8 Febbraio 2024 – Aurora.

8 Febbraio 2024 – Aurora.

Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

Mi divertiva questo dialogo tra sconosciuti

– Ufficialmente sono un geometra, ma per diletto cucino.

Meravigliata, sorridendo

– E quale dei due lavori è impegnato in questo tuo viaggio?

– Entrambi!

Era incuriosita ed io ero disponibile a parlare, ma anche curioso di conoscere il perché del suo viaggio, fummo interrotti dagli stewart della compagnia ferroviaria ci offrirono uno snack e utilizzammo quei pochi minuti per analizzarci a vicenda

– E tu? Ho visto che hai due valigie corpose, ti stai trasferendo?

Divento rossa all’improvviso, poi abbasso gli occhi e quasi sottovoce

– Si, e per sempre!

E cadde il gelo, mi morsi quasi la lingua per aver fatto quella domanda inopportuna, per fortuna arrivammo a Roma Termini

– Sgranchisco le gambe e fumo una sigaretta, vuoi venire?

Sollevata

– Perché no?

Scendemmo!

C’erano molte persone in attesa di salire, mi misi da parte per fumare la sigaretta e lei mi seguiva, poi squillò il suo cellulare, mi allontanai senza perderla di vista, dai gesti intuii che era qualcosa di importante, era nervosa e gesticolava ma sempre senza alzare la voce e così facendo non si era resa conto che si stava allontanando dalla banchina e dal treno.

Spesso avevo fatto quella linea come tanti giovani e meno giovani alla ricerca di un lavoro, conoscevo a memoria i vari segnali per la ripresa del viaggio, mi allarmai quando sentii il secondo squillo della prova dei freni e senza pensarci due volte, mi avvicinai di corsa, stava oltre lo scompartimento e quasi prendendola in braccio la catapultai nello scompartimento, fui aiutato dai miei centoventi chili di peso e placcando rovinammo sul predellino, era sconvolta

– Ma che diamine?

Ansimavo, appena dentro si chiusero le porte

– Stavamo per perdere il treno, non te ne sei accorta?

Si guardò intorno, il cellulare le cadde da mano aprendosi

– No, non mi ero resa conto, scusami!

Senza accorgermene avevo quasi urlato

– Quando ti ho visto presa al telefono, ho pensato di fare la cosa giusta, scusami.

Presi con calma il cellulare, rimisi la batteria a posto e glielo diedi, qualcosa era cambiato in lei, stava lacrimando, mi preoccupai, pensai di essere stato inopportuno

– Non l’ho fatto apposta, anche se non ti nascondo è stato un  piacere prenderti in braccio.

Le strappai un sorriso e arrossì

– Vieni, andiamo a sederci.

La presi per mano e ritornammo ai nostri posti, mi sedetti

– Vado un attimo in bagno.

Lasciò la borsa e il cellulare

– Aurora, la borsa.

Stavolta sorrise

– Con te sono tranquilla!

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