6 Aprile 2020 – Undicesima puntata: “Una seconda opportunità” di Araldo Gennaro Caparco

6 Aprile 2020 – Undicesima puntata: “Una seconda opportunità” di Araldo Gennaro Caparco

6 Aprile 2020…

Undicesima puntata: “Una seconda opportunità”.

…un mio nuovo “romanzo spontaneo sgrammaticato” in diretta web ogni settimana, cinque pagine da condividere con voi!!

Prossima puntata il 13 aprile 2020.

Araldo Gennaro Caparco

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Dopo un attimo di smarrimento, realizzai, sapevo bene cosa potesse significare, detto e fatto, presi un giubbotto, una cintura con dei pesi, lui intuì quello che volevo fare
– Ma non può farlo lei è infortunato!
Gridò, urlai
– Vado io!
Con una mano feci cenno di mettermi sulle spalle la bombola piccola di ossigeno, strinsi la cinghia, inserii il boccaglio e dopo aver messo le pinne un salto in acqua, l’impatto non fu proprio da manuale, ero scoordinato, quando risalii in superficie localizzai la boa e nonostante i dolori, a bracciate la raggiunsi, per poi immergermi, non vedevo nulla, seguivo la corda, ogni tanto davo uno strappo, sperando in una risposta, ma nulla, furono secondi interminabili e quando raggiunsi la fine mi spaventai, lei non c’era, il gancio si era impigliato in un cespuglio di corallo, lo strattonai e lo inserii nella cintura, pregavo di vederla, girai a 360 gradi intorno a me stesso, furono delle bollicine che mi diedero la direzione, provenivano da una cavità poco distante, le bollicine stavano diminuendo, l’ossigeno era quasi terminato, come una furia con le pinne in modalità motore, inserii la mano nella cavità, presi una gamba, recalcitrava, la tenni stretta e tirai, era semi incosciente, staccai il mio boccaglio e il suo facendo inalare l’ossigeno, solo allora aprì gli occhi, mi riconobbe, velocemente, le staccai le due bombole e abbracciandola, tirai il sondino del giubbotto, sganciando la cintura che avevo sui fianchi, si gonfio e con forti pinnate stavamo volando verso l’alto.
Era svenuta!
Ero talmente intento nello sforzo verso l’alto che non mi resi conto di un’ombra in superficie, feci giusto in tempo a spostarla ma non potetti fare a meno di colpire la vetroresina, in un attimo un dolore violento alla testa e dopo poco una chiazza di sangue intorno a me
– Lasciate, la prendo io!
Furono le parole che sentii appena fuori dall’acqua e due poderose mani la issavano a bordo, solo allora la lasciai andare, la stessa mano dopo poco agguantò il mio braccio e riuscii anch’io a salire
– Siete ferito!
Urlò, la guardavo non si era ancora ripresa, sembrava morta, a mia volta
– Andiamo alla barca!
Le slacciai la tuta fino all’inguine, il cuore batteva ma era flebile, il viso cereo, iniziai a insufflare ossigeno dalla bocca alternando ritmicamente con le mani sul torace, ero senza fiato, ma non mi fermavo, lanciai un urlo e continuai, vedevo avvicinarsi la barca, continuai , diventò rossa all’improvviso e un getto d’acqua annebbiò la mia vista, ero seduto, l’abbracciai per consentire di cacciare l’acqua
– Vivaddio!
Tossiva!
Agganciata la barca, attaccai la scaletta con lei sulle spalle, l’uomo salì velocemente dopo di me, la posai con delicatezza su un gavone
– Nina, Nina…
Non rispondeva, sentii solo la sua mano che cercava di stringere il braccio
– Tenga questo, a lei provvedo io.
Era un asciugamano per tamponare il sangue, come un fuscello, la prese e la portò giù sotto coperta, finalmente mi sfogai piangendo!
Ero disorientato, lentamente iniziavo a ricordare e a pormi delle domande, ma ora il mio pensiero era per lei, non so quanto tempo ho passato su quel ponte, il sangue cessò di uscire, avevo solo un gran mal di testa e il torace dolorante
– Venga che l’aiuto a togliere e a farle la medicazione.
Mi girai
– Ma lei è?
– Didier, questo è il mio nome.
– Come sta?
Sorrise finalmente
– Lei è arrivato giusto in tempo, era molto agitata, le ho fatto un’iniezione calmante e l’ho messa a letto, continuava a chiedere di lei, quando le ho detto che stava bene, ha acconsentito a mettersi a letto, ora venga le tolgo le bende.
Meravigliato
– L’ha messa a letto?
Iniziando con le forbici a togliere la fasciatura al torace
– Non è mica la prima volta, sono vent’anni che la conosco l’ho vista crescere…
Sgranai gli occhi
– …lei per me è come una figlia e io per lei il vice padre.
– Mi chiamo Rino, sarei onorato se mi deste del tu!
– Anche tu Rino.
Con una precisione e senza parlare, mi medicò la ferita alla testa e rifece la fasciatura al torace
– Grazie.
Si spostò verso il timone
– Ecco, adesso vai, guido la barca nel porto più vicino, scendi, sono certo che la vuoi vedere.
Nonostante tutto, scattai in piedi e scesi giù, la porta era aperta della cabina, respirava bene, com’era bella, mi accoccolai ai piedi della cuccetta in silenzio, ma evidentemente lei aveva avvertito qualcosa, cercava con la mano, la presi
– Sono qua Nina, riposa.
E tutto mi ritornò alla mente!
Spossato mi addormentai ricordando, non so per quanto tempo dormimmo, non sentivo più la mia mano si era addormentata, poi all’improvviso iniziai a respirare male, avevo mancanza d’aria, strinsi più forte la mano, si svegliò
– Che succede Rino?
Non riuscivo a rispondere, con l’altra mano battevo sul petto, la bocca aperta e gli occhi fuori dalle orbite
– Aiuto, Didier presto!
Arrivò e mi alzò come un fuscello per portarmi in coperta, Nina piangeva
– Che è successo?
– Una crisi respiratoria, aspetta lo libero dalle fasciature al torace.
– Cosa devo fare?
– Vai al timone, vai a manetta verso Bastia, siamo a pochi chilometri.
Era tutto ovattato, ascoltavo senza poter rispondere, l’aria fredda della sera aveva avuto un effetto benefico, Didier non perse tempo, con il coltello che aveva nella cintura, con un taglio netto lacerò la fascia che mi teneva stretto il torace, alla fine, iniziai a respirare, sentii urlare Nina
– Allora?
– Tutto tranquillo Nina, sta respirando, vieni.
Pochi secondi e una massa di capelli mi coprì il viso
– Mi farai morire!
Rimanemmo in silenzio, arrivammo con le prime ombre della sera, eravamo in rada, da lontano si vedevano le luci della città, il respiro fino ad allora affannato stava diminuendo, lei sonnecchiava, accarezzai i suoi capelli
– Grazie.
Alzò la testa e forse solo allora si rese conto che non avevo più l’aria smarrita e disorientata di prima
– Come stai?
Invece di risponderle
– Chi l’avrebbe mai detto, da un autobus ad una barca.
Le strappai un sorriso, era raggiante
– Ti sei ripreso allora?
Si avvicinò Didier
– Sarà stato il colpo di testa che hai dato sotto il barchino di vetroresina.
Lo guardai
– Si certamente…
Poi guardando lei
-… ma cos’è successo Nina, il mio ultimo ricordo è quando ho colpito qualcosa al porto e…
Contenta con la mano sulla mia bocca
– Inizia a fare freddo quassù scendiamo e ti racconto tutto.
Didier aveva preparato la cena e mentre Nina raccontava cosa era accaduto, non riuscivo a mangiare
– E’ venuto Giosef?
Ero meravigliato
– Si, ma è dovuto andare via perché avevano fermato quelle auto alla stazione dell’eurostar…
– E poi cos’è successo?
Era diventata rossa all’improvviso
– Sono stata nel tuo appartamento.
E mi guardò, rimasi a bocca aperta
– Perché?
Si girò dall’altra parte
– Non potevo lasciarti solo, sapevo che qui non conoscevi nessuno, i medici avevano detto che potevi andare a casa e ho deciso, è venuto mio padre…
E saltò il mio primo boccone
– Cosa?
Divertita, stava per rispondermi, quando una sirena ululò, Didier
– E’ una corvetta della Capitaneria.
E si avviò all’esterno, guardai Nina
– Sarà per un controllo…
Ma non riuscì a proseguire, Didier l’aveva chiamata sul ponte, ci alzammo e quando uscimmo in coperta, un fascio di luce la illuminò, c’era un ufficiale della marina con un megafono
– Mlle Legroxe, le directeur du capitaine m’a envoyé pour vous inviter au dîner de gala ce soir. (Signorina Legroxe il Direttore della capitaneria mi ha inviato per invitarvi stasera alla Cena di Gala)
Non avevo capito nulla, Didier lo capì
– E’ stata invitata stasera ad un galà in Capitaneria…
Nina
– Je le remercie, mais je suis avec un invité. (Lo ringrazio, ma sono con un ospite)….
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Buona lettura la dodicesima puntata sarà pubblicata il 13 aprile 2020

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