Archivio annuale 2022

28 Aprile 2022 – Il volo del cormorano.

Leggi le prime pagine per entrare nel racconto e scegliere quello che preferisci.

Valleamare è una cittadina sul mar Tirreno, con una popolazione di circa cinquecento abitanti, è isolata dai centri più urbanizzati delle città vicine ma è sede di due importanti presidii che servono il comprensorio, il presidio sanitario di pronto soccorso con l’appoggio di due elicotteri per le urgenze e l’altro presidio, la farmacia comunale.

Shimon era il farmacista di origine ebraica, autorevole con la sua “divisa”,  un elegante vestito nero con una rendigote così lunga, arrivava all’altezza delle ginocchia, incuteva timore solo a guardarlo, cosa che praticamente mi capitava tutti i giorni tornando da scuola, c’era una ragione per passare di la ogni giorno, abitavo all’esatto opposto dalla sua abitazione, ed era sua figlia Sara, si nonostante  la mia giovane età, dodicenne, mi ero perdutamente innamorato di lei.

A scuola eravamo nella stessa classe fin dalle elementari, ma praticamente per lei ero un perfetto sconosciuto, troppo bella e perfetta per me, un viso pieno di lentiggini, capelli biondi, alle medie i suoi capelli avevano raggiunto il suo fondo schiena tra l’invidia delle sue coetanee, vestiva sempre in modo accurato, ma mai, dico mai ero riuscito a parlare con lei, tranne per qualche saluto sporadico.

Il mio era un amore platonico, unidirezionale!

Alle superiori, la mia famiglia non potendo sostenere i costi per inviarmi al liceo nella città vicina, mi dovetti accontentare , giocoforza fui iscritto all’unica scuola presente a Valleamare, una succursale distaccata dell’istituto alberghiero.

Lei era e continuava ad essere presente nella mia immaginazione, quindi conoscendo gli orari dell’autista che l’accompagnava con l’auto all’uscita della scuola, facevo in modo di essere presente sulla sua strada, per poterla salutare.

– Leo vieni?

Si, mi chiamo Leo, diminutivo di Leopoldo, il nome del nonno, grande chef, ma non ho preso da lui purtroppo, mio padre fa il pescatore e mia madre invece cucina in un ristorante sul mare “Il volo del cormorano” in onore dei numerosi uccelli acquatici che nidificano nella zona, lei si ha preso del padre e ne sfrutta tutte le sue ricette, sono figlio unico, ma ho un’amica del cuore, Anna, abbiamo la stessa età e frequentiamo la stessa scuola superiore, a lei racconto tutti i miei segreti e lei fa altrettanto con me, almeno credevo

– Anna dimmi?

– Dobbiamo correre, scommetto che ti sei dimenticato che oggi inizia la prima lezione per il brevetto di pilota

Una mano in fronte, bugiardo matricolato

– Hai ragione, andiamo!

E ci mettemmo a correre, dovevamo arrivare alla capitaneria di porto per frequentare il corso per la navigazione come pilota, oltre le cinque miglia marine, fu una mia idea e coinvolsi pure lei

– Ma dove ce l’hai la testa?

Non volevo rispondere, pensai ad una bugia, ma poi, sapevo che mi sarei pentito, proprio con lei non potevo

– Sara!

Si fermò di botto

– Ancora, ma allora non hai capito che è meglio lasciare stare, lei non ti fila proprio e lo sai.

La guardai stupito, era la prima volta che si rivolgeva così

– Perché?

Arrabbiata

– Lascia stare!

E entrammo alla capitaneria, era iniziata già la lezione, ci sedemmo agli ultimi posti, la stanza era buia e stavano facendo vedere dei filmati, scrissi sul cellulare

– Sei cattiva?

Lei, dopo averlo letto, mi rispose

– Scusami, non so cosa mi sia preso.

– Scuse accettate!

Risposi, mi fece un bel sorriso.

Quando si accese la luce, il tenente di vascello fece l’appello e grande fu il mio stupore quando sentii il nome di Sara, sentii il “presente” ma avevo la vista offuscata dall’emozione e non riuscivo a capire da dove provenisse, Anna era più stupita di me, alla fine della lezione non mi mossi da quella sedia, eccola la vidi, mi passò accanto

– Ciao Leo, pure tu qui?

Come un ebete, feci solo si con la testa e lei scomparve, mi sentii scrollare, era Anna

– Sveglia, allora?

– E che…

– Allora ti ha parlato hai visto.

– Si, ma mi sono comportato come un imbecille.

Sottovoce disse qualcosa

– Che dici?

Rossa, non aggiunse parola e si avviò all’uscita seguito da me, fuori mi bloccai, stava parlando in inglese con uno dei partecipanti, non ero proprio una cima in quella lingua, Anna lo era, le chiesi di tradurmi quello che dicevano

– Ma tu guarda che mi fai fare!

– Ti prego sorella.

Stava per aggiungere qualcosa, ma poi decise di astenersi, si avvicinò a loro e poi

– Stanno parlando della festa di fine anno di stasera, da noi all’alberghiero, è  invitata e lui si è offerto di accompagnarla.

Ecco!

Ero sorpreso, non l’avevo mai visto a quello la, biondo, occhi azzurri, un fisico di un atleta, ben vestito, doveva avere la mia età, di certo l’avrei notato

– Ma sei sicura?

Per tutta risposta

– Perché non glielo chiedi!

E stava per avviarsi, la seguii, si io e lei ci eravamo conosciuti nello stesso istituto alberghiero, lei era più piccola di me di due anni, e io avendo perso un anno alle medie e un altro anno alle superiori, avevo ventitre anni e lei ventuno anni come Sara, lei seguiva il corso di chef ed io quella di commis di sala

– Anna, chi è quello?

Mi guardò

– Sei patetico!

– Dai, sei la mia mi amica del cuore, dai.

E così facendo la presi per le spalle dolcemente e la feci girare, sentii è vero un lieve tremore di lei ma non diedi importanza, ma quando mi guardò, era diversa, più dolce

– Ti prego!

E unii le mani in segno di preghiera, funzionava sempre con lei

– E va bene, viene da una delegazione di Londra, in visita intercollegiale con noi, si chiama James ed è anche ebreo come Sara.

Ecco perché, pensai e va bene allora si conoscono per questo, mi calmai un poco

– Grazie, sei…

Finì la frase

– Stupida

Sorrisi

– No, fantastica.

– Andiamo che è tardi.

Abbassando la testa, la presi sottobraccio e l’accompagnai a casa, poi mi avviai al ristorante dove lavorava mamma, quel giorno mio padre avrebbe fatto tardi, c’era la campagna della pesca dei tonni e quindi non sarebbe tornato se non a notte inoltrata, mamma mi stava aspettando e insieme pranzammo, dopo dovette ritornare in cucina, tra poco sarebbero arrivati i clienti e il padrone del locale, Giacobbe, pur sopportando che mangiassi con lei, non ammetteva ritardi nel servizio di cucina.

Già, stasera c’era la festa di fine anno, l’avrei rivista, inviai un messaggio ad Anna

“Vieni con me stasera”

“Perché?”

“Mi sento impacciato ad arrivare da solo”

“A  che ora?”

“Alle diciannove, va bene?”

“Si”

Avevamo la divisa ufficiale della scuola, ma quando la vidi sulla porta, restai meravigliato, in così poco tempo, aveva aggiustato i capelli alzandoli e come aggiunta alla divisa, aveva un sciarpa gialla che faceva il paio con i suo occhi castano chiaro

– Sei uno splendore!

– Finiscila, perché mi hai invitata?

– Mi faceva piacere e…mi devi aiutare devo parlarle, dai…

– Approfittatore.

Rispose arrabbiata

– Lo sai che sono anni che ci provo.

– Si, lo so e…

– Mi aiuterai?

No rispose, entrò in auto e in pochi minuti arrivammo, era una festa in grande, stasera ci saremmo salutati e sarebbe stato scelto uno solo per categoria che avrebbe ricevuto una borsa di studio per l’università e un viaggio premio, tutti eravamo in gara, anche noi due, cercavo nella folla Sara, ma non la vedevo, Anna si allontanò per salutare degli amici della sua classe ed io cercavo di curiosare per trovarla, messaggio sul cellulare

“L’hai trovata?”

Era Anna

“No”

“Ma allora ci fai o  lo sei, sta li sul banco della giuria con il padre”

Guardai meglio, era vero, mi meravigliai, poi lessi sullo striscione di benvenuto, sotto al palco

“Premio speciale offerto dalla Farmacia Shimon”

Ecco perché, c’era pure lei, stupenda e bellissima in un abito celeste che lasciava scoperto quasi il suo seno,  in quel momento i nostri occhi si incrociarono, lei alzò la mano per salutarmi e io goffamente risposi allo stesso modo, inutile dire, mi bloccai come una statua, mai mi aveva salutato così cordialmente.

Furono assegnati i premi, ma ne io ne Anna, eravamo tra i vincitori, non ero deluso, non mi importava nulla, volevo solo affiancarla e quando iniziarono le danze la stavo aspettando sotto al palco, ci sarei riuscito, volevo invitarla a ballare, ma…ad un certo punto, sentii la voce di Anna che stava urlando

– Ma come ti permetti?

Era si lontana, ma avevo sentito bene, mi girai e fu un tutt’uno per raggiungerla in mezzo a quelli scalmanati che ballavano, quando arrivai la vidi rossa in volto, con un gruppo di tre ragazzi che sghignazzavano e cercavano di alzarle la gonna, lei faceva di tutto per fermarli, ma loro imperterriti l’avevano circondata

– Ma si può sapere che state facendo?

E arrivai vicino a lei, mi risposero in inglese e uno dei tre cercò di darmi una bottigliata in testa, lo schivai, poi con un colpo ben assestato sulle palle lo feci rotolare a terra, fu un attimo, gli altri due si buttarono su di me, presi calci e pugni a non finire, erano più grossi di me, ma quando vidi uno dei due che cercò di baciare con violenza Anna, trovai il coraggio di rialzarmi e assestai un pugno al primo che faceva scudo all’amico che voleva approfittarsi di lei, gli ruppi il naso, poi di corsa, mi buttai a peso morto sull’ultimo, era di spalle, ma si girò e mi beccai un pugno sui denti, vedevo Anna atterrita, non mi fermai e con una testata stesi l’ultimo, presi Anna per mano

– Andiamo via!

E senza attendere la sua risposta, mi feci largo nel capannello di persone che si era formato, i quali invece di dare una mano, scattavano fotografie e filmati, sulla porta c’era Sara che aveva assistito a tutto.

Invece di andare in macchina, facemmo una corsa verso il mare

– Stai bene?

Era spaventata

– Tranquilla!

Per tutta risposta si mise a piangere, poi con un fazzoletto cercava di fermare il sangue sul mio viso

– Mi hanno preso alla sprovvista, poi uno dei tre ha cercato di mettere le mani sotto la gonna, aiutato dagli altri che si erano messi davanti per non farsi vedere da quelli che stavano ballando, ma tu stai perdendo sangue.

In effetti avevo il naso sanguinante

– Non ti preoccupare, ti ho sentito e sono accorso.

– Mi dispiace.

Eravamo vicino al mare, con il fazzoletto tamponai il sangue, la camicia era andata e pure la giacca, sentivo dolori in tutto il corpo, all’improvviso mi accasciai sulla sabbia

– Leo?

Urlò

– Chiamo qualcuno?

La fermai

– No lascia perdere, ora mi passa.

.-.-.-.-.–.–.-.-.-.-.-.

Mi svegliai, avevo la febbre molto alta, avevo solo un vago ricordo di quella sera, cioè,  quando tornai a casa avevo nascosto il vestito nell’armadio e mi ero buttato sul letto, per tutta la notte sentii un freddo addosso, ma adesso mi guardavo intorno ma non riconoscevo la mia stanza, poi la vidi, stava ai piedi del letto era Anna

– Che ci fai qui? Ma dove sono?

Lei alzò la testa, si illuminò

– Dio sia lodato ti sei svegliato.

Corse a bussare un campanello, cercai di alzarmi dal letto, ma non ci riuscivo, poi guardai meglio ero in una stanza con altre persone, quattro letti solo allora realizzai, ero in ospedale, Anna era venuta vicino alla testata del letto, incredula, senza parole

– Anna che ci faccio qui?

Finalmente

– Hai…

Arrivò un medico con un’infermiera e prima che potessi dire qualcosa

– Uscite tutti, dobbiamo portare fuori un malato.

La vidi, stava piangendo, fu l’ultima immagine di lei quel giorno!

Nonostante le mie proteste e le invocazioni per sapere cosa mi era successo, non mi risposero e con un gesto veloce mi trasportarono su una lettiga, poi un corridoio e alla fine, vidi in alto, Sala Operatoria.

.-.-.-.-.-.–.-.-.

Sono passati tre mesi d’inferno, in sala operatoria venni a conoscenza che mi dovevano operare per un ematoma al cranio, avevo tre costole incrinate, stavano quasi perforando il polmone e una frattura alla gamba destra ma non ebbi nemmeno il tempo di chiedere altro, dopo aver firmato il consenso informato mi fu fatta l’anestesia totale e operato.

Seguirono altri tre mesi ancora in ospedale, tra uscita dalla rianimazione e terapia intensiva, l’operazione aveva dato un buon esito, ma ora arrivava la fase più difficile, la riabilitazione.

In tutto questo, litigai di brutto con Anna, veniva spesso a trovarmi, fu lei che mi raccontò quello che era accaduto,  dopo quella notte, mi disse che la mattina successiva stava per venirmi a trovare, quando vide vicino casa l’autoambulanza, mia madre si era accorta che respiravo a fatica, avevo la febbre alta, mio padre era già andato a pescare all’alba, si vide persa e telefonò in ospedale, mandarono la guardia medica, ma la dottoressa dopo una visita veloce, chiamò il 118 per ricoverarmi in ospedale, lei e mia madre seguirono l’autoambulanza e dopo il ricovero scoprirono la verità sul mio stato di salute, mio padre era sconvolto, non sapeva nulla, furono i vicini che lo avvertirono al suo ritorno.

Avevo saputo da mia madre, che lei nei momenti liberi, rimaneva con me, ero contento, era la mia amica del cuore,  ma quel giorno le chiesi di Sara, lei non voleva rispondermi, poi dietro mie insistenze, venni a sapere che lei era andata alla direzione della scuola per denunciare quei tre che l’avevano molestata, ed era pronta ad andare dai carabinieri a raccontare tutto, raccontando anche come mi avevano conciato, ma trovò solo un muro di gomma e non avendo sufficienti prove per fare una denuncia per molestie, non trovò nessuno che la potesse aiutare.

Una sua amica ben informata, invece, la mise al corrente che il gruppo degli inglesi era partito dopo due giorni in  gran fretta e con loro era andata anche Sara, James era il suo fidanzato e il padre di lei per tacitare la scuola ed evitare le proteste in Inghilterra per il loro comportamento, aveva fatto una grossa donazione per sistemare la palestra della scuola.

– Leo mi senti?

Avevo chiusi gli occhi, tutto il mondo in quel momento mi era crollato addosso, tutte le mie aspettative, i miei sogni con lei ed ora me la ritrovavo fidanzata e in Inghilterra

– Leo, stai bene?

Ero arrabbiato con lei, quando aprii gli occhi

– Se quella sera l’avessi fermata, forse avrei avuto l’opportunità di parlarle, di esprimere quello che sentivo per lei, ma invece…

E la guardai, avevo gli occhi iniettati di rabbia!

Lei scoppiò a piangere e andò via e da allora non ritornò più in ospedale.

Avevo solo un chiodo fisso, rimettermi e poi…

…e poi sarei andato in cerca di lei in Inghilterra, mi mancava Anna la mia amica, cercai di telefonarle, chiesi a mi madre di contattarla volevo scusarmi, ma nulla, non venne più.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Impiegai due mesi per convincere i miei genitori, volevo andare in Inghilterra a cercare lavoro, era una scusa ma loro non lo sapevano, fu un Natale triste per me, non c’era più Sara, Anna era scomparsa e i miei non mi rispondevano, ovvero mamma mi disse che Giacobbe mi avrebbe voluto al ristorante, lui non ci sapeva fare con i clienti in sala e quindi aveva deciso di assumermi, ma non accettai e visto che loro tentennavano decisi da solo.

Tramite la cameriera del farmacista, una donna di una certa età che mi conosceva fin da bambino, venni a sapere che Sara non stava a Londra ma a Bristol e aveva trovato lavoro tramite il padre del fidanzato James, un banchiere molto facoltoso di quella città, come insegnante di italiano al liceo inglese.

Eravamo prossimi al Carnevale, acquistai il biglietto aereo e mi recai al ristorante in una fredda giornata di febbraio per farlo sapere a mia madre

– Ti sei deciso, vero?

Era Giacobbe sorridente

– Per cosa?

Si stupì

– Ad accettare la mia proposta di lavoro, cos’altro?

Non ci pensavo proprio e

– No grazie signor Giacobbe, ma non sono qui per questo.

Meravigliato

– E perché?

Stavo per dargli una rispostaccia, ma poi mi calmai, mia madre lavorava la e lui era stato sempre gentile

– Parto, vado all’estero, ho trovato lavoro a Bristol in Inghilterra.

Dissi sorridendo

– Ma bravo…

E poi si avviò verso la cucina, prima che potessi fermarlo

– Emma c’è tuo figlio, sta per partire per l’inghilterra, ha trovato lavoro.

Veramente non volevo che accadesse così, dopo pochi istanti vidi mia mamma uscire stravolta, stava per venire verso di me, poi un fracasso di piatti rotti in cucina, fece dietrofront all’improvviso

– Anna, ma che succede?

Anna, stava li?

Mi avviai subito, ma sentii solo una porta sbattuta, quella del retro e vidi mia madre, mi stava aspettando sulla porta della cucina

– Perché mi hai fatto questo? Perché sei venuto all’improvviso?

Era arrabbiata, ma in quel momento pensavo alla mia amica, cercavo di guardare dentro, lei si accorse

– E’ andata via!

A casa venni a sapere che due mesi prima, Giacobbe le aveva chiesto di trovare qualcuno in cucina per aiutarla, e lei aveva fatto la proposta ad Anna, aveva accettato ed erano due mesi che lavorava con lei, quando le dissi

– Perché non me l’hai detto?

Per tutta risposta

– Cambiava qualcosa?”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

27 Aprile 2022 – Il segreto di Adelmo.

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Il segreto di Adelmo.

Quella settimana, al comune di Roccapinna, fu molto estenuante per me, finalmente arrivò il sabato e non vedevo l’ora di uscire dal lavoro

– Ragioniere, allora ci vediamo domani mattina?

Alzai la testa, ero distratto

– Si, certo! A domani mattina.

Invece di sorridere mi uscì una smorfia, per fortuna era già uscito dalla porta prima di notarla.

Chi aveva parlato?

Il mio capo era il ragioniere generale del Comune!

Roccapinna è un comune che se lo si cerca sulle cartine geografiche, spesso non si riesce a localizzarlo e non tutte le cartine lo riportano sulle colline marchigiane è un comune di duemilacinquecento abitanti, diviso in due frazioni,  sopralmonte e sottoalmonte, secoli fa il paese era solo sul monte, poi con l’industrializzazione, il dopo guerra, molti decisero di costruire in pianura e ora dopo decenni di migrazioni di famiglie, sopralmonte era abitato da trecento e due abitanti, anzi trecento e tre adesso, l’ultimo a risalire sono stato io, non per scelta ma per lavoro.

Prima abitavo con mia madre in pianura, lei viveva con la pensione di mio padre di reversibilità morto anni prima, ex operaio edile in tutta Italia, in effetti non avevo mai avuto una sede stabile, io e mia madre seguivamo lui e i cantieri dove andava a lavorare, quand’era in attività era molto ricercato, uno dei migliori nelle verifiche  e il coordinamento delle squadre di operai per la messa in opera del calcestruzzo, era salito al cielo troppo presto all’età di sessantasei anni, nemmeno il tempo di godersi qualche anno di pensione, sette infarti in una notte lo portarono via.

Mi chiamo Adelmo, nome troppo impegnativo per me ma era il nome del nonno paterno, ma tutti mi chiamano Dado, quando morì mio padre eravamo a Palermo da due anni, all’epoca mi ero diplomato in ragioneria e dopo ero sotto le armi a Cagliari in rafferma prolungata di tre anni, qualche anno dopo mia madre decise di tornare nella casa materna e quindi quando fui congedato tornai anch’io a Roccapinna.

Durante l’ultimo anno di militare partecipai ad un concorso in quel comune ed ora eccomi qui da due anni inquadrato come ragioniere addetto alle cartelle esattoriali inevase, ero sulla soglia dei trent’anni e visto che la sede del comune si era trasferita sottoalmonte, lasciarono gli uffici finanziari a sopralmonte, quindi per evitare di fare la spola decisi che era arrivato il momento di andare a vivere da solo e presi in locazione una casetta singola su tre piani, piccola ma confortevole.

Mi piaceva quel posto, non c’era la vita frenetica della cittadina, il silenzio era notevole ma i paesaggi colmavano quella tristezza che pervade quando si vive da soli, facevo lunghe passeggiate quando ero libero dal lavoro e covavo una passione segreta, portavo con me un notes e disegnavo quello che più mi colpiva.

L’invito del mio capo per la mattina successiva per mezzogiorno era dettato da una piccola competizione alla bocciofila locale, non erano molte le persone che conoscevo, ma avevo accettato lo stesso, non arrivai mai al palazzetto quella domenica!

Mi stavo preparando quando sentii il campanello della porta e…

…era mia madre con un grosso bustone giallo nelle mani!

– Ciao Dado, è arrivata questa busta per te.

Sorpreso

– Vieni mamma, ma che piacere, entra.

– No, non posso, ho la macchina fuori posto e poi mi aspettano in chiesa per il coro.

Stranamente, senza attendere nessuna risposta, sorridendo, girò le spalle e corse via, la seguii con gli occhi mentre entrava in auto e partì di corsa, quasi scappando, appoggiai la busta sul tavolo della cucina meravigliato dal suo comportamento  ma ancora di più curioso di vederne il suo contenuto, ma non so perché evitai di dare subito importanza, terminai di vestirmi, faceva freddo, eravamo ai primi di novembre e dalla televisione avevo saputo che erano in arrivo delle nevicate, non alle nostre altezze, ma nelle vicinanze, ero in procinto di mettermi la sciarpa, quando mi feci coraggio e aprii quella busta…

…c’erano delle cartine geografiche con delle parti colorate in rosso i bordi, poi alcuni documenti risalenti ad almeno una cinquantina di anni prima della mia nascita e alla fine un cartoncino con su scritto

“Al mio pronipote Adelmo con tutto il mio affetto e ricorda che: “La tradizione è memoria!”. Tuo prozio Adelmo”

Annesso al cartoncino con una graffetta un bigliettino

“Notaio Di Rinaldo – Pristina. Via Oleandri 12”

e a penna…

“L’aspetto lunedì 5 novembre 2020 alle ore 10.00 nel mio studio”

Firmato con sigillo rosso.

Ero a bocca aperta, poi tentai di capirci di più, ma per me quelle cartine geografiche non avevano nessun senso, telefonai a mia madre, ma il cellulare era spento, mi ricordai della messa, presi l’auto e l’aspettai fuori la chiesa  a sottoilmonte, eccola in uscita

– Mamma!

Si girò per nulla stupita dal vedermi, era in compagnia di un uomo, capelli brizzolati, ben vestito, si avvicinarono

– Ciao Dado, dimmi?

Guardai lei, poi l’uomo

– Sono Aldo un amico della mamma, finalmente ci conosciamo

E stese la mano.

Titubante risposi all’invito

– Dovrei parlarti!

Le dissi e lei

– Scusami Aldo ti raggiungo al ristorante…

E poi verso di me

– …andiamo a casa.

E fu così che venni a conoscenza, della sua amicizia con Aldo da oltre due anni era un  vedovo con una figlia sposata e due nipotini, quando ne parlava le si illuminarono gli occhi, poi mi parlò del mio prozio Adelmo, con la moglie aveva fatto ristorazione fino a pochi anni prima di ammalarsi, era un intenditore di vini ed era conosciuto per i suoi frequenti viaggi all’estero, cinque anni prima aveva perso la moglie e lei l’aveva accudito da quando era ritornata nella sua città natale.

Solo una settimana prima di partire per gli Stati Uniti aveva detto

“Ci vediamo al mio ritorno dopo l’operazione al cuore, ho un regalo …”…..

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

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26 Aprile 2022 – Una seconda opportunità.

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Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.

Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!

Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.

Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.

Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.

Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono

– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!

Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino

– Per cosa?

– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!

Ero meravigliato, un provino? A noi?

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?

Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina

– Ma dove vai a quest’ora?

Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…

…suonò il campanello, erano loro!

E questo fu l’inizio della fine!

Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:

“The boys band”

I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti,  increduli …

…e così, ci perdemmo!

Imparai la lingua inglese, ma quando si dice che il successo da alla testa, non è un modo di dire, ma verità assoluta!

Oltre ai soldi, alle ragazze che ci saltavano addosso, arrivarono anche le droghe, prima leggere, poi sempre più pesanti, eravamo sottoposti a stress incalzante, dormivamo poco e male, fui l’unico a rimanere con i piedi ben piantati a terra, anche perché dopo due anni circa di quella vita, persi mio padre per un tumore che raggiunse mia madre, morta dandomi alla luce.

Fu il suo ultimo triste regalo!

Con un aereo dall’Inghilterra, messo a disposizione dalla produzione, lo raggiunsi prima di morire in ospedale tra le mie lacrime e con un filo di voce mi disse

“Ricordati quello che eri prima e cerca di non perderti!”

Mai parole furono più profetiche!

Quella frase rimase così impressa nella mia mente che da allora tutto cambiò, ma per Ludo e Dino purtroppo non andò così, nell’ultimo periodo Dino dovette essere ricoverato più volte per disintossicarsi dalla droga e Ludo subì la sua stessa sorte, non solo per la droga ma si aggiunse anche l’alcol.

La nostra avventura durò otto anni e poi?

Ci perdemmo di vista!

Passarono altri cinque anni da allora e quando mi informai su di loro, venni a conoscenza che Dino lavorava in Inghilterra come Chef in un ristorante di Plymouth e Ludo a Berlino oramai era parte integrante di una comunità di gay, queste furono le ultime notizie dei miei amici.

Quando il complesso si sciolse, cinque anni prima, mi ritrovai da solo, impiegai molto tempo per disintossicarmi da quell’incredibile successo improvviso e decisi di iscrivermi ad una scuola alberghiera, diventai Chef di partita addetto alla griglia e alle fritture, ero taciturno, mi stavo rinchiudendo sempre di più.

Di quell’incredibile avventura mi rimase solo un anello, era in oro con una placchetta nera in superficie con le nostre iniziali a forma di cuore incrociate, fu un regalo che ci facemmo il primo anno, pezzi unici forgiati da un artigiano olandese, promettendoci di non toglierlo e non cederlo mai a nessuno.

Ed eccomi oggi, quasi trent’enne, con un camper come casa e la mia attività al seguito, un food truck, grande come una roulotte per sei persone, modificato e acquistato a Parma.

Prima mi ero trasferito a Lecco, avevo lavorato in diversi ristoranti a Novara, Varese e Como, mi volevano bene tutti, ma non mi sentivo soddisfatto, mi piaceva far parte di una brigata, ma non mi piaceva essere un sottoposto, troppe pressioni in cucina e poi non sopportavo l’arroganza degli Chef, avevo messo da parte i soldi guadagnati con la musica e furono quelli che mi salvarono e mi diedero l’opportunità di finire gli studi e…altro!

Una sera uscendo dal ristorante di Como, una folata di vento a mulinello mi travolse,  riuscii a mettermi al riparo e mi ritrovai tra le mani un volantino, era la pubblicità di una Fiera a Parma dove venivano presentati modelli di automezzi adatti per la ristorazione mobile, nuovi e usati, quella notte non riuscii a dormire, ero alla ricerca di trovare la mia strada, poteva essere quella giusta, decisi di visitare la fiera.

E il giorno dopo…

…fu la giornata che cambiò tutta la mia vita!

– Come va oggi?

Ero in ospedale, pregavo e la guardavo, com’era bella, nonostante le ecchimosi sul viso fossero diventate viola, chiudendo gli occhi per un attimo, la rivedevo come la prima volta che l’avevo incontrata, una ragazza bella,  solare e piena di vita.

Adesso i suoi capelli biondi lunghi scendevano sulla copertina del letto d’ospedale inerti, gli occhi erano chiusi, ma conoscevo bene il loro colore, celesti come il mare, dai documenti della cartella clinica, ero venuto a conoscenza della sua età, trentuno anni, la mia stessa età, era in coma, respira solo con una mascherina e il suo corpo era avvolto in un vestaglia bianca come la neve attaccato a delle macchine che controllavano il suo stato di salute, avevo gli occhi velati dalle lacrime, sentii dei passi, alzai lo sguardo, era Nico il suo datore di lavoro, aveva un’agenzia pubblicitaria e lei aveva accettato di fare da promoter per un food truck di una compagnia inglese, era un brav’uomo, sui sessanta anni, venne alle mie spalle

– Non è stata colpa tua!

Era già passato un mese da allora, ma non riuscivo ancora a capacitarmi!

Quel giorno mi ero avvicinato a quel padiglione, l’ultimo della fiera…

… c’era tanta gente, bambini urlanti, venditori di ogni cosa, dai food truck fuoriuscivano profumi deliziosi, panini, patatine, sfogliatine, frittelle a ripetizione, fino a quel momento nulla mi aveva colpito, anche perché confesso non ero pienamente cosciente del perché fossi venuto, la giornata era fredda e nonostante i numerosi pannelli radianti accesi per emanare calore sia in basso che in alto appesi al soffitto, non si poteva passeggiare senza essere ben protetti tra i padiglioni.

Nulla mi aveva attratto veramente, la giornata era passata senza nessuna emozione, ero in procinto di allontanarmi dalla fiera, verso una delle uscite, notai un padiglione con i colori inglesi e una doppia bandiera enorme, quella inglese e quella americana, mi era di strada, mi incuriosì e quando mi avvicinai, la prima cosa che mi colpì, fu una ragazza, disinvoltamente vestita solo con una gonna e una camicetta invogliava le persone a visitare lo stand, la vidi batteva i denti, ma nonostante tutto elargiva un sorriso per tutti quelli che passavano vicini, anche per quelli che non rispondevano al suo invito, non so proprio perché lo feci, ma poco distante, c’era un piccolo bar montato su un automezzo, presi due cioccolate bollenti e

– Posso?

Era di spalle, si girò meravigliata

– Cosa?

Poi vide il boccale bollente, colmo di cioccolata con panna che le stavo offrendo

– Ma?

Le sorrisi

– Scusami, ti ho visto che battevi i denti…

Rispose al sorriso, prendendo il boccale

– Grazie, ma ci conosciamo?

– No, ma se è solo per questo, io mi chiamo Rino e tu?

Mi persi nei suoi occhi celesti, mi guardava incuriosita, mi stava analizzando

– Solitamente non sono mai così diretto, ma mi è venuto spontaneo, io qui coperto con cappotto, sciarpa e cappello come tutti qui dentro e tu…

Diventò rossa all’improvviso

– Spogliata?

Abbassai la testa, mi vergognavo, si è vero, l’avevo immaginata così

– …disinvolta!

Risposi…

…e sorridemmo, seguirono dei minuti imbarazzanti, sorseggiammo la bibita calda, mi ringraziò e ci sedemmo nei pressi dell’automezzo

– Mi chiamo Ivvy.

Un perfetto italiano con una inflessione straniera, spontaneamente

– Non sei italiana?

– No, sono irlandese e studio a Londra, il mese scorso ho risposto ad un annuncio di un’agenzia italiana per questo lavoro, il colloquio l’ho fatto a Londra, cercavano una ragazza inglese che conoscesse bene l’italiano, sai, questa Fiera è internazionale e la società produttrice di questi automezzi, voleva essere certa di raggiungere il maggior numero di persone di tutte le nazionalità, amo l’Italia e quindi ho colto l’occasione, mi veniva pagato alloggio e vitto per due settimane da trascorrere in Italia, oltre la Fiera, e tu?

Preso alla sprovvista con un grumo di cioccolata alla gola bollente

– Cosa?

Ero goffo, rosso dallo sforzo di ingollare quel grumo bollente

– Come mai sei qui?

Riacquistato un minimo di normalità mi resi conto che aspettava che parlassi, ma non avevo la risposta e così sinceramente

– Non lo so!

Non dimenticherò mai la sua espressione, era sbigottita, ma non aggiunse nulla, fummo distolti da una sirena

– La fiera sta per chiudere, riapre domani, devo andare, mettere in ordine, scusami, grazie per la cioccolata.

E si alzò, feci appena in tempo

– Ci vediamo domani?

Si girò contenta

– Se vuoi, io sarò qui!

Sorrisi

– A domani allora!

Quella ragazza mi aveva colpito, non riuscivo a chiudere gli occhi senza immaginarla, dormii pochissimo in attesa dell’alba ma il giorno dopo non potetti andare di mattina, fui chiamato da un avvocato per chiudere il rapporto di lavoro con l’ultimo ristorante, non potevo non andare, dovevano liquidarmi e quei soldi mi servivano  e solo nel pomeriggio inoltrato riuscii dopo aver definito la pratica con il mio ex datore di lavoro, accettai pur di andarmene via una somma lievemente inferiore a quella che mi doveva.

Presi l’auto e dopo due ore d’auto finalmente entrai in fiera, mi recai direttamente al suo padiglione, eccola, era la, stava parlando con una persona, mi vide, sorrise e i suoi occhi si illuminarono, aspettai poco distante e poi quando si allontanarono

– Pensavo che non saresti più venuto!

Fu sincera e io stupito e contento, aveva una sciarpa bianca al collo

– Scusami, sono stato impegnato, ma ce l’ho fatta!

Ero contento, mi stava aspettando, stranamente in questo secondo incontro ebbi l’impressione di un’aria familiare ma mi ripresi immediatamente pensando ad una sciocchezza, poi  fui distratto dall’avvicinarsi di una persona alle sue spalle, lei seguì il mio sguardo e lo vide, mi prese immediatamente per mano

– Venga le faccio vedere il food truck.

E mi trascinò verso l’automezzo, l’uomo

– Ivvy, non è possibile, tra poco suona la sirena di chiusura della fiera e dobbiamo andare.

Ma lei incurante delle sue parole

– Venga, le faccio vedere!

E così entrammo nell’automezzo

– Scusami, ma non potevo fare in altro modo, oggi è l’ultimo giorno della fiera, almeno qui non entrerà nessuno.

Non ascoltavo nulla, guardavo solo la sua bocca, era bella e a forma di cuore, rimasi incantato, mi venne un’idea

– Se vuoi ti aspetto fuori, nulla di impegnativo, mi farebbe piacere, andiamo a mangiare una pizza come due amici, conosco un posticino poco distante, è carino, è confortevole….

Mi fermò, con la sua mano appoggiandola sulla bocca, chiusi gli occhi per un attimo, mi piaceva quel contatto, poi li riaprii immediatamente, era meravigliata ma annuì contenta e uscimmo, mi feci da parte per farla uscire per prima e…

…tutto accadde in un attimo, un pannello radiante si staccò dalla cupola e la colpì di striscio, feci appena in tempo a rientrare nell’automezzo e poi la vidi lì per terra con il sangue che le usciva dalla testa, urlai e non si capì più nulla, dopo poco si sentì la sirena dell’autoambulanza!

Mentii spudoratamente in ospedale, con la mia auto seguivo l’autoambulanza in modo spericolato, entrò nel pronto soccorso era in codice rosso in sala operatoria, volevo seguirla, ma mi fermarono

– Lei è?

Immediatamente

– Il suo… fidanzato, fatemi andare, voglio vederla…

Ma fui bloccato da due agenti della sicurezza, mi portarono di peso nella sala d’aspetto

– Stia qui!

Ecco quello che successe in quella giornata indimenticabile, paonazzo mi guardai intorno e vidi quell’uomo, quello della fiera con un cappotto e una borsa di donna in mano, aveva appena ascoltato la mia risposta agli agenti della sicurezza, si avvicinò

– Non sapevo che avesse un fidanzato qui in Italia, ora capisco, perché ha accettato, ecco tenga.

E mi diede il suo cappotto e la sua borsa, non dissi nulla

– Non si preoccupi, vedrà si riprenderà!

Singhiozzavo, se solo non l’avessi raggiunta in serata, nulla sarebbe accaduto, ma ora? Chissà colpito dalla mia reazione, abbracciavo con forza quello che mi aveva dato, disse con una voce dolce

– Stia tranquillo, vedrà tra poco avremo buone notizie.

Ma così non fu!

Arrivò un agente, mi scortò dal medico di servizio, dalla borsa presi i suoi documenti per la registrazione e mentre lui digitava al computer

– Dottore?

E lui scuotendo la testa si alzò e con fare premuroso e preoccupato mi strinse la spalla con la mano

– E’ in coma!

Ero sul punto di sentirmi male, mi cadde il mondo addosso!

Lui continuava a parlare ed io ascoltavo come se fosse stato lontano chilometri, il pannello aveva colpito la parte superiore del cranio, era stata operata per rimuovere un edema, ma aveva perso i sensi ed era in stato incosciente, in coma.

I primi cinque giorni furono terribili, Nico, quell’uomo che l’aveva assunta faceva la spola tutti i giorni ed io non mi spostai dall’ospedale, era nel reparto di rianimazione e aspettavo con ansia il momento di entrare e starle vicino, ma era…

…difficile esprimere a parole quello che sentivo, ero vuoto dentro, non mangiavo da giorni, tant’è che il personale del reparto con dolcezza mi obbligarono dopo un poco a mangiare qualcosa

– Se non stai bene, lei come farà a riconoscerti?

Li accontentai di malavoglia, fu allora che presi quella decisione, non mi sarei allontanato da lei!

Nico mi assicurò che tutte le spese mediche sarebbero state coperte dall’assicurazione, la dirigenza della fiera stava valutando il….

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

…segue…
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25 Aprile 2022 – Un evento indimenticabile!

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Un vecchio detto recita “L’uomo propone e Dio dispone”!

Non sono mai stato un amante dei detti o dei proverbi, ma nella vita non mi aspettavo di dovermi ricredere presto, all’età di trent’anni, dopo aver conseguito una laurea in economia e commercio e un master in Scienze della comunicazione, ero certo della strada che avrei dovuto iniziare di lì a poco.

Presentai il mio curriculum alle più prestigiose Università, a tempo di record, fui contattato dalla prestigiosa LUISS di Milano proponendomi un contratto a tempo indeterminato e dopo i primi sei mesi di prova, una cattedra a tempo pieno.

Ero euforico, avevo tanto studiato, mi appassionava quella materia più delle altre e con dodici pubblicazioni e un meritato centodieci con lode e menzione d’onore dell’Università La Sapienza di Roma, ero certo di poter contribuire nell’insegnamento universitario e trasmettere quella mia stessa passione agli studenti.

Ma!

Già, c’è sempre un ma, nella vita!

La mia famiglia gestiva un’azienda di ortofrutta, acquistava e rivendeva beni  di eccellenza del nostro territorio campano dal mercato ortofrutticolo e da produttori privati su una vasta area della Regione Lazio, la nostra sede era nell’alto casertano, quasi al confine con il mare laziale, avevamo a quell’epoca trenta dipendenti, mia madre gestiva la contabilità e mio padre invece gestiva gli acquisti e la logistica dei corrieri.

Già, avevamo i nostri corrieri, venti persone fidate con dieci furgoni frigoriferi, i quali giornalmente raggiungevano decine di ristoranti per rifornirli di una vasta gamma di frutta e verdure già pronte per essere utilizzate, si questo era il nostro punto di forza, nulla andava sprecato, le verdure erano sfrondate, pulite e preparate in apposite vaschette sotto vuoto, già pronte per essere utilizzate dagli Chef e  ad un costo contenuto, con un prodotto a chilometri zero e la frutta era sempre fresca di stagione….

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24 Aprile 2022 – La finzione diventa realtà.

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Prima parte – La finzione

(Promemoria sotto copertura – nome: Sara)

Il mio nome sarà Sara, da sette anni responsabile in un negozio di informatica progettazione e sviluppo, 32 anni, single, non per necessità ma per scelta almeno per il momento.

E già, per scelta!

Ma oggi, inizio ad avere dei dubbi, vivo da sola, fotografa paesaggistica per passione, lavoro con quattro uomini, due sposati, due single, uno troppo anziano e uno troppo giovane.

Spesso, mi capita di essere chiamata da amici e parenti, a fare delle foto per qualche evento, mi diverto molto, e non nascondo che ogni volta, penso inconsciamente  “forse questa è l’occasione giusta”, per conoscere qualcuno, che faccia al caso mio.

Esatto!

Perché con l’età si iniziano ad avere dei dubbi, sulla persona che si vorrebbe vicino, certo, non mi sono mancate le occasioni di incontrare qualcuno, ma le motivazioni non erano quelle che canonicamente si conosce, conoscenza, innamoramento, fidanzamento e matrimonio!

Oggi ci si incontra, uno sguardo d’intesa, una parola, si passa la giornata, e poi, qualche ora a letto, per poi:

– Ci vediamo in giro, ciao!

– Ciao.

Solo e soltanto desiderio occasionale e ormonale!

Surrogato dell’amore!

Ecco, questa è la mia vita oggi, non sono brutta, leggermente rotondetta, ma ai posti giusti, mediamente alta, capelli neri, occhi castani, seno nella norma e tanti dubbi nella testa.

I miei colleghi, quando un cliente è single, cercano di dirottarmelo, non ho mai parlato con loro dei miei problemi, ma evidentemente hanno capito.

Cosa?

Quelli che tutto dicono in famiglia, devi pensare al domani, vuoi essere sola tutta la vita? vuoi mettere avere dei figli? vuoi…e tanto, ma tanto ancora.

Non rispondo, perché sarebbe inutile, ma, quando sono da sola, mi pongo le stesse domande, in silenzio senza confessarlo a nessuno.

Domani compio 33 anni, non ho voluto festeggiare con tutti, ma ho invitato due amiche, al pub, per bere qualcosa insieme.

Oggi invece, in negozio mi hanno festeggiata a sorpresa, torta e pasticcini, non me l’aspettavo, ma all’ora di pranzo hanno chiuso le saracinesche fatto largo su di un tavolo, ho spento le candeline, tra baci e abbracci.

Sono finalmente a casa, faccio una doccia ristoratrice, stasera voglio essere al top, ho acquistato un vestito che mi sembra adatto alla serata, inforco i miei stivali preferiti, lascio in ordine l’appartamento, (non si sa mai), ecco lo squillo al cellulare, sono loro, scendo:

– Come sei bella?

Lei e Mia, una ragazza di origine thailandese, sempre carina nei giudizi.

– Ma sei una favola?

Lei è l’altra, il mio alter ego, bella da morire, bionda, occhi azzurri, potrebbe avere chiunque, ma non le sta bene nessuno, Elga.

Leggermente arrossita:

– Grazie, su andiamo che si fa tardi.

Il pub è distante una decina di chilometri da casa, Mia è venuta con la sua auto, parcheggiamo ed entriamo.

Il pub, è stracolmo, stasera c’è una gara tra chi beve più birra senza stramazzare a terra, il social ha fatto il suo dovere, molti hanno risposto all’appello, ci sediamo ad un tavolo e ordiniamo.

E’ il momento dei regali, Mia mi ha regalato un fantastico foulard mille colori, apro il pacchetto di Elga, una spilla, un’agenda e un biglietto da visita.

La guardo interrogativamente e lei:

– Sono anni che ti conosciamo, ma da qualche mese sei cambiata, sei diventata più triste, io e Mia ce ne siamo accorte e abbiamo cercato di capire il perché, ma non ci siamo riuscite. Allora, la spilla è il mio regalo con il tuo segno zodiacale, lo scorpione, mentre l’agenda…

Mia:

– L’agenda ti servirà a scrivere cosa vorresti nella vita adesso, diciamo una sorta di diario, dove mettere per iscritto i tuoi desideri e una volta che l’hai fatto…

Elga:

– Tutto potrebbe essere più chiaro! Ma se non dovessi riuscire, e il tuo massimo desiderio oggi è di origine sentimentale, potresti rivolgerti a questo numero di telefono.

La cosa iniziava ad incuriosirmi, le abbraccio ringraziandole, ma confesso che non ho capito il significato del bigliettino da visita.

Elga:

– Guarda dietro, mentre noi andiamo a prendere qualcosa da bere.

Si alzarono, prima che potessi dire qualcosa e rimasi li, con quel bigliettino di forma quadrata, color oro, con un numero di cellulare sulla prima facciata, poi lo girai, ero curiosa!

“Agenzia fantasma

– Sei single?

– Vorresti una vita coniugale, ma ti fa paura?

– Hai coraggio?

– Sei temeraria?

Chiamaci!!”

Cosa vuol dire?

Inizio a fantasticare, sarà forse un’agenzia di toy boy, forse un’agenzia matrimoniale, un collocamento per single maschili, ma che accidenti sarà?

Eccole, sono tornate con tre bicchieri di birra alla spina.

Mia

– Allora?

Non volevo essere sgarbata, le guardai:

– Penso che non sono ancora pronta a far decidere ad altri, se voglio un toy boy, un marito o un appuntamento al buio.

Mi guardarono divertite, non erano arrabbiate, io si!

Elga:

– Schiocca, nulla di tutto questo.

– Come?

– E già, devi sapere – era Mia – una mia collega al lavoro, diede di matto, buttò tutto all’aria, i campioni dei profumi saltarono dal tavolo, pensammo tutti che fosse impazzita, ma il capo reparto, una persona molto saggia, mi chiese di accompagnarla a casa e di farle compagnia per quel giorno e volle aiutarla.

Mi feci molto attenta.

– Quando fui a casa con lei, dopo essersi sfogata, le preparai del te, e lei si aprì, parlando. Mi raccontò che era stanca della sua vita solo per il lavoro, voleva fortemente avere una famiglia ma aveva paura. Non sapeva a cosa poteva andare incontro! Una sua amica, le aveva dato un bigliettino e le aveva consigliato di fare una prova.

Una prova?

Elga:

– Si, una prova!

– Cosa vuol dire?

– Se hai pazienza, anch’io rimasi di stucco quando me lo raccontò e chiesi di avere qualche altra informazione, e lei, si una prova, vivere con qualcuno e capire se si è pronti per una vita coniugale. Ma è pazzesco, le dissi. La mia amica l’ha fatto, ed ora è felicemente sposata, mi disse lei.

Ma è pazzesco!

Ci guardammo negli occhi e ripetemmo la stessa cosa.

– E poi, cosa accadde alla tua amica?

– Mesi dopo, mi sembra due mesi dopo, un giorno venne in laboratorio e ci portò le partecipazioni per le sue nozze, mi prese in disparte e in una bustina mi diede il bigliettino, non volle aggiungere altro, disse solo, se un domani dovessi averne bisogno, usalo ti porterà fortuna, mi è costato un poco ma mi ha fatto bene.

Ero senza parole! Ma cosa vuol dire, una prova?

Le amiche capirono che mi stavo imbarazzando e intristendo:

– Andiamo in pista a festeggiare, poi ci penserai.

E andammo.

Fu una serata memorabile, ma anche stancante, non mi ricordo tutto, complice le birre, ma fui felice.

Inutile dire, facemmo tardi, ed eravamo anche leggermente brille, stramazzai sul letto com’ero vestita e mi addormentai.

La mattina successiva, era domenica, mi svegliai verso mezzogiorno, mi buttai sotto la doccia, poi con l’accappatoio mi misi sul letto, sulla sponda, la mia borsa cadde e uscirono l’agenda e il bigliettino.

Non volevo toccare, ne l’una, ne l’atro!

Mi ricordai tutto, ma che pazzia? E poi perché fare una cosa simile? Una prova? E in che cosa consiste?

Mi preparai una ricca frittata, misi un tovagliolo e iniziai a mangiare, era una bella giornata, il sole faceva capolino e un raggio impertinente raggiunse la mia camera, guardai la traiettoria, si fermò sul bigliettino, il riflesso si puntò su di me.

Che sciocchezza!

Sparecchiai la tavola, passai sulla poltrona, accesi il televisore, ma non lo guardavo, presi l’agenda e una penna, iniziai a scrivere, erano tutte domande senza risposta, ma chi diavolo mi doveva rispondere, quasi inconsciamente presi il bigliettino, feci il numero:

– Pronto

– Si, prego

Una voce calda al di la del telefono mi colpì, senza inflessioni dialettali:

– Ho ricevuto questo numero da un’amica.

– Certo, il nostro passa parola, desidera?

– Non lo so?

– Sono Rino il titolare di questa agenzia, se ha telefonato e perché desidera fare delle domande.

– Si

Come cavolo aveva fatto a pensarlo?

– Mi dica, sono qui per questo.

– Di cosa si tratta?

– Semplice, noi forniamo accompagnatori a seconda delle sue esigenze.

– Toy boy?

– No, non trattiamo questo genere di cose.

La voce era diventata seria:

– E allora?

– Mi ascolti, noi forniamo accompagnatori, per una serata, per un fine settimana, per un mese, per far vivere una vita coniugale senza legami sentimentali, escludendo il sesso, chiedo scusa per la crudezza.

Ero allibita:

– No, ha fatto bene!

– Il nostro personale, è formato su questa linea, si tratta di un periodo transitorio, dove le persone che non hanno vissuto questa realtà, possono viverla anonimamente e poi decidere con calma se perseguirla o meno nella loro vita normale.

Ora era più chiaro.

– Ci sei?

– Si, ci sono, sto riflettendo.

– Bene, ora è compito mio farle delle domande, posso?

– Il suo nome

– Sara

– L’età

– 33, appena compiuti.

– Auguri allora, è single?

– Si

– Mi può inviare una sua foto alla mia email?

– Si

– Questo è l’indirizzo …….…..@gmail.com, se vuole può riflettere e se lo desidera mi può richiamare, quando vuole.

Questa non me l’aspettavo, non ha insistito, non ha voluto convincermi:

– Si.

– Grazie, allora arrivederci.

Per tutto il pomeriggio feci delle ricerche su internet, solo verso le 20.00, trovai un forum, dove si parlava di esperienze di questo tipo, le lessi tutte, inviai la mia foto e telefonai:

– Pronto, sono Sara

– Si, ho visto, mi dica?

– E’ inutile dire che mi sembra un’idea pazzesca, forse sto perdendo la coscienza di me stessa, ma vorrei provare.

– Capisco il suo stato d’animo, le consiglio di andare a vedere il nostro Forum

– Già fatto

– Non avevo dubbi, per questo ha mandato la foto.

– Si

– Allora, le spiego in poche parole, se desidera provare, le posso consigliare un fine settimana, anche se è il servizio che costa di più.

– Mi dica?

Ero curiosa.

– Il servizio consiste nell’accompagnarla a cinema o a teatro o altra manifestazione che desidera, segue cena in ristorante e passeggiata, l’indomani gita fuori porta dove vuole con pranzo, ore 20.00 fine servizio, costo 2000 euro tutto compreso.

Azz!!

– Dimenticavo, tutto compreso assicurazione e fattura al 20%.

– Assicurazione?

– Certo, lei sarà assicurata dai LLody di Londra per qualsiasi problema che possa avere con il nostro accompagnatore, fino ad un massimale di 1.000.000 di euro.

– Cosa vuol dire?

– Il nostro personale è collaudato, ma se le dovesse capitare qualche incidente con questa persona, verrà risarcita immediatamente.

Facendo due calcoli, il vero servizio veniva a costare 1500 euro.

– E’ una cifra notevole?

– Si, certo, ma lei non avrà altra spesa, organizzeremo tutto noi, lei dovrà versare come anticipo 1000 euro sul conto IBAN………………., le verrà inviata la ricevuta e la copia dell’assicurazione, dovrà solo dirci dove vuole andare, dove cenare e dove fare la gita nel raggio di 100 chilometri dalla sua residenza, sei giorni prima. Al resto pensiamo noi. Dovrà aggiungere il suo indirizzo, i suoi hobby e le sue passione,  i suoi dati e quelli della persona che desidererebbe, stessa età o altro, italiano o altro, altezza e peso, se nella sua città o altro e le manderemo delle foto di persone che potrebbero interessarle.

Che organizzazione!

Nel frattempo stavo scrivendo sull’agenda.

– Ha scritto tutto?

Come cavolo ha fatto?

– Se vuole posso ripetere

– No, grazie.

– Questo è tutto, ci faccia sapere

– Un attimo, vorrei chiedere una cosa?

– Dica?

– E per una settimana?

– I parametri sono diversi e uguali per un mese, escluso il costo. Ma il vitto e l’alloggio sono a carico suo.

– Ah ecco!!

– Se vuole posso anche dirglielo.

– No, vorrei prima pensarci.

– Perfetto, buona serata.

Ero senza parole, certo era una cifra notevole, ma che pazzia? Non volevo pensarci più, stavo per andare a dormire, quando squilla il cellulare:

– Pronto

– Sono Elga, ma aspettavi una telefonata?

– Perché?

– Ma avrò capito male, come stai?

E ora che le dico, ho la testa che continua a risuonare della voce dello sconosciuto, una bugia?…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

23 Aprile 2022 – La vita è strana!

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La vita è strana, sempre!

Quando iniziai l’università, dopo la fine degli studi non avevo idea di come sarebbe stata la mia vita, ma non mi aspettavo, che al termine, il mio docente di urbanistica

– Sono talmente soddisfatto del tuo lavoro, ti ho raccomandato al Consiglio d’Amministrazione dell’Università per essere il mio assistente con un contratto a tempo determinato per un anno, che ne dici?

Ecco!

Sono cinque anni che mi veniva rinnovato il contratto, e oggi ho ricevuto la raccomandata di aver vinto il Concorso come Professore associato, ero emozionato, sarei stato il più giovane docente associato, prima di aver compiuto i trent’anni.

Caddi pesantemente sul gradino della portineria dopo aver firmato il registro elettronico del postino

– Si sente bene?

Riuscii con la testa a dire di si, ma in quel momento tutta la mia vita passava davanti chiudendo gli occhi, orfano all’età di diciotto anni, nessun fratello o sorella in supporto, l’unico familiare viveva lontano da Roma in Sicilia e nonostante le sue offerte di aiuto, testardamente decisi di continuare da solo, avevo la casa, piccola, ma era la mia casa.

Mi accollai l’onere di mantenerla e sostenermi, come?

Iniziai a lavorare di pomeriggio in un ristorante a pochi chilometri di distanza da casa, quindi la mia giornata era, la mattina a seguire le lezioni all’università di pomeriggio al ristorante in qualità di tuttofare e la notte studiavo.

Furono anni terribili, specialmente quando arrivava il periodo delle festività, avevo pochi amici, solo universitari, ma erano troppo per me, tutti provenivano da famiglie agiate e non mi sentivo alla loro altezza, quindi accettavo tutti i turni più massacranti di lavoro al ristorante.

Credevo nell’amore, con la A maiuscola, ma di tutte quelle ragazze che avevo conosciuto in quegli anni, nessuna mi sembrava la donna giusta da frequentare e quindi solo  il tempo di una frettolosa conoscenza e capire che non era fatta per me cambiavo rotta e obbiettivi.

L’unica mia famiglia furono i gestori del ristorante, spesso Romeo

– Perché continui a martoriarti sui libri, qui da noi hai ricoperto tutti i ruoli e si vede che hai la stoffa del ristoratore…lo guardai stupito

– Si, non fare quella faccia meravigliata, lo sai anche tu!

Diventai rosso

– Ti ringrazio, ma ho un’altra passione…

E mi fermai, continuando a pulire il bancone d’ingresso

– …lo devo ai miei genitori, avevo promesso sul letto di morte di mia madre che non avrei lasciato l’università…

Poi sorridendo

-…e poi l’urbanistica mi ha conquistato!

Scuoteva la testa, non l’avevo convinto, ma era la verità!

Si, era vero, avevo fatto di tutto in quegli anni, da cameriere alle pulizie, da lavapiatti e come aiuto cuoco d’emergenza, tanto che Romeo e la moglie mi affidarono sempre qualche altro incarico, ero arrivato a fare i conti della giornata, i colloqui per il personale e prima di andare all’università, passavo per il mercato generale e riempivo la mia cinquecento scassata nel fiore della sua vecchiaia.

Mi piaceva, quell’aria che si respirava nel locale, si riempiva di voci, di comande a ripetizione, di facce nuove e persone abituali, erano la mia famiglia.

Dopo la vincita del concorso tutto cambiò!

D’improvviso, le ore non mi bastavano più, fui letteralmente sommerso da impegni, in effetti la cattedra che era stata del mio professore ricadde su di me come una valanga di neve, lezioni da tenere, compiti da correggere e poi…

…la nostra Università aveva un contratto una collaborazione con il Ministero della Ricerca Scientifica e Innovazione, ed ogni progetto era complesso ma ben remunerato, sommando il mio stipendio, arrivai all’età di ventotto anni, ad una cifra mensile di tutto rispetto.

Una delle cose che mi amareggiava, furono le mie incursioni al ristorante, sempre più brevi, sempre più fugaci, quasi raggiungendo lo zero, tra il dispiacere di Romeo e di sua moglie.

Certo! Ero rispettato da tutti, invidiato da molti all’Università, ma la cosa non mi toccava più di tanto, frequenti erano i miei incontri con il Rettore, quindi quando ritornai dopo le feste natalizie, non mi meravigliai più di tanto, della sua richiesta di ricevermi urgentemente.

Ma fu l’inizio di…

…non mi aspettavo tante persone, il Rettore era un uomo di una certa età, ogni volta che ci incontravamo dovevo stare attento alle sue parole, parlava a bassa voce ed erano incontri che duravano pochi minuti e via.

Ma stavolta non fu così!

Pur conoscendomi da tanto tempo invece di darmi del tu stavolta, fece segno di accomodarmi e così  le altre tre persone presenti, mi giravo a guardarle, erano vestiti impeccabilmente da uomini d’affari o di politica e non mi sbagliai, mi furono presentati, erano politici, due sottosegretari del Governo in carica e il terzo era rappresentante del Ministero dell’interno.

Il Rettore si schiarì la voce, aveva tre faldoni davanti, su cui troneggiavano su raso rosso, il simbolo della Repubblica, iniziai a sudare

– Durante le festività, ho avuto diversi incontri al Ministero e nonostante la mia resistenza  i Ministri che mi avevano convocato, hanno fatto il suo nome. ho fatto le mie rimostranze, ho detto che non volevo per nessuna ragione che lei si allontanasse dall’Università…

A quelle parole, stavo per alzarmi, ma lui

– Stia comodo Dottore, non la sto licenziando…

Iniziavo ad avere il fiato corto, ma non volevo darlo a vedere a quelle persone

-…ma quando mi hanno parlato di un segreto di Stato…

.-.-.-.-.–.-.-.-.-.-.-..-.—.-..-

…segue…
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22 Aprile 2022 – Il faro di Ondina!

Leggi le prime pagine per entrare nel racconto e scegliere quello che preferisci.

La mia vita scorreva e sbagliavo e continuavo a sbagliare, come tutti cercavo sempre la gratificazione negli altri, ma al momento, non sono riuscito ancora ad ottenerla!

Ma dico? E’ mai possibile che noi dobbiamo adeguarci e gli altri devono solo giudicare?

Ho trenta anni, non sono un adone, per cinque anni ho cercato di accontentare una donna, ma mai l’ho vista contenta, si, quei pochi minuti di attività sessuale che ogni tanto mi concedeva, si, mi concedeva, perché toglietevelo dalla testa la frase fatta “l’uomo comanda”… è una bugia, non ha mai comandato, punto!

E sempre lei che comandava, lei che ordinava e tu ad eseguire per farla contenta e lo fai con lei, lo fai con i tuoi genitori, lo fai con il tuo datore di lavoro, mai per te stesso!

Per oltre dieci anni ho lavorato nel campo informatico, sono diplomato, poi ho acquisito una mini laurea con un Master in tecnologie avanzate e nell’A.I., l’intelligenza artificiale, ed è stata proprio quest’ultima che mi ha portato alla rovina.

Costi esorbitanti per i programmi, commesse oltre manica con ritardati pagamenti, avevo una visone particolare, volevo “umanizzare” i robot, l’idea piacque a tutti, tranne nello scucire i soldi che servivano per sviluppare il software necessario, quello era il mio compito, sviluppatore, ma cosa mai avrei potuto sviluppare, se non avessi avuto quei programmi che mi servivano per mettere a punto una strategia da utilizzare poi nella programmazione del robot?

Quindi, convinto della mia idea, iniziai ad anticipare, indebitandomi fino al collo, forte però della promessa dei finanziatori esteri di coprire le spese a trenta, sessanta, novanta giorni.

Ma ciò non avvenne!

Ed io?

Mi trovai, in mutande!

Avevo ricevuto l’avviso per lo sfratto esecutivo dal mio appartamento per la fine del mese di dicembre, bel Natale quell’anno, l’amazzone non vide l’ora, dopo aver fiutato il mio fallimento, di trovarsi un altro stallone con cui andare via e mi lasciò senza tanti complimenti, avevo qualcosa da parte, ma il panico si impossessò del mio cervello, solo come un cane, depresso, non mi restava altro di lanciarmi dal diciottesimo piano del Centro Direzionale, avevo perso tutto, cosa mi costava, era un attimo e così… avrei risolto ogni mio problema, ma era Natale… e mi concessi una cena in un noto ristorante della mia città.

Nella mia vita, avevo fatto diversi lavori per mantenermi allo studio, oltre al canonico cameriere tuttofare, avevo lavorato anche in cucina ero bravo, me la cavavo, mi piacevano i profumi della cucina, ero contento di inventare e mescolare gli ingredienti e creare nuove pietanze partendo dalla tradizione gastronomica napoletana, poi conobbi lei Elena, sia maledetta dove si trova adesso, mi convinse come solo una donna sa fare, diceva che avevo delle potenzialità e dopo pochi mesi prendemmo un appartamento, abbandonai tutto per lei e mi dedicai all’informatica, lei era docente in un liceo scientifico e insegnava storia dell’arte, si esatto, ma non proprio quella che canonicamente chiamiamo arte, non la sublime arte del pittore, dello scultore, ma proprio quell’arte, quello della puttana!

– Allora Leon, ti è piaciuta la cena?

Chi aveva parlato era la proprietaria del ristorante, nonché la mia ex datrice di lavoro, Ester

– Certo, lo chef è stato grande!

Mi guardò, ma intuì che c’era qualcosa di stonato

– Elena?

Risposi guardandola negli occhi, di getto

– Di troia!

Stupita

– Mi ha lasciato, senza tanti complimenti, è da qualche parte da quindici giorni con qualche altro stallone, ricco e prossimo cornuto!

Sgranò gli occhi

– Te l’avevo detto!

Era vero!

L’aveva detto appena l’aveva conosciuta, ma si sa noi uomini spesso siamo dei perfetti coglioni, specialmente quando troviamo esseri come quelli, bella, capelli biondi, proveniva dall’est Europa, occhi celesti e gelidi, quando passeggiavamo per strada, non c’era uomo che non si girasse, di qualsiasi età, ed io?

Ero contento e cornuto, mi portai le mani in faccia

– Avevi ragione tu!

Quando rialzai la testa

– Per fortuna hai il tuo lavoro.

Sibilai, non avevo voglia di dirlo

– Perso!

Si sedette

– E ora?

– Non lo so, non ho più nulla, non ho parenti, i miei conoscenti e le mie amicizie si sono allontanate da tempo da quando lei è entrata nella mia vita, mi diceva “ti voglio tutto per me”, capisci e io l’ho accontentata sempre, che stupido!

Mi prese le mani, le avevo portate sulla testa, per dimenticare, faceva molto male il ricordo di lei, si, c’erano stati momenti felici, ma solo quando lei decideva di averli, io ero meno che niente, un oggetto da usare e all’occorrenza gettare tra i rifiuti, ecco come mi sentivo in quel momento, mi risvegliò con la sua voce alterata, urlò

– Allora? Che fai, ti arrendi?

Sapevo a cosa si riferiva, lei non si era arresa, aveva preso per i capelli prima che la droga lo portasse alla morte, suo figlio, le aveva tentate tutte e dopo aver tentato le strade legali, lo aveva denunciato ai carabinieri, facendolo arrestare insieme agli spacciatori e dopo un periodo di detenzione e di riabilitazione durato cinque anni, ora era pulito e lavorava in cucina come Chef, era uno dei più bravi della città, da tutti riconosciuto e apprezzato.

Non rispondevo, incalzava

– Non mi hai risposto Leon, che intendi fare?

Le bastò uno sguardo nei miei occhi, intuì subito e mi diede uno schiaffo, si alzò di scatto

– No, non puoi!

Scoperto e sconcertato dallo schiaffo improvviso

– Perché?

– Si vive una sola volta e tu hai tanto ancora da dare e avere dalla vita, non sporcare la memoria dei tuoi genitori!

Improvvisamente, aveva preso il mio cellulare e lo brandiva come una pistola, me lo mise davanti, c’era la fotografia dei miei genitori il giorno delle nozze, mia madre con una coroncina in testa di roselline bianche come si usava nel suo paese e mio padre in un completo bianco.

Galeotta fu una gita di mia madre a Napoli con universitari di Oslo, fu un colpo di fulmine per loro due, mio padre lavorava in una pizzeria e lei rimase colpita da quel giovane testa rossa in canottiera e con un foulard celeste al collo ad infornare e sfornare pizze, si sposarono giovanissimi, mio padre aveva ventidue anni e lei ne aveva appena compiuti venti, le famiglie non volevano, ma loro furono testardi e un anno dopo nacqui per la loro gioia.

Ester lo sapeva, era la mia immagine preferita, li amavo più di me stesso, ma un incidente ferroviario me li aveva portati via l’anno prima, erano partiti per festeggiare trenta anni di matrimonio alla Città del Vaticano, a Roma, dal Papa

– Allora?

Aveva colpito la corda giusta, mi alzai per abbracciarla

– Qualcosa troverò, grazie!

Non voleva che andassi via, volevo pagare la cena ma non volle, mi guardò negli occhi

– Sono certa, non lo farai! Vai figlio mio e vedrai che la provvidenza ti aiuterà, devi solo stare attento ai suoi segnali, non è una persona e ti risolve il problema, ma ha i suoi modi per rintracciarti.

Tornai a casa e versai fino all’ultima lacrima!

Il giorno del Capodanno, non so come e ne il perché, mi ritrovai sul molo Beverello, era la passeggiata preferita di mio padre, mi diceva sempre “da qui possiamo vedere i fuochi di tutta la città senza farci male”, ed era vero, da lontano seguivo i fuochi nei vari quartieri della città, ecco, il Vomero, Posillipo, Piazza Plebiscito, i Quartieri spagnoli erano meravigliosi e in acqua tante barche, dalla più piccola alle più eleganti e su ognuna si festeggiava la fine dell’anno.

Non so perché, ma guardandole, pensai a mio padre, mi convinse a prendere la patente nautica “Potrebbe sempre servire!” mi diceva, ed io in tutti quegli anni mi ero aggiornato sempre ed avevo partecipato a tutti i corsi che la capitaneria del porto organizzava per gli associati, ne andavo fiero.

Perché no!

Perché non propormi come pilota di qualche cabinato?

Mentre guardavo i fuochi dell’anno che andava via, decisi di presentarmi in capitaneria il giorno successivo, era quasi l’alba, inutile tornare a casa, avevo già le valigie pronte, Ester mi aveva mandato un messaggio “Se non sai dove andare, qui c’è sempre un posto per te, lo sai”, mi voleva bene, la ringraziai e con quest’animo passai la restante parte della notte nei pressi della capitaneria di porto.

Alle cinque di mattina arrivarono quelli delle pulizie, ero intirizzito dal freddo, mi notarono subito, ero come un pulcino bagnato e rattrappito seduto su una panca, una signora gentile

– Aspetta qualcuno?

Dissi di no con la testa, non avevo la forza di parlare

– Allora?

Mi feci forza

– Aspetto che apre la capitaneria.

Dissi battendo i denti

– Benedetto figliolo, qui congelerai, vieni entra dentro con noi, almeno sarai al caldo.

– Grazie.

E mi trovai nella sala d’aspetto della sede, sentivo in lontananza delle voci, la guardai interrogativamente

– Sono quelli che hanno fatto il turno di notte, stai tranquillo, li avverto io.

Iniziai a prendere calore, con degli spiccioli, dalla macchinetta automatica, un latte bollente con il caffè e iniziai dopo poco a riprendere colore, non riuscivo a stare fermo, le gambe si erano quasi atrofizzate e quindi percorrevo tutto il salone avanti e indietro, stando attento a non dare fastidio a loro che stavano pulendo, guardavo i tabelloni dove c’erano i comunicati e uno in particolare attirò la mia attenzione

“Vendesi faro di Zitrichy – Islanda”

Non avevo nulla da fare, erano da poco passate le sette di mattina, ci voleva un’altra ora prima che la Capitaneria aprisse gli uffici, con il cellulare iniziai a fare delle ricerche sul faro e a mano a mano, iniziai ad incuriosirmi, era su un isolotto completamente disabitato, collegato alla terra tramite una striscia di rocce e pietrisco, un faro di colore rosso e si vendeva con una foresteria con tre stanze da letto.

Il faro era in vendita da un mese e il bando di concorso terminava alle 9.30 del 2 gennaio del nuovo anno, la cifra era notevole, era stato messo all’asta inizialmente per cinquantamila euro, il costo era arrivato dopo il terzo ribasso a dodicimila euro, guardai le foto, certo non era in buone condizioni, ma mi piaceva, un attimo di distrazione e mi cadde il cellulare, aprendosi in due e spargendo per terra il contenuto, un’idea pazzesca iniziava a girarmi in testa, ma ci vollero altri due caffè per diventare lucido, cercai di aggiustare il cellulare, lo accesi e si aprirono gli sportelli della capitaneria, erano tre, il mio era il secondo centrale, guardai meglio e vidi una faccia conosciuta, era un vecchio marinaio, pronto ad andare in pensione, da lui dovevamo rivolgerci ogni volta che dovevamo vidimare la patente nautica

– Buongiorno Tenente.

Mi guardò, poi mi riconobbe

– Leon sei venuto a vidimare la patente nautica?

Ero imbarazzato, quasi sottovoce

– Si, ma non solo…

Lui si avvicinò al vetro dello sportello

– E…

Presi la patente nautica dal portafoglio, gliela passai

– Volevo anche una informazione?

Lui la prese, stava scrivendo i dati e mi ascoltava

– Vorrei rispondere ad un annuncio, quello che si trova in bacheca.

Solo allora alzò la testa ed io con la mano stavo indicando la bacheca

– Quale delle tante?

– Il faro!

La penna si spuntò e lui mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite

– Quello di Zitrichy?

Con la testa dissi di si

– Ti vuoi suicidare?

Rimasi a bocca aperta, senza parole, poi risoluto

– Si!

Dopo lo stupore del tenente della Capitaneria, riempii i moduli per partecipare all’asta, dovevo attendere il giorno dopo per sapere l’esito e quella sera tornai al ristorante da Ester, le raccontai tutto, era esterrefatta ed io eccitato, lei senza parole

– Ma davvero?

Annuii contento

– Tu sei pazzo!

L’abbracciai

– Non ho altre alternative, poi quando ho fatto delle ricerche sul faro l’ho preso come un segnale positivo, mia madre era islandese come tu sai e conosco bene la loro lingua, domani saprò se la mia richiesta verrà accettata, ma spero tanto che lo sia, ho dovuto versare il cinquanta per cento come caparra e fatto richiesta di pagare a rate mensili il resto, per cinquecento euro mensili, se dovessi vincere il bando.

Mi allontanò con la mano nell’aria, come fa una madre quando vuole allontanare l’idea di perdere un persona cara

– Sei stato precipitoso!

– No, mamma Ester (la chiamavo così già da tempo) sono realista!

Non disse più una parola, ma una lacrima scendeva silenziosa sul suo volto, mi preparò per la notte la stanzetta dove dormiva solitamente il pomeriggio per fare un riposino e la mattina successiva aspettò con ansia il mio ritorno dalla Capitaneria.

Al mio ritorno, non le dissi nulla, ma capì immediatamente, ero contento e ci abbracciammo in silenzio, la mia richiesta era stata accolta, le promisi che ci saremmo tenuti in contatto e dopo aver preso quello che mi restava della mia roba mi imbarcai sul primo aereo per l’Aeroporto Internazionale di Keflavík.

All’arrivo, mi attendeva un elicottero della compagnia che gestiva prima il faro per trasportarmi lì, mi guardavano strano, ma feci finta di non accorgermene, furono colpiti che conoscessi la loro lingua, uno di loro, quando arrivammo al faro mi disse che tutti sapevano di un italiano e dell’acquisto del vecchio faro di Stykkishólmur, era diventata una notizia, poi mi sorrise dandomi una pacca poderosa sulla spalla in segno di benvenuto, guardai l’elicottero allontanarsi e fu solo allora che lo vidi per bene, il faro, mi incuteva paura così da vicino.

La giornata era bellissima, sentivo solo le grida degli uccelli marini che pescavano, lasciai il mio trolley e con le chiavi entrai, la base era grande e spoglia, solo al centro una scala circolare, iniziai la scalata, sembravo un bambino nel paese delle meraviglie, ogni passo rimbombava, ma quando arrivai sulla cima, centralmente una cabina con tanti vetri che davano l’opportunità di guardare a trecentosessanta gradi, una plancia centrale, aveva dei comandi e un orologio, il silenzio era impressionante, sentii un vuoto, una forma di panico all’improvviso, una porticina stagna portava all’esterno su un terrazzino circolare e qui avvenne la magia, il blu del mare si confondeva con il cielo, avevo preso con me il binocolo e guardai tutto intorno, alcuni pesci iniziarono a danzare sull’acqua, gli uccelli a roteare attorno al faro, era una vista meravigliosa, incuteva rispetto, mi calmai e fu una sensazione stupenda.

Il respiro si regolarizzò rapito da tanta bellezza.

Guardai giù, inizialmente mi girò la testa, ma poi tutto divenne normale, era alto quasi trenta metri, in basso potevo vedere un’abitazione piccola addossata quasi alla roccia piena di neve, non sono mai stato un credente, ma non ero nemmeno ateo, ma quando alzai gli occhi al cielo e vidi iniziare il tramonto da lontano, iniziai a pregare, era meraviglioso la natura che mi circondava, grandezza di Dio.

Dopo tornai alla triste realtà!

Quando tornai giù, lo stato di abbandono di anni era evidente, alla base del faro c’era una nicchia, una stanzetta con un bagno, forse il lontano appartamento del guardiano del faro, una porta sgangherata decise dopo l’apertura di aver terminato i suoi giorni, cadendo con un tonfo pesante al suolo, i cardini arrugginiti affondati nella roccia avevano ceduto, le quattro feritoie che portavano luce dall’esterno nel faro, erano senza vetri, rimaneva solo l’ossatura a quadrato, stile inglese, vecchio inglese.

Tramite un cunicolo, abbastanza alto e leggermente spazioso per il passaggio di una persona, si accedeva dal faro all’abitazione quella che avevo visto dall’alto, era in pietra viva, appena fuori dal cunicolo una grossa sala, certamente aveva visto giorni migliori, era enorme con due camini al lato opposto, alti quasi quanto me e non ero certo un nano, quasi un metro e settanta, evidentemente era la sala da pranzo, perché confinava con una cucina ampia, con i fuochi ricavati in una parete di mattoni rossi, a carbone o legna, un tavolo centrale, mi rifiutai di provare la solidità, pena una caduta rovinosa sui miei piedi, un grosso lavabo alla parte opposta e tre finestre, ovviamente senza vetri, dal salone passai alle stanze, erano tre di piccole dimensioni ed una più grande, una specie di bagno e…nulla più!

Uscii fuori, avevo bisogno d’aria, mi sentivo soffocare, mi accolse una folata di vento gelido, tutto era ammantato di bianco, la neve era caduta copiosa, almeno cinquanta centimetri, all’improvviso sentii il panico e mi resi conto di aver fatto una grossa cavolata, guardai alla mia destra e vidi il mio trolley abbandonato alla furia della neve che iniziava lentamente a scendere, poi a sinistra, vidi un capanno, mi avviai per scoprire certamente altro sfacelo e qui, invece fui fortunato, c’era una vecchia jeep ed un carrello, coperta con un telone, era in discrete condizioni.

Pensiero e azione, entrai nell’abitacolo e misi in moto, non ne voleva sapere, ma il motorino ronzava, riprovai pregando tutti i santi e le madonne e finalmente si mise in moto, sganciai il carrello e prima che decidesse di spegnersi, recuperai il trolley e via sulla strada sterrata e piena di neve, per fortuna era delimitata da pali indicativi, verso l’incognito.

Era una lingua di terra con il mare ai lati, almeno così mi sembrava, cercando di mantenermi sulla carreggiata dopo qualche chilometro una visione, tante case colorate ero arrivato nella cittadina di Stykkishólmur, lessi il cartello all’ingresso, il motore iniziava a borbottare, guardai l’indicatore del carburante, quasi a zero, mi fermai appena in tempo,  vidi un’insegna di un pub, scesi con il mio trolley e diedi un’occhiata intorno, mi trovavo in prossimità del porto e in lontananza si vedeva il faro, il mio faro, entrai, l’aria era piena di fumo, non vedevo un accidenti, poi mi diressi verso un bancone

Chiesi ad alta voce

– Qualcosa di forte!

C’era un gruppo musicale su una pedana, un fracasso indescrivibile e seduti ai tavoli gruppi di persone con una pinta di birra in mano che battevano sul tavolo, incuranti della caduta del liquido

– Ecco!

Girandomi mi trovai davanti un uomo più o meno della mia età, aveva degli occhi celesti e un sorriso a quarantadue denti

– Prendi!

Guardai il bicchiere, un liquido bianco come l’acqua, alzai la testa interrogativamente

– Prendi!

Lo ingollai tutto d’un fiato distrattamente, non l’avessi mai fatto, fu come se fosse sceso un pezzo di lava incandescente del Vesuvio bruciando la mia trachea, iniziai a tossire, rosso come un peperone, come potetti respirare

– Ma che diavolo è?

– Brennívin! (vino che brucia)

Mi passò un altro bicchiere, lo guardai, il colore non era molto invitante, nero come la pece, ma lui

– Topas!

E mimava il gesto per farmi bere, avevo freddo nonostante quell’intruglio iniziale, stavolta fui più cauto e iniziai a sorseggiare e non sbagliai, sentivo forte la liquirizia e poi altri sentori di erbe, era si forte, ma gradualmente riportò il mio stato generale, da stoccafisso gelato in un’altra forma scongelata

– Buono!

Contento con la mano aperta in segno di saluto

– Benvenuto, mi chiamo Aki.

Strinsi la mano

– Leon.

Cenno di assenso e poi fu chiamato dall’altro lato, non era mia abitudine bere senza mangiare, vicino c’era una vetrinetta con dei dolci, feci un cenno e dopo aver avuto il consenso, presi una ciambella, era molto profumata, un pausa alla mia innata fame, mi sedetti vicino ad un tavolo e Aki mi riempì di nuovo il bicchiere con quello strano liquore, per un attimo dimenticai quello che mi era capitato, dopo il terzo bicchiere, fu il buio totale.

– Amico!

Qualcuno mi strattonava

– Leon svegliati!

Un occhio, poi l’altro e vidi davanti a me Aki, la testa mi ronzava, un silenzio intorno, alzai la testa, non c’era più nessuno, mi girai di nuovo

– Sono le quattro del mattino!

Cercai di darmi un tono…

…segue…

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Araldo Gennaro Caparco

16 marzo 2022 – il mio nuovo romanzo “Una vita a metà!” di (Araldo) Gennaro Caparco

16 Marzo 2022

Alzi la mano chi non ha mai pensato  di cambiare tutto nella sua vita !

Ecco!

Oggi pubblico il mio ventinovesimo racconto  – “Una vita a metà” – è il mio nuovo “romanzo sgrammaticato” come lo definisco io, perché?

Perché non sono uno scrittore ma un “sognatore impenitente”, un “cantastorie utopistico” e racconto i miei sogni che cercano di riflettere quello che sento nella nostra società.

Il racconto ha come protagonista Guido, un brillante avvocato divorzista (scelta non voluta ma subita) con una grande passione coltivata fin da bambino per la pittura, alla soglia dei trent’anni si trova ad un bivio, cosa fare della sua vita?

E’ stanco di vivere “una vita a metà”!

Deve decidere, vuole decidere:

Continuare nella sua professione di avvocato divorzista o abbandonare la sua passione per la pittura, dove sta mietendo successi con lo pseudonimo del “Falco”?

Scrivere non è facile, farsi leggere ancora meno!

Mi auguro che possiate emozionarvi con i miei racconti.

Buona lettura!

P.S. l’immagine della protagonista femminile – Eva- è il frutto della mia immaginazione in acquerello.

(Araldo) Gennaro Caparco

 

 

 

8 Marzo 2022 – Auguri da Araldo Gennaro Caparco

Buongiorno… 8 marzo 2022…
Giornata Internazionale dei diritti della Donna….
Auguri a tutte le Donne… e non solo per oggi …ma per sempre!..
Auguri “all’altra metà del cielo”…di tutto Cuore…
…grazie di esistere!!…

Buon San Valentino 2022 – “Ansia da prestazione” – di Araldo Gennaro Caparco

Riporto un mio commento del 2018 con l’intento di farvi fare una risata nella giornata di oggi, San Valentino 2022.

Ansia da prestazione… un Natale di qualche anno fa!

Buona lettura da Araldo Gennaro Caparco.

Buon San Valentino 2022

prima parte

“Ansia da prestazione”

Maliziosi, non è quello che state pensando!

Nella vita c’è sempre una prima volta, in queste ore di “vacanza” dei giornali cartacei, la maggior parte delle trasmissioni radiofoniche e televisive stanno dissertando sulla “prima volta” nel 2017 di una persona “regale” non di sangue blu, che è stata invitata alla corte di un paese monarchico, al cospetto della Regina!

Analizzano tutte le più piccole sfaccettature della sua presenza a tavola e della sua presenza in Cattedrale per la funzione religiosa del Natale, non c’è stato un centimetro della sua persona che non sia stato posto sotto la lente di ingrandimento , ad esclusione (… si spera …) dell’intimo!

Di certo non è stata la sola a dover affrontare un’esperienza simile, chissà in quante famiglie , per la prima volta, si viene invitati a Natale per conoscere la famiglia del fidanzato o della fidanzata; l’ansia non sarà così grande come quella che si prova nell’essere presentati ad una famiglia blasonata, ma di certo è un’emozione che fa battere il cuore all’impazzata!

E visto che nelle “famiglie normali” tutti parlano al femminile, come se lo scoglio maggiore sia far conoscere la fidanzata alla tanta vituperata “suocera”, desidero spezzare una lancia a favore di tutti i fidanzati (esclusi i cinici e i menefreghisti) che per la prima volta conoscono la famiglia della propria amata ed entrano nel panico dell’”ansia da prestazione”!

Lui proveniente da famiglia medio borghese di modeste condizioni CONTRO la famiglia alto borghese di lei; dopo l’esaltazione per essere stato invitato al “tribunale” familiare, si passa all’esame della situazione ricorrendo ai sapienti consigli della fidanzata. I capi d’abbigliamento scelti dal ragazzo non sono graditi a lei, non bisogna essere né troppo casual né troppo “ingessati” quindi.. il guardaroba è tutto da rifare ad iniziare dai calzini!

Sistemata la “ vestizione” si passa a curare gli altri particolari…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

seconda parte

“Ansia da prestazione”

“Mi raccomando”, queste due parole sono l’intercalare più frequente prima del “day after”. Primo step: fiori per la mamma; secondo step: scelta della cravatta (deve essere sobria ,invisibile); terzo step:non tenermi per mano che si ingelosisce mio padre; quarto step: quando arriviamo di certo andremo nel salone sul divano tieni le gambe unite e le mani sulle ginocchia, sii eretto nella postura; quinto step: complimentati per il vestito di mia madre e rispondi alle domande di mio padre guardandolo negli occhi, non sfregare le mani mentre parli e “mi raccomando” a tavola, non iniziare mai a mangiare per primo, aspetta che tutti si siano seduti e non ti abbassare verso il piatto, non parlare di politica o di sport, rispondi solo se sei “interrogato” e conta fino a dieci prima di parlare, “mi raccomando”!

Arriva il giorno fatidico, quello della ”esecuzione capitale”!

Il fidanzato è vestito di tutto punto, il nodo della cravatta stringe il collo all’altezza del pomo di Adamo, sale solo su e sembra non scendere (frutto dell’emozione), prima di entrare in macchina toglie la giacca per non sgualcirla; passa dal fioraio, senza giacca, nel riporre i fiori sul sedile posteriore dell’auto, un’ antera macchia la camicia all’altezza del torace, panico … nel tentativo di neutralizzarne la presenza la macchia si allarga , pazienza, la giacca non verrà aperta, mai!

Davanti al campanello ,dopo vari tentennamenti e dopo aver asciugato il sudore della fronte ( strano siamo a dicembre, ma che caldo che fa!!!), con i fiori nella mano destra come la torcia olimpica, si decide a bussare!

Apre un signore con l’aria truce che contrasta con la cravatta rossa, con l’immagine di un Babbo Natale, alla vista mi verrebbe spontanea una risata, ma si gela vedendo la signora alle sue spalle, in abito lungo argentato con una collana a palline rosse e argento. Si intravede in fondo (lontanissima…) l’amata che corre in soccorso, più veloce del 118, bianca come un capo appena lavato e attentissima a restare a debita distanza dalla mano che la cerca per avere un conforto.

I fiori passano goffamente dalla mano destra alla sinistra per salutare il padre, il quale con una stretta micidiale, della serie “ti spezzo in due se voglio”, sibila “benvenuto”; la “torcia fiorata” passa dalla mano sinistra alla destra per essere porta all’ “albero di Natale” (…ops la mamma), ma in tutto questo vari petali strapazzati invadono l’ingresso.

Si passa nel salone, nel sederci veniamo “risucchiati” nella parte posteriore del divano, le gambe vanno all’aria, le mani cercano qualcosa a cui aggrapparsi, per errore viene “arpionata” la cintura del vestito della fidanzata prontamente sganciata, in questa posizione precaria si cerca di rispondere alle domande di “rito” : Cosa fai? Di cosa ti occupi? E la tua famiglia?. L’incubo cresce, il bottone della giacca ha tenuto, ma la cravatta è andata e con essa il bottone della camicia.

L’amata da bianca è diventata rossa, paonazza, cerca di togliermi dall’imbarazzo, rispondendo come un “ventriloquo” alle domande del padre , sempre più rosso e prossimo all’infarto ( Gli sarà piaciuto lui?)…

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terza parte -finale.

 

“Ansia da prestazione”

 

Si passa alla sala da pranzo e il primo pensiero è “Mai viste tante posate alla postazione”;il secondo pensiero è una nota positiva, un candelabro al centro della tavola nasconde l’imbarazzo e, in parte, la vista del “truce” genitore. Dopo aver “espletato” il rito dei complimenti per il “vestito” (…omettendo “natalizio”…) alla padrona di casa, lei scompare per poi ” riemergere” dalla cucina con una zuppiera in mano, seguita in processione dalla figlia con un vassoio con degli utensili per versare la minestra nei piatti.

Da “onnivoro” se c’è una cosa che lui non gradisce, il primo posto è occupato dal brodo di pollo, esattamente il contenuto della zuppiera con dei tortelli ricotta e spinaci che, la padrona di casa spiega, rappresenta una tradizione familiare per aprire il pranzo di Natale.

In qualità di ospite la porzione è abbondante, ma solo quell’odore paralizzano le mani e non solo; essendo cosciente che tutti hanno iniziato a mangiare, la “paralisi” momentanea sta per diventare definitiva, ma complice una gomitata per nulla femminile dell’amata, viene risvegliata la mobilità prensile, e con un sacrificio immane, deglutito il contenuto del piatto otturando i cinque sensi .

Morale della favola! L’avventura è stata intensa, ma breve!

Al termine della “minestra” e delle altre “squisite pietanze” il bottone recalcitrante della giacca è saltato mettendo in mostra non solo la macchia violacea dei fiori e, dopo una corsa alla toilette degna di un centometrista per “ espellere” tutto ,anche le tonsille, destinandole alle fogne pubbliche, con una forte cefalea, dopo mille scuse tra il sogghigno dell’augusto genitore, imbocca la strada della “liberazione”!

 

Mai presentazione/addio fu più veloce!

 

L’”ansia da prestazione” come si vede non è solo appannaggio “dell’”altra metà del Cielo”, ma anche di quelli che dicono di appartenere al sesso forte!

 

FINE

 

Araldo Gennaro Caparco