pomeriggi, escluso la domenica.

Il corso era cofinanziato dalla Regione, era di alto livello, i vertici regionali avevano affidato questo corso a una persona che aveva l’agenzia da moltissimi anni, erano tre generazioni di investigatori. I docenti provenivano da diverse località italiane, studiavamo diverse materie, tra cui oltre la criminologia, il codice penale, le tattiche investigative, lo studio delle armi convenzionali e tecnologiche,  anche un corso di autodifesa personale con “incontri” tra noi studenti.

Ero il più anziano, partimmo in 20 alunni, rimanemmo alla fine in cinque, gli esami furono rigorosi e durarono tre giorni, ma alla fine fui tra i primi tre a conquistare il diploma.

Una stanza della mia abitazione, la trasformai in ufficio e con l’aiuto della titolare, iniziarono a venire i primi casi da risolvere, era già un anno che facevo questa attività e i riconoscimenti si alternavano agli (per fortuna) insuccessi.

Non potrò mai dimenticare quel giorno, era il primo aprile, avevo da poco finito di preparare una fattura per un caso di “tradimento familiare” lavoro molto impegnativo che mi aveva tenuto occupato per tre mesi tra pedinamenti e appostamenti, arrivò una raccomandata, portata da un pony express.

Era una busta gialla, di quelle commerciali, a sacchetto, strano pensai, mandarla per raccomandata, nessun mittente, solo il mio indirizzo, ancora più strano il contenuto, c’era un biglietto aereo per le 14.00 da Napoli per Catania e un altro già pagato per il ritorno senza data, una chiave e un bigliettino con un numero di cellulare.

Li per li, pensai onestamente ad un pesce d’aprile, ma tutte le mie impressioni scomparvero nel momento della mia telefonata all’aeroporto e alla compagnia di volo, ero stato prenotato per quel pomeriggio, la cosa mi intrigava, ma chi mai poteva essere l’autore di questa richiesta di avermi a Catania?

Non mi restava che chiamare il numero di cellulare, per avere spiegazioni, ma fu del tutto inutile, perché dopo aver fatto il numero, la persona che mi rispose dopo aver chiesto chi ero, mi disse solo “cassetta di sicurezza dell’aeroporto n. 38” e riagganciò!

Delle due, l’una o era un tranello di qualche marito che avevo scoperto o di una donna, perché no! Oppure era un nuovo caso! Il lavoro che avevo intrapreso, mi aveva già dato delle opportunità strane in quest’ultimo anno, volli pensare in positivo, preparai la valigia, dovevo essere due ore prima in aeroporto e cosi fu!

Mi guardavo con naturalezza intorno, ma sentivo di essere osservato, ma era inutile cercare di capire da chi, l’aeroporto era un brulicare di persone, appena arrivato mi avviai alle cassette di sicurezza, ero in anticipo di un quarto d’ora sull’orario previsto, apro la cassetta n.38, c’era una busta.

Mi allontano all’area di imbarco, prima di entrare, vedo il contenuto, un foglio e mille euro in biglietti da 20 euro, sul foglio “1 aprile, stanza n.238 dell’albergo Garibaldi al centro città, sarete contattato in giornata” firmato Tesla.

Sempre più strano, tramite il cellulare chiamo l’albergo, mi danno conferma della stanza a mio nome, in attesa per le 15.30, orario d’arrivo dell’aereo.

Il viaggio, fu tranquillo, ma quella sensazione di essere sotto controllo non si allontanava, ed ebbi la conferma quando ero in attesa del bagaglio che avevo imbarcato, oltre al sottoscritto, c’era una coppia giovane, poi due persone ben vestite, uno dei due si avvicinò

– Queste sono le chiavi della macchina per lei, parcheggio n.15, sosta 34.

Non mi ero ancora ripreso dallo stupore, i due scomparvero dalla mia vista, avevo solo notato un neo sull’occhio destro di quella persona, la mia sensazione era esatta, avevano fatto il volo con me, quindi sapevano chi ero.

Presi l’auto, una mercedes pluri accessoriata, tramite il navigatore già posizionato all’indirizzo dell’albergo, in pochi minuti raggiunsi la meta e fui nella stanza.

E ora? E ora era tempo di attendere, la macchina era nuova, l’avevo ispezionata per vedere se c’era qualcosa che mi potesse interessare, ma nulla, il libretto era intestato ad una rivendita del luogo, come auto di prova, scesi nella hall a prendere un caffè, controllai il cellulare fosse carico e feci una passeggiata nel parco adiacente, non c’è che dire, era un albergo di lusso con una vista meravigliosa sulla città, appena trovai un tavolino libero, il tempo di sedermi, si avvicinò un cameriere

– Gradisce qualcosa?

Lo guardai interdetto, non l’avevo sentito arrivare

– Si, grazie un aperitivo.

– Subito.

Scomparve per riapparire con dei salatini e un coppa di gelato con un aperitivo, nemmeno il tempo di ringraziare, era già scomparso, intorno non vedevo nessuno, ma memore di quello che era accaduto all’aeroporto, ero certo che qualcuno mi stesse osservando.

C’erano dei giornali sopra al tavolino, erano locali, iniziai a sfogliarli per fare qualcosa, ma nel frattempo mi guardavo intorno, nulla, il cellulare muto, non mi restava che andare nella mia stanza per cambiarmi per la cena.

Sul comodino trovai questo biglietto, tavolo 15, ore 19.00.

Iniziavo a fantasticare, chi era? perché? Stanco del viaggio e del lavorio mentale, mi appoggiai sul letto e mi addormentai, alle 18.30 squilla il cellulare, nessuno risponde, ma mi rendo conto che sono controllato, era una sveglia evidentemente, mi preparo e scendo.

Al tavolo 15 era apparecchiato per due persone, il cameriere mi porta il menu, inutile dire, faccio finta di vedere il menu, ma mi guardo intorno per vedere chi è il mio commensale, alle 19.15 arriva il cameriere

– Mi dispiace, ma ha telefonato la persona che aspettavate, mi ha detto di riferirle che non è potuta venire, quindi le augura una buona cena.

E così mi ha dato buca!

Non mi rimane altro da fare che cenare, inutile dire che la cena fu favolosa, i prodotti siciliani sono tra i migliori della nostra penisola e mi avviai nella stanza.

Non avevo sonno, accesi il televisore e mi misi sulla sponda del letto, ma rimasi sbigottito, qualcuno aveva anticipato le mie mosse, il televisore non stava trasmettendo delle immagini delle televisioni nazionali o regionali, ma c’era un avviso

“Legga bene prima di rispondere”

guardai meglio, c’era una videocassetta collegata al televisore nascosta che si era attivata, dopo pochi secondi altro messaggio

“Benvenuto nella nostra terra Lino, abbiamo un incarico per lei”

oramai muto dallo stupore vedevo scorrere delle immagini, erano delle montagne, poi un gregge con un uomo e un bambino, bello, riccioluto poteva avere sei anni, con un bastone cercava di mantenere ordine nel gregge, poi una casa, modesta con giardino, un uomo abbastanza anziano che stava intagliando qualcosa, poi più nulla.

Attesi, dopo qualche minuto si materializzò una cartina geografica dell’Albania, il porto di Durazzo e cerchiata in rosso la zona detta Klos del Distretto di Croia, non potetti fare a meno

– E che cazzo!

Esclamai, la mia voce era rimbombata nella stanza, mi parve di sentire qualcuno che ridacchiava, ma di certo era una mia impressione, non c’era nessuno tranne il sottoscritto.

Messaggio con in sottofondo l’immagine del ragazzo, nitida per farla memorizzare

“Nel cassetto del suo comodino, troverà cinquemila euro, un passaporto e biglietti per il traghetto con partenza da Bari. Questo è il suo incarico, riportare in Italia il ragazzo, si chiama Andrea. Ad operazione conclusa riceverà altro diecimila euro per la sua prestazione. Tesla”

Quell’immagine, non la dimenticherò mai, un volto di donna nascosto in un cappuccio nero, si vedeva solo il naso e abbozzato una parte della viso!

Ero ammutolito, non esclamai nulla, ma feci riavvolgere il nastro e lo rividi per due volte, iniziavano le domande ad affollare il cervello, perché mai io? chi erano queste persone? chi era il ragazzo, l’uomo, l’anziano? e poi sempre più forte, perché tanto mistero?

Domande senza risposta!

Aprii il comodino e trovai quello che mi era stato detto, presi il passaporto, era datato tre anni prima, aveva una foto di un bimbo piccolo, Andrea Zyca, nato a Catania il 19 settembre di due anni prima dall’emissione del passaporto, c’era solo un nome come tutore Tesla………….e poi non era chiaro il cognome (era troppo lungo) , erano presenti solo due annulli, uno per Durazzo e un altro per Bari e null’altro.

Lo tenevo in mano e lo guardavo, ma che storia è questa?…

…segue….

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15 Gennaio 2024 – Il faro di Ondina! – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

La mia vita scorreva e sbagliavo e continuavo a sbagliare, come tutti cercavo sempre la gratificazione negli altri, ma al momento, non sono riuscito ancora ad ottenerla!

Ma dico? E’ mai possibile che noi dobbiamo adeguarci e gli altri devono solo giudicare?

Ho trenta anni, non sono un adone, per cinque anni ho cercato di accontentare una donna, ma mai l’ho vista contenta, si, quei pochi minuti di attività sessuale che ogni tanto mi concedeva, si, mi concedeva, perché toglietevelo dalla testa la frase fatta “l’uomo comanda”… è una bugia, non ha mai comandato, punto!

E sempre lei che comandava, lei che ordinava e tu ad eseguire per farla contenta e lo fai con lei, lo fai con i tuoi genitori, lo fai con il tuo datore di lavoro, mai per te stesso!

Per oltre dieci anni ho lavorato nel campo informatico, sono diplomato, poi ho acquisito una mini laurea con un Master in tecnologie avanzate e nell’A.I., l’intelligenza artificiale, ed è stata proprio quest’ultima che mi ha portato alla rovina.

Costi esorbitanti per i programmi, commesse oltre manica con ritardati pagamenti, avevo una visone particolare, volevo “umanizzare” i robot, l’idea piacque a tutti, tranne nello scucire i soldi che servivano per sviluppare il software necessario, quello era il mio compito, sviluppatore, ma cosa mai avrei potuto sviluppare, se non avessi avuto quei programmi che mi servivano per mettere a punto una strategia da utilizzare poi nella programmazione del robot?

Quindi, convinto della mia idea, iniziai ad anticipare, indebitandomi fino al collo, forte però della promessa dei finanziatori esteri di coprire le spese a trenta, sessanta, novanta giorni.

Ma ciò non avvenne!

Ed io?

Mi trovai, in mutande!

Avevo ricevuto l’avviso per lo sfratto esecutivo dal mio appartamento per la fine del mese di dicembre, bel Natale quell’anno, l’amazzone non vide l’ora, dopo aver fiutato il mio fallimento, di trovarsi un altro stallone con cui andare via e mi lasciò senza tanti complimenti, avevo qualcosa da parte, ma il panico si impossessò del mio cervello, solo come un cane, depresso, non mi restava altro di lanciarmi dal diciottesimo piano del Centro Direzionale, avevo perso tutto, cosa mi costava, era un attimo e così… avrei risolto ogni mio problema, ma era Natale… e mi concessi una cena in un noto ristorante della mia città.

Nella mia vita, avevo fatto diversi lavori per mantenermi allo studio, oltre al canonico cameriere tuttofare, avevo lavorato anche in cucina ero bravo, me la cavavo, mi piacevano i profumi della cucina, ero contento di inventare e mescolare gli ingredienti e creare nuove pietanze partendo dalla tradizione gastronomica napoletana, poi conobbi lei Elena, sia maledetta dove si trova adesso, mi convinse come solo una donna sa fare, diceva che avevo delle potenzialità e dopo pochi mesi prendemmo un appartamento, abbandonai tutto per lei e mi dedicai all’informatica, lei era docente in un liceo scientifico e insegnava storia dell’arte, si esatto, ma non proprio quella che canonicamente chiamiamo arte, non la sublime arte del pittore, dello scultore, ma proprio quell’arte, quello della puttana!

– Allora Leon, ti è piaciuta la cena?

Chi aveva parlato era la proprietaria del ristorante, nonché la mia ex datrice di lavoro, Ester

– Certo, lo chef è stato grande!

Mi guardò, ma intuì che c’era qualcosa di stonato

– Elena?

Risposi guardandola negli occhi, di getto

– Di troia!

Stupita

– Mi ha lasciato, senza tanti complimenti, è da qualche parte da quindici giorni con qualche altro stallone, ricco e prossimo cornuto!

Sgranò gli occhi

– Te l’avevo detto!

Era vero!

L’aveva detto appena l’aveva conosciuta, ma si sa noi uomini spesso siamo dei perfetti coglioni, specialmente quando troviamo esseri come quelli, bella, capelli biondi, proveniva dall’est Europa, occhi celesti e gelidi, quando passeggiavamo per strada, non c’era uomo che non si girasse, di qualsiasi età, ed io?

Ero contento e cornuto, mi portai le mani in faccia

– Avevi ragione tu!

Quando rialzai la testa

– Per fortuna hai il tuo lavoro.

Sibilai, non avevo voglia di dirlo

– Perso!

Si sedette

– E ora?

– Non lo so, non ho più nulla, non ho parenti, i miei conoscenti e le mie amicizie si sono allontanate da tempo da quando lei è entrata nella mia vita, mi diceva “ti voglio tutto per me”, capisci e io l’ho accontentata sempre, che stupido!

Mi prese le mani, le avevo portate sulla testa, per dimenticare, faceva molto male il ricordo di lei, si, c’erano stati momenti felici, ma solo quando lei decideva di averli, io ero meno che niente, un oggetto da usare e all’occorrenza gettare tra i rifiuti, ecco come mi sentivo in quel momento, mi risvegliò con la sua voce alterata, urlò

– Allora? Che fai, ti arrendi?

Sapevo a cosa si riferiva, lei non si era arresa, aveva preso per i capelli prima che la droga lo portasse alla morte, suo figlio, le aveva tentate tutte e dopo aver tentato le strade legali, lo aveva denunciato ai carabinieri, facendolo arrestare insieme agli spacciatori e dopo un periodo di detenzione e di riabilitazione durato cinque anni, ora era pulito e lavorava in cucina come Chef, era uno dei più bravi della città, da tutti riconosciuto e apprezzato.

Non rispondevo, incalzava

– Non mi hai risposto Leon, che intendi fare?

Le bastò uno sguardo nei miei occhi, intuì subito e mi diede uno schiaffo, si alzò di scatto

– No, non puoi!

Scoperto e sconcertato dallo schiaffo improvviso

– Perché?

– Si vive una sola volta e tu hai tanto ancora da dare e avere dalla vita, non sporcare la memoria dei tuoi genitori!

Improvvisamente, aveva preso il mio cellulare e lo brandiva come una pistola, me lo mise davanti, c’era la fotografia dei miei genitori il giorno delle nozze, mia madre con una coroncina in testa di roselline bianche come si usava nel suo paese e mio padre in un completo bianco.

Galeotta fu una gita di mia madre a Napoli con universitari di Oslo, fu un colpo di fulmine per loro due, mio padre lavorava in una pizzeria e lei rimase colpita da quel giovane testa rossa in canottiera e con un foulard celeste al collo ad infornare e sfornare pizze, si sposarono giovanissimi, mio padre aveva ventidue anni e lei ne aveva appena compiuti venti, le famiglie non volevano, ma loro furono testardi e un anno dopo nacqui per la loro gioia.

Ester lo sapeva, era la mia immagine preferita, li amavo più di me stesso, ma un incidente ferroviario me li aveva portati via l’anno prima, erano partiti per festeggiare trenta anni di matrimonio alla Città del Vaticano, a Roma, dal Papa

– Allora?

Aveva colpito la corda giusta, mi alzai per abbracciarla

– Qualcosa troverò, grazie!

Non voleva che andassi via, volevo pagare la cena ma non volle, mi guardò negli occhi

– Sono certa, non lo farai! Vai figlio mio e vedrai che la provvidenza ti aiuterà, devi solo stare attento ai suoi segnali, non è una persona e ti risolve il problema, ma ha i suoi modi per rintracciarti.

Tornai a casa e versai fino all’ultima lacrima!

Il giorno del Capodanno, non so come e ne il perché, mi ritrovai sul molo Beverello, era la passeggiata preferita di mio padre, mi diceva sempre “da qui possiamo vedere i fuochi di tutta la città senza farci male”, ed era vero, da lontano seguivo i fuochi nei vari quartieri della città, ecco, il Vomero, Posillipo, Piazza Plebiscito, i Quartieri spagnoli erano meravigliosi e in acqua tante barche, dalla più piccola alle più eleganti e su ognuna si festeggiava la fine dell’anno.

Non so perché, ma guardandole, pensai a mio padre, mi convinse a prendere la patente nautica “Potrebbe sempre servire!” mi diceva, ed io in tutti quegli anni mi ero aggiornato sempre ed avevo partecipato a tutti i corsi che la capitaneria del porto organizzava per gli associati, ne andavo fiero.

Perché no!

Perché non propormi come pilota di qualche cabinato?

Mentre guardavo i fuochi dell’anno che andava via, decisi di presentarmi in capitaneria il giorno successivo, era quasi l’alba, inutile tornare a casa, avevo già le valigie pronte, Ester mi aveva mandato un messaggio “Se non sai dove andare, qui c’è sempre un posto per te, lo sai”, mi voleva bene, la ringraziai e con quest’animo passai la restante parte della notte nei pressi della capitaneria di porto.

Alle cinque di mattina arrivarono quelli delle pulizie, ero intirizzito dal freddo, mi notarono subito, ero come un pulcino bagnato e rattrappito seduto su una panca, una signora gentile

– Aspetta qualcuno?

Dissi di no con la testa, non avevo la forza di parlare

– Allora?

Mi feci forza

– Aspetto che apre la capitaneria.

Dissi battendo i denti

– Benedetto figliolo, qui congelerai, vieni entra dentro con noi, almeno sarai al caldo.

– Grazie.

E mi trovai nella sala d’aspetto della sede, sentivo in lontananza delle voci, la guardai interrogativamente

– Sono quelli che hanno fatto il turno di notte, stai tranquillo, li avverto io.

Iniziai a prendere calore, con degli spiccioli, dalla macchinetta automatica, un latte bollente con il caffè e iniziai dopo poco a riprendere colore, non riuscivo a stare fermo, le gambe si erano quasi atrofizzate e quindi percorrevo tutto il salone avanti e indietro, stando attento a non dare fastidio a loro che stavano pulendo, guardavo i tabelloni dove c’erano i comunicati e uno in particolare attirò la mia attenzione

“Vendesi faro di Zitrichy – Islanda”

Non avevo nulla da fare, erano da poco passate le sette di mattina, ci voleva un’altra ora prima che la Capitaneria aprisse gli uffici, con il cellulare iniziai a fare delle ricerche sul faro e a mano a mano, iniziai ad incuriosirmi, era su un isolotto completamente disabitato, collegato alla terra tramite una striscia di rocce e pietrisco, un faro di colore rosso e si vendeva con una foresteria con tre stanze da letto.

Il faro era in vendita da un mese e il bando di concorso terminava alle 9.30 del 2 gennaio del nuovo anno, la cifra era notevole, era stato messo all’asta inizialmente per cinquantamila euro, il costo era arrivato dopo il terzo ribasso a dodicimila euro, guardai le foto, certo non era in buone condizioni, ma mi piaceva, un attimo di distrazione e mi cadde il cellulare, aprendosi in due e spargendo per terra il contenuto, un’idea pazzesca iniziava a girarmi in testa, ma ci vollero altri due caffè per diventare lucido, cercai di aggiustare il cellulare, lo accesi e si aprirono gli sportelli della capitaneria, erano tre, il mio era il secondo centrale, guardai meglio e vidi una faccia conosciuta, era un vecchio marinaio, pronto ad andare in pensione, da lui dovevamo rivolgerci ogni volta che dovevamo vidimare la patente nautica

– Buongiorno Tenente.

Mi guardò, poi mi riconobbe

– Leon sei venuto a vidimare la patente nautica?

Ero imbarazzato, quasi sottovoce

– Si, ma non solo…

Lui si avvicinò al vetro dello sportello

– E…

Presi la patente nautica dal portafoglio, gliela passai

– Volevo anche una informazione?

Lui la prese, stava scrivendo i dati e mi ascoltava

– Vorrei rispondere ad un annuncio, quello che si trova in bacheca.

Solo allora alzò la testa ed io con la mano stavo indicando la bacheca

– Quale delle tante?

– Il faro!

La penna si spuntò e lui mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite

– Quello di Zitrichy?

Con la testa dissi di si

– Ti vuoi suicidare?

Rimasi a bocca aperta, senza parole, poi risoluto

– Si!

Dopo lo stupore del tenente della Capitaneria, riempii i moduli per partecipare all’asta, dovevo attendere il giorno dopo per sapere l’esito e quella sera tornai al ristorante da Ester, le raccontai tutto, era esterrefatta ed io eccitato, lei senza parole

– Ma davvero?

Annuii contento

– Tu sei pazzo!

L’abbracciai

– Non ho altre alternative, poi quando ho fatto delle ricerche sul faro l’ho preso come un segnale positivo, mia madre era islandese come tu sai e conosco bene la loro lingua, domani saprò se la mia richiesta verrà accettata, ma spero tanto che lo sia, ho dovuto versare il cinquanta per cento come caparra e fatto richiesta di pagare a rate mensili il resto, per cinquecento euro mensili, se dovessi vincere il bando.

Mi allontanò con la mano nell’aria, come fa una madre quando vuole allontanare l’idea di perdere un persona cara

– Sei stato precipitoso!

– No, mamma Ester (la chiamavo così già da tempo) sono realista!

Non disse più una parola, ma una lacrima scendeva silenziosa sul suo volto, mi preparò per la notte la stanzetta dove dormiva solitamente il pomeriggio per fare un riposino e la mattina successiva aspettò con ansia il mio ritorno dalla Capitaneria.

Al mio ritorno, non le dissi nulla, ma capì immediatamente, ero contento e ci abbracciammo in silenzio, la mia richiesta era stata accolta, le promisi che ci saremmo tenuti in contatto e dopo aver preso quello che mi restava della mia roba mi imbarcai sul primo aereo per l’Aeroporto Internazionale di Keflavík.

All’arrivo, mi attendeva un elicottero della compagnia che gestiva prima il faro per trasportarmi lì, mi guardavano strano, ma feci finta di non accorgermene, furono colpiti che conoscessi la loro lingua, uno di loro, quando arrivammo al faro mi disse che tutti sapevano di un italiano e dell’acquisto del vecchio faro di Stykkishólmur, era diventata una notizia, poi mi sorrise dandomi una pacca poderosa sulla spalla in segno di benvenuto, guardai l’elicottero allontanarsi e fu solo allora che lo vidi per bene, il faro, mi incuteva paura così da vicino.

La giornata era bellissima, sentivo solo le grida degli uccelli marini che pescavano, lasciai il mio trolley e con le chiavi entrai, la base era grande e spoglia, solo al centro una scala circolare, iniziai la scalata, sembravo un bambino nel paese delle meraviglie, ogni passo rimbombava, ma quando arrivai sulla cima, centralmente una cabina con tanti vetri che davano l’opportunità di guardare a trecentosessanta gradi, una plancia centrale, aveva dei comandi e un orologio, il silenzio era impressionante, sentii un vuoto, una forma di panico all’improvviso, una porticina stagna portava all’esterno su un terrazzino circolare e qui avvenne la magia, il blu del mare si confondeva con il cielo, avevo preso con me il binocolo e guardai tutto intorno, alcuni pesci iniziarono a danzare sull’acqua, gli uccelli a roteare attorno al faro, era una vista meravigliosa, incuteva rispetto, mi calmai e fu una sensazione stupenda.

Il respiro si regolarizzò rapito da tanta bellezza.

Guardai giù, inizialmente mi girò la testa, ma poi tutto divenne normale, era alto quasi trenta metri, in basso potevo vedere un’abitazione piccola addossata quasi alla roccia piena di neve, non sono mai stato un credente, ma non ero nemmeno ateo, ma quando alzai gli occhi al cielo e vidi iniziare il tramonto da lontano, iniziai a pregare, era meraviglioso la natura che mi circondava, grandezza di Dio.

Dopo tornai alla triste realtà!

Quando tornai giù, lo stato di abbandono di anni era evidente, alla base del faro c’era una nicchia, una stanzetta con un bagno, forse il lontano appartamento del guardiano del faro, una porta sgangherata decise dopo l’apertura di aver terminato i suoi giorni, cadendo con un tonfo pesante al suolo, i cardini arrugginiti affondati nella roccia avevano ceduto, le quattro feritoie che portavano luce dall’esterno nel faro, erano senza vetri, rimaneva solo l’ossatura a quadrato, stile inglese, vecchio inglese.

Tramite un cunicolo, abbastanza alto e leggermente spazioso per il passaggio di una persona, si accedeva dal faro all’abitazione quella che avevo visto dall’alto, era in pietra viva, appena fuori dal cunicolo una grossa sala, certamente aveva visto giorni migliori, era enorme con due camini al lato opposto, alti quasi quanto me e non ero certo un nano, quasi un metro e settanta, evidentemente era la sala da pranzo, perché confinava con una cucina ampia, con i fuochi ricavati in una parete di mattoni rossi, a carbone o legna, un tavolo centrale, mi rifiutai di provare la solidità, pena una caduta rovinosa sui miei piedi, un grosso lavabo alla parte opposta e tre finestre, ovviamente senza vetri, dal salone passai alle stanze, erano tre di piccole dimensioni ed una più grande, una specie di bagno e…nulla più!

Uscii fuori, avevo bisogno d’aria, mi sentivo soffocare, mi accolse una folata di vento gelido, tutto era ammantato di bianco, la neve era caduta copiosa, almeno cinquanta centimetri, all’improvviso sentii il panico e mi resi conto di aver fatto una grossa cavolata, guardai alla mia destra e vidi il mio trolley abbandonato alla furia della neve che iniziava lentamente a scendere, poi a sinistra, vidi un capanno, mi avviai per scoprire certamente altro sfacelo e qui, invece fui fortunato, c’era una vecchia jeep ed un carrello, coperta con un telone, era in discrete condizioni.

Pensiero e azione, entrai nell’abitacolo e misi in moto, non ne voleva sapere, ma il motorino ronzava, riprovai pregando tutti i santi e le madonne e finalmente si mise in moto, sganciai il carrello e prima che decidesse di spegnersi, recuperai il trolley e via sulla strada sterrata e piena di neve, per fortuna era delimitata da pali indicativi, verso l’incognito.

Era una lingua di terra con il mare ai lati, almeno così mi sembrava, cercando di mantenermi sulla carreggiata dopo qualche chilometro una visione, tante case colorate ero arrivato nella cittadina di Stykkishólmur, lessi il cartello all’ingresso, il motore iniziava a borbottare, guardai l’indicatore del carburante, quasi a zero, mi fermai appena in tempo,  vidi un’insegna di un pub, scesi con il mio trolley e diedi un’occhiata intorno, mi trovavo in prossimità del porto e in lontananza si vedeva il faro, il mio faro, entrai, l’aria era piena di fumo, non vedevo un accidenti, poi mi diressi verso un bancone

Chiesi ad alta voce

– Qualcosa di forte!

C’era un gruppo musicale su una pedana, un fracasso indescrivibile e seduti ai tavoli gruppi di persone con una pinta di birra in mano che battevano sul tavolo, incuranti della caduta del liquido

– Ecco!

Girandomi mi trovai davanti un uomo più o meno della mia età, aveva degli occhi celesti e un sorriso a quarantadue denti

– Prendi!

Guardai il bicchiere, un liquido bianco come l’acqua, alzai la testa interrogativamente

– Prendi!

Lo ingollai tutto d’un fiato distrattamente, non l’avessi mai fatto, fu come se fosse sceso un pezzo di lava incandescente del Vesuvio bruciando la mia trachea, iniziai a tossire, rosso come un peperone, come potetti respirare

– Ma che diavolo è?

– Brennívin! (vino che brucia)

Mi passò un altro bicchiere, lo guardai, il colore non era molto invitante, nero come la pece, ma lui

– Topas!

E mimava il gesto per farmi bere, avevo freddo nonostante quell’intruglio iniziale, stavolta fui più cauto e iniziai a sorseggiare e non sbagliai, sentivo forte la liquirizia e poi altri sentori di erbe, era si forte, ma gradualmente riportò il mio stato generale, da stoccafisso gelato in un’altra forma scongelata

– Buono!

Contento con la mano aperta in segno di saluto

– Benvenuto, mi chiamo Aki.

Strinsi la mano

– Leon.

Cenno di assenso e poi fu chiamato dall’altro lato, non era mia abitudine bere senza mangiare, vicino c’era una vetrinetta con dei dolci, feci un cenno e dopo aver avuto il consenso, presi una ciambella, era molto profumata, un pausa alla mia innata fame, mi sedetti vicino ad un tavolo e Aki mi riempì di nuovo il bicchiere con quello strano liquore, per un attimo dimenticai quello che mi era capitato, dopo il terzo bicchiere, fu il buio totale.

– Amico!

Qualcuno mi strattonava

– Leon svegliati!

Un occhio, poi l’altro e vidi davanti a me Aki, la testa mi ronzava, un silenzio intorno, alzai la testa, non c’era più nessuno, mi girai di nuovo

– Sono le quattro del mattino!

Cercai di darmi un tono…

…segue…

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Araldo Gennaro Caparco

14 Gennaio 2024 – Il coraggio e la paura. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

E con questo, è il terzo lavoro che perdo in sei mesi.

Ma si!

E’ mai possibile accettare sempre dei compromessi?

No, basta!

Negli altri due, non mi pagavano mai. Ma in questo?

Se l’è meritato, certo sono stato licenziato, ma non potevo, non dovevo, andare avanti, anzi, ho aspettato fin troppo, ma quella mattina non ne potevo più.

Stavo come sempre al lavoro di prima mattina, avevo già più volte espresso il mio rammarico, di non poter fare la spesa per il locale, ma niente, ottuso e braccino corto, mi rispondeva

– Quando hai accettato il lavoro, ti avevo avvertito, la spesa la faccio io e tu cucini.

Certo, cucino, ma non avveleno le persone!

L’avevo già avvertito, quel giorno del riposo del locale, lo avevo intravisto mentre facevo una passeggiata per il rione, acquistava della merce nei posti più disparati e a basso prezzo

– Se continui così, me ne vado!

Gli dissi, e lui,  quasi con un mezzo sorriso di sogghigno

– Si. E dove vai?

Era questo che mi frenava, non avendo casa, accettavo solo dei posti dove mi fornivano l’alloggio, ovviamente il fitto me lo defalcavano dallo stipendio.

Alloggio?

Se quello si poteva chiamare alloggio, una stanzetta con un letto e un comodino, senza finestre, ricavato dallo sgabuzzino.

Ero pieno di idee al servizio militare, si ci ho provato, ho fatto tre anni, ma poi alla fine, non mi hanno arruolato e così mi trovai in mezzo ad una strada all’improvviso.

La famiglia, manco a parlarne, era distante mille chilometri e già da soli avevano problemi finanziari, quando seppero che mi avevano bocciato all’esame per rimanere sotto le armi, mi dissero “e ora arrangiati!”.

Eh già, una sorellastra, ragazza madre con due bambini da due padri, un fratellastro, entrava ed usciva dai centri di tossicodipendenza,  mia madre in cielo da tre anni e poi un padre, anzi patrigno, che passava le sue giornate al bar sotto casa a bere birra e a giocare a carte.

No, grazie!

Meglio dimenticarseli! Era proprio inutile sperare in qualcosa da loro.

Quei tre anni, furono per me una palestra, perfetto sconosciuto senza una raccomandazione, finii in cucina, a lavare pentoloni maleodoranti e padelle incrostate, l’unica cosa positiva fu la conoscenza con uno dei cuochi anziani, quando era il suo turno, mi insegnava a cucinare.

Fu proprio lui che avendo notato una certa predisposizione per la cucina mi invogliò ad iscrivermi ad un Corso online, per conseguire il titolo di cuoco.

Non era certamente l’Accademia, ma le basi, si!

Lo conquistai!

Quando uscivo la sera, dopo aver terminato il servizio di cucina, invece di fare come gli altri, alla ricerca di ragazze da abbordare, me ne andavo per librerie, alla ricerca di libri di cucina usati e dopo averli letti e riletti, li rivendevo ad altre librerie in cambio di altri libri.

Ero stufo, quella mattina, il padrone della trattoria, decise che quel lunedì dovevamo fare la lasagna e mi buttò letteralmente sulla tavola, circa tre chili di carne macinata e un filoncino bianco che lui definiva fiordilatte, dieci scatole di pasta fresca per lasagne.

– Ecco, cucina, oggi lasagne e polpette per secondo.

E se ne andò, vidi la scadenza della pasta fresca, era di un mese prima, poi passai al filoncino, era duro come una pietra, congelato e poi alla carne e qui, dovetti turarmi il naso, puzzava.

I nostri avventori erano degli operai di una vicina fabbrica, quasi sempre mangiavano da noi un piatto caldo per poi la sera arrangiarsi con pane e qualcosa.

Non potevo fare loro questo!

Come un pazzo, uscii dalla cucina, arrivai alla cassa, dove si trovava il padrone

– Secondo te, dovrei cucinare quella merda?

Avevo gli occhi fuori dalle orbite.

E lui, come se fosse la cosa più placida del mondo

– Certo! Ci metti gli aromi, la passi al forno e vedrai che nessuno se ne accorgerà, le altre le friggi.

– Tu sei pazzo, io non intendo avvelenare le persone.

Rideva, quello stolto, rideva.

Mi guardai attorno, c’era uno scaffale con delle bottiglie di vino scadente, ne presi una e la lanciai.

Non rise più, l’avevo centrato all’altezza degli occhi!

– Ti faccio arrestare!

Esclamò

– No, ti faccio arrestare prima io, chiamali i carabinieri, così faccio vedere quello che hai acquistato.

Si manteneva la fronte, stava rovistando nel cassetto, ma prima che potesse prendere la pistola, con un calcio lo chiusi chiudendogli la mano destra dentro, lanciò un urlo

– Fuori da qui!

Il tempo di prendere la sacca e ed ero in strada.

Quel lurido straccione, non mi aveva nemmeno pagato quel mese, diceva domani, avevo 150 euro in tasca, ma se lo meritava.

E ora? Cosa faccio?

La città non era molto grande, avevo poche possibilità di trovare altro, delle due trattorie e quattro ristoranti, ne avevo frequentati tre e mi erano bastati.

Via, dovevo andare via e di corsa, prima che quello scellerato, mi denunciasse per qualcosa che non avevo fatto per vendetta.

Presi a piedi la strada che portava alla stazione, come sempre mal frequentata, guardai il tabellone, c’erano cinque treni dell’alta velocità in partenza da li a poco, due per la Francia, e tre per delle stazioni italiane, Verona, Bolzano e Parma, optai per Parma, feci il biglietto e dopo un quarto d’ora ero in treno, mentre viaggiavo cercai qualche ostello dove dormire, chiamai e c’era un posto con un coinquilino, a 19 euro per notte, prenotai per cinque notti e con questo i miei ultimi cento euro erano partiti.

Per fortuna quando arrivai,  dovetti pagare solo la prima notte, senza anticipo, avevo ancora un margine in tasca.

Invece di andare a dormire, lasciai la sacca, il mio coinquilino non c’era e mi diressi verso il centro città dove si trovavano i locali, alla ricerca di un lavoro, il metodo era sempre lo stesso, entravo andavo alla cassa e chiedevo se c’era opportunità di lavoro in cucina, prima mi dicevano di no e poi mi chiedevano il curriculum e le referenze.

Niente da fare, così  fu il primo giorno, così anche il secondo, non potevo continuare, saldai quello che dovevo all’ostello prima di rimanere senza soldi e riandai alla stazione ferroviaria, fino a quel giorno avevo mangiato un panino con qualcosa solo a pranzo.

Presi il treno per Bologna, tramite il mio coinquilino, seppi che c’era un centro d’ascolto molto attivo alla Basilica di San Petronio, con una mensa per i poveri, e fu li che mi presentai.

Di lato un ingresso, il freddo fuori era pungente, passai la doppia porta, un piccolo atrio, non c’era nessuno, mi guardai intorno, poi iniziai ad avvertire un buon odore, sarà stato il freddo o la fame, cercai di seguire quel profumo, ma non feci in tempo ad arrivare alla sala, svenni.

Non so quanto tempo rimasi svenuto, ma so che quando mi risvegliai ero in un ambulatorio medico, cercai di alzarmi, ma non ce la facevo, avevo un cerchio alla testa, forse avevo sbattuto contro qualcosa, mi toccai con la mano, e mi uscì un grido di dolore.

Entrò una suora

– Ma che fai benedetto figliolo!

Venne vicino e mi fece stendere

– Ha detto il dottore che non ti devi muovere.

E mi guardava per capire se l’avessi ascoltata, feci segno con la testa di si.

– Sei molto debole, chissà da quando non mangi, ora ti portano qualcosa, stai tranquillo.

Ecco cosa mi era capitato, ora ricordavo, dopo un poco rientrò la suora e alzando il lettino, mi fece mangiare un poco di carne nel brodo, mi imboccava, presi da solo il cucchiaio e la ringraziai con gli occhi, terminai tutto, mi sentivo meglio, solo mal di testa.

– Stasera potrai mangiare qualcosa di più solido, adesso solo questo.

– Grazie.

– Mi vuoi raccontare perché sei venuto da noi?

Onestamente non ne avevo voglia, ma non potevo stare li muto, su un lettino, con calma le raccontai quasi tutto e nel sentirlo notavo che il suo viso cambiava espressione.

Cosa le raccontai?

Che ero stato licenziato, che lavoravo in cucina, che non avevo ne casa ne parenti, con pochi soldi in tasca, avevo cercato lavoro prima a Parma e poi consigliato da un amico mi aveva detto che c’era un Centro d’ascolto, dove forse mi potevano aiutare a Bologna.

– Come ti chiami?

– Dino

Mi guardò amorevolmente

– Vorrei tanto aiutarti, ma abbiamo solo dodici posti letto e tutti occupati, stasera puoi riposare su uno di quei letti, ma domani devi andare, perché la persona che lo occupa verrà dimesso dall’ospedale, poi ti farò parlare con gli operatori del centro di ascolto.

– Grazie Madre

– Suor Agi

– Suor Agi, grazie, sono mortificato, non avrei mai immaginato di ridurmi in questo stato.

Era sorpresa

– Il Signore toglie, il Signore da, tranquillo, vieni che ti accompagno.

Così quella notte dormii nel letto di Antonio, un professore universitario che era ridotto sul lastrico dopo un divorzio con una donna senza scrupoli, i miei vicini di letto mi raccontarono che aveva tentato il suicidio.

Cercai di dormire, il dolore lentamente sparì, riuscii all’alba ad appoggiarmi sul cuscino e fui risvegliato dalla suora

– Dino, svegliati è tardi.

Ci vollero cinque minuti buoni per riprendermi, mi lavai e rasai, cambiando l’abito della sera prima con un altro jeans e una felpa di lana, faceva freddo, presi il giaccone e mi recai da Suor Agi

– Dove devo andare?

Notai che era favorevolmente colpita dal cambio d’abito, sintomo che non ero uno sbandato, mi accompagnò a fare colazione, poi mi indicò la porta del Centro di ascolto, mi disse di farle sapere.

La ringraziai, presi un numero, ero il diciottesimo e mi sedetti su una delle sedie disponibili, c’erano tante persone, di tutte le età, gocce di umanità allo sbaraglio, venne una mamma con un figlio piccolo attaccato al seno, guardai il suo numero, cinquantaquattro, non ci pensai due volte, le offersi il mio numero, l’accettò sbalordita

– Grazie.

Quando venne il suo turno, la vidi, il bimbo dormiva beato e lei era più tesa, poi all’uscita aveva un largo sorriso, venne vicino

– Grazie, se non fosse stato per lei non avrei avuto la possibilità di trovare lavoro, vado a fare la babysitter e porto mio figlio con me, Dio la benedica, grazie.

E mi abbracciò!

Eh già, qui chi prima arriva, forse trova lavoro, ma ero contento, il suo sorriso mi aveva emozionato, sia quello che sia!

Dopo tre ore eravamo al quarantaquattresimo numero, mi mancavano ancora dieci persone, poi sarebbe stato il mio turno, vidi avvicinarsi Suor Agi

– Vieni con me!

Ero stupito, volevo dirle che tra poco era il mio turno, ma non feci in tempo, mi prese per mano e la seguii, stavamo entrando nel convento, corridoi enormi, con stanze ai due lati, in fondo una vetrata artistica con il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, eravamo arrivati, mi guardò, mi aggiustò il giubbino

– Andiamo dalla Madre Superiora, lascia qui la sacca, nessuno la toccherà.

Dalla Madre Superiora, io? E perché?

Ma feci quello che mi era stato detto, entrammo in una stanza molto grande, era semplicemente arredata, in fondo una grande scrivania con un crocefisso e il telefono, poi la vidi, di spalle una donna molto alta, stava inginocchiata, stava pregando, attendemmo in piedi in silenzio.

Terminò e si girò, era una donna con un volto stupendo, nonostante l’età, sui settant’anni, mi guardò con aria severa, poi la sua bocca si allargò in un sorriso

– Ecco madre, questo è il giovane.

Non diceva una parola, mi fece segno di sedere, cosa che feci subito, poi lei passò dietro la scrivania

– Dimmi, perché hai cambiato la tua prenotazione?

Ero sorpreso, come faceva a sapere

– Mi è sembrata la cosa più giusta da fare, ho sbagliato?

Sorrise

– No, ma non potevi sapere che quella donna era qui da sei mesi, fin dalla nascita del bimbo e non avevamo trovato nessuna occupazione.

– L’ho vista preoccupata con quel bimbo attaccato al seno, per caso ho notato il suo numero e ho pensato che avrebbe avuto dei problemi ad attendere tutte quelle persone, io potevo darle una mano e le ho dato il mio numero.

– E’ venuta qui piangendo dalla gioia, dopo che aveva raccolto le sue cose,  mi ha raccontato tutto.

– Sono contento per lei.

Ero imbarazzato, cosa ci facevo io li, tra poco era il mio turno, stavo perdendo tempo, ma i suoi occhi erano fissi sui miei, ero inchiodato alla sedia.

– Vuoi raccontarmi quello che ti è accaduto?

E perché dovrei farlo? Cosa voleva da me?

Guardai Suor Agi, mi fece di si con la testa, stava seduta vicino a me.

Come se fossi stato in uno stato ipnotico raccontai tutto, ma proprio tutto, dalla mia infanzia ad oggi, per finire tra le lacrime senza ritegno, non avevo nemmeno il fazzoletto, fu Suor Agi che me ne diede uno, poi finalmente alzai gli occhi

– Scusatemi!

La vidi, era colpita, aveva nello sguardo l’amore di una mamma verso un figlio, si alzò lentamente e venne a sedersi vicino

– Come ti chiami?

– Dino.

Mi asciugò le ultime lacrime

– Tu oggi hai fatto una buona azione, quando è andata via con il bambino ho chiamato Suor Agi e le ho chiesto se conosceva un giovane sui 28 anni che si trovava al centro di ascolto, lei mi ha raccontato quello che è successo ieri sera e ho voluto conoscerti.

– Vi ringrazio, ma non credo che la mia storia possa interessarvi.

Ero sincero, veramente ero anche arrabbiato con me stesso, per aver detto tutte quelle cose ad una sconosciuta, ma oramai l’avevo fatto.

– Non è proprio così, ascolta ho un’idea, tu ti fermerai stanotte qui, dormirai nel locale di fianco alla cucina, poi domani alle dieci ci vediamo di nuovo qui, che dici?

La guardavo, ma era come se non la vedessi, ero ancora debole

– Va bene.

Mi congedò, Suor Agi mi accompagnò alla cucina,  mi fece vedere la stanzetta, mi disse che era per il cuoco che ora era in ferie, posai la sacca e andai a pranzo con gli altri.

Cosa mi aspettava domani? Perché mi aveva voluto far rimanere? Aveva un’idea, quale?

Non potevo stare con le mani in mano per tutto il pomeriggio, finito il pranzo aiutai gli altri a togliere i residui, poi mi misi un camice e aiutai in cucina a pulire, non mi fermai un attimo, li vedevo erano stupiti di vedere questo giovane che senza parlare, lavava, asciugava e aiutava a preparare la cena, finalmente stanco morto, ma finalmente in forze, andai a dormire.

La mattina successiva mi svegliai per tempo, andai in cucina e aiutai a preparare la colazione, poi verso le 9.30 venne Suor Agi per accompagnarmi

– Tutti mi hanno chiesto di te.

Sorpreso

– Chi?

– Quelli della cucina.

– Grazie.

Era orgogliosa, lo sentivo, arrivammo con dieci minuti di anticipo, lei scomparve dalla Madre Superiore ed io fuori ad attendere

– Vieni

Era sorridente

– Vieni Dino, accomodati

Stavo in attesa, ma la vedevo era contenta

– Suor Agi mi ha raccontato quello che hai fatto in cucina

– Non ho fatto nulla, ho solo aiutato

– Hai fatto molto invece, se avessi avuto qualche esitazione nell’aiutarti, si sarebbe dissolta e non ti nascondo che se avessi la possibilità di assumerti lo farei, ma non posso, tu hai bisogno di un luogo stabile e di avere una vita serena con uno stipendio.

Quelle parole erano balsamo per me, ma non capivo dove voleva arrivare

– Poco lontano da Bologna ho una sorella a Budrio

Ero attentissimo

– Ha un piccolo ristorante, l’ho contattata e le ho chiesto se avesse avuto bisogno di personale in cucina, mi ha chiesto il perché e ho raccontato qualcosa di te, ma non tutto, alla fine mi ha detto che era disponibile a farti fare un periodo di prova come aiuto chef, che ne dici?

La guardai, sorridente

– Quando posso partire?

Rise stavolta

– Anche adesso, c’è un autobus che passa davanti al convento tra dieci minuti, allora?

Mi alzai, prima abbracciai Suor Agi, poi mi avvia verso di lei con la mano stesa

– Non so come ringraziarvi.

Non volle rispondere alla mia mano, sorridente, mi volle abbracciare e mi diede un biglietto con l’indirizzo e il suo numero di cellulare

– Che il Signore ti accompagni, avverto mia sorella, vai.

E mi congedò

Ero al settimo cielo, in prova, in un ristorante, piccolo ma che importava, ero sull’autobus con il cellulare guardai delle notizie su questa cittadina, non era molto grande, meglio pensai, poi mi misi a guardare il paesaggio, da Bologna ci voleva meno di un’ora per arrivarci, l’autobus mi lasciò sulla piazza centrale, mi avviai ad un bar poco distante e chiesi indicazioni, furono gentili e mi indicarono la strada.

Ero nel centro storico, vidi l’insegna “Nuova ocarina”, era il giorno di chiusura, trovai l’ingresso dell’abitazione di lato sulla destra, strano, mi sentivo osservato, ma non vedevo nessuno, bussai

– Si

– Signora sono Dino

– Si accomodi

Si senti un click e la porta si aprì, era un ingresso piuttosto piccolo, c’era una scala, di lato una cremagliera che saliva, iniziai la salita e poi mi resi conto che alla fine c’era una di quelle sedie per persone di una certa età per salire e scendere

– Venga giovanotto, sono qui

La voce veniva dalla stanza sulla sinistra, lasciai il sacco ed entrai

– Permesso

Grande fu il mio stupore nel vedere la seconda Madre Superiora, erano identiche, solo che questa era su una sedia a rotelle, ma avevano lo stesso sguardo e lo stesso viso, notò il mio stupore

– Si, siamo gemelle, venga accomodati, ti do del tu potresti essere mio figlio.

Inebetito, cercai la sedia più vicina

– Grazie, scusatemi, ma sono rimasto interdetto.

Sorrise, aveva un volto buono, era ben vestita con uno scialle rosso e nero sulle spalle, vicino al camino acceso

– Sono abituata, tutti hanno questo effetto quando ci vedono, mi chiamo Maria, mia sorella mi ha chiamato poco fa per avvertirmi della tua venuta, allora?

Allora cosa? Ero ancora senza parole, ma cercai di darmi un tono

– Sono venuto come lei sa per lavorare.

– Si questo lo so, ma non mi vuoi chiedere altro, che so lo stipendio….”…

…segue…
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13 Gennaio 2024 – Dalle stalle alle stelle. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Non potrò mai dimenticare per tutta la vita, quella mattina!

La notte fu agitata, l’insonnia era diventata la compagna della mia vita, al massimo erano solo due le ore di sonno e poi … gli occhi sbarrati e il cielo della stanza a farmi compagnia fino alla luce dell’alba, verso le sette, all’improvviso squilla il cellulare, l’agguanto

– Pronto?

– Sei sveglio?

Riconobbi la voce, il mio migliore amico

– Franco, sei tu?

– Si, sono io, ho una notizia importante da darti.

– Dimmi?

Silenzio, pausa, grosso sospiro

– Mi sposo!

Saltai dal letto

– Ma come? Sei sicuro? E quando?

Risata dall’altro capo del filo

– Sorpreso amico mio?

– Certo!

Risata

– Ho trovato la donna che fa per me Laura e non me la lascio scappare. Ti chiamo per darti un’altra bella notizia.

Stupito già dalla prima

– Sono emozionato per te, dimmi.

– Domenica sarai il mio testimone di nozze!

In pochi secondi passarono per la mente le immagini di quando ci eravamo incontrati la prima volta, eravamo con i calzoncini corti, timidi entrambi, poi una palla fece il miracolo, iniziammo a giocare e da quel momento fummo inseparabili.

Lui ed io, due caratteri diversi, io magro come un’alice e lui robusto come un panzarotto, estrazioni familiari diverse economicamente, ma ciò non ci divise mai, anzi, lui studioso ed io un sognatore, lui si laureò in Economia e Commercio ed io mi fermai al diploma per lavorare.

Poi il lavoro ci divise, eravamo sempre comunque in contatto, io a Napoli e lui adesso a  Padova.

Sapevo della ragazza, l’aveva conosciuta in un Master fatto in Spagna, Laura, mi mandò le sue foto, erano splendidi insieme, sorridenti, ma adesso prossimi alle nozze, incredibile

– Rino, ci sei?

Ingollai le lacrime

– Si, ma perché io?

– Perché sei mio fratello, accetti?

Silenzio

– Rino?

Le parole non mi uscivano, ero emozionato

– Certo che si!

Un urlo, poi “Laura ha accettato, Rino sarà il mio testimone”

– Non avevo dubbi! Ti aspetto, quando vieni?

Non era una domanda, lo sapevo

– Arrivo, anche oggi.

Tranquillizzato, un urlo e poi

– Lo sapevo! Un abbraccio da noi due, a più tardi. Ti mando via email le indicazioni per venire qui da noi.

– Grazie.

E chiuse la telefonata.

Quasi contemporaneamente mi arrivano le indicazioni sul telefonino, e già, era certo, non mi sarei mai tirato indietro, mentre preparavo la valigia, il ricordo della nostra ultima telefonata alcuni mesi prima

“Sono dispiaciuto”

“Lo so”

“Ma quando è capitato?”

“Stanotte, mi hanno bruciato il locale”

“Tutto distrutto”

“Si”

“Tu come stai?”

“Uno schifo”

“Vorrei stare li per aiutarti, ma sono in Spagna”

“Tranquillo, mi riprenderò”

Non passava settimana che non mi chiamasse!

Mentre stavo in treno per Padova, ricordai quei momenti tristi e felici, dopo anni di gavetta, finalmente avevo il mio locale, la mia pizzeria, furono mesi difficili all’inizio, poi con un duro lavoro, iniziai ad avere fortuna, volli condividere con il quartiere il successo e decisi di mettere un “contapizze” devolvevo un euro per ogni pizza che sfornavo all’oratorio della chiesa per contribuire alle spese per i ragazzi disagiati.

Dopo tre anni, la pizzeria cresceva sempre di più.

Iniziarono a venire le prime “chiamate” dalla delinquenza, volevano darmi “protezione” in cambio di una somma settimanale, rifiutai.

Tenni duro per due anni.

Poi… fu la fine!

All’ennesima richiesta, con danni alla vetrina del locale, mi rivolsi alla polizia, concordammo un’azione per una finta “mazzetta” destinata a loro, e,  in quell’azione furono arrestati alcuni delinquenti, passarono tre giorni dall’arresto, l’incendio del locale e la fine del sottoscritto e della sua attività.

Dopo la prima rabbia, in attesa del risarcimento dell’assicurazione, tentai di farmi assumere in un ristorante, una pizzeria, ma nulla, si era sparsa la voce, ero da sei mesi senza lavoro.

Avevano fatto terra bruciata intorno a me!

Andavo avanti ancora con i risparmi da parte, cercando di non entrare in depressione, stavo valutando di andarmene all’estero, ma non trovavo il coraggio di farlo, amavo la mia città, nonostante tutto.

Avevo trentacinque anni,  ma ne sentivo il doppio!

Dovevo distrarmi e non pensare sempre alla stessa cosa.

Guardavo fuori al finestrino il paesaggio era diverso dal nostro, niente più colline, ne boschi, ma solo grandi distese di terra e fattorie distanti tra loro, ogni tanto una città e poi arrivato a Padova, seguendo le istruzioni di Franco, presi un’auto a noleggio e mi avviai verso Ala nel trentino, era la città natale di Laura, avevano deciso di sposarsi li.

Frequenti furono le telefonate di Franco, il quale non vedeva l’ora che arrivassi, lui meridionale come me, si sentiva un estraneo in questa terra, emozionante fu il nostro incontro, io mingherlino e lui robusto, conobbi Laura, una bella ragazza, sprizzava gioia da tutti i pori, ci definì Davide e Golia.

– Finalmente ti conosco!

Era Laura, una bella ragazza, occhi scuri come la pece, una massa di capelli biondi che l’incorniciavano il viso e sincera come l’acqua di una fonte.

Ero contento, la loro gioia mi faceva bene, mi lasciai trasportare, gli occhi di Franco luccicavano

– Ero certo che avresti preso il primo treno, ti abbiamo prenotato una stanza nell’albergo dove faremo il rinfresco, ora andiamo al ristorante.

Erano preoccupati per me, lo sapevo, ma mi travolsero raccontando i preparativi per le nozze, li ascoltavo ma non rispondevo, mi lasciavo trasportare e così ci ritrovammo a tavola.

– Allora fratello, mi hai fatto una bella sorpresa!

– Ero certo, non mi avresti detto di no, abbiamo programmato tutto e Laura continuava a dirmi, ma quando lo chiami? Ed io , non ti preoccupare, all’ultimo momento, e così è stato.

– Hai rischiato, ma sono contento.

Laura mi studiava, poi

– Che progetti hai Rino?

Bella domanda

– Non lo so?

Franco si fece serio

– Non ti lasciare andare, sei provato, ma sei in gamba.

Non mi piaceva come andava la discussione, cercai di evitare la risposta

– Allora, la festa di addio alla vostra posizione di single?

Si guardarono e risero

– Abbiamo deciso di non farla, viviamo insieme da due anni e siamo più che contenti di sposarci.

– E tu?

Era Laura

– Hai qualcuna?

Sempre più imbarazzato

– No, e da tempo, oramai!

E lei subito

– Mai dire mai!

Meravigliato non dissi nulla.

Dirottai l’attenzione su altro, mi parlarono del loro lavoro a Padova, avevano uno studio di architettura e andava talmente bene che avevano assunto tre collaboratori.

Terminata la cena mi avviai all’albergo dopo le indicazioni di Franco, dopo pochi minuti arrivai, la struttura era bella per quello che potevo distinguere di sera, la stanza era confortevole, scesi dopo aver disfatto la valigia e chiesi se potevano farmi la cortesia di far stirare il vestito

– Certo! Lei deve essere l’amico del Sig.Franco venuto per il matrimonio.

Sorpreso

– Si, sono io.

Si era accorto della sorpresa

– Scusatemi, qui ci conosciamo tutti, poi Laura è cresciuta qui, siamo contenti per lei. Scusatemi.

– Non vi preoccupate, capisco. Buonanotte.

Mi ringraziò con gli occhi, prese il vestito e finalmente tornai in camera per dormire.

Dormire?

Avrei voluto, ma non riuscivo a chiudere occhio, dopo aver fatto il giro del mondo in quel letto, troppo grande per me, mi alzai rivestendomi e scesi per fare una passeggiata.

L’aria era frizzante, eravamo prossimi alle vicine montagne, nonostante avessi cappello, giacca pesante e guanti, sentivo freddo.

In lontananza c’era rumore di acqua che scorreva, seguii il rumore e mi trovai nei pressi di un ponticello nel parco dell’albergo, sotto scorreva un torrente, la luce della luna mi faceva da guida e vedevo ogni tanto zampillare qualcosa nell’acqua, erano dei pesci.

Sarà stata la loro vista, l’aria frizzante, il silenzio, iniziai a sentire che l’ansia lentamente diminuiva, iniziavo a sentirmi in pace con me stesso, avevo fatto la cosa giusta, anche se questo aveva portato la fine del mio locale.

Tornai in camera e finalmente di addormentai.

Giuro la mattina successiva, non mi sarei svegliato, ma uno squillo sul cellulare, mi fece desistere, era un messaggio

“Scendi poltrone, facciamo colazione. Franco”

Guardai l’orologio, erano le dieci, mi vestii in fretta e aprendo la porta trovai il mio vestito pronto, lo riposi nell’armadio e scesi al ristorante dell’albergo

– Finalmente!

– Se non mi avessi inviato il messaggio avrei dormito fino a tardi.

Era allegro

– Ma tu sei o non sei il mio testimone?

Lo guardai divertito

– Si.

– E allora? Mi sono trasferito stamattina qui in albergo, sai ci tengo alle tradizioni, domani è il gran giorno e lei ci tiene alla cerimonia tradizionale, lo sposo non deve vedere la sposa se non in chiesa, quindi, oggi passeremo la giornata insieme.

– Bene, allora quali programmi hai?

– Ora facciamo colazione, poi andiamo a rimisurare il vestito e ti faccio conoscere un poco la città.

E così facemmo, tranne qualche piccolo particolare, il cellulare.

Non passavano cinque minuti che quei due non si sentissero.

La città mi piaceva e mentre lui parlava con l’amata, io osservavo e registravo tutto quello che vedevo.

C’erano alcuni ristoranti, ma nessuna pizzeria.

La chiesa era bella, mentre Franco verificava che le richieste di Laura erano state esaudite dal fioraio, il sagrista si avvicinò

– Domani molti verranno in chiesa per vedere il matrimonio.

Ero sorpreso e continuò

– Sa e da diversi anni che non ne viene celebrato uno, poi i due sposi sono conosciuti, Laura è una di noi.

Ero contento per i miei amici, ma quello che non aveva detto lo scoprii solo il giorno dopo.

La funzione era per le 11.00, alle 9.30 eravamo già pronti e dovevo trattenere Franco che voleva andare in chiesa già a quell’ora

– Andiamo a controllare la sala per il ricevimento, metti che hanno sbagliato a mettere i fiori che ha richiesto Laura.

Mi guardò di malavoglia, poi sentendo quel nome mi sorrise

– Andiamo!

Rimasi sbalordito, senza parole, era un salone rettangolare tutto in legno, con delle arcate al solaio alto più di cinque metri, i tavoli erano rettangolari tutti vestiti di bianco, su ogni tavolo dei portafiori con fiori verdi e bianchi, un colpo d’occhio che avrebbe sorpreso chiunque, poteva contenere duecento persone, poi al centro,  il tavolo tondo degli sposi con un enorme cuore sospeso in alto e le loro due iniziali, la F e la L.

Ero a bocca aperta, senza parole e non sentivo la voce del mio amico che continuava a chiamarmi

– Rino, Rino.

Finalmente mi strattonò e mi svegliai

– Rino ti presento…

E io come se non l’avessi sentito

– Ma è meraviglioso qui, che bello.

– Grazie.

Sentii una voce di donna, mi girai e la vidi, una signora suo sessanta anni, capelli corti ricci e biondi, vestita elegantemente con un pigiama palazzo azzurrino, che stava sorridendo

– Ti presento…

E lei

– Ivana

Mi allungò la mano, non so perché, ma mi venne d’istinto di baciarla, rimase stupita ma non la ritrasse

– Onorato, io sono Rino.

Franco

– La Signora Ivana è la proprietaria di questa bella struttura.

Ero rapito dai suoi occhi, erano chiari e non li staccava un attimo dai miei

– Complimenti!

– Grazie, è rimasto stupito?

– Certo, lei ha fatto fare un lavoro stupendo, i miei amici non potevano scegliere di meglio è la prima volta che vedo tanta bellezza, rispecchia la sua proprietaria

Arrossì

– Franco, non mi avevi detto che era anche un adulatore?

Rise, e Franco fece altrettanto

– Vedi Ivana lui è così, sincero fino alla fine. Sai aveva un locale a Napoli…

Lo fermai

– Non parliamo di me, per piacere, oggi è la vostra giornata, dobbiamo andare.

Poi rivolto a lei

– E’ stato un piacere, ma penso che ci vedremo in chiesa o sbaglio?

Civettuola

– No, non sbaglia, vi raggiungerò li, oggi per la nostra città e un bel giorno, ci sarà anche la televisione regionale all’evento.

Meravigliato, mi rivolsi a Franco

– Come?

– Si, il nonno di Laura è il Presidente della Camera di Commercio di Trento e la televisione regionale ha chiesto il permesso di fare un servizio sul nostro matrimonio e noi abbiamo accettato con piacere.

Ci avviammo, notavo la sua emozione, difatti esplose quando arrivammo finalmente in chiesa.

Era quasi al completo, non so quante persone mi furono presentate, arrivammo finalmente all’altare, Laura aveva voluto dei fiori semplici su ogni banco, alle 11.00 precise fece il sue ingresso, era stupenda.

Emozionatissimi, salimmo gli ultimi gradini, la testimone della sposa era la sorella più piccola di Laura, il sacerdote prima di iniziare esortò l’assemblea per un applauso agli sposi e così la tensione diminuì.

Cosa pensavo?

Per tutta la durata della cerimonia, non riuscivo a distogliere lo sguardo dai miei due amici, erano la felicità fatta persona, si tennero stretti per mano fino alla consegna degli anelli, entrambi avevano le lacrime agli occhi durante le frasi di rito, non riuscivano a leggerle,  il tutto fu suggellato da un bacio finale e un applauso scosse la chiesa.

Il ricevimento fu un’apoteosi di balli e canti, ogni tanto vedevo Ivana che discretamente sorvegliava la sala, i camerieri erano perfetti, le pietanze regionali e la troupe televisiva riprendeva i momenti salienti, fino a quando verso la fine,  mi avvicinò un cameriere

– Signore c’è una persona che vuole parlarle.

E mi fece segno di seguirlo.

Chi poteva essere, non conoscevo nessuno, se non Ivana, ed era difatti lei

– Una persona mi ha parlato di lei, la sua storia e volevo cogliere l’occasione per fargliela conoscere.

– Ma Signora.

– Sono Ivana per te.

Mi prese per mano e ci inoltrammo in una sala adiacente, c’era una ragazza con un microfono in mano, la guardai, era molto bella, rossa di capelli, un viso pieno di lentiggini e due occhi blu che mi fissavano, guardai Ivana

– Rino ti presento Eva.

Pasticciò con il microfono, poi si rese conto che era inutile tenerlo come una torcia lo passò nella sinistra abbassandolo,  porgendomi la mano destra

– Piacere, a cosa devo …

Aveva un vestito adatto per l’occasione, le poneva in risalto il seno prorompente, era titubante, quasi balbettando

– Signore volevo farle un’intervista, sono la direttrice del giornale radio online della televisione regionale.

Un’intervista? A me? E perché?

– Perché?

Guardai lei e Ivana

– Ci hanno informato su quello che le accaduto a Napoli e volevo…

Non la feci proseguire, guardai Ivana e lei,  ero sconvolto,  uscii dal salone a passo svelto, erano rimaste interdette, non andai in sala, presi la scala per la mia camera.

Continuavo a ripetermi, perché, perché, anche qui! Oggi è un giorno di festa. Perché?

Mi buttai sul letto e piansi.

Dopo un poco sentii bussare alla porta, cercai di asciugarmi sommariamente le lacrime

– Chi è?

Dissi alterato.

Silenzio, mi alzai e andai alla porta, l’aprii, era Eva…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

12 Gennaio 2024 – Da Vanni – “Soloprimi” – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Era d’ agosto,

il caldo era notevole, ma alle prime ore della mattina era piacevole trovarsi per strada in auto tra le campagne, nell’aria un fiorire di colori e di profumi, quella mattina mi stavo recando alla stazione ferroviaria, dovevo ritirare dei giunti meccanici in arrivo da Arezzo.

I finestrini erano abbassati, la musica a tutto volume della radio mi facendo compagnia per quei sei chilometri di distanza dalla mia cittadina Alleria alla staziona ferroviaria.

Alleria, bel nome, vero?

Chi sa qual è l’origine del nome, ma ci stavo bene!

Dopo anni di “schiavitù” da partita Iva, una laurea in ingegneria meccanica messa definitivamente in bacheca all’ultimo esborso/pirata dello stato, ho detto basta e iniziato una nuova vita da cinque anni.

Questi erano i miei pensieri di quella mattina, un lunedì d’agosto che cambiò la mia vita!

Arrivai alla stazione con qualche minuto d’anticipo sul treno, un mio amico mi stava inviando quello che sarebbe servito per terminare l’opera della Madonna della Grotta,  già,  ero uno dei sostenitori e organizzatori della Festività del 15 di agosto, giorno in cui si sarebbero riversati qui centinai di persone, turisti ed ex emigrati, per partecipare a quella festività di cui la storia sul ritrovamento della Madonnina in quella Grotta, risaliva al 1500.

Sta per arrivare il treno, devo muovermi e andare verso la prima carrozza, la fermata non dura a lungo e il treno deve proseguire per Terni

– Sei tu Osvaldo?

– E tu dovresti essere Vanni?

– Si, sono io.

Si sporge dal finestrino e mi consegna un pacco

– Grazie, salutami Lapo quando torni.

– Sarà fatto, buona giornata!

Il mio nome è Vanni, diminutivo di Giovanni, età 50 anni, ben portati, “sposato/separato in casa” con Luisa biologa dell’Ospedale di Arezzo, oggi dovrebbe essere il nostro anniversario di matrimonio, il ventesimo, ma ha poca importanza, sono già quindici anni che non lo festeggiamo più, dal momento della sua vincita al concorso nella Asl di Arezzo, ci vediamo solo qualche volta, quando viene a casa non dormiamo insieme ma in stanze separate,  la sua vita è ad Arezzo, la mia era dovunque in giro per il mondo per lavoro e adesso è qui.

Stiamo divorziando, dovrebbe arrivare presto la risposta definitiva!

Cosa faccio?

Dopo aver smesso di girare il mondo, rincorrendo gare e appalti per un’industria tedesca che produceva motori per auto per quindici anni, ho deciso nonostante le rimostranze della mia ex moglie/non moglie, di ristrutturare il piano terra e il seminterrato del mio casale,  aprendo  una trattoria “SoloPrimi” dove faccio il gestore, il cuoco e il cameriere.

Guadagni?

Pochi, ma quanto basta per me e pagare le fatture e gli ammennicoli vari dell’attività e del casale.

La libertà non ha prezzo!

Questo è il mio motto.

Prendo il pacco e mi avviò all’uscita, poi la noto, chi?

Una ragazza, sulla panchina fuori alla stazione, due valigie uguali, una piccola e una grande, avrà sui venticinque anni, ben vestita, una massa di capelli biondi, sta seduta tutta composta in attesa.

Cosa mi ha colpito?

Qualcosa di strano?

Guardandola di sfuggita,  sembra avere un’aria familiare e poi lo sguardo, sono passato a pochi centimetri di distanza e il suo sguardo è nel vuoto, perso!

Sto fantasticando!

Spesso mi capita, sarà di certo una turista o una persona in attesa di qualcuno, forse aspetta l’autobus, forse il fidanzato, il padre, la madre, forse…

Basta fantasticare!

Mi aspetta una giornataccia, ieri era il mio giorno di chiusura, ma oggi riapro la trattoria e non ho ancora preparato nulla, l’avrei potuto fare ieri, ma sono andato a lavorare alla Grotta dopo aver pulito e lavato i pavimenti della trattoria e tornato tardi, giusto il tempo di preparare una cena leggera e buttarmi sul letto stanco in un sonno profondo ristoratore.

L’aria esterna si sta riscaldando, non bastano i finestrini abbassati, aumentò la velocità, ecco va meglio, prima di preparare devo passare per la Grotta e lasciare i giunti che ho appena preso.

La Grotta si  trova distante quasi tre chilometri dal centro abitato, su una montagna che sovrasta la nostra valle, la strada è agevole e panoramica, tutti tornanti e poi lassù quasi in cima, la spianata, grande come un campo di calcio, da li un sentiero piuttosto largo ma impraticabile per le auto porta alla Grotta dopo cinquecento metri.

Nello spazio antistante, su un mio progetto, stanno lavorando degli operai ad una struttura sopraelevata li dove dovrà essere montato l’altare e il baldacchino per la statua della Madonnina, eccezionalmente e solo per il giorno di ferragosto viene spostata dalla sua sede a cura della Confraternita di cui faccio parte per poi ritornare a sera nella sua sede naturale, la Grotta.

Si narrano due leggende su quel luogo:

– la prima racconta che due giovani pastori, un uomo e una donna, mentre si trovavano ai loro pascoli sul monte, furono presi un giorno alla sprovvista da un furioso temporale, erano con i loro ovini e caprini, impauriti trovarono riparo con le loro bestie nella grotta. La leggenda vuole che rimasero per una settimana, in attesa che il tempo migliorasse. Nel frattempo i giovani nel consolarsi a vicenda si innamorarono ed erano prossimi a congiungersi, quando due capre in un combattimento per la sovranità sul branco, fecero crollare una parte della grotta e venne scoperta una statua alta due metri, miracolosamente intatta che aveva due simboli in mano, sulla destra una colomba e sulla sinistra un similcuore. Nel vederla, furono così colpiti che non completarono la congiunzione carnale, la tempesta terminò all’improvviso, il cielo si illuminò con un sole splendente e i due corsero al villaggio per raccontare del ritrovamento della statua. Dalla cronaca orale e poi scritta nei secoli, vengono raccontate le nascite miracolose, frutto delle preghiere di donne che si rivolgevano a Lei per concepire un figlio;

–  la seconda, invece, racconta che al tempo esisteva un uomo gigantesco che andava di villaggio in villaggio, alla ricerca delle vergini e con le maniere forti riusciva a deflorare quelle donne. Nel piccolo villaggio, solo una ragazza era in età da marito e quando seppe che l’uomo si stava dirigendo verso il villaggio, si nascose sulla grotta del monte. L’uomo riuscì con minacce e percosse a conoscere il suo rifugio e la trovò, stava per portare a termine il suo turpe desiderio dopo aver tramortito la giovane in una giornata di pioggia torrenziale, quando, un fulmine penetrò nella grotta colpendo una parte e mettendo in luce la statua. L’uomo fu colpito dalla luce e si fermò, fu talmente abbagliato dalla statua, diventò cieco e uscì urlando dalla grotta e nessuno più l’ha rivisto. Un pastore nelle vicinanze sentì le urla della giovane e corse soccorrendola e insieme portarono la notizia al villaggio della scoperta della Madonna.

Qualche secolo dopo,  facendo dei lavori di consolidamento della volta della cripta, nel spostarla si scoprì a metà agosto, una scritta in oro sotto al basamento “Madonna virgo fecunda” e da allora si festeggia con canti e balli nella giornata di Ferragosto.

Avevo studiato e progettato una struttura agile e aperta che voleva raffigurare un fulmine caduto sulla terra e i giunti mi servivano da congiunzione delle rette tubolari per completare la coreografia.

La Grotta era tappezzata di ex voto e di regali che le persone donavano alla Madonna, solo noi della confraternita avevamo le chiavi di accesso alla cripta.

– Finalmente sono arrivati!

Era il mio giovane amico Lorenzo, laureato da poco in Conservatoria dei beni culturali,  dirigeva gli operai al lavoro, lavorava ad Arezzo al Ministero dei Beni Culturali

– Si, sono appena arrivati, ora scappo che devo preparare per il pranzo.

Sorridendo

– Siamo in dodici come gli apostoli.

Mi misi in auto ridendo

– Anche ventiquattro, per me non fa differenza, per la nostra amata Vergine questo ed altro.

Per me che ero nato in quella valle, Lei era importante per tante ragioni, ed era sempre un’emozione ritornare nella Grotta.

In quei giorni di lavoro venivano a pranzo e a cena da me i confratelli e gli operai impegnati nella costruzione a cui si aggiungevano i miei clienti abituali, ma ero contento, non volevo essere pagato da loro, ma il presidente della confraternita non volle sentire ragioni “Per il tuo progetto e la direzione dei lavori non possiamo sostenere le spese, ma per il vitto e le strutture per realizzarlo,  siamo noi che ci siamo autotassati ed è giusto darti il dovuto”.

E così, io dichiaravo cinquanta e lui mi dava cento, poi sorridendo diceva “So che è meno di quello che hai speso, ma non è giusto che tu mi chieda la metà della metà! Conosco il tuo impegno, ma non dobbiamo approfittare della tua disponibilità”.

Non avevo un menu fisso settimanale, non c’erano dei secondi, nella mia trattoria servivo solo l’antipasto, il primo, la frutta e nei giorni di festa il dolce.

Mentalmente mentre scendevo decisi di fare un sugo semplice con la salsiccia da servire con le pappardelle, mentalmente mi ripassai le quantità degli ingredienti che avevo nella dispensa e mi ricordai di aver terminato il salame, feci una variazione sul tragitto verso casa per farne rifornimento

Erano quasi le dieci quando arrivai in città, alla norcineria presi un buon quantitativo di salame e l’auto si riempì di profumo di carne conciata, stavo per uscire dal cortile del negozio, quando mi bloccai con l’auto.

Cos’era successo?

Di fronte all’ingresso del cortile c’era una pensilina per gli autobus con una panchina, il riflesso del sole rimbalzando sulla vetroresina di copertura schermava la scena,ma riconobbi le valigie e notai la stessa ragazza del mattino, stava seduta, aveva un cartello tra le mani, non riuscivo a leggere da lontano, incuriosito scesi dall’auto e mi avviai per attraversare la strada, ero ancora sul marciapiedi opposto, quando riuscii a leggere

“Cerco lavoro”.

Ero senza parole!

Attraversai la strada, mi avvicinai, lei mi notò

– Buongiorno.

La guardai meglio, era forse più piccola dei venticinque anni che le avevo dato, aveva un’espressione seria ma lo sguardo era perso nel vuoto

– Buongiorno, scusi la mia domanda, ma non ha paura?

Stavolta alzò lo sguardo, aveva degli occhi celesti, come il mare

– No, al mio paese si fa così.

Vedendo il mio disappunto, esclamò

– Da voi no?

Immediatamente

– Da noi? No certo! Ma hai idea di quello che fai,  chiunque, in questo modo, potrebbe importunarti, prenderti in giro, fare qualsiasi cosa, dicendo delle bugie per poi farti del male? Da noi ci sono delle agenzie dove rivolgersi, dare i propri dati e attendere le risposte.

La ragazza, abbassò il cartello, poi quasi sottovoce

– Non ho tempo di attendere!

Fu così spontanea la risposta che non potetti fare a meno di sedermi

– Io mi chiamo Vanni

E lei stringendo la mano

– Io Sofia, sono arrivata oggi dall’Olanda.

Lei analizzava me ed io facevo altrettanto, già quando aveva detto il nome, mi ero meravigliato, pensavo a qualche nome straniero, ma poi quando disse la nazione fui ancora di più sorpreso

– Che tipo di lavoro stai cercando?

Mi sembrò più rilassata, forse avevo fatto buona impressione, non lo so

– Baby sitter, badante, cameriera… tutto quello che posso fare legalmente ma ad una condizione che sia previsto anche l’alloggio.

Sarà perché il sole stava iniziando a picchiare, sarà che la vedevo così indifesa, sarà che fondamentalmente non sono normale

– Potrebbe interessarti un lavoro in una trattoria come cameriera e tuttofare.

Finalmente vidi un accenno di sorriso

– Tuttofare si, ma niente sesso!

Saltai dalla panchina

– Certo che no!

Sorrise

– Certo, a chi mi devo rivolgere?

Mi stavo ancora riprendendo dalla battuta

– A me! Ho una piccola trattoria, se vuoi, ti faccio vedere.

Si alzò immediatamente

– Andiamo!

Non credevo a me stesso, ma come mi era venuto di fare quella proposta, per anni ho lavorato senza nessuno ed ora?

Ma come si dice “cosa fatta capo ha”.

Misi a posto le valigie con il suo aiuto, entrammo in auto

– Che buon odore!

Era il profumo del salame, sorrisi

– L’ho preso adesso, vuoi assaggiare?

– Si, grazie, sono ventiquattrore che non mangio nulla.

Non tagliai il salame

– Posso darti del tu?

Mi guardò, era contenta

– Certo!

– Bene, allora Sofia, ora facciamo colazione come si deve e poi andiamo alla trattoria.

– Va bene.

E così facemmo, divorò tutto nel bar dove ci fermammo e dopo un breve tragitto arrivammo alla trattoria, non mi capacitavo, eppure non mi sembra una persona che non aveva i soldi per mangiare, è vestita bene, le valigie sono di marca, quale mistero c’è sotto?

– Ecco, siamo arrivati!

Scendemmo le valigie, poi il salame, aprii la trattoria e annusò l’aria

– Anche qui c’è un buon profumo!

Ero contento

– Grazie, ho lavato e pulito da cima a fondo ieri, ora ti porto le valigie sopra, c’è una stanza con bagno, rinfrescati, poi scendi giù, inizio a cucinare. Non ti dimenticare, portami i documenti che devo registrarti.

Fece con la testa di si e mi fiondai in cucina.

Dopo aver riposto il salame nella dispensa, una generosa lavata di mani, inforcai i guanti e iniziai a sbriciolare la salsiccia, in una pentola capiente  misi a soffriggere dell’olio d’oliva con la cipolla, immersi la salsiccia sbriciolata senza budelli, del rosmarino tritato finemente, un poco di pepe  alzando la fiamma

– Ma sei uno Chef?

Trasalii, mi ero completamente dimenticato di lei, eccola stava sulla porta e mi guardava incuriosita

– Si e no.

Risposi sorridendo

– Che buon odore!

– Oggi prepariamo sugo di salsiccia con le pappardelle.

Rise

– Prepariamo?

– Certo, qui fino ad oggi ho fatto tutto io, gestore, cuoco e cameriere, ora ci sei tu.

– A ecco!

Si avvicinò e mi diede i documenti.

– Appoggiali su quella mensola, li vedrò dopo, ora vuoi fare qualche domanda?

– Che devo fare?

Mi piaceva, era pratica ed efficiente, si era cambiata, aveva dei jeans e una camicetta bianca, i capelli li aveva raccolti in un’unica treccia

– Se te la senti vai in sala, appena esci di qua c’è una credenza con il tovagliato e il resto per guarnire la tavola, abbiamo oggi una tavolata con dodici persone, ma metti quindici coperti e un tavolo per quattro persone.

Nemmeno il tempo di finire la frase, sparì, continuai a cucinare, inclinai leggermente la pentola per eliminare il grasso in eccesso e poi versai del vino bianco secco aspettando che evaporasse.

Presi i documenti:

Sofia Palmer

Residente ad Amsterdam

Età 23 anni

Riportai i dati sul modulo di registrazione per i dipendenti in prova ed inviai il fax alla caserma dei carabinieri.

Aggiunsi la passata di pomodoro, un poco di zucchero e coprii la pentola, mettendo il fuoco basso. Su di un altro fornello, misi una pentola capiente per le pappardelle e entrai nella sala con i documenti in mano.

– Sofia, ecco…

Mi caddero da mano, ma come diavolo aveva fatto?

La sala a piano terra aveva dieci tavoli, aveva accorpato dei tavoli per i quindici come avevo detto, poi non si era fermata a preparare un solo tavolo, ma tutti, tutti erano pronti con tutto quello che serviva, aveva aperto le imposte delle finestre, abbassate le tendine contro gli insetti, acceso la radio sul canale della filodiffusione e la televisione sul canale delle news senza audio solo con le scritte che scorrevano.

Raccolsi il passaporto a terra, ma lei non la vedevo, mi guardai intorno.

Verso le toilette, c’era un angolo con due poltrone, per le persone che erano in attesa di entrare, ed eccola, stava raggomitolata su una di queste, evidentemente si era rilassata, ero stato uno stupido, dovevo immaginare,  era stanca, riposava, chiusi la finestra da dove entrava un fascio di luce solare, le misi un plaid addosso, era bella, aveva il viso rilassato.

La lascia riposare e tornai in cucina, erano tempo di preparare gli antipasti.

Tagliai il pane, i salumi, il formaggio e preparai la frutta, ma il pensiero era fisso, cosa ci faceva qui? Solo le scarpe che portava, quelle di ginnastica adesso, costavano un occhio!

Mancava un’ora alle 13.00, ora di arrivo degli operai, stavo impiattando gli antipasti

– Scusami Vanni, mi sono addormentata, grazie per il plaid.

Continuando a riempire i piatti

– Sono io che mi devo scusare, sono un negriero, appena sei arrivata ti ho messo a lavorare.

Sorrise, si era rinfrescata e cambiata la camicia, aveva messo il grembiule della trattoria e si mise ad aiutarmi

– Non potevi sapere!

– Nel pomeriggio sei libera, puoi riposarti, poi stasera il servizio inizia alle 20.00.

– Grazie, la stanza è bella.

– Si, era quella di mia madre, voleva la sua privacy, tieni le chiavi del portoncino d’ingresso, non ho il doppione.

– Grazie, vado a posare i documenti, ma posso lasciare le chiavi anche qui in cucina se vuoi.

– No, Sofia, voglio che stai tranquilla, tienili tu, l’altra chiave è quella dell’ingresso della trattoria, così sei libera di muoverti a piacimento, abito di fronte al tuo portoncino sul pianerottolo di sopra.

Era contenta, lo vedevo, le brillavano gli occhi

– Grazie, sei troppo gentile.

– No, sono coerente, ho visto come hai preparato la sala, sei brava e responsabile ma tu non conosci me e io altrettanto, è meglio così! Quando scendi mangiamo qualcosa,  poi si parte per il servizio.

Sorrise e sparì.

Quando ritornò, avevo già i piatti pronti sul tavolo nella sala prima della cucina, mangiammo in silenzio, gradì tutto, fu allora che mi accorsi che non aveva un telefono cellulare, strano, mi venne spontaneo

– Ma i tuoi lo sanno dove sei?

Ebbe un fremito, ma poi fissandomi con calma

– Sanno che sono in Italia, mio padre domani parte per raggiungere Atene in Grecia, poi lo raggiungerò.

E non disse più una parola!

Ero stato stupido lo so, ma avrei voluto farle mille domande, ma mi astenni, lei capì ritornò allegra come prima, arrivarono gli operai, tutti si accorsero della novità, uno in particolare mi disse che non le staccava gli occhi da dosso, me lo descrisse, era Lorenzo.

Arrivarono pure i miei clienti fissi del pranzo, due coppie, li chiamavo i magnifici quattro, se avessi sommato gli anni di ciascuno arrivavo alla cifra iperbolica di 320 anni.

La prima coppia era composta da un generale in pensione con la terza moglie straniera, l’altra coppia amica della prima era il farmacista della città in pensione con la moglie, entrambi non avevano figli.

Erano due anni che frequentavano tutti i giorni la trattoria solo per il pranzo, avevano una certa confidenza con me, le due mogli appena fu possibile vennero a chiedermi chi era quella ragazza, sorrisi di buon gusto e senza raccontare nulla, dissi che era di passaggio, aveva bisogno di lavorare e di un posto per dormire e io glielo avevo offerto.

Appagata la loro curiosità, fecero i complimenti per l’educazione e la correttezza nel servire ai tavoli, lo stesso fece anche Lorenzo quando venne a salutare, lo vidi, voleva chiedere di più, ma si astenne.

Sofia mi disse che avevano gradito tutto e iniziò a sparecchiare, mi misi a pulire la cucina, dopo circa un’ora

– Finito! Vanni di chi è quell’auto la fuori?

Era un  regalo per mia moglie, cinque anni fa l’avevo acquistata, una 600 nuova di zecca, aveva fatto si e no tremila chilometri da allora, ogni tanto la mettevo in moto o la usavo per fare delle commissioni senza usare il furgone

– E’ mia, ovvero l’avevo regalato alla mia ex moglie, perché?

Era rimasta colpita, forse dal tono della mia voce

– Non volevo, scusami.

– No, non ti preoccupare, dimmi.

La tranquillizzai

– Volevo prenderla per a fare un giro e rendermi conto della città, posso.

Andai all’armadietto in cucina

– Ecco! Ma non volevi riposare?

Le prese, si era illuminato il viso

– Riposerò stanotte, grazie.

Guidava bene, lo vidi dalle manovre per uscire dalla tettoia, era sicura di se, chissà dove è diretta, pensai, continuavo a fantasticare, ma non era giusto, presto andrà via, ne sono certo, ha detto che il padre sta per andare ad Atene e deve raggiungerlo….”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco