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11 Gennaio 2024 – Aurora – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

Mi divertiva questo dialogo tra sconosciuti

– Ufficialmente sono un geometra, ma per diletto cucino.

Meravigliata, sorridendo

– E quale dei due lavori è impegnato in questo tuo viaggio?

– Entrambi!

Era incuriosita ed io ero disponibile a parlare, ma anche curioso di conoscere il perché del suo viaggio, fummo interrotti dagli stewart della compagnia ferroviaria ci offrirono uno snack e utilizzammo quei pochi minuti per analizzarci a vicenda

– E tu? Ho visto che hai due valigie corpose, ti stai trasferendo?

Divento rossa all’improvviso, poi abbasso gli occhi e quasi sottovoce

– Si, e per sempre!

E cadde il gelo, mi morsi quasi la lingua per aver fatto quella domanda inopportuna, per fortuna arrivammo a Roma Termini

– Sgranchisco le gambe e fumo una sigaretta, vuoi venire?

Sollevata

– Perché no?

Scendemmo!

C’erano molte persone in attesa di salire, mi misi da parte per fumare la sigaretta e lei mi seguiva, poi squillò il suo cellulare, mi allontanai senza perderla di vista, dai gesti intuii che era qualcosa di importante, era nervosa e gesticolava ma sempre senza alzare la voce e così facendo non si era resa conto che si stava allontanando dalla banchina e dal treno.

Spesso avevo fatto quella linea come tanti giovani e meno giovani alla ricerca di un lavoro, conoscevo a memoria i vari segnali per la ripresa del viaggio, mi allarmai quando sentii il secondo squillo della prova dei freni e senza pensarci due volte, mi avvicinai di corsa, stava oltre lo scompartimento e quasi prendendola in braccio la catapultai nello scompartimento, fui aiutato dai miei centoventi chili di peso e placcando rovinammo sul predellino, era sconvolta

– Ma che diamine?

Ansimavo, appena dentro si chiusero le porte

– Stavamo per perdere il treno, non te ne sei accorta?

Si guardò intorno, il cellulare le cadde da mano aprendosi

– No, non mi ero resa conto, scusami!

Senza accorgermene avevo quasi urlato

– Quando ti ho visto presa al telefono, ho pensato di fare la cosa giusta, scusami.

Presi con calma il cellulare, rimisi la batteria a posto e glielo diedi, qualcosa era cambiato in lei, stava lacrimando, mi preoccupai, pensai di essere stato inopportuno

– Non l’ho fatto apposta, anche se non ti nascondo è stato un  piacere prenderti in braccio.

Le strappai un sorriso e arrossì

– Vieni, andiamo a sederci.

La presi per mano e ritornammo ai nostri posti, mi sedetti

– Vado un attimo in bagno.

Lasciò la borsa e il cellulare

– Aurora, la borsa.

Stavolta sorrise

– Con te sono tranquilla!

E si avviò, ero contento!

Quando ritornò

– Ho trent’anni, da cinque collaboro con un anziano architetto specializzato in ristrutturazione di chiese, quando ha saputo che avevo un colloquio di lavoro a Torino, mi ha affidato un progetto l’abbiamo fatto insieme, per portarlo al sacerdote che l’ha commissionato, in un paese vicino ad Aosta, Saint Marcel…

Se fossi stato attento, certamente avrei notato che ascoltando quel nome si era allertata, ma continuai, guardando fuori

– …ma la mia vera passione è la cucina, ho un secondo diploma dell’alberghiero come chef…

Stupita e oramai ripresa

– Davvero?

– Si, il mese scorso ho risposto ad un annuncio e oggi nel pomeriggio ho un colloquio di lavoro e domani vado a presentare il progetto al sacerdote.

E mi girai verso di lei, capì che era arrivato il suo momento

– Era mio padre al telefono!

Disse quasi piangendo e si fermò

– Non continuare, non voglio sapere, ti prego.

Ma lei continuò

– Sono andata via da casa per sempre!

Ero stupito!

E non parlò più, arrivammo a Firenze, avevo rispettato il suo silenzio

– Vuoi scendere?

Fece con la testa di no e quando tornai nel vagone, notai la sua aria più serena, appena mi vide

– Solo qualche giorno fa ho saputo di avere un fratello gemello.

Sgranai gli occhi e dovetti fare una faccia così strana che scoppiò a ridere

– Come? Un fratello gemello e tu non lo sapevi?

Ridiventò seria

– Si, è stata mia nonna ad avvertirmi e la sto raggiungendo, a Torino viene mio fratello Antonio a prendermi, quando l’ho detto a mio padre,  non voleva che partissi, ha continuato a negare che ci fosse un mio gemello, abbiamo litigato, ho preso le mie cose e sono andata via.

Un poco per quello che aveva detto, un poco perché a Bologna, il treno si riempì di persone, rimanemmo in silenzio per diversi minuti

– Ma se non lo conosci come farai a riconoscerlo?

Mi guardò diritto negli occhi

– Mi ha detto che avrà una sciarpa rossa al collo e di sicuro non potrò non riconoscerlo.

Tutto strano!

Cercai di distrarla

– Che lavoro fai?

Si illuminò

– Lavoravo in una radio cittadina, avevo una mia rubrica che trattava la cronaca nera e ha detta degli altri, ero anche abbastanza brava, quando ho lasciato il lavoro, il direttore voleva in tutti i modi convincermi a non farlo, aumentando anche lo stipendio, ma poi alla fine, non riuscendo mi ha dato dei numeri di telefono per delle radio locali di Aosta, dove sono diretta.

Secondo errore, se fossi stato attento!

Ma non lo ero, mi bastava guardarla, ma per non metterla in imbarazzo lo facevo di nascosto, ma non appena chiudevo gli occhi, la rivedevo, il suo sorriso, i suoi occhi , la sua bocca, ero indifeso.

Si chiuse in un mutismo, arrivammo a Torino, l’aiutai a prendere i bagagli e ci avviammo all’uscita di Porta Nuova, ma di persone con una sciarpa rossa al collo nemmeno l’ombra, lei iniziò a preoccuparsi, prese il cellulare, nessuna risposta

– Andiamo verso il parcheggio, vedrai che si sarà fermato li.

Prendemmo le valigie e ci spostammo sulla destra verso il parcheggio, ma nulla nemmeno li, non c’era nessuno in attesa con la sciarpa rossa

– Ho telefonato e non risponde, ho mandato dei messaggi, ma nulla, nessuna risposta.

Era come un pulcino disorientato

– Facciamo così, ora prendiamo un tassì e andiamo al bed e breakfast che ho prenotato.

Lei mi guardò allibita

– Stai tranquilla, non ho nessuna intenzione cattiva, ci sono due camere da letto, sono stato spesso in quel luogo.

Sorrise

– E poi?

– Io vado al colloquio di lavoro e tu nel frattempo ti puoi rinfrescare e chiamare tuo fratello, ci terremo in contatto con il cellulare.

Mi stupì la sua velocità nel rispondere, immediatamente

– Va bene!

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Il mattino dopo.

Sono fuori ad un palazzo di Corso D’Azeglio, ho preso un’auto a noleggio e sono in attesa delle undici l’orario che mi ha dato Aurora per l’appuntamento.

Cos’è capitato?

Dopo aver accompagnato Aurora, la lasciai per andare al ristorante per il colloquio, al lato opposto della città verso via Conte Verde in prossimità del Duomo dove si trova la Sindone e la sede del Comune di Torino.

Incontrai il proprietario, un peruviano, mi fece vedere la struttura e mi avvertì che tra non molto sarebbe arrivato il cuoco per farmi il colloquio, nell’attesa vedendo lo stato della cucina, mi cambiai e fece pulizia, ci tenevo a fare una bella figura e così misi a lucido tutto, ma della brigata di cucina e dello chef nemmeno l’ombra.

Squillò il cellulare

– Rino.

– Dimmi Aurora.

– Hai finito?

– No, non ho ancora iniziato, nel frattempo ho messo a posto la cucina

Silenzio

– Da solo?

– Si, non ti dico in che condizioni era.

Sorrise

– Senti, volevo dirti che ho sentito una mia amica e mi trasferisco da lei per stanotte

Stavolta ero io senza parole

– Rino?

– Si, ci sono.

Ero dispiaciuto e si sentiva

– Scusami, non riesco a rintracciare mio fratello, ho avvertito nonna, potremmo andare insieme in auto domani, mia nonna non è molto distante da Saint Marcel, che ne pensi?

Si ero dispiaciuto, ma l’idea mi piaceva

– Certo!

– Bene, allora ti mando l’indirizzo, a domani, in bocca al lupo per il colloquio.

E già, il colloquio!

Non ci fu nessun colloquio!

Il proprietario ad una certa ora mi avvertì che lo chef e la brigata di cucina si erano licenziati in tronco, era disperato, aveva delle ordinazioni per dei tavoli e mi pregò di dargli una mano e così fu.

Alle quattro di mattina terminai il servizio, voleva che tornassi il giorno dopo, ma gli dissi di no e mi diede duecento euro per avergli salvato la serata.

Tornai a casa e trovai tutto intatto, Aurora non aveva usato nulla, tante erano le domande senza risposta, ma stanco e distrutto così com’ero mi misi a letto e dormii profondamente.

Ed eccomi qui, letteralmente in mezzo ad una strada in sua attesa, ero arrivato in anticipo, presi un caffè e chiesi delle indicazioni stradali e dopo mi riportai sotto al palazzo dove avevo parcheggiato l’auto, alle undici precise si aprì il portone, ma non era lei, uscì una ragazza bionda mozzafiato, aveva una tuta pantaloncini corti e canottiera nera che mostrava in pieno il suo bellissimo corpo, si avvicinò sorridendo, era talmente evidente la mia sorpresa

– Tu devi essere Rino!

Quasi balbettando

– Si, e tu?

Sorrise

– Tara, l’amica di Aurora.

Solo allora realizzai che lei non c’era

– E Aurora?

– E’ partita!

Così dicendo, mi diede un foglietto

– Mi ha detto di darti questo, ciao.

E si avviò correndo.

Inebetito la guardai, senza parole, si girò, salutai come un deficiente e lessi il foglietto

“ Scusami, non avendoti sentito ho pensato che avresti fatto tardi stanotte e non ti ho chiamato sul cellulare,  mio fratello viene…”…

…segue…
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10 Gennaio 2024 – A.G.M. – Affetto Geneticamente Modificato

2022, otto anni dopo.

Sono all’aeroporto di Capodichino, devo fare solo due fermate, il tempo di passare a via Posillipo dal Notaio e al Cimitero Monumentale di Poggioreale.

Chi l’avrebbe mai detto?

Tornare a Napoli dopo otto anni passati negli Stati Uniti, mai avrei immaginato di trovarmi qui adesso, esco e l’afa del mese di giugno mi coglie impreparato…

già…

… oramai sono abituato a vivere in ambienti con l’aria condizionata a palla e tra un trasferimento e un altro in aerei dove bisogna indossare il golfino anche d’estate per le temperature basse nell’abitacolo.

Mi avvio verso la postazione dei tassì e dopo un attimo mi trovo a guardare con occhi diversi la mia città, già quella da cui mi sono allontanato dopo la morte della mamma, il cuore si stringe al suo ricordo, era una mattina di fine giugno, prossimo alla fine dell’anno scolastico e lei professoressa nel Liceo più conosciuto e invidiato di Napoli, la mattina mi aveva salutato dicendo

– Allora, nel fine settimana andiamo a Sorrento, sei con noi?

Disse rivolta verso mio padre, immerso nella lettura del giornale

– Alfio, mi hai sentito?

Spostò la pagina degli esteri

– Ma certo cara, andiamo a Sorrento!

Soddisfatta si rivolse verso di me

– E tu?

L’adoravo e nonostante la mia età, quasi ventidue anni, ero innamorato di quella donna, forte e energica quando ci voleva, dolce e mamma sempre

– Si mamma!

Venne per darmi un bacio sulla fronte

– Oggi…

– Vado a ritirare la tesi rilegata a Portici e la deposito in segreteria per la seduta di laurea, la prossima settimana.

Mi abbracciò

– Non posso crederci, hai bruciato tutte le tappe, e poi…

La guardai contento e riposi

-…si vedrà!

Solo allora mio padre spostò il giornale

– Lo sai che potrei darti una mano, vero!

Già, mio padre lavorava presso l’Ambasciata Americana a Napoli come addetto stampa, più volte mi aveva esortato a fare domanda per uno stage all’estero ed io gli avevo sempre risposto

“ Dopo la laurea.”

Ma adesso era il momento, ero prossima alla seduta di laurea, non potevo rimandare oltre

– Farò domanda papà!

Soddisfatto, si alzò e si diresse verso la sua scrivania, prese un foglio e me lo portò

– Se vuoi firma qui.

Lo guardai sorpreso e lui

– Ero certo che avresti accettato!

Vidi la mia richiesta già pronta e senza tentennamenti firmai.

Lui soddisfatto

– Verrà registrata oggi, auguri figlio mio.

Guardai mamma interrogativamente

– Sapevo già tutto!

Mi alzai per abbracciarli e poi come i grani del rosario uscimmo di casa in tre…

…non sapevo quella mattina che a fine della giornata…

… saremmo rimasti in due!

Nascosi il viso, le lacrime scendevano senza che io potessi fermarle, il tassista se ne accorse

– E’ da tanto tempo che manca da Napoli?

Era l’anima dei napoletani, il loto istinto, il desiderio di confortare una persona che sta piangendo seppur sconosciuta, annuii e lui soddisfatto

– E’ bella la nostra città, unica al mondo.

Non poteva sapere cosa mi stesse passando per la testa, ma era contento delle sue parole, lo lasciai fare, la prima fermata fu dal Notaio, chiesi di attendermi al tassista, il tempo di salire e ritirare delle chiavi e scesi, appena entrato

– Al Cimitero di Poggioreale per favore.

La sua faccia lasciva trasparire tutto il suo stupore, ma poi riprendendosi con una certa riverenza

– Subito, signore!

Quando arrivammo, guardai l’orologio non appena uscii dall’auto, avevo solo mezzora prima di prendere il prossimo aereo

– Potrebbe attendermi, ho un volo tra poco.

Stupito

– Già riparte?

Era leggermente deluso

– Si, mi attendono a Bari stamattina.

Aveva gli occhi stralunati

– Certo!

Volevo pagare in anticipo la corsa già effettuata, ma lui

– Mi offendete signore, ci vediamo dopo.

E mi aprì il cofano.

Presi una sacca delle due che avevo con me e non potetti fare a meno di guardarlo

– Posso aiutarla?

– No grazie, devo depositare una cosa e torno.

Quando arrivai alla Cappella della mia famiglia, non avevo più saliva, aprii con le chiavi e tolsi dalla sacca l’ulna con le ceneri di mio padre depositandole nella cripta di fianco a quella di mia madre, tutto era già stato scritto sulla lapide, cercavo di non guardare la tomba di lato, avevo paura di sentirmi male, poi mi feci coraggio e ad alta voce

– Ecco, era quello che avevi desiderato, riposare in pace vicino a lei!

Baciai le due lapidi, e

– Mi raccomando da lassù proteggetemi, adesso sono proprio solo!

Il ritorno verso l’aeroporto fu silenzioso e il tassista nulla mi chiese, ma quando fu il momento di pagare

– Dottore, pagatemi solo la prima corsa…

Rimasi stupito

-…quell’andata al Cimitero la offro io.

Ero senza parole, lo pagai e gli lasciai una mancia notevole

– Grazie.

Ci abbracciamo come fanno due persone che si conoscono da tanto, mi lasciò scivolare un biglietto da vista in tasca e

– Vi ho seguito alla Cappella, ero preoccupato con quella borsa in mano, poi ho capito, per qualsiasi cosa, che so, un fiore, una messa, contate su di me!

Ci stringemmo la mano vigorosamente, avevo le lacrime che scendevano, non mi aspettavo tanta attenzione da uno sconosciuto, per un attimo mi ero dimenticato di essere in un luogo dove tutto può accadere…

…Napoli…

– Grazie per tutto, ci risentiremo presto.

E mi avviai all’imbarco…

… destinazione Bari!…

…segue…

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9 Gennaio 2024 – Una seconda opportunità.

Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.

Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!

Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.

Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.

Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.

Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono

– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!

Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino

– Per cosa?

– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!

Ero meravigliato, un provino? A noi?

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?

Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina

– Ma dove vai a quest’ora?

Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…

…suonò il campanello, erano loro!

E questo fu l’inizio della fine!

Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:

“The boys band”

I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti,  increduli …

…e così, ci perdemmo!…

…segue…su…

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8 Gennaio 2024 – Il coraggio di resistere!

Aeroporto di Milano

Cosa stavo pensando?

Un anno fa, mi trovavo nella stessa sala d’attesa, quella mattina dovevo partire per Madrid in Spagna, avevo vinto una borsa di studio di tre mesi per un approfondimento della Legge internazionale sulle adozioni, ma…

…già, ma…

…squillò all’improvviso il cellulare…

…e tutto cambiò!

La mia vita non era stata facile, orfana dei genitori a quattordici anni, io e mia sorella più grande di cinque anni ci trovammo all’improvviso catapultati in un’altra città, Caraglio in provincia di Torino, a casa della nonna materna, fu lei che da quel momento in poi ci accolse e ci guidò.

Poi, purtroppo mia sorella una sera tornando dal lavoro a soli trent’anni perse la vita per un maledetto tir che la travolse…e per me fu un colpo mortale, fui fortunata che la nonna, ormai oggi novantenne con uno spirito di una trent’enne, cercò di risollevarmi dal buio completo in cui ero caduta

– Figlia mia, lo so che ti manca, ma la vita deve andare avanti.

Piangevo, erano due settimane che non uscivo di casa

– Ma come faccio nonna, sono rimasta…

Lei mi accarezzò i capelli

– Non sei sola, siamo insieme!

E mi abbracciò!

Già, quella telefonata in aeroporto mi cambiò la vita e ancora non sapevo di quanto, guardai il display, era la clinica dove era ricoverata per un controllo mensile la nonna

– Pronto…

E tutto cambiò!

Raccolsi le mie cose, mi fiondai alla ricezione dei voli e mi feci rimborsare il biglietto, fui fortunata, non volevano, mancavano pochi minuti all’imbarco, ma c’era una ragazza più o meno della mia età, non era riuscita a trovare un biglietto per Madrid e quando sentì quello che stavo chiedendo

– Vendilo a me!

Non ci pensai due volte e glielo feci pagare la metà, non la finiva di ringraziarmi e poi, di corsa alla stazione dei tassì, entrai nel primo

– Clinica Nostra Signora di Guadalupe prego.

Tornai a casa a notte inoltrata, mi raggomitolai sul divano e piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste, in clinica

– Lei è la nipote Cloe?

Lo guardai, avevo un velo davanti agli occhi

– Si

– Mi dispiace averla turbata, sua nonna non voleva, sapeva che era in aeroporto…

Lo fermai, stropicciandomi gli occhi per scacciare il velo

– Mi dica!

Fu sorpreso

– Così giovane e così determinata!

– Grazie.

– Sua nonna ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, purtroppo non è in convenzione con l’ASL, dobbiamo intervenire sul cuore prima che sia troppo tardi, mi dispiace….

Le sentivo, le gocce di pianto, ma le ricacciai

– Quanto verrebbe a costare?

Era titubante

– Dottore?

– Tutto compreso…

Si fermò

-…diecimila euro! Cinquemila all’accettazione e gli altri al termine dell’operazione dopo la degenza.

Un colpo allo stomaco mi avrebbe fatto meno male…

…diecimila euro…un’enormità!

Con quest’animo l’indomani mattina mi recai a Torino, ero determinata a chiedere un prestito dando in garanzia il monolocale che avevo acquistato un anno prima con i soldi che mi avevano lasciato i miei genitori, il risarcimento dell’incidente di mia sorella e una quota parte dei soldi che mi aveva voluto donare mia nonna per evitare che facessi la spola tra Milano e Caraglio e la Facoltà di Giurisprudenza di Milano.

Ma nulla!

I soldi mi servivano in una settimana e tra banche e finanziarie, pur essendo notevolmente interessate ad acquisire la garanzia del monolocale, risposero che per istruire la pratica e portarla a termine ci voleva circa un mese.

Presi il treno ad alta velocità per Milano delle diciotto, ero stanca e delusa, non sapevo proprio a quale santo votarmi, ero a digiuno e mi avviai verso il distributore automatico per prendere qualcosa, lì vicino c’erano due ragazze che stavano parlottando concitatamente, pur non volendo

– Ma io lo denuncio…

Disse la più giovane sui ventitré anni…

E l’altra

– …ma perché non mi hai fatto entrare…

– Non ha voluto…

– Ma cosa è successo?

Lei diventando rossa dalla rabbia, guardandola diritto negli occhi

– …mi ha offerto del denaro per restare incinta…

Mi scappò il caffè dalle mani, si accorsero di me solo allora e disorientate immediatamente

– Andiamo via!

E lasciò cadere un biglietto in tanti pezzi a terra!

Giuro, non sapevo cosa fare, le guardai allontanarsi, ero sola nel vagone ristorante, quasi in uno stato ipnotico raccolsi quei quadratini, nascondendoli in tasca come se avessi rubato qualcosa.

Arrivai a Milano verso le diciannove, c’era un treno in partenza sul binario opposto, guardai, era diretto a Torino, non so cosa, saltai sul treno…

– Pronto?…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

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Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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Solo 15 euro, è il costo di un aperitivo al bar per una persona, in cambio, tanta emozione, tanta avventura, amore e passione!
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7 Gennaio 2024 – La forza della verità. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Mi chiamo Rosario Adalberto Castelmonte, sono un giovane avvocato penalista, non so bene perché sento il desiderio di scrivere questa storia, ma mi ha cambiato la vita, forse sarà per non dimenticare, forse per dare coraggio a chi non ce l’ha o a chi l’ha perso, forse… chissà!

Sono in procinto di entrare in tribunale, sono l’avvocato difensore di una persona, fin qui tutto è normale, ma non per me, la persona in questione è stata accusata sette anni prima, di essere stato l’esecutore della morte dei miei genitori fatti saltare in aria con una carica di tritolo ed è stato condannato all’ergastolo.

Ma andiamo per ordine, così si potrà capire meglio come sono arrivato a questa decisione, in nome di chi o di cosa e perchè sono così emozionato, oggi!

Tutto è iniziato un anno prima, fui chiamato da un notaio di Reggio Calabria, i miei zii mi diedero la notizia della sua convocazione al ritorno dallo studio di un avvocato dove avevo percorso e terminato il periodo di praticantato e dove mi stavo preparando per l’Esame di Stato per l’abilitazione alla pratica forense, guardai la busta

– Cos’è?

Ero molto meravigliato, vedevo mia zia Anna titubante mentre mi porgeva la lettera aperta, sull’indirizzo, c’era il nome di mio zio e poi sottolineato a mano, per l’Avv. Rosario Adalberto Castelmonte

– E’ per te!

Solo due righe:

“La signoria vostra è attesa alle dieci del giorno 23 allo studio del notaio Persepoli alla via Avellino – Reggio Calabria”

Entrò zio Antonio, ostentava un’aria tranquilla, ma si vedeva, era agitato

– Lo conoscete zio?

Lui mi guardò strano

– No Rosario, ma penso sia importante, la lettera è stata portata a mano da un corriere venuto apposta da Reggio Calabria un’ora fa.

Era chiaro, quei due mi nascondevano qualcosa, ma feci finta di non averlo capito

– Ma come faccio, domani nel pomeriggio ho gli esami di stato per l’abilitazione.

Entrò Sara la governante di casa

– La cena è pronta!

Si alzarono contemporaneamente, poi mentre stavano per uscire dal salone

– Non vieni?

Erano sette anni che vivevo con loro, a Gioiosa Ionica, avevo venti anni  quando i miei genitori furono uccisi in un agguato sull’Aspromonte, mi accolsero a casa loro, non avevano figli e mia madre era l’unica sorella di zia Anna, mio zio era un avvocato penalista come mio nonno, mentre mio padre era un avvocato civilista.

Non avevo altri parenti oltre a loro e a mio nonno, ma anche lui mi lasciò presto,  sono passati sei mesi dalla sua morte e mi manca tanto, era un uomo molto attivo nonostante avesse all’epoca quasi settanta anni, si ammalò gravemente e gli ultimi due anni della sua vita, a settantasette anni, li aveva vissuti in una clinica specializzata a Milano nel vano tentativo di trovare una soluzione al suo tumore.

Spesso l’andavamo a trovare, ma per lui era terribile farsi trovare in quelle condizioni, quando era lucido chiacchieravamo molto, per vicende familiari non avevamo passato molto tempo insieme negli anni precedenti, l’ho  sempre trovato in clinica con il suo computer in funzione, poi verso la fine della sua vita, io parlavo e lui ascoltava, mi chiedeva degli studi e mi ascoltava, i suoi occhi erano le sue risposte, non aveva nemmeno più la forza di rispondermi!

Fu lui che mi diede la forza di continuare dopo la morte dei miei genitori, mi spronava con delle email e delle lettere, quando era ricoverato in clinica le lettere le scriveva un infermiere e con il suo aiuto e quello degli zii, riuscii a laurearmi e a fare il praticantato presso un compagno di studi di zio Antonio.

A tavola regnava il silenzio, continuavo a pensare a quella convocazione, esclamai mentre mangiavamo

– Cosa potrebbe essere?

Rimasero con il cucchiaio a mezza aria

– Non ti arrovellare Rosario, domani sapremo, io e zio Antonio abbiamo deciso di accompagnarti con la macchina e poi rientrare per tempo per gli esami di stato, che dici?

Risposi annuendo, solo con un cenno della testa.

.-.-.-.-.-.-.-.-..-.-.-

Sono senza parole, siamo di ritorno dal notaio, nessuno parla in auto, ho la cartellina in mano, mai e poi mai me lo sarei aspettato, si è vero, sono contento mio nonno ha avuto un grande pensiero per me, non me ne aveva mai parlato, solo una volta mi ricordo, eravamo a casa nostra a Palermo, era il compleanno di mamma, venne all’improvviso facendola contenta, poi nel pomeriggio dopo pranzo, eravamo seduti fuori al terrazzino del nostro appartamento e anche studio di mio padre, con la vista sul mare

– Appena posso ti vengo a prendere, devo portarti in un posto speciale.

Mi disse

– Dove nonno?

– Lo vedrai!

Fu l’unica volta e anche l’ultima, certamente si riferiva a quello che adesso mi aveva donato, poi la tragedia dei miei genitori, lui si ammalò dopo qualche anno e non se ne parlò più.

Ero più che emozionato

– Perché?

Dissi ad alta voce, mi rispose zia Anna, zio Antonio non si distrasse dalla guida

– Ti mentiremmo se non ti dicessimo che non ne eravamo a conoscenza, un anno fa, mentre tu scendesti a comprargli quel libro che ti aveva richiesto, espresse questo desiderio

“So che non devo chiedere nessun permesso, ma voglio anticiparvi che desidero lasciare la casa dei miei genitori di Sanbruno a Rosario, li ho iniziato la mia carriera di avvocato ed è li che lui dovrà iniziare a praticarla, questa sarà l’unica condizione per accettarla”

– E voi?

Zio Antonio

– Abbiamo protestato, questa richiesta per noi era assurda e poi ti avrebbe portato lontano da noi, ma fu irremovibile, disse: “Certo sarà un sacrificio, ma lui è forte, mi somiglia e poi deve portare a termine una cosa”,  chiedemmo cosa, ma non ci volle dire nulla e non ne parlò più.

Ecco con quest’animo mi presentai agli esami di stato, inutile dire che avevo accettato e dopo la firma dal notaio, ricevetti una busta formato A3 e riconobbi immediatamente la sua scrittura :

“Da aprire solo a Sanbruno. Tuo nonno, un abbraccio.”

Aspettammo i risultati dell’esame, qualche giorno,  ma non riuscii nemmeno a godere dell’esito positivo, dovevo partire, il tempo di preparare le mie cose e con gli zii e con la loro auto arrivammo a Sanbruno, sembrava una caccia al tesoro, mio nonno aveva previsto tutto, il notaio tramite corriere in ventiquattro ore mi fece avere tutti i documenti che attestavano il passaggio di proprietà e i relativi contratti delle utenze a nome mio e con grande sorpresa notai anche la presenza di un vano negozio che mi aveva donato e un terreno poco lontano dal paese di circa un ettaro.

La notte prima di partire non riuscivo a dormire, si è vero, avevo da parte i soldi dell’assicurazione sulla vita di mio padre, i miei zii non vollero che toccassi mai quei soldi, era una bella cifra, ma era altrettanto vero che ero all’inizio della mia carriera e per di più adesso mi stavo spostando dove non conoscevo nessuno, era una sfida quella che mi aveva proposto mio nonno ed io ne ero nel contempo ero orgoglioso e preoccupato.

Mi zia era la più emozionata, sia perché prendevo il volo da solo e sia perché ritornava a Sanbruno dopo molti anni, mi raccontò,  mentre eravamo in viaggio in auto che mancava dalla morte della madre e aggiunse che il nonno non aveva mai lasciato lo studio inattivo e una volta al mese arrivava da Reggio Calabria a Sanbruno,  per continuare l’attività di suo padre fino all’inizio della sua malattia e nonostante tutto, anche dopo era sempre rimasto in contatto tramite il computer con un suo collaboratore residente in quella città.

L’ascoltavo, ma le sorprese non finirono qui, quando arrivammo, immaginavo di trovare un appartamento, invece mio zio continuava a salire dei tornanti e da lontano vidi la croce di una chiesa, una piazza e un edificio poi un piccolo borgo, si fermò, non era un appartamento, ma l’edificio sulla piazza era una casa padronale su due piani, scesi meravigliato dall’auto

– Ma zia?

Sorridente ed emozionata

– Si Rosario questa è la nostra casa paterna, qui io e tua madre abbiamo vissuto da bambine, poi papà decise di ingrandirsi e ci trasferimmo a Reggio Calabria.

Entrammo nel portone, c’era un cortile non molto grande ma capiente, un’auto parcheggiata e  in fondo un giardino con degli alberi da frutta, non c’erano i frutti, ma fui stupito dalla pulizia e da quel manto verde così curato a terra, poi mi sentii chiamare

– Vieni che ti faccio visitare casa, quella e l’auto di papà.

Era zia Anna che mi indicava una mercedes bianca nel cortile

Nel corridoio dopo il portone, c’erano due ingressi laterali, uno di fronte all’altro, sulla destra vidi in alto una targa

“Avv. Adalberto e figli”

Provai un’emozione unica entrando, era lo studio del mio bisnonno, una sala d’attesa, poi un corridoio, a destra uno studiolo, poi successivamente il suo studio, sgranai gli occhi, tutto in radica di noce e fino al soffitto, tanti faldoni e tanti libri, non volendo strinsi la mano di mia zia

– E’ impressionante!

Lei sorrise, poi capii il perché, l’ultima stanza era grande come un appartamento, era la sala riunione, rimasi senza parole, due bagni stile anni ottocento e un’altra porta che portava sul cortile.

Uscimmo da li e passammo di nuovo per l’ingresso, stavolta sulla sinistra

– Questo era il suo doppio appartamento.

– Come doppio?

– Fu sdoppiato dal nonno, con una scala interna, furono fatti dei lavori quando mamma si ammalò e volle venire qui, lei era nata qui e qui voleva morire e mio padre acconsentì e quindi l’appartamento a piano terra fu ristrutturato con la cucina, una sala da pranzo, una da letto e i servizi, perché lei non poteva fare le scale, originariamente era solo una sala da pranzo con cucina e sopra invece c’è l’altra parte dell’appartamento con tre stanze da letto, servizi e la mansarda, rifece fare tutto il riscaldamento, ma in ogni stanza c’è ancora il camino originale.

Troppe sorprese, mio zio fece appena in tempo a sorreggermi, mi sentivo mancare

– Rosario?

Zia corse a prendere un bicchiere d’acqua e mio zio mi fece sedere su una sedia della sala da pranzo

– Ti senti bene?

Ero pallido

– No, è tutto troppo per me!

Presero delle sedie e vennero vicino, mia zia mi teneva la mano, balbettai

– Come farò, è tutto troppo, mi aspettavo un appartamento e mi ritrovo una casa enorme solo per me, non posso chiedervi di venire qui e allontanarvi da Gioiosa, ho paura, perché nonno non me ne ha mai parlato, perché adesso vuole che mi sistemo qui, ho tanti perché nella testa, e nessuna risposta, ecco!

Zio Antonio

– Vedi Rosario, ti ha voluto premiare, sei stato in gamba, spesso mi diceva “farà grandi cose”, tuo padre non andava molto d’accordo con lui e non ha mai voluto avere un aiuto e lui voleva aiutare tua madre, non sopportava che vivesse in una casa in affitto a Palermo, le voleva donare un appartamento, ma lei non volle, chiamò anche Anna per convincerla , ma non volle per non far dispiacere tuo padre, ecco, adesso con questo gesto ha voluto aiutarti ad iniziare, è un dono e lui sa che ne sarai fiero accettandolo, come lui ha fatto con suo padre.

Avevo chiusi gli occhi e me lo immaginai, vedevo il suo viso, sentivo le parole di zio, mentre zia mi accarezzava i capelli e lo vidi finalmente sorridente, quando li riaprii tutto mi sembrava più chiaro

– Avete ragione, sarà lui che mi aiuterà con i miei dall’alto.

Li vidi finalmente rasserenati.

Mentre mia zia preparava qualcosa da mangiare, visitai tutta la casa, tutto era in ordine, era stupenda, ma quando mi affacciai al balcone superiore, quello sull’ingresso, la notai, proprio alla fine della piazza c’era una bellissima chiesa, chiesi notizie  a zia e mi disse che era il Santuario della Madonna della Montagna.

Dopo aver pranzato e aver sistemato la mia roba nella stanza da letto a piano terra, volli visitarlo, quando entrammo avvertii una strana sensazione, ma non dissi nulla, ero certo c’ero già stato o almeno l’avevo sognato, quando uscimmo mi sentivo diverso, prima che si facesse sera, i miei zii si avviarono per ritornare a casa, non volevano, li tranquillizzai e piangendo con abbracci e baci partirono.

No, non ero solo, quell’immagine della statua della Madonna era impressa nella mia mente, accesi il camino,  qui ad oltre ottocento metri d’altezza, faceva freddo e iniziai a fare delle ricerche sul computer  sul Santuario, guardavo la busta che mi aveva dato il notaio, dovevo aprirla, ma non ce la facevo, avevo già avuto diverse emozioni quel giorno, avevo paura di aprirla, poi finalmente stanco mi addormentai così vestito sul divano di fronte al camino e lo scoppiettio della legna mi diede la buonanotte.

Mi svegliai all’alba, stentai a riprendermi del tutto, poi realizzai dove ero, tutto era silenzioso, il camino aveva ancora dei residui accessi, misi dell’altra legna e rimandavo ancora l’apertura della busta, la presi e l’appoggiai sul tavolo in cucina, preparai il caffè e dopo finalmente trovai il coraggio di aprire quella busta, c’era una lettera indirizzata a me

“Caro Rosario, sei spaventato, lo capisco, ma se stai leggendo questa lettera,  sono contento, significa che hai accettato, da Antonio ho saputo che preferisci il penale al civile e questo mi rende ancora di più orgoglioso di te, continuerai la tradizione di famiglia. In questa casa hai vissuto fino ai sei anni d’età, poi tuo padre scelse di trasferirsi a Palermo, i nostri rapporti non sono stati più sereni e tranne qualche mia incursione a casa da te a Palermo, non ho più avuto modo di tenerti qui con me, per quattordici lunghissimi anni…”

Ecco perché mi ricordavo della Madonna.

“…Tuo padre scelse il ramo civile, era il più semplice ed anche il più lungo, non volle ascoltarmi, volevo lasciare le redini qui dello studio a lui, ma tranne che per la Festa della Madonna, dove veniva sempre da solo, i nostri rapporti si erano deteriorati, erano solo discussioni e basta.

Dopo, accadde la tragedia e mai sono riuscito a superare la perdita di mia figlia, vedi nello studio, sotto la scrivania, c’è uno scatolo con tutti gli atti del processo dell’attentato alla tua famiglia, studialo attentamente, ti farà male, lo so, ma ti aiuterà nel futuro nella tua carriera da avvocato penalista.

Ci saranno altre sorprese ma non voglio anticipartele, sappi che ho provveduto dalla tua nascita ad accantonare qualcosa per te. Ho aggiunto quello che non ho potuto dare a mia figlia, tua madre.

Non sarai solo nello studio, conoscerai il mio collaboratore e da lui avrai pieno sostegno e consigli.

Ho una sola richiesta da farti, di concludere una cosa che non ho avuto il tempo di portare a termine, lo capirai da solo quando leggerai gli atti che ti ho descritto.

Ti abbraccio, tuo nonno.”

Sentii il campanello d’ingresso, guardai l’ora, erano le nove, andai al citofono

– Chi è?

– Sono Salvo.

E chi era questo Salvo?

– Sono il collaboratore di vostro nonno.

Dopo una stretta di mano molto vigorosa, restammo alcuni minuti ad analizzarci a vicenda, era un uomo molto robusto, sui sessanta anni, aveva degli occhi luminosi, portava un completo nero da ufficio, impeccabile

– Come siete giovane?

Disse, mi piaceva, sorrisi

– E’ vero, ma mio nonno mi ha lasciato scritto che voi mi aiuterete.

Lui, dopo un guizzo di tristezza, strofinandosi gli occhi

– Era come un padre per me, mi ha tolto dalla strada venti anni fa e mi propose di affiancarlo, mi fece studiare. Mi sono laureato e da allora non l’ho mai lasciato, mi aveva anticipato la vostra venuta, ma vi prego non datemi del voi, io sono Salvo.

Ero meravigliato, aveva detto tutto in una sola frase, non potetti fare altro che ristendere la mano

– Io sono Rosario!

Ci dirigemmo verso lo studio, da Salvo venni a conoscenza che non aveva mai smesso di seguire lo studio, nonostante la malattia e c’erano ancora delle pratiche aperte e non concluse, iniziai a sudare freddo e insieme a lui a studiarle e lentamente iniziai a prendere coscienza del lavoro, passarono le prime tre settimane, interrotte solo la domenica con la venuta dei miei cari zii, felici di vedermi integrato e contento.

Avevo si notato lo scatolo, ma non mi decidevo ad aprirlo, più d’una volta fui tentato, ma solo il pensiero di leggere quelle note, i verbali sulla morte dei miei genitori, mi facevano stare male.

Conobbi la famiglia di Salvo e scoprii che la moglie, una volta a settimana veniva per fare le pulizie a casa e nello studio, non era il suo lavoro ma aveva accettato per amore di mio nonno, lei aveva curato i due figli ed era casalinga a tempo pieno, ora con i figli lontani, avrebbe continuato a farlo per me, presi lo scatolo sotto la scrivania e la portai nel mio appartamento, feci solo un accenno a Salvo del contenuto della lettera del nonno ma mi rispose che ne avremmo parlato dopo la lettura degli atti, così aveva voluto lui.

Mi sembrò strano, ma accettai la risposta, non ero ancora pronto per leggere, ma il destino trova sempre una strada da farti percorrere indipendentemente dalla nostra volontà!

Il mercoledì era il giorno di ricevimento delle persone nello studio, iniziai a guadagnare con le consulenze, lo studio stranamente iniziò ad affollarsi, poi riuscii a capire il perché, era stato Salvo, mi aveva fatto pubblicità, la sera arrivavo distrutto nel mio appartamento, ero ancora troppo giovane e sentivo prepotente il peso e la responsabilità del mio lavoro.

Tutto accadde quella sera, erano le ventidue quando finalmente ci liberammo dallo studio, stavo salutando Salvo, ma complice il buio, inciampai chiudendo il portone, lanciai un urlo di dolore

Salvo ritornò indietro

– Rosario?

Non riuscivo a rispondere, avevo un dolore lancinante alla caviglia del piede destro, lui capì e come se fossi stato un fuscello, mi prese in braccio e mi portò nel mio appartamento, sul divano, dal freezer prese una borsa di ghiaccio sintetico e l’appoggiò sulla caviglia,  finalmente sentii un sollievo

– Vediamo se c’è qualche frattura!

Lo vidi, con mani esperte, piegò il piede, lo potevo muovere ma avevo dolori lancinanti

– No, non c’è frattura!

Il ghiaccio aveva addormentato il punto della caviglia, cercai di rimettermi in piedi, ma per fortuna fui preso al volo da lui

– Non riesco a mettere il piede a terra, forse è meglio andare in ospedale.

– Se vuoi prendo la macchina e ti accompagno, ma ti posso assicurare che non è una frattura è solo una forte distorsione, lo so bene per aver curato i miei figli quando giocando cadevano in malo modo.

Lo guardai interrogativamente

– Allora?

Era pensieroso, riprovò ancora fino al collo del piede, stavo aspettando

– Salvo?

– Posso provare a chiamare una persona.

Era buio pesto

– A quest’ora?

– Si, non abita lontano da qui.

– Ma per fare cosa?

Invece di rispondermi andò verso il frigorifero

– Hai delle uova in casa?

Stavo per ridere, ma poi lo guardai era serio

– Certo!

– Bene, allora non ti muovere, invece di telefonare vado di persona, se vedo la luce accesa, la chiamo, in caso contrario andiamo in ospedale.

Non sapevo cosa intendesse fare

– Va bene!

Cercai di trovare una posizione sul divano per alleviare il dolore, passarono una decina di minuti, sentii aprire la porta

– Rosario sono io.

Stavo per rispondere, quando ammutolii, con lui c’era un’altra persona, vedevo solo il cappuccio sulla testa e qualche ricciolo biondo lungo che fuoriusciva sulle spalle

– Buonasera

Dissi, quasi sottovoce

– Buonasera.

Quando mi rispose, mi accorsi che era una ragazza ma non si girò mai, la sua voce era ferma e giovanile, senza dire altro posizionò una lampada sul mio piede e con delicatezza, iniziò ad esplorarlo, era esperta, il contatto di quelle dita mi procurarono una certa emozione che si tradusse immediatamente  in un fremito per tutto il mio corpo, quasi vergognoso di questa sensazione, mi imposi di stare calmo, cercavo di vederla, ma lei faceva di tutto per evitarmi.

Salvo nel frattempo aveva portato le uova e un piatto con una ciotola sul tavolino alla fine del divano, lei estrasse dalla borsa una garza lunga, bianca e immacolata, prima di posizionarla sulla caviglia, con un canovaccio bagnato dolcemente tamponò la caviglia, strano, non sentivo nessun dolore, stavo…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

6 Gennaio 2024 – Il “Principe” – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Roma stazione Termini.

Mai mi sarei aspettata quella raccomandata, ero certa che sarebbe stata solo una prova il partecipare al concorso in magistratura, che cavolo mi dicevo, ho solo venticinque anni e di certo ci saranno molti altri partecipanti più preparati di me.

Era un maxi concorso per 250 posti in tutta Italia, mio padre mi convinse e …

…dopo due mesi dal concorso mentre ero nel locale di mio padre a dare una mano, arrivò il postino e mi diede quella busta gialla indirizzata all’Avvocatessa Anna ……..

…mi tremavano le mani, aveva di sfuggita visto l’intestazione della busta

“Ministero di Grazie e Giustizia”

…mi trovai piegata in due per terra

– Anna che ti succede?

Non riuscivo a parlare, alzai solo la mano destra e mio padre prese il foglio, dopo poco

– Bambina mia, ce l’hai fatta!

Esclamò prima di abbracciarmi per terra, stavamo piangendo, ma fu solo un attimo, i miei occhi si rivolsero sulla mensola sopra la cassa, c’era una foto, era della mia mamma…

…guardai meglio…

…sembrava che sorridesse, strinsi ancora più forte mio padre

E lui

– Tua madre sarebbe orgogliosa di te, ma sono certo che da lassù sta esultando con noi.

Ecco!

Questo era quello che pensavo mentre ero in treno da Milano per Roma, ero stata convocata dal Ministero per conoscere la nostra destinazione di lavoro, dal documento si evinceva che ero la duecentoquarantaseiesima vincitrice…ma non mi importava nulla…avevo bruciato tutte le tappe della mia università e a solo ventitre anni mi ero laureata, partecipai l’anno successivo all’esame di stato e riuscii a vincerlo…

…e tutto questo perché mia madre era affetta da un male terribile e non volevo che lei non partecipasse alla gioia con me…

…e c’ero riuscita!

Ma…

… dopo la sua morte caddi in depressione, furono sei mesi terribili e mio padre tentò tutte le strade per farmi riprendere, lui non avrebbe voluto che l’aiutassi nel locale di mia madre, ma io ero  irremovibile, avrebbe voluto che aprissi uno studio legale, ma non volli e allora accettò solo dopo che avevo promesso di partecipare al concorso in magistratura.

Avevo promesso e non potevo non mantenere, anche se questo mi costava molto, di giorno lavoravo con lui al ristorante e di notte studiavo per il concorso…

…ma alla fine aveva avuto ragione lui, c’ero riuscita e a soli venticinque anni!

Avevo prenotato una camera nell’albergo più vicino, mi rinfrescai e scesi, quando arrivai al Ministero mi tremavano le gambe, all’ingresso c’erano i controlli della sicurezza, versai quelle poche cose che avevo dalla mia borsa e nelle tasche

– Signorina perché è venuta al Ministero?

Ero così assorta che non avevo sentito, poi

– Signorina?

Mi girai e c’era un signore sui cinquant’anni che aveva un foglio in mano

– Mi scusi?

– Di nulla, dovrebbe rispondermi…

Era sorpresa

– …ho qui l’elenco dei visitatori ammessi alla Cerimonia di insediamento dei nuovi magistrati della repubblica e lei non è nell’elenco…

Disse continuando a guardare il foglio, la mano mi tremava, ma cercai di non farlo notare, dalla tasca della giacca presi la preziosa raccomandata che avevo lasciato per ultima nel consegnarla per i controlli e…

…fu un attimo, come vide la busta gialla e cambiò espressione, con una velocità notevole lesse solo il nome

– Mi dispiace, non avevo capito, ma ora so chi e lei.

E con un cenno della testa ai vigilanti immediatamente mi ridiedero le mie cose e si avvicinò

– Venga con me, l’accompagno io!

Ero meravigliata da quell’uomo e lui capì

– Sono il capo dipartimento delle relazioni con il pubblico.

Ecco perche!

Fu la mia fortuna, la testa mi girava per tanta bellezza, c’era uno scalone che saliva al piano superiore contornato di statue, alzai gli occhi e vidi una cupola fatta di vetro che emanava una luce abbagliante sui numerosi marmi che tappezzavano le pareti, ma nulla fu a confronto quando quell’uomo

– Ecco, siamo arrivati, prego!

Si spostò e mi sorrise

– Grazie.

Lui scomparve e io rimasi a bocca aperta, eravamo nell’aula magna più grande che io avessi mai visto, rimasi talmente stupita che non mi resi conto di una hostess che mi stava dando una cartellina, la presi in automatico ringraziando e mi guardai intorno, vi era una moltitudine di persone di una certa età, mi feci piccola cercando un posto alla fine per non farmi notare, ma inaspettatamente la hostess

– Dottoressa mi segua.

E come una imbambolata la seguii, ma quando mi resi conto che mi stava portando in una delle prime file

– Mi scusi, ma non penso che questo sia il mio posto.

E lei, indicando il palco

– Non sono io che ho deciso, è stato quell’uomo che è lì sopra…

Mi girai, ed era quella persona che avevo incontrato all’ingresso che parlottava con il Presidente

-…ci ha raccomandato di portarla qui!

E mi lasciò interdetta, di fianco avevo due persone di una certa età, una delle due all’altra

– Mi hanno detto che il Presidente deve fare un comunicato prima di chiamarci…

E l’altra

– Speriamo bene, ho l’aereo di ritorno a casa tra due ore e sono la tredicesima, non vorrei perderlo, chissà dove mi manderanno…

Per uno strano caso, si rivolsero verso di me entrambe a e all’unisono

– Lei è una giornalista?

Le guardai e non volevo essere scortese

– No, sono una vincitrice del concorso!

Si portarono le mani alla bocca e poi…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

…segue…

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5 Gennaio 2024 – Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Fine – Terzo capitolo “Vita Reale”

Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Fine – Terzo capitolo “Vita Reale”

è una SORPRESA!!!…

segue la…

Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Secondo capitolo “Il Castello”

.-.-.-.-.-.-.-.–.-.-.–.-.–.-..-
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Araldo Gennaro Caparco

4 Gennaio 2024 – Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Secondo capitolo “Il Castello” di Araldo Gennaro Caparco

segue…

Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Primo capitolo “Il Maestro”

Il Castello

Eravamo quasi arrivati, la strada era quella ne ero certo, alla fine della discesa dalla collina, il Maestro mi fece notare, degli uomini armati.

Già che ci facevano li in mezzo al nulla?

La mercedes, filò veloce e la macchina di scorta a ruota, terminammo la discesa, ci portammo sulla statale, dopo il capanno di vimini, c’era una stradina seminascosta, con una sbarra, si alzò immediatamente per poi richiudersi velocemente.

Tenevo la mano di Isa stretta nella mia, era completamente rapita dal panorama, ma non diceva nulla, la maternità dei gemelli, l’aveva resa ancora più bella, i lineamenti si erano rassodati un poco, ma lentamente stava ritornando come prima.

Aveva un completo bianco di pantaloni e camicetta, mettevano ancora più in risalto i capelli biondi che scherzavano sul suo petto ad ogni fruscio d’aria.

.-  Ohhhhhh

Era Isa:

– Ma è uno splendore!

Eravamo quasi alla fine della strada e si intravedeva il Castello in fondo, anche il Maestro era incuriosito, l’unico non tranquillo ero io.

Non mi chiedete il perché, non c’era nessuna ragione apparente, ma non ero sereno.

Scendemmo tutti dalle auto, i quattro della scorta si posizionarono all’ingresso del Parco, n attesa c’era un signore dall’età direi sui settant’anni, ci aspettava:

– Benvenuti, lo Sceicco vi sta aspettando.

Ecco chi era uno sceicco!

Ma come ho fatto a non pensarci, il porto, la squadra a disposizione, la strada sulla collina, gli uomini armati.

Mentre venivamo accompagnati, verso l’ingresso del Castello, la persona ci illustrava le culture del corridoio centrale del viale:

– Qui alla mia destra c’è un limoneto, protetto dalla rupe di sopra e dai canneti, a sinistra, il giardino delle spezie, diviso in grandi rettangoli, protetti dalle piante mediterranea, fanno ombra quando il sole è alto, di seguito il roseto voluto dalla Signora dello Sceicco e di lato l’agrumeto con vari tipi di piante.

Era un posto da favola, non c’è che dire, colori a profusione, profumi inebrianti, tutto curato e ordinato, Isa si fermò ad ammirare dalla terrazza, vicino all’agrumeto, il mare sottostante, cristallino, da sopra si vedevano le rocce sommerse dall’acqua, poco distante c’era un grosso yacht, ormeggiato, segno del fondale molto alto.

Non so quanti di voi hanno letto David Copperfield di Charles John Huffam Dickens , ma quel signore mi aveva dato una brutta impressione, da quando l’avevo visto l’ho paragonato a Uriah Heep, il cattivo, il subdolo di quel bellissimo racconto, il modo di comportarsi, il parlare sommesso, la schiena incurvata in segno di umile servilismo, mi aveva dato fastidio.

Poi un’altra cosa mia aveva colpito, il Parco era stupendo, ma era come se non avesse un’anima, era come una cartolina che si acquista per mandare i saluti, l’una vale l’altra, non c’erano segni di utilizzo, era vuoto!

Un senso di smarrimento, ecco quello che sentivo!

Arrivammo all’ingresso, entrammo in un salone ampio e ricco di vasi, quadri, poltrone e divani, luminosissimo, il Fattore, perché così si definì quando terminammo la nostra passeggiata, fece un segno a dei camerieri di portarci delle bibite e fece segno di accomodarci.

Il Maestro aveva con se il cofanetto, in una borsa di pelle, l’appoggiò vicino e stava parlottando con Isa, nel frattempo la mia innata curiosità e quel senso di malessere, invece di sedermi con loro, mi portai verso una finestra dalla parte posteriore del salone, e vidi, anche li era presidiato da alcuni uomini armati.

Ero così preso, non mi accorsi di nulla, Isa con un colpo di tosse mi richiamò.

Era lo Sceicco, nel suo abito bianco immacolato, una cintura alla vita, portava uno stiletto di cui si vedeva l’elsa luccicante, con un turbante di vari colori, entrò con due persone, stavano ad un passo dietro, aveva si e no cinquant’anni:

-Benvenuti

Un sorriso ampio, sciolse la tensione di quel momento.

Il Maestro si alzò in segno di riverenza:

– Mi dispiace dell’increscioso errore.

E lui:

– Mi dispiace, di non potervi ospitare come dovrei, ma quando sono stato avvertito, ho sentito il desiderio di ringraziare la persona che così velocemente aveva rasserenato la mia esistenza.

Ci accomodammo dopo le presentazioni e ci fu servito del te, in un servizio di porcellana di una ricchezza incredibile.

Dopo questo rito, in perfetto silenzio, lo Sceicco fece un gesto e si avvicinò uno dei due entrati con lui, porgendo il plico al Maestro, lui fece lo stesso e consegno quello in suo possesso:

– Non guarda?

Era lo Sceicco.

-Perché dovrei?

Rispose il Maestro, riponendo il plico nella borsa di pelle così come l’aveva ricevuto.

Si vide lo stupore sul viso dello sceicco, poi come se stesse seguendo il corso dei suoi pensieri, iniziò a parlare:

– Mancavo da qui da tre anni, devo ringraziarla non solo di avermi riportato il regalo che domani farò a mia moglie per il 28° anniversario di matrimonio, ma perché mi ha dato l’opportunità di ritornare qui.

Il Maestro, ascoltava rapito il suo perfetto italiano, fece cenno di non capire quello che voleva dire, ma lui:

– Alle volte ci sono luoghi dove non si vorrebbe più ritornare, ero a Capri ieri e per evitare di farle fare un viaggio lungo, ho deciso di venire qui. Sono sceso dalla barca, solo quando i miei uomini mi hanno avvertito via radio che eravate arrivati.

Non potevo, forse non dovevo!

Ma il suo tono si andava abbassando sempre di più, era quasi rotto in gola mi aveva colpito:

– Sono molto colpito dalle sue parole, forse sarò indiscreto, ma posso farle una domanda?

Mi guardò come se mi avesse visto per la prima volta, i suoi occhi si fissarono sui miei, poi quasi come un senso di liberazione:

– Mi dica giovane signore!

Non devo balbettare,  Isa mi guardava incredula, il Maestro era accigliato segno di preoccupazione, ed io:

– Ho ammirato il suo Parco, esplosione di colori e aromi, segno di gioia e di cura continua, ma nell’aria non ho sentito la stessa sensazione, è stata solo una mia impressione?

Lo Sceicco si alzò, imponente faceva quasi paura, ad un suo gesto, fece allontanare tutti dalla sala, poi si voltò verso il Parco e disse:

-Sono meravigliato della sua sensibilità, ammiro le persone che cercano di darsi delle risposte e hanno il coraggio di chiedere.

Mi aspettavo una stoccata, mi avrebbe di sicuro tramortito, ma così non fu:

– Lei ha ragione, quello che ha detto risponde a verità, non so come abbia fatto ma ha colto in pieno il mio pensiero. Si, è vero, non c’è anima, qui tre anni fa ho perso l’unica figlia che avevo…

Volevo morire!

Non era mia intenzione ferire nessuno, ma oramai la frittata l’avevo fatta:

– Signore…

Dissi io.

Lui si girò verso di me, non era arrabbiato, ma quasi sollevato:

– La mattina facemmo colazione in questa sala, eravamo una trentina di persone, erano quasi le 10.00, Yahra espresse il desiderio di fare un bagno prima dell’ora di pranzo, io è la madre acconsentimmo, insieme con le amiche, presero un motoscafo ormeggiato e si allontanarono verso il largo, aveva 21 anni. Stavo ancora guardandola dalla terrazza, quando dopo pochi minuti, ci fu l’esplosione.

Si accasciò sulla poltrona, Isa si alzò e verso dell’acqua in un bicchiere, la ringraziò con gli occhi.

– Giuro io non volevo, sono mortificato!

Lo ero veramente, non potevo credere a quello che stavo sentendo, cercavo un riparo , volevo scomparire all’istante, alle volte il silenzio è la cosa migliore da fare, ma come mi era venuto in mente:

– Non è colpa sua, lei non poteva sapere, però mi ha dato l’occasione di liberarmi di questo peso che porto da anni dentro il cuore, non sono arrabbiato con lei, si tranquillizzi.

Solo allora, Isa si accorse, stavo tremando come una foglia, mi venne vicino:

– Non volevi e ne sapevi, stai tranquillo.

Accompagnato da lei, mi sedetti anch’io, volevo piangere ma non potevo!

Come sempre venne in mio aiuto il Maestro:

– Dispiace per la sua grave perdita, mio genero è giovane, impulsivo ma di certo non voleva ferirla.

E lui

– Lo capisco, ed è proprio per quella sensazione che ha colpito suoi genero, e mi attanaglia da anni che ho deciso di vendere questa proprietà.

Poi rivolto a me:

– Grazie, lei mi ha dato il coraggio di parlare e di decidere!

Non alzai nemmeno la testa, mi sentivo male e non vedevo l’ora di andare via.

Lo Sceicco richiamò i suoi uomini e ci accompagnò all’ingresso, mentre stavamo per salutarci, venne il mio turno, ero pallido, sentivo le gambe non mi sostenevano, feci uno sforzo per raddrizzarmi, lo Sceicco, mi guardò e poi, rivolto al Maestro e a Isa:

– Avviatevi con il fattore, vorrei scambiare due parole con vostro genero.

Gli altri erano stupiti, ma come si fa a dire di no, si avviarono, eravamo rimasti solo io e lui, rientrammo, mi fece sedere e:

  • I tuoi occhi parlano, più del tuo corpo
  • Signore…
  • Ascoltami…

Mi guardava fisso:

–  So che in questo momento non ti perdonerai mai per quello che hai fatto, so che aspetti una reazione anche dai tuoi familiari, ma so anche che è stato il destino che ha voluto farti arrivare qui.

Finalmente alzai la testa, era serio non stava scherzando:

  • Ma come?

-.-.-.–.-.–.-.–.-.-.—.-.–.

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

3 Gennaio 2024 – Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Primo capitolo “Il Maestro” di Araldo Gennaro Caparco

Il Maestro.

Erano mesi che ogni fine settimana, affacciandomi dal balcone di casa mia, notavo un’auto alle 4 del mattino, in particolar modo il sabato o la domenica, stazionare sotto il palazzo di fronte alla mia abitazione.
Un giorno decisi di capire, cosa e chi aspettasse!!
Mi posizionai la sera prima e parcheggiai l’auto in modo che la mattina potessi agevolmente spostarmi. L’Indomani, pur non avendo la certezza, mi svegliai alle 3 e con un plaid entrai in un’auto gelida nel buio totale in attesa.
Certo di fare una cosa stupida, ma mi sentivo tonico per l’avventura che forse mi aspettavo, di certo poteva essere anche una delusione, ma era un’ipotesi che allontanavo, c’era qualcosa, mi intrigava e ciò mi bastava.
Puntualmente, alle 4 arrivò l’auto e si fermò in attesa.
Tolsi il plaid in fretta , misi le cintura e …alle 4.05 scese una persona, si intravedevano solo i capelli bianchi, era intabarrato con un grande mantello per proteggersi dal freddo ed aveva una valigetta in mano, strana forma, era un rettangolo abbastanza corposo, entrò in fretta in auto dal lato posteriore e in un attimo l’auto si mise in moto.
Feci altrettanto, dopo trenta secondi, complice il semaforo alla fine della strada, la raggiunsi…..

L’auto proseguiva lesta, la mia non era all’altezza, per fortuna avevo preso la più grande, mi tenevo a debita distanza, ma che bello vedere il cielo stellato, poche auto in giro, ma è meglio non divagare.

Le cose si mettono male, l’auto sta filando verso l’autostrada e ora? Vado.

Se si inizia una cosa si porta anche a termine.

Telepass a posto, benzina a posto, inserisco il navigatore, siamo in direzione Napoli. Onde evitare di fare il trenino, sorpasso e mi tengo sulla terza corsia, mi faccio superare, mi allontano, e ora? Che succede? L’auto mette la freccia e si avvicina ad un’area di sosta dove vedo stazionare un furgoncino. Non posso non superare, accidenti. Decido di fermarmi alla prossima area di sosta, a trovarla, eccola è prossima, metto la freccia e in  quell’istante con la coda dell’occhio intravedo l’auto, sta sopraggiungendo con il furgoncino al seguito, stavolta in velocità.

Elimino la freccia e mi metto sulla scia, loro aumentano e io arranco, ma sono fortunato la sagoma del furgone mi fa da segnalatore, usciamo dall’autostrada, direzione tangenziale, non c’è un’anima, qualche fornitore e trasportatore. Il navigatore mi da indicazione che siamo sulla via per il mare, ma alle 4.35 chi va al mare? Pensieri scomposti, mi concentro, siamo sulla strada di Pozzuoli, direzione porto e qui le cose diventano difficili, c’è un andirivieni di auto e camioncini, cerco di non perdere l’obiettivo, scendiamo per viuzze verso il mare, certo le scorciatoie sono ben conosciute all’autista dell’auto, ma a me no!

Prossimo incrocio alla fine della strada a T, esco, mi fermo, scomparsi!

Vediamo, ho due opzioni, la destra non mi piace nemmeno per le strade, decido di andare a sinistra, quando tutto manca riprendo la strada inversa e torno a casa. Complice la strada semideserta, cammino a passo di lumaca, sostando nei pressi delle traverse, nulla. Ma dove mai sono finiti? Quando ho quasi perso la speranza, in lontananza, quasi come si facesse l’occhiolino, una grande “ P” di parcheggio, si accende e si spegne mi guida.

Arrivo in uno spiazzo enorme con decine di auto in sosta, mi lascio guidare da una freccia a terra alla ricerca di un posto per fermarmi e che diavolo, almeno mi godo l’alba in riva al porto, male non sarebbe, ma di certo non era quello che volevo fare.

Ecco, vedo un posto, di fianco un’auto spegne i fanalini posteriori, passo vicino e…

Bingo!

Oggi deve essere la mia notte fortunata, riconosco l’auto e vedo “capelli bianchi” sta scendendo, prima un bastone e poi (ma il bastone non c’era quando è sceso da casa, evidentemente era nella sua auto), un fascio di luce improvviso lo illumina, strano, il bastone ha il pomo a forma d’uovo, ma non quello piccolo,  ma quelli di un’oca, certamente sarà d’avorio.

Giro e parcheggio, non mi muovo dall’auto, vedo le due figure a passi veloci si dirigono verso sinistra, scendo e faccio il loro stesso percorso, il furgone non c’è, l’avranno lasciato da qualche parte, oppure c’è un altro ingresso, chissà! Non mi devo distrarre e nemmeno farmi vedere, a debita distanza osservo, parlottano tra di loro, fa freddo mi guardo intorno e inizio a sentire un vociare in lontananza. “capelli bianchi” è senza valigetta, l’avrà dimenticata? O l’avrà lasciata di proposito in auto? Domande senza risposta!

Ci siamo, vedo le barche ormeggiate cullate dalle onde con le bandierine che si muovono a seconda del vento e dell’ondeggiamento, una serie di capannoni, tutti uguali e illuminati a giorno, sul lato opposto al mare, in fila, tanti furgoncini parcheggiati, si sentono delle voci, entro seguendo “capelli bianchi”.

Ora ho  capito! Siamo al Mercato del Pesce!

Se fuori, c’è silenzio, qui mi sembra la festa patronale.

Una cosa simile l’avevo vista solo in televisione, ai lati dei nastri trasportatori trasportano delle cassette ricolme di pesci, in fondo un poggio da dove una persone urla delle cose incomprensibili con un tabellone sulla testa che scandisce dei secondi e di lato un altro tabellone con dei nomi che cambiano (Gabbiano, Veloce, Serena, Zio Toni, Sguattera, Potente, Delfino) e  al centro un cerchio numeroso di persone, in silenzio. Nonostante lo stupore non perdo “capelli bianchi” il quale deve essere ben conosciuto da queste parti visto che il gruppo di persone si allarga per farlo arrivare al centro e lui con un cenno del capo saluta.

Mi concentro sulle parole del banditore, sta informando del contenuto delle prossime cassette sul nastro davanti alle persone, arrivano, si fermano e parte il contatore dei secondi, in un attimo non capisco perché, continuano il loro viaggio e il banditore urla, vendute. Ma a chi, nessuno ha parlato, ne ho sentito offerte?

Da dove mi trovo non posso capire è arrivato il momento di spostarmi, anche perché vorrei vedere il viso di “capelli bianchi”. L’unico modo è posizionarmi ad uno dei due lati del banditore, possibilmente senza farmi vedere. Ci riesco, non senza difficoltà, il pavimento è viscido e non vorrei finire all’ospedale. Ecco da qui vedo meglio, ma “capelli bianchi” è coperto. Il banditore urla un altro arrivo, non avevo notato che sotto il tabellone una striscia scorrevole porta il costo del carico di pesce, giro lo sguardo verso le persone e con impercettibili segni, il valore della merce aumenta, 5.000, 7.000, 9.000, poi lo vedo, il pomo del bastone si alza, l’offerta e di 11.000 euro e la sirena avverte che il tempo è scaduto.

Aggiudicato!!

Sono senza parole, un gesto e l’offerta è valida per tutti. Che freddo che fa qui dentro, ma dove è andato? Non lo vedo più….

In lontananza vedo una scritta “cassa” e quindi di sicuro sarà andato a saldare, l’unica cosa è ritornare all’auto, e attendere.

Detto e fatto, mi dirigo all’auto, la sua è ancora li, sono le 5.30 mi assale la stanchezza, mi porta un leggero annebbiamento, sarà stata la tensione, ma chi me l’ha fatto fare.

Pensieri scomposti, mi devo svegliare e finire quello che ho iniziato.

L’auto mi sembra una stufa, nonostante il freddo del mattino, l’alba è prossima vedo fondersi cielo e terra, i gabbiani sorvolano la zona evidentemente sanno che qualcosa per loro ci sarà, lo sento mi sto quasi addormentando con il plaid sulle gambe.

All’improvviso nel silenzio, sento delle voci distintamente, qualcuno parla ad un cellulare ed è in avvicinamento, trattengo il fiato, abbasso il finestrino, aria gelida e resto in ascolto: “allora il carico è arrivato?” –  “noi qui abbiamo terminato, fra un’ora saremo in sede, fatemi trovare tutto pronto che iniziamo!”.

Fine della telefonata, dallo specchietto retrovisore vedo “capelli bianchi” distintamente, la luce dell’alba mi aiuta  e come una macchina fotografica, registro i suoi dati: folta capigliatura fresca di doccia, il vento la scompiglia, mani ossute con dita molto lunghe aggiustano i capelli scomposti, il viso racconta la sua età, dai 70 agli 80 anni con rughe dolci sul volto, occhi penetranti e vividi, stop, null’altro, sparito dalla mia visuale sta per entrare in auto.

Si ricomincia!

Questa volta non ho il furgoncino a farmi da guida, quindi dovrò essere attento e seguire l’auto da lontano per quanto possibile,  lasciamo il parcheggio, ci  dirigiamo verso la tangenziale, no, la direzione è quella ma prendiamo la strada interna, stiamo andando verso Castel Volturno ed anche ad una velocità sostenuta.

Guardo l’indicatore del  serbatoio, è quasi a metà, speriamo di non rimanere senza benzina, le strade sono libere, non passa quasi nessuno, accendo la radio per farmi compagnia, ma dico? chissà dove sta andando, cosa deve fare, che carico?

Accidenti!

Lasciamo la marina e passiamo sull’asse mediano direzione Capua, ecco dove voleva arrivare al casello dell’autostrada, e ora? Quale direzione? Napoli o Roma, speriamo Napoli, qui rimango a secco. No, direzione Roma. E ora, non posso perdere tempo, devo fare rifornimento, quindi accelero e supero, gioco in casa, conosco bene la strada la prima stazione di servizio è Teano, mi fiondo e affondo il pedale dell’acceleratore.

Deve essere per forza una notte, ovvero un giorno, fortunato, esco dall’area di servizio dopo il rifornimento e lui è davanti a me in terza corsia, lo vedo oramai è la sua auto, ce l’ho fatta.

La prossima uscita è Cassino, posso rilassarmi un poco, allora dove uscirà? Uscirà? O andremo verso Roma? Mentre pensavo a questo, ecco che mi sorpassa il furgoncino lasciato a Pozzuoli, evidentemente avrà fatto il suo carico e ci ha raggiunti, ecco spiegato la velocità di crociera erano in attesa del furgone.

Difatti adesso si fila che è una meraviglia, corsia centrale, sorpasso, corsia centrale, sorpasso.

Freccia, siamo prossimi a Cassino, ecco la metà, forse!…

Ci inoltriamo verso la città, oramai siamo alle 07.30, le persone iniziano a muoversi, il traffico non mi aiuta, ma riesco comunque a non perdere di vista l’auto.

Stiamo andando verso la zona industriale, così recita un cartello appena oltrepassato, dedalo di vie tra capannoni, nudi e deserti.

Ecco la freccia, si svolta a sinistra, lungo rettilineo, in fondo vedo qualcosa, si è una struttura in cemento e vetro tutta illuminata, quasi come ad una festa, l’auto si dirige sul piazzale di ingresso dopo la sbarra, una guardia giurata ha aperto il varco e poi chiude, è finita!

Supero, è inutile cercare di entrare, non ho nessuna ragione per entrare, mi posiziono in modo da non essere visto dal vigilante, scendo.  In alto troneggia un enorme tabellone “La Mimosa” s.p.a., e che sarà? Mi affaccio al di la delle grate di protezione sulla strada, “capelli bianchi” sta scendendo, questa volta senza bastone ma con la sua strana valigetta, si avvia a passi veloci verso una delle entrate, di lato vedo due furgoni parcheggiati, li riconosco sono gli stessi del porto, l’altro certamente sarà per l’altro “carico”, quale carico?.

Non faccio altro che fare delle domande, se dovessi raccontare questa storia, mi rinchiuderebbero, ho pedinato un perfetto sconosciuto, un mio dirimpettaio di palazzo, a che pro?

E poi che ci faccio a Cassino? E a Pozzuoli?

Sto maturando l’idea di andare via, prima di fare altri danni a me stesso, è perfettamente inutile fermarmi, la struttura è enorme, se cerco di entrare entro a far parte di quelle persone da codice penale, vado via, sarà una frustrazione per non esserci riuscito, ma almeno sarò libero, me ne farò una ragione.

Nel frattempo accedo la seconda sigaretta della giornata, mi guardo intorno, decido di fare qualche passo intorno, alberi, alberi dovunque, uccellini che salutano il mattino, fregandosene del sottoscritto e dei suoi pensieri, sono arrivato all’angolo, ci sono diversi autotreni, in posizione di carico, strano, non hanno nessuna scritta pubblicitaria, bianchi come il latte.

Il silenzio dalla struttura, non ha eguali, non c’è un rumore, poco distante noto un gruppo di persone con camici bianchi che stanno entrando, sarà una struttura sanitaria? Poi ecco in un altro spiazzo alle spalle della struttura, decine di auto, segno di tante persone all’interno.

Il mistero si infittisce, basta, devo trovare un modo.

Ritorno all’auto, faccio delle ricerche sul telefonino, nulla non mi riporta nessun tipo di attività, l’azienda viene menzionato come “società si servizi”, strano per una s.p.a di quelle dimensioni.

Metto in moto, faccio tutto il perimetro dell’azienda, lo rifaccio per la seconda volta, ho deciso cosa fare!

Ho deciso farò la “pecorella smarrita”.

Mi avvicino al cancelli d’entrata, fermo l’auto e chiedo alla guardia giurata:

  • Buongiorno, vorrei un’informazione, mi sono perso per queste strade, non sono di qua, potrebbe indicarmi per l’autostrada?

Vedo che la guardia giurata mi guarda, come un ex terrestre, poi esce dalla guardiola e viene verso di me:

  • – Lei è distante dall’ingresso dell’autostrada, difficile dare delle indicazioni, noi siamo nella zona industriale a nord di Cassino e lei deve tornare indietro.
  • Grazie, ma se mi da qualche indicazione, evito di girare a vuoto, con il pericolo di rimanere senza benzina.

Pazientemente, rientra nella guardiola per uscirne poco dopo con una cartina:

  • Ora le faccio vedere, lei si trova qui, deve prendere questa strada proseguire per due chilometri, poi svoltare a destra, il primo incrocio a sinistra e si troverà a Cassino centro, da li può agevolmente chiedere ulteriori informazioni per l’autostrada.

Capisco che il mio tentativo sta vacillando:

  • La ringrazio, buona giornata.
  • Buona giornata.

Faccio finta di andare verso l’auto, nel frattempo arriva un auto a tutta velocità, la sbarra si è alzata prontamente e poi…torno indietro.

  • Quasi ci investiva!!

Dico sconsolato ad alta voce a il guardiano:

  • Evidentemente si sono dimenticati di qualcosa di molto importante.

Mi risponde, allora mi attacco alle ultime parole:

  • Di certo sarà così, ma come è grande questa struttura, è nuova?

Ho giocato sporco, lo so! Ma non potevo trovare di meglio, quel “ci investiva” ha gratificato la guardia ed io ho avuto l’appiglio che cercavo, non deve essere semplice passare otto ore in una guardiola senza poter parlare con qualcuno e ho stimolato a dirmi quattro parole.

La guardia riesce dal guardiola e:

  • È un anno domani, è una struttura polivalente e sofisticata.

Meglio non entrare in dettaglio, potrebbe insospettirsi, allora:

  • Per fortuna ci sono queste realtà per il lavoro, oggi è difficile trovare lavoro come lei ben sa, sono venuto a Cassino perché ho un colloquio di lavoro nel pomeriggio e mi sono avviato per tempo anche per conoscere il luogo che non conoscevo, vengo da Caserta.

Sono un bugiardo, lo riconosco, ma è la mia curiosità innata e voglio sapere al più presto,  senza fare danni dove “capelli bianchi” mi ha portato, evito di guardare la guardia, mi sta soppesando lo sento, mi sta squadrando e il mio vestire casual e pratico non mi aiuta, ci vuole un rinforzo e prima che lui parli:

  • Ho prenotato una camera nell’albergo dove devo avere questo colloquio di lavoro.

Bingo, ci ho azzeccato, la guardia sorride rilassato e:

 

  • Si è vero è difficile, ma non impossibile per quelli con una professionalità e passione da vendere, in questa struttura lavorano circa 60 persone, quando devono preparare un evento, vengono da tutte le parti e anche da fuori regione. Ma lo sa che una persona viene qui anche da Caserta?

Ci siamo!

E ora come me la gioco questa notizia, che dico? Cosa mi invento? Dimostrarmi molto interessato oppure no? Chiedere informazioni dirette o indirette? Sorvolare?

Ho poco tempo, davanti, non devo sbagliare, mi gioco tutto…

E’ strano, quando arrivi ad un traguardo, in qualunque ambito, resiste una certa ritrosia nel voler conoscere la verità, quasi un rifiuto, un desiderio di allontanare quel momento tanto agognato.

Cosa faccio? Cerco di non far capire il mio interesse senza tirare troppo la corda:

  • Per la miseria, 60 persone, sono tante. Avete parlato di eventi, preparano qualche Mostra?
  • No, assolutamente, sono qui al lavoro da stamattina nella preparazione degli ingredienti per un evento speciale che si svolgerà a Roma nel pomeriggio.
  • Ingredienti? (esprimo stupore, che faccia di bronzo che sono!?
  • Si, tutto deve essere pronto per quando arriva Il Maestro!

 

Vogliamo scommettere, vincerei facile forse:

 

  • Il Maestro?
  • Si, è lui che coordina il tutto, ora mi dispiace ma devo fare i controlli orari, tutto deve seguire un protocollo per l’ora della partenza.

Oh cavolo, mi sta sfuggendo la fine, cosa faccio? Domanda diretta a risposta diretta, è l’unica soluzione:

  • Ma quella persona che viene da Caserta, per caso è lui Il Maestro?

La guardia mi guarda sorridendo, ha captato, il campanilismo regionale mi ha colpito e sorridendo:

 

Mi saluta sorridendo e se ne va.

 

Ecco chi è, uno chef!

 

Capperi ora si spiega la valigetta rettangolare, di certo saranno i coltelli, uno chef di un certo livello, non si separa mai dai suoi “ attrezzi” del mestiere.

Ecco ho raggiunto la mia curiosità, un senso di gioia mista stupore mi pervade.

 

Uno Chef, e che Chef per avere uno stuolo di aiutanti di questa portata, l’auto personale, l’acquisto del pesce migliore, il secondo carico di certo sarà composto dagli altri ingredienti. Capperi, ho una storia fenomenale da raccontare, pensieri scomposti, chi mi crederebbe? Non ho uno straccio di prova se non la mia parola, e poi a chi raccontarla o farla conoscere?

 

Però!

 

Un nostro concittadino, Chef di una certa età, che si muove dalla sua città per andare in un’altra regione e coordinare 60 persone, deve avere una storia, deve essere speciale, sarebbe bello saperne di più.

 

Sarebbe bello farlo sapere, non è di tutti i giorni una storia così! Certo non fa una piega, ma cosa altro potrei fare?

La guardia giurata è rientrata al suo lavoro, prendo l’auto e metto in moto e non mi accorgo che sto rifacendo la strada di prima che corre per tutto il perimetro dell’azienda. Sono ancora assorto nei miei pensieri, oramai il sole è alto.

 

Non può finire così, continuo a ripetermi, non può finire così!

 

Niente non mi viene nessun piano da seguire, a malincuore prendo la strada verso Cassino.

 

Dopo cinque chilometri circa, vedo l’insegna di un bar, si meglio prendere qualcosa prima di tornare a casa, mi fermo, ci sono delle auto fuori , dei tavolini lindi e puliti sotto ad una veranda aperta, mi siedo e sono sempre assorto nei miei pensieri non mi accorgo di un cameriere, mi sta chiedendo qualcosa:

 

  • Posso portarle qualcosa?

Mi sveglio dal “letargo”, lo guardo come se fosse un alieno, e poi:

  • Avete qualcosa di caldo, che so panini alla piastra, una buona birra per accompagnarlo?
  • Certo, tra qualche minuto.

Mi accendo una sigaretta e seguo le nuvole di fumo, uno Chef ma tu pensa!

Tutto avevo immaginato, anche di poter correre dei rischi, ma uno Chef, mai!

Il bar all’interno è molto bello, strano, pensavo fosse più piccolo dall’esterno, il mio tavolo e di fianco all’ingresso nelle vicinanze della cassa, c’è una ragazza intenta a scrivere qualcosa su un tablet, al bancone due persone e una decina i clienti, sparsi per la sala. Una musica in sottofondo discreta fa compagnia, ecco la mia ordinazione:

Addendo il panino, caldo soffice, mi gratifica dopo tanto freddo che ho preso, sto assaporando, quando squilla il telefono alla cassa….

Guardo l’orologio, ecco perché sentivo un certo appetito , sono quasi le 11.00 e non me ne ero reso conto, il panino scivola giù, è una meraviglia, non è come quei soliti panini acquistati al bar, è soffice e secondo me è fatto in casa, stamattina artigianalmente, non ci avevo fatto caso, ma oltre ad essere un bar è anche una tavola calda, hanno indovinato il posto, zona industriale, passeggio di auto e camion, attività più che perfetta per questo luogo.

  • Ah Gianni, dimmi?

Mi ero distratto un attimo, la signorina alla cassa sta rispondendo al telefono:

  • Ora domando, aspetta.

Rivolto alla persona anziana dietro al bancone:

  • Papà c’è Gianni al telefono, dice che non può venire per pranzo e mi ha chiesto se gli avevi preparato la frittata di cipolle.
  • Ma chi, Gianni della guardianeria?
  • Si
  • Si l’ho fatta , come la voleva lui, e ora?

La signorina, risponde riportando le parole del padre, ed io mi faccio sempre più attento, il panino è volato, così anche la birra, mi sento ritemprato:

  • Dice se puoi mandare qualcuno con la frittata e un pezzo del nostro pane, ha solo mezzora di intervallo, poi non si potrà muovere fine allo smonto del turno, il suo collega non si è presentato.

E’ stato un caso? L’unica persona conosciuta e con cui ho parlato è stata la guardia giurata? E’ stato un caso fermarmi in questo bar? Ora vediamo che succede:

  • Papà, allora?
  • Digli che non è possibile ora, ma più tardi, lo sa, questa è l’ora in cui si prepara in cucina e in sala e siamo tutti impegnati. Più tardi, possiamo
  • .-.-.-.-.-.–.-.–.-.–.-.-.
  • …segue…
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    Araldo Gennaro Caparco

1 Gennaio 2024 – Il rumore del silenzio. – Romanzo inedito anche in audiolibro di Araldo Gennaro Caparco

Alle volte bisogna farsi del male, per stare bene.

Erano anni che aspettavo, forse troppi, ma prima di allora non c’era stata l’opportunità di fare qualcosa, ora si.

Era il momento!

Sono libero, finalmente, ma da dove iniziare?

A 35 anni, un matrimonio fallito alle spalle, un’unione nata dopo un tempo ragionevole per conoscersi, e poi dissolta, nel peggiore dei modi dopo tre anni.

Progetti, famiglia e figli, spariti in una sola frase:

“Non voglio stare con te, ti ho tradito e non voglio avere figli!”

Bello vero!

Sei più tre anni buttati nella fogna, quindi separazione e divorzio dopo un anno.

E ora?

Mesi di assoluta depressione, una realtà che prima non mi era conosciuta, tante e molte altre persone sono nel mio stesso stato.

Mangio e a letto, letto e mangio, è mancato poco che impazzissi.

L’unica ancora, l’unica cosa che mi è rimasta e quello “il borgo del rumore del silenzio”, come lo chiamo io, l’ho amato fin dalla fanciullezza, poi lo stop, la morte di colui che me l’aveva fatto amare, senza parlare, mio nonno.

Avevo sedici anni!

Poi la vita ha fatto il suo corso, la scuola, il diploma, la mini laurea, e tante altre cose mi avevano allontanato, ma ora, disoccupato con un fardello negativo notevole sulle spalle, avevo perso le speranze in qualcosa.

Poi, la possibilità di liquidare gli altri per quella proprietà, mi aveva acceso una luce, piccola, ma pur sempre una luce, nel buio totale dove stavo ricadendo.

Con parte dei miei risparmi, liquidai gli aventi diritto, e mi trasferii.

Molti allora mi hanno dato del pazzo, senza mai dirmelo, lasciavo la città per un villaggio, ma francamente non mi importava nulla.

Che parlassero!

Alle volte bisogna farsi del male, per stare bene.

Ed io, inconsciamente lo stavo facendo, mio padre, pace all’anima sua, in due anni dopo la pensione l’aveva ristrutturata, male, ma l’aveva fatto!

Purtroppo aveva trovato sul suo cammino, un truffatore di muratore che con il miraggio, di un pagamento rateale, aveva tenuto “in ostaggio” per cinque anni finanziariamente la mia famiglia.

Avesse fatto bene i lavori, lo avrei anche capito!

Ma non è stato così, con le scuse più improbabili, avallate da mia madre, che pur non riuscendo a capire il perché di alcuni lavori, dava sempre il suo consenso e mio padre accettava per amore di tranquillità, quell’imprenditore aveva fatto tanti errori e ora venivano a galla.

Mi ricordo la prima notte, non riuscii a dormire un minuto, ero seduto sulla sponda del letto, con il borsone ancora li, non aperto, la luce accesa e vestito com’ero arrivato, ero con la mia auto una  500 che aveva molti anni, ma era la mia fedele e unica compagna d’avventura.

Cosa pensavo?

Che forse gli altri avevano ragione, cosa ci facevo li?

Che cosa pensavo di fare?

Non lo sapevo!

Ma la disperazione dei mesi scorsi, aveva già fatto danni e ora non volevo che continuasse, qualsiasi cosa, ma l’avrei combattuta e vinta.

Per fortuna arrivò l’alba e come facevo con mio nonno, anni e anni addietro, chiusi la porta di casa e camminai, tanto, ma tanto, feci il giro dei terreni che una volta erano a mezzadria di mio nonno, toccavo la terra, ammiravo le culture, quei pochi che mi videro, non mi riconoscevano, ma poi quando dicevo chi ero e a quale famiglia appartenevo, mi lasciarono fare.

Quanti ricordi!

Ma si può vivere di ricordi?

Certo che no! Ma aiutano a vivere!

Come quella volta, stavamo in un terreno vicino alla chiesa, ero un dodicenne affamato, andai da lui

“Nonno, ho fame?”

Non si scompose più di tanto, stava potando

“Vai dietro al pagliaio, c’è una pianta di pomodori, scegli il più maturo”

Corsi, e ritornai

“E adesso?”

Lo trovai, aveva una fetta di pane in mano pronta per me

“Lava il pomodoro e poi passalo schiacciandolo sul pane”

Per me era Vangelo, così feci

“E l’olio, il sale”

E lui quasi sorridente

“La tua fame è il condimento”

Non ho mai più assaporato qualcosa di migliore!

Era un saggio, lo chiamavano “il poeta”, non so il perché, ma mi piaceva!

Fu quella mattina che decisi cosa fare!

Per prima cosa, dovevo rendere le stanze utilizzabili e vivibili,  poi, mi inventerò qualcosa!

Quella mattina e quelle successive, le passai a pulire e lavare e buttare le cose inutili.

Cosa avevo?

Quattro stanze, una cucina, una stalla con un piccolo sotterraneo, due bagni e un giardino incolto.

Bello vero?

Mica tanto!

Le stanze erano dislocate distanti, due stanze sopra ad una scala e le altre a livello del cortile, i bagni pure uno sotto la scala e l’altro nella stalla, ed anche il giardino era dislocato distante, chiamai un giardiniere e feci pulire il giardino, poi passai alle stanze, l’incuria e la chiusura di anni avevano lasciato il segno, chiamai due operai che con me in pochi giorni, diedero una “lavata di faccia” alle mura interne e esterne, ridipingendole e imbiancandole.

La stanza migliore divenne la mia stanza da letto e quella attigua il ripostiglio momentaneo, era quella dislocata sulla scala, sotto c’era un bagnetto, ma bisognava scendere anche di notte per andarci, il riscaldamento non c’era e neanche un camino.

Le altre due stanze, quelle a livello del cortile, erano più fruibili, nella prima, c’era un camino, il lavandino, ed era la vecchia cucina dei nonni, e l’altra era una stanza spaziosa, con un balcone che affacciava sul giardino, le campagne e il paese, era la loro stanza da letto, e all’occorrenza venivo ospitato anch’io su un lettino,  quando arrivavo d’estate dopo la scuola.

Mangiavo una volta al giorno, quasi sempre pane con qualcosa, non era molto ma me lo facevo bastava, dovevo risparmiare per poter acquistare quello che mi serviva.

Il sabato era giornata di mercato al paese vicino, feci una lista delle cose da acquistare e partii.

I primi momenti in quella baldoria, furono terribili!

Ero abituato al silenzio da giorni, mi sentii perso, poi focalizzai quali erano le mie priorità, da un rigattiere comprai una stufa a legna compresa di tubi e mi feci aiutare a metterla sul portabagagli, comprai il necessario per mettere a nuovo gli attrezzi agricoli di mio nonno, poi piantine da piantare nel giardino e alimentari a lunga scadenza per sostenermi.

Dovevo far rivivere quel posto, per poter vivere anch’io!

Erano trenta giorni che non mangiavo un piatto caldo, ne sentivo la necessità, entrai in una piccola trattoria per risparmiare, c’erano quattro tavoli, di cui due occupati da persone che venivano a vendere al mercato, mi sedetti al primo tavolo  a destra libero, il più piccolo, venne il cameriere di una certa età e mi portò una tovaglietta, delle posate, un bicchiere e un cestino di pane:

– Cosa posso portarvi?

Ero distratto, ma la voce mi svegliò

– Cosa mi consigliate?

– Abbiamo quasi finito tutto ma c’è ancora della zuppa di fagioli.

– Va bene

Mi portò delle noci e un quarto di vino con una brocca d’acqua.

Che ricordi!

I fagioli, vicino al camino, quel profumo che invadeva la stanza, poi conditi  da mia nonna, il pane raffermo, l’olio a crudo, ed io che imitando mio nonno imparai a mangiarli con la cipolla cruda, utilizzandola come cucchiaio.

I sapori di una volta!

Altro che tartine o rustici di dubbia provenienza che ci propinano nei bar in città, utilizzandoli per aperitivi!

In quei giorni il cellulare aveva squillato poche volte, la famiglia , gli amici, poche parole per sentirmi, evidentemente stavano aspettando la resa.

Al borgo andai a trovare le sorelle di mio padre, erano anziane, non capivano la mia scelta, però erano contente,  ero a casa dei loro genitori.

Gustai con piacere la zuppa di fagioli, ed era forse talmente evidente la mia soddisfazione che il cameriere non potette fare a meno di avvicinarsi

– Le è piaciuta?

Alzai lo sguardo, non l’aspettavo

– Si, mi ha portato indietro nel tempo.

– Sa, l’ha fatta mia madre per noi, come si faceva una volta, quando l’ho vista entrare stavo per dirle che avevamo finito tutto, poi ho notato la sua aria abbattuta e non me la sono sentita.

Era così evidente?

– Ha fatto bene.

– Potevo solo offrirle della pasta al sugo, una fetta di carne, ma poi ho pensato di farle provare quello che avevamo preparato per noi e sono contento che l’abbia gustata.

Era curioso, ma questa sua confessione mi aveva colpito.

– Lei non è di qua?

Non era un’affermazione , ma una domanda!

– Si, tanto tempo fa, venivo dai nonni, oggi invece mi sono stabilito qui vicino.

– Sa oggi le persone non amano molto i gusti semplici di una volta, ma sa perché? Non li conoscono, non è colpa loro.

Avevo terminato, pagai e ringraziai dando appuntamento per un’altra volta.

Mentre stavo per ritornare all’auto, le sue ultime parole mi ritornavano continuamente in mente, “perché non li conoscono”, è vero!

Siamo stati talmente presi dal vortice della vita che anche le cose semplici a tavola si sono dimenticate o per molti sono sconosciute, sarebbe bello farle conoscere e pubblicizzarle.

Avevo deciso, avrei tentato, cosa poteva accadere, di non riuscire, pazienza, ma ora avevo un obbiettivo.

La notte, la passai vicino al camino, con penna e metro e fogli di carta, mi addormentai e sognai, questa stanza come cucina ed ingresso e la seconda stanza come luogo per far assaggiare i piatti della mia cucina.

Fra sei mesi mi scadeva il sussidio di disoccupazione, non avevo molto tempo, questa idea potrebbe essere una fonte di guadagno e visto i costi in campagna, avrei potuto anche viverci, ma come fare?

Cucinare per me non era stato mai un problema, mio padre mi aveva trasmesso la passione quelle poche volte che cucinava a casa, ma solo per me e non per altri, mi piaceva farlo ma mi rendevo conto che mi mancava la basi, la manualità.

Mentre la mattina successiva, stavo riparando una porta, mi sentii chiamare, mi affacciai al balcone, ed era un pronipote di mia zia che portava un fagotto in mano

– Ha detto nonna, ha fatto i tagliolini e te ne ha mandato un piatto per assaggiarli, scendi.

Feci la discesa dal cortile e ringraziai, portandomi sopra il fagotto fumante!

Misi la tavola, anche se ero solo e il profumo che emanava era già tutto un programma, erano anni che non le assaggiavo, altro cosa rispetto a quelle secche o quelle all’uovo preconfezionate, vendute nei supermercati, queste erano così piacevoli da guardare e da gustare che avrebbero resuscitato una persona, erano morbide condite con un sugo bianco di cipolle e formaggio del luogo, una ricetta che si tramandava da madre in figlia e il formaggio era stagionato al punto giusto.

Mi riconciliai con la vita!

Scesi alla frazione del  Borgo di sotto, da mia zia Tina mi vide da lontano

– Allora, ti sono piaciuti i tagliolini?

– Si – dissi abbracciandola- molto.

– Sai non li facevo da tempo, mio nipote ne va pazzo e quindi ho deciso di farle, e ho pensato a te.

– Zia, mi faresti un piacere?

Mi guardò sorpresa

– Dimmi?

– Mi insegni.

Ancora più sorpresa

– Cosa?

– A fare le tagliatelle!

Stavolta, era con gli occhi fuori dalle orbite

– Tu sei pazzo!

Me l’aspettavo

– Allora dimmi cosa devo fare? Ho 35 anni, un matrimonio fallito, un lavoro perso per quello, ho speso fino all’ultimo centesimo per prendere la casa dei nonni, la desideravo da anni, e ora? Ora ho deciso di far conoscere i piatti che cucinava mia nonna vostra madre, mio padre e voglio imparare, poi vedremo di raggiungere le persone, so per certo che le persone quando si tratta di mangiare bene, non badano ai chilometri, dove sbaglio?

A mano a mano che parlavo, il suo volto si modificava

– Forse non hai tutti i torti, va bene, allora da domani vieni alle 10.00, e vedremo di fare qualcosa.

L’abbracciai e fece lo stesso discorso a casa dell’altra zia Pina e anche lei dopo le prime perplessità, fu d’accordo.

Anzi feci anche di più, da zia Pina raccontai del pranzo in trattoria e lei

– Da Ernesto, certo che lo conosco e nostro lontano cugino, lui e Adele, vivono per quella trattoria.

Allora si iniziava a delineare la mia giornata, la mattina da Zia Tina per i primi e la preparazione dei formaggi, il pomeriggio da zia Pina per i secondi e gli insaccati come una volta, andai da Ernesto e gli proposi di andare la sera a lavorare come cameriere gratis, accettò.

Ripresi il computer che avevo lasciato a dormire da quando ero arrivato e iniziai a studiare gli alimenti e le pietanze con le sue connessioni con il tempo storico e trovai molte affinità con il Medioevo.

Poco lontano c’era un grande centro commerciale, acquistai delle tavole, e durante il tempo libero, forte della mia memoria, creai i tavoli e le panche su cui sedersi, adatti per la stanza di fianco alla cucina, (le sedie costavano troppo per me)  sistemai nella stanza la stufa a legna con l’aiuto di Andrea, un lavorante e amico tuttofare, che ogni qualvolta lo chiamavo, diceva “ecco il pazzo”, ma veniva e lavorava sodo, per tutta la giornata.

La trattoria di Ernesto, fu una grande palestra, li imparai a comportarmi come un cameriere perfetto, come trattare i clienti, servire a tavola, rispondere garbatamente anche agli arroganti e ai prepotenti, perché se è vero che il cliente ha sempre ragione, non è detto che bisogna accettare che sia anche scostumato!

All’Asl di competenza frequentai un corso per la somministrazione di alimenti, fu molto importante per me, ero a digiuno di tante norme e regolamenti, ne feci tesoro e conquistai l’autorizzazione sanitaria per aprire un locale.

Al comune, mi interessai per l’autorizzazione amministrativa, non ero e non volevo essere un ristorante ma una casa/ristorante, la pratica fu studiata da una persona competente, mi disse che se non avessi superato una certa cifra annuale e mantenuti gli standard dell’igiene, avrei potuto tentare, anche in mancanza di una legge che regolamentava la materia, a somministrare gli alimenti cotti.

Dopo cinque mesi e tanti errori in cucina, potevo dire che ero pronto al 70 per cento, la casa si era trasformata, le stanze a livello cortile, comprendevano un ingresso con cucina a vista, di lato il camino per le pietanze e gli arrosti, poi la stanza dopo allestita con tre tavoli, due più grandi e uno più piccolo, solo con le panche senza sedie e una stufa per l’inverno.

I bagni uno era agibile e fruibile, l’altro lo stavo ancora sistemando, la stalla l’avevo fatta svuotare ed era rimasto solo un grande salone vuoto e dava l’accesso al sotterraneo, pulito e illuminato, dove riposi delle bottiglie di vino locale e alla fine, era scenografico, per me era bello.

Eravamo al primo maggio, iniziava il caldo, quella mattina stavo in canottiera e pantaloncini corti, a spaccare la legna nella stalla, con la radiolina, mia inseparabile amica che era posizionata sulla mia frequenza preferita, quando

– C’è nessuno?

Inizialmente non realizzai, poi

– Sento una musica Lia, vieni che proviamo.

Stavolta sentii perfettamente

– C’è nessuno?

Usci dalla stalla, ero buffo con l’ascia in mano, pieno di residui di legno, sudato come non mai

– Chi è?

Dissi dalla stalla, non ricevendo risposta, uscii fuori, scesi due gradini e mi trovai in cortile e li vidi, erano quattro persone, due ragazzi e due ragazze, stavano scattando delle foto, e davanti a me, una ragazza

– Non volevamo disturbare

E vidi lo sguardo rivolto all’ascia

– No, non disturbate, stavo tagliando la legna, un attimo.

Imbarazzato, riposi l’ascia sull’uscio della stalla, mi spolverai sommariamente il pantaloncino e la maglietta e tornai fuori, la ragazza che aveva parlato, aveva un vestitino a fiori a maniche corte, con una generosa scollatura che lasciava intravedere il reggiseno e per un gioco malizioso della luce del sole, si intravedevano le gambe fino all’inguine in trasparenza, si accorse del mio sguardo e chiuse le gambe

– Scusateci, siamo di passaggio!

– No, prego, in cosa posso esserle d’aiuto.

Stavolta sorrise, il mio tono l’aveva colpita

– Siamo arrivati qui sotto e la macchina si è fermata, siamo saliti sopra, c’era una persona, l’abbiamo interpellato, non ci ha nemmeno salutato.

Era di certo quell’imbecille di Giulio, non dava confidenza a nessuno, tranne che agli animali

– Dica, non ci faccia caso non è abituato a vedere delle persone, tratta solo con gli animali.

– Volevamo sapere se c’era un distributore nei paraggi, mi sa che il mio amico Elio si sia dimenticato di fare benzina

E indicò un suo amico che gli stava di fianco

– Si, certo, ma non so se oggi sia aperto.

– Come possiamo raggiungerlo?

Disse l’altra ragazza che stava dietro e teneva per mano un ragazzo sui diciott’anni

– E a tre chilometri da qui, andando sempre diritto dopo la chiesa.

– Tre chilometri?

Era la ragazza che mi aveva interpellato

– Si, posso darvi una mano se volete,  potete prendere la mia macchina, l’avrete certo vista la 500 marroncino, sta giù, così da poter andare e fare benzina per rifornirvi.

Il viso si illuminò

– Grazie, troppo gentile,  facciamo così Elio, vai tu e portati la tanica che sta nel baule della nostra macchina, noi ti aspettiamo qui.

Era titubante

– Sicuro Lia, state qui?

Per nulla imbarazzata

– Certo!

– Va bene.

Salii sopra in camera e presi le chiavi, ridiscesi è stavano discutendo, mi videro

– Visto che lei è stato così gentile, potrebbe darci un’altra informazione, sa siamo usciti per festeggiare il primo maggio e vorremmo stare in un posto tranquillo per pranzare, c’è qualcosa nei dintorni?

Di getto

– Potreste ritornare in città poco lontano da qui e fermarvi in una trattoria o…

Era il momento, perché no, dovevo pur iniziare!

– Fermarvi qui da me, il tempo di preparare.

Mi guardavano meravigliati e si guardarono intorno

– Perché è un ristorante?

Stavolta fui io a sorridere

– Non ancora,  è in allestimento, ma potrei comunque ospitarvi….”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco