Archivio annuale 2022

9 Maggio 2022 – Mistero ad Olbia.

Leggi le prime pagine per entrare nel racconto e scegliere quello che preferisci.

Mi chiamo Luzio, sono in attesa su una panchina all’esterno dell’aeroporto di Napoli in scalo da Amsterdam e in partenza per Olbia, ho già imbarcato le valigie, con me ho solo una valigetta 24ore e ancora non riesco ancora a crederci, sarei ritornato ad Olbia dopo vent’anni!

A dieci anni mi ero trasferito con la mia famiglia, non avevo nessun parente in quella bellissima città, cinque anni fa i miei genitori, si diedero appuntamento in cielo a sei mesi di distanza, l’uno dall’altra, quando finì mia madre, mi disse “Non angustiarti, raggiungo solo tuo padre!” e così la mia famiglia era formato da un solo componente, il sottoscritto.

Mio padre e mia madre, erano originari di Pescocostanzo in Abruzzo, si dovettero trasferire in Sardegna per lavoro, passammo dieci anni in quella bellissima terra.

Sono sardo, si e amo quella terra, ma solo per nascita!

A ventidue anni, diplomato e poi laureato in marketing aziendale, alla Luiss di Milano, a venticinque in pista per una Grande Compagnia Olandese nel campo della Grande Distribuzione Organizzata, dopo per cinque anni, formatore e Responsabile del Controllo di Gestione per l’apertura di nuovi punti vendita, ho girato l’Europa, ero fidanzato con una hostess olandese, era statuaria, un metro e ottanta, capelli biondi, occhi celesti, ma nessuna voglia di formarsi una famiglia, solo sesso, sesso e sesso, non eravamo conviventi, nessuno dei due poteva permettersi di rimanere più di un certo periodo in un luogo, vista la possibilità economica di entrambi, quando passavamo dei giorni insieme, Gran Hotel e via con le danze.

Poi se ne accorse, volevo qualcosa di più, cercavo una stabilità, avevo trent’anni, fiutò il “problema” e con un sms, troncò la relazione.

Ci rimasi male, molto male!

Mi dedicai al lavoro, anima e corpo, non avevo orari, pochi riuscivano a tenermi testa, ma mai ho chiesto ad alcuno di tenere i miei ritmi, ma questo stato di cose, fu la mia rovina, i piani alti dei vertici aziendali ne erano a conoscenza.

Un giorno, sette giorni dopo la fine della mia relazione, fui convocato in Olanda dal Direttore Generale, ovvero, dall’unico proprietario della Compagnia, il mio animo mediterraneo mi consigliò di non utilizzare la compagnia aerea della mia ex, onde evitare aggressioni in volo con relativa denuncia alle autorità aeroportuali nei miei confronti, arrivai ad Amsterdam di prima mattina, in un albergo già prenotato da loro, ebbi l’intuizione che mi stesse per accadere qualcosa di importante, avevo una suite tutta per me, riposai senza disfare le valigie, già altre volte era capitato di ripartire dopo qualche ora, alle dieci venne un’auto della Compagnia a prendermi, dopo venti minuti ero al cospetto, dell’arci milionario Ernest

– Allora, com’è andato il viaggio?

– Bene, non mi posso lamentare, sono stato trattato nel migliore dei modi, non poteva essere altrimenti, vista la prenotazione fatta dalla Compagnia in prima classe da Roma per Amsterdam.

Sorrise, mi conosceva da cinque anni, era stato lui che mi aveva assunto, non rientrava nei suoi compiti, ovviamente delegava altri, ma quel giorno, quando mi sedetti davanti all’esaminatore, in risposta ad un loro annuncio sul Giornale delle GDO, fece spostare l’esaminatore e iniziò a valutarmi, una raffica di domande senza tregua, non sapevo minimamente chi era, ma l’ho capii alla fine, mentre per gli altri c’era un laconico “Vi faremo sapere”, con lui, fu totalmente diverso “Domani alle otto nel mio ufficio, al diciottesimo piano, sei assunto!”.

Mi alzai, intontito e meravigliato, gli altri erano più stupiti di me, compreso il capo del personale , il quale mi fece accomodare nel suo ufficio, per farmi firmare il contratto, quando lessi il frontespizio,”A tempo indeterminato” lo guardai stupito e lui “Questi sono gli ordini del proprietario”.

– Sono contento Luzio!

La cosa non mi convinceva, poche volte mi aveva chiamato così, sempre e solo di cognome, nei rapporti era impersonale e quelle poche volte che l’aveva fatto  erano incarichi speciali o difficili, quindi fui attentissimo, si alzò e accarezzò la fotografia della sua famiglia, in quella foto c’era la moglie e le sue quattro figlie, ci  teneva moltissimo e mi ricordo una volta che dovevo partire per il Portogallo mi disse “Sei fidanzato” – “No” – mi stupì – “Che aspetti? Di diventare vecchio senza famiglia?” risposi  “Aspetto il momento giusto e la persona giusta!”,  gli piacque e fece cadere il discorso.

– L’ultimo ipermercato in Inghilterra a Bristol funziona alla grande, la percentuale delle presenze, in soli tre mesi, è triplicata.

Aspettava

– Certo, avere un bacino di utenza superiore alle cinquecentomila persone mi ha aiutato molto.

– Vero! Ma con te alla guida è stata importante, per questo ti ho inviato lì dopo il misero fallimento dell’inaugurazione.

Qui gatta ci cova, pensai!

– Orbene, so che tra tre giorni inizi il prossimo corso per dieci neo-direttori, ma avrei una opportunità da proporti.

Ecco, ora arriva, in quale parte del mondo, sarò inviato, già sapevo da voci di corridoio e da notizie lette tra le righe dal Giornale delle GDO, il Gruppo voleva espandersi oltre manica.

– Il tuo stipendio attuale?

Aveva la mia cartellina davanti, l’avevo intravista

– Cinquemila euro netti escluso gli straordinari, al mese.

– Con?

– L’alloggio e niente spese per contratti delle utenze.

– Bene, da oggi e se dovessi accettare l’incarico, il tuo stipendio, sarà raddoppiato con tutti i benefici di cui già godi in più l’auto aziendale ti verrà regalata senza ulteriori oneri da parte tua  – così dicendo prese qualcosa dal suo cassetto – e mise le chiavi davanti a me,  era una chiave elettronica per auto, c’era lo stemma della mercedes.

Notizie simili, avrebbero stordito chiunque senza toccarlo, immaginate il sottoscritto in quel momento, ma il pensiero fisso era solo uno, cosa giustificava tutto questo ben di Dio?

Ma il mio self control, tenne, anche se dentro di me c’era tempesta forza nove.

Incassò, non aveva dubbi in proposito, mi conosceva piuttosto bene, quindi sapeva perfettamente a cosa stavo pensando, iniziò

– Tu sei sardo di origine?

Oddio e questo che c’entra?

-Si.

– Di dove?

– Olbia.

Inutile chiedere il perché, attendeva una mia domanda,  ma non gli diedi questa possibilità, volevo sapere dove voleva arrivare, lui capì, cambio strategia

– Circa dieci anni fa, acquistai un centinaio di ettari di terreno per dieci milioni di euro, alla periferia di Olbia lato mare, erano degli investimenti da portare in detrazione in bilancio, per mancati guadagni e inserire le perdite in sottrazione dagli utili.  Cinque anni fa, quella zona è stata dichiarata edificabile, come tutto il circondario e negli anni, sono sorti edifici e uffici pubblici dove prima c’era il nulla, quindi  decisi di iniziare un programma di investimenti nella zona e di far nascere un Centro Commerciale di tutto rispetto.

Girò una tavola e mi fece vedere il Centro Commerciale, qualcosa di mastodontico, grande come quello di Bristol, lo osservai con molta calma, lessi i numeri laterali in legenda, 120 negozi, 52 esercizi commerciali bevande, food, caffè, dieci pizzerie, personale diretto e indiretto della Compagnia 120 persone, Ufficio di direzione cinque persone.

Questa fu la nota stonata, stavolta lo guardai, in altri nostri Centri di grandezza minore, la direzione contava ben venticinque persone

– Notevole, un grande investimento per poco più di centocinquantamila persone tra Olbia e province.

Non sorrideva più, era molto serio

– Forse!

Poi sorridendo

– Giusta osservazione, non avevo dubbi! Bene, in questo nostro prodotto, stiamo testando una Gestione completamente rinnovata, tutta automatizzata a livello informatico e con l’aiuto della robotica.

Conoscevo il progetto, ma dalle ultime rilevazioni si era conclusa in una riunione di non considerare “maturi” i tempi di immissione sul mercato, in effetti era avveniristica, ma di fatto, ancora utopica, di certo molti non conoscevano questa nuova nascita e nemmeno io ero stato messo al corrente, ma questo era ininfluente, non ero certo io a capo di una Compagnia, con 250 ipermercati e circa diecimila dipendenti in busta paga, numeri che da soli fanno rabbrividire.

Aspettavo la stoccata finale

– La proposta ti meraviglierà, ma vorrei che diventassi il nuovo Direttore Responsabile di questo Centro Commerciale!

Eccola la, secca e precisa! E ora?

Se fosse capitata in altro momento, forse avrei avuto certamente delle remore ad accettare, se solo quella stronza non mi avesse trattato solo come un toy boy, avrei chiesto anche il perché, spostare una risorsa come me su un GDO di tutto rispetto, ma dove minimamente  la mia persona era indispensabile, non aveva senso farmi una proposta del genere, proprio adesso quando la Compagnia si stava preparando per entrare in campo negli Stati Uniti d’America, dove per poter sfondare ci volevano persone preparate e con gli attributi sotto e allora?

Ernest, stava sondandomi per capire, ma stavolta dovette desistere

– Cosa ne pensi?

Fui diretto quanto lo era stato con me

– I negozi non pagano?

– No

– Problemi con i dipendenti?

– No

– Con le società in sub appalto?

– No

– Allora non capisco!

Se l’aspettava, mi conosceva troppo bene dal punto di vista lavorativo, sapeva a cosa si riferiva la mia risposta e tutto il ragionamento che avevo fatto.

– Mi servi ad Olbia, in un anno di gestione ho perso due direttori dell’ipermercato.

Stavolta ero si stupito

– Licenziati?

– No, si sono suicidati!

E mi piantò i suoi occhi in attesa di risposta, non potevo fare altro e lui lo sapeva, nonostante la cattiva notizia della morte dei miei colleghi

– Accetto!

Non si mosse un muscolo facciale, mi girò il contratto per farlo firmare e solo dopo si accese il suo sigaro un avana invecchiato, sintomo della sua grande soddisfazione, prima di salutarmi, mi diede una valigetta, me la fece aprire, c’era una cartellina, conteneva dei documenti del Centro Commerciale, il contratto per l’abitazione, i documenti della macchina e il biglietto aereo di sola andata intestato a mio nome, per la sera stessa per Olbia, non potetti fare a meno

– Come sapevate?

– Ne ero certo, non te ne pentirai!

E così frastornato, tornai all’albergo, controllai il mio numero di conto corrente, mi erano stati depositati tre mesi di stipendio, cinque minuti prima, non acconti, ma a fondo perduto.

Tanta grazia!

Ecco quello che stavo pensando su quella panchina in aeroporto, quando per un caso, mentre fumavo una sigaretta all’esterno, vidi al di la del vetro, una ragazza, un flash, era particolare, aveva dei lineamenti vagamente familiari, pensai di essermi sbagliato, lei uscì fuori, era vestita in modo casual, scarpette di ginnastica, pantaloni larghi neri, una camicetta bianca e sopra un giubbino di jeans, borsetta tipo borsello a tracolla, si sedette su una panchina a circa dieci metri da me, non riuscivo a vederla in volto e dopo essersi preparata una sigaretta, iniziò a giocare con un gattino randagio, lo chiamò e lo accarezzò, lui faceva le fusa, ma i capelli a cascata non mi davano l’opportunità di vederla bene, solo quando alzò la testa e il gattino scomparve alla vista, si scostò i capelli, fu solo allora che mi ricordai, era lei, ma non feci in tempo ad alzarmi.

Ricevette una telefonata, spense immediatamente la sigaretta, si guardò intorno e si diresse dentro, ero ancora imbambolato, la vedevo, era corsa agli arrivi un uomo alzò la mano, lei corse e lo agganciò come sanno fare solo le donne innamorate,   saltandogli addosso in un attimo, cingendo tutte e due le gambe all’altezza del suo torace, abbassai lo sguardo ma era forte la mia curiosità,  volli vedere ancora, l’uomo automaticamente lasciò il borsone e la sorresse per le natiche e… in un attimo si trovò a terra con una pistola puntata sulla fronte all’altezza degli occhi, in pochi secondi arrivarono di tutto, polizia, carabinieri, fu ammanettato e scomparvero,  ed anche lei scomparve.

Non mi ero ancora ripreso da quella scena vissuta in diretta, ascoltai l’altoparlante stavano chiudendo il mio imbarco, mi avviai velocemente, guardandomi intorno cercandola, ma non c’era più, sull’aereo comodamente in prima classe mi apprestai a passare quell’ora di distanza tra la mia vecchia routine e il nuovo incarico, avevo portato con me un libro, per ingannare l’attesa, ma non lo presi, stavo pensando a lei, mi ricordava una ragazzina che avevo conosciuto in oratorio tanti anni prima, eravamo a messa con tutti gli altri oratoriani, al momento della preghiera dei fedeli, ero emozionato, era la prima volta, ero stato scelto per un brano da leggere ed ero leggermente intimorito dalla platea della chiesa, fu lei, con un fermacapelli buffo nei capelli neri come la pece a farmi forza, mi diede la manina “Ce la faremo, andiamo!” e così,  forte di quella sicurezza dovuto a quel contatto, andai alla grande,

Pianse tanto quando le comunicai che partivo vent’anni fa, da allora non l’avevo più vista e sentita!

L’appartamento era molto bello, mi piaceva, aveva due stanze da letto, un salone ampio, una cucina due servizi e un grande ripostiglio, ultimo piano, direi attico, con un terrazzo di circa cento metri intorno all’appartamento, posai i bagagli, l’auto, secondo le istruzioni la trovai al parcheggio dell’aeroporto ed avevo un garage molto spazioso, c’era posto per due auto, mi affacciai avevo una vista sulla città, sul mare  e sentii i suoni di un luna park.

Erano ricordi di un ragazzino, ma i miei genitori mi portavano sempre a visitarlo e li mi inebriavo di quelle luci, dei colori, delle attrazioni, sentii il bisogno di evadere per quella sera e così scesi a piedi e dopo cinquecento metri in una villa molto grande piena di verde, vidi al centro i carrozzoni illuminati con tante persone intorno, adulti, anziani, bambini, famiglie intere, l’odore dello zucchero filato, la pesca dei pesciolini rossi, la bancarella che vendeva giocattoli, ad un certo punto mi sentii alle spalle, un piccolo colpo come se fossi stato colpito da una piccola pietra, mi girai, ma a terra vidi un turacciolo, lo presi, cercavo di capire chi mai l’avesse gettato, poi poco distante vidi una signora ben vestita che cercava di calmare un bambino

– Ma non, non l’hai perso Dario, ora lo cerchiamo.

E il bambino, piangeva più forte, lo vidi aveva un fucile giocattolo, di quelli che avevano un turacciolo alla fine legato con una cordicella, mi avvicinai

– Per caso è questo?

Mi guardò, non pianse più e sorrise, strappandolo dalle mani

– Ma si fa così? Lo scusi, hai visto l’ha trovato il signore…

Sorrisi

– Lo lasci stare, mi hai anche colpito lo sai?

Stavolta si nascose dietro la  gonna

– Scusatelo è il mio nipotino, evidentemente non era stato messo bene il turacciolo ed è scappato, lo scusi!

Sorrisi, nel frattempo lo stavo rilegando alla cordicella

– Ma è un bambino signora, non si preoccupi, solo che la prossima volta non sparare se davanti c’è qualcuno.

E gli accarezzai la testa, uscì da dietro la gonna, disse di si e rispose

– Grazie signore.

Anche la donna sulla sessantina mi ringraziò sorridente e andarono via.

Sentii una stretta al cuore, poteva avere sei anni, anch’io avrei potuto avere una famiglia e un figlio come lui, ma non mi era stato ancora destinato.

La mattina successiva di buon’ora mi avviai al Centro Commerciale, presi l’auto perché era distante dal centro città, una decina di chilometri, era deserto a quell’ora, mi feci riconoscere dalla vigilanza, avevo il cartellino a banda magnetica per entrare nei locali e passeggiai per tutto il periplo del Centro.

Non c’è che dire, era proprio bello, già lo immaginavo con tante persone e mi recai presso la sede della vigilanza interna, li dalle telecamere potevo osservare tutto il Centro e il personale di servizio mi avvisò che venivano trasmesse tutte le immagini anche nel mio ufficio, per ultimo mi avviai in direzione, non c’era ancora nessuno, quattro scrivanie all’ingresso e poi una scrivania prima della mia stanza, era un ufficio notevole, iper accessoriato, il quadro delle telecamere erano a vista, poi tutti gli altri accessori per poter comunicare con l’intero centro e la sala, sentii bussare

– Avanti.

Un giovane sui trent’anni, come me

– Buongiorno Direttore, se vuole possiamo venire a presentarci.

Ero contento, rispecchiavano i protocolli che avevo insegnato nei corsi

– Certo!

E così si presentarono, ma grande fu la meraviglia, quando vidi l’unica donna del gruppo, era lei, la nonna della sera prima, anche lei era stupita, dopo aver stretto le mani agli altri, arrivai a lei

– Allora, ci rivediamo!

Diventò rossa, gli altri la guardavano interdetti

– Grazie, il mio nipotino l’ha raccontato a mia figlia ieri sera, era dispiaciuto.

– Vedrà, non  gli accadrà più.

Almeno una persona la conoscevo, tenni il discorsetto, breve di inizio e poi tutti al lavoro, Elide così si chiamava la nonna, era il mio assistente personale, ne era fiera, lo vidi quando ci salutammo e iniziammo a lavorare.

Solo per rispetto, degli altri due predecessori, non chiesi nulla sulla loro morte, ma dovevo conoscere le azioni che avevano intrapreso e Elide, prima ancora che glielo chiedessi, mi portò le cartelline, era tutto codificato nei nostri GDO e lei  era la più anziana di certo lo sapeva perfettamente, la ringraziai e continuai, mettendo le due cartelline nella mia valigetta.

La prima settimana volò, non ebbi il tempo di leggere le cartelline personali, ma lessi le loro direttive, poi si presentarono tutte le persone a capo dei vari dipartimenti, dalla manutenzione, alla pulizia dei locali, i responsabili della sicurezza esterna e delle videocamere e così di seguito, mi mancava solo il dipartimento della sicurezza interna, ma non ci feci caso, fu Elide a farmelo notare, telefonai e mi dissero che erano in attesa del loro nuovo comandante e si sarebbe presentato non appena fosse arrivato.

Elide non lasciava mai il lavoro, fino a quando c’ero io, glielo feci notare, e lei

– Non si preoccupi, fin che posso, l’aiuto volentieri.

La ringraziai e ci avviammo a casa, prima di salire, non avendo voglia di cucinare quella sera o di mangiare pre cotti, mi fermai in una bar-pizzeria, vicino casa, era la prima volta mi sedetti ad un tavolo, portavo con me la valigetta, presi le cartelline e diedi un’occhiata ai miei predecessori, avevano tutte le carte in regola, non ero io che li avevo formati, ma Enrico un mio collega, lo chiamai

– Enrico sono Luzio.

Sorpreso, vista l’ora

– Scusami, tu sai i nostri orari.

– Non ti preoccupare, dimmi?

– Sai che sono ad Olbia?

– E chi non lo sa, in un’indagine prima di essere chiamati dal Gran Capo, il capo del personale alla fine di una sua ricognizione sul personale dirigenziale concluse che ad Olbia non ci sarebbe andato nessuno.

Incuriosito

– Come? E perché?

– Luzio, non fare l’ingenuo, sai che ci sono stati dei morti.

– Si

– Suicidati?

– Si

– E non è strano?

– Non lo so, potrebbero aver avuto problemi personali, sai io non sono superstizioso.

Risata

– Ecco! Il Gran capo ti conosce bene, ma alla fine te l’ha proposto e tu accettato, sicuramente ben retribuito.

Azz! Sapevano tutto!

– Si, come certamente ben saprai, volevo chiederti qualche notizia, visto che sono stati tuoi corsisti, ho letto le loro cartelle personali e nulla fa evincere qualche problema serio, mi puoi dare una mano a farmene una ragione dei loro suicidi.

– Questo proprio no, quello che hai letto, lo so bene, perché l’ho scritto io,  posso dirti che erano entrambi sposati, il primo Luca a Lecco e il secondo Remo  a Roma, lo so perche facevano la spola quasi tutte le settimane non avendo portato le famiglie con se, giovani, forse troppo giovani per quell’incarico, ma dai loro curriculum e dai colloqui, ho notato una certa presunzione che rasentava l’arroganza, in poche parole, volevano emergere, una sola cosa li accumunava, erano entrambi superstiziosi.

Capii che non c’era null’altro da aggiungere

– Grazie, a buon rendere.

E ci salutammo!

Mangiai una pizza, era passabile, dissi che sarei ritornato, se fossi stato più attento, mi sarei accorto di qualcosa, ma ero immerso nei miei pensieri, sentivo la mancanza di quella stronza, purtroppo, era ancora viva la ferita.

La mattina successiva mi avvertirono che nel pomeriggio, sarebbe venuto il comandante della vigilanza interna del Centro e chiedevano se ero disponibile ad incontrarlo, Elide mi riferì ed io accettai per fine lavoro, alle diciannove ma aggiunse che lei non poteva esserci per il nipotino, le risposi di non preoccuparsi.

Puntuale alle diciannove, sentii bussare alla porta, per poco non mi veniva un infarto, davanti a me, mi ritrovai il vice comandante, tale Aldo e poi lei, quella ragazza l’avevo riconosciuta era quella dell’aeroporto di Napoli, ero così stupito che non vidi la sua mano in attesa della mia…”….

…segue…
Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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Araldo Gennaro Caparco

7 Maggio 2022 – Una vita a metà.

(Anteprima di lettura di tre pagine su settantacinque pagine)

Il treno correva veloce, vedevo scorrere le immagini senza che riuscissi a focalizzarle, i miei pensieri erano altrove ed anch’io correvo veloce con i miei pensieri!

Per distrarmi sfogliavo un giornale del mattino e sorridevo, c’era un titolo a carattere cubitali nella pagina dedicata alla cultura e arte:

“Il Falco è scomparso!”

poi su due colonne, veniva raccontata parte della vita del Falco, la sua scoperta e il suo successo e sempre la stessa domanda

“Chi era il Falco?”

Già!

Chiusi gli occhi e come in un film iniziarono a passare le immagini di quello che era realmente successo nei miei primi trent’anni della mia vita, fotogrammi di attimi vissuti intensamente e pieni di contrasti.

Amavo l’odore dei colori e fin da piccolo disegnavo tutto quello che mi colpiva realmente imbrattando quello che potevo per la disperazione di mia madre, dalle pareti domestiche alle tovaglie della tavola.

Già, mia madre…

… sopportava tutto quello che facevo e nonostante la perdita precoce del marito, con solo le sue forze, riuscì ad inculcarmi i valori reali della vita, l’amore per la bellezza e il giusto rispetto per i soldi, era fiera dei miei progressi a scuola, ma nonostante ciò, quando terminai il liceo classico e le dissi che volevo iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti, si rifiutò di ascoltarmi.

E così mi ritrovai iscritto alla Laurea di Giurisprudenza!

Otto anni sono passati dal giorno della mia laurea, ricordo ancora oggi quel giorno…

– Signore biglietto.

E l’incanto svanì all’improvviso!

Mi risvegliai e persi i ricordi di allora, avevo la fronte madida si goccioline che scendevano silenziose.

Ma cosa stavo facendo?

Ero a Milano solo pochi giorni prima, si stava inaugurando una Mostra dei miei quadri, c’era tanta bella gente e io mi crogiolavo nell’ascoltare i loro commenti.

Nessuno sapeva che ero lì accanto a loro ed ero l’autore di quei quadri, solo una persona ne era a conoscenza, Loly la mia super agente, come se l’avessi evocata per telepatia, sentii un sussurro all’orecchio

  • Ti stai divertendo?

Non la risposi, spostandomi lateralmente, intercettai un cameriere con un vassoio con dei bicchieri di spumante, presi due flute dal vassoio al volo e mi girai

  • Si e no!

Aveva l’aria così meravigliata,  non potetti fare a meno di sorridere, ma lei senza perdere il suo self control

– Che diavolo vuoi dire ? Sai bene che qui tutti vorrebbero conoscere l’autore di questi quadri, nella prima ora della Mostra sono stati venduti già tre tuoi quadri e sono certa che basterebbe che dicessi che l’autore è tra di noi si scatenerebbe il putiferio per accaparrarsi una tua opera e avere una dedica sul retro del quadro….

Accigliato

  • Non ti permettere…

Stavolta sorrise

-Non lo farò, stai tranquillo, non voglio perdere il mio autore preferito!

Tranquillizzato

-Si, sono contento di tutte queste persone, no, perché sono certo che quello che sto per dirti non ti piacerà.

-Cosa?

La presi sottobraccio e ci spostammo sulla terrazza, mentre il banditore dell’asta urlava

– Venduto!

In quel momento il treno ad alta velocità entrò in stazione, ero a metà viaggio, era arrivato a Roma Termini, presi i miei bagagli, era la mia fermata, mentre guidavo l’auto a noleggio, ricordavo quei momenti

– Tu sei pazzo!

Loly aveva gli occhi fuori dalle orbite, non riusciva a calmarsi, alla fine mi diede le spalle imbronciata e preoccupata dalle mie parole

– Non fare così, ne ho bisogno per davvero…

Passai davanti a lei in modo che mi potesse guardare negli occhi

-…devi capirmi, sono stanco di vivere la mia vita a metà…

Se avesse potuto mi avrebbe fulminato con quello sguardo

– Che significa?

Le presi la mano e la guidai verso un tavolino della terrazza, lei mi seguì senza dire nulla, ci accomodammo

– Non ti sto abbandonando, so quello che hai fatto per me in questi anni, ti voglio un bene dell’anima per questo ma…

Si svegliò dal torpore

– Ma?…

…segue…

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6 Maggio 2022 – Il segreto di Adelmo.

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Il segreto di Adelmo.

Quella settimana, al comune di Roccapinna, fu molto estenuante per me, finalmente arrivò il sabato e non vedevo l’ora di uscire dal lavoro

– Ragioniere, allora ci vediamo domani mattina?

Alzai la testa, ero distratto

– Si, certo! A domani mattina.

Invece di sorridere mi uscì una smorfia, per fortuna era già uscito dalla porta prima di notarla.

Chi aveva parlato?

Il mio capo era il ragioniere generale del Comune!

Roccapinna è un comune che se lo si cerca sulle cartine geografiche, spesso non si riesce a localizzarlo e non tutte le cartine lo riportano sulle colline marchigiane è un comune di duemilacinquecento abitanti, diviso in due frazioni,  sopralmonte e sottoalmonte, secoli fa il paese era solo sul monte, poi con l’industrializzazione, il dopo guerra, molti decisero di costruire in pianura e ora dopo decenni di migrazioni di famiglie, sopralmonte era abitato da trecento e due abitanti, anzi trecento e tre adesso, l’ultimo a risalire sono stato io, non per scelta ma per lavoro.

Prima abitavo con mia madre in pianura, lei viveva con la pensione di mio padre di reversibilità morto anni prima, ex operaio edile in tutta Italia, in effetti non avevo mai avuto una sede stabile, io e mia madre seguivamo lui e i cantieri dove andava a lavorare, quand’era in attività era molto ricercato, uno dei migliori nelle verifiche  e il coordinamento delle squadre di operai per la messa in opera del calcestruzzo, era salito al cielo troppo presto all’età di sessantasei anni, nemmeno il tempo di godersi qualche anno di pensione, sette infarti in una notte lo portarono via.

Mi chiamo Adelmo, nome troppo impegnativo per me ma era il nome del nonno paterno, ma tutti mi chiamano Dado, quando morì mio padre eravamo a Palermo da due anni, all’epoca mi ero diplomato in ragioneria e dopo ero sotto le armi a Cagliari in rafferma prolungata di tre anni, qualche anno dopo mia madre decise di tornare nella casa materna e quindi quando fui congedato tornai anch’io a Roccapinna.

Durante l’ultimo anno di militare partecipai ad un concorso in quel comune ed ora eccomi qui da due anni inquadrato come ragioniere addetto alle cartelle esattoriali inevase, ero sulla soglia dei trent’anni e visto che la sede del comune si era trasferita sottoalmonte, lasciarono gli uffici finanziari a sopralmonte, quindi per evitare di fare la spola decisi che era arrivato il momento di andare a vivere da solo e presi in locazione una casetta singola su tre piani, piccola ma confortevole.

Mi piaceva quel posto, non c’era la vita frenetica della cittadina, il silenzio era notevole ma i paesaggi colmavano quella tristezza che pervade quando si vive da soli, facevo lunghe passeggiate quando ero libero dal lavoro e covavo una passione segreta, portavo con me un notes e disegnavo quello che più mi colpiva.

L’invito del mio capo per la mattina successiva per mezzogiorno era dettato da una piccola competizione alla bocciofila locale, non erano molte le persone che conoscevo, ma avevo accettato lo stesso, non arrivai mai al palazzetto quella domenica!

Mi stavo preparando quando sentii il campanello della porta e…

…era mia madre con un grosso bustone giallo nelle mani!

– Ciao Dado, è arrivata questa busta per te.

Sorpreso

– Vieni mamma, ma che piacere, entra.

– No, non posso, ho la macchina fuori posto e poi mi aspettano in chiesa per il coro.

Stranamente, senza attendere nessuna risposta, sorridendo, girò le spalle e corse via, la seguii con gli occhi mentre entrava in auto e partì di corsa, quasi scappando, appoggiai la busta sul tavolo della cucina meravigliato dal suo comportamento  ma ancora di più curioso di vederne il suo contenuto, ma non so perché evitai di dare subito importanza, terminai di vestirmi, faceva freddo, eravamo ai primi di novembre e dalla televisione avevo saputo che erano in arrivo delle nevicate, non alle nostre altezze, ma nelle vicinanze, ero in procinto di mettermi la sciarpa, quando mi feci coraggio e aprii quella busta…

…c’erano delle cartine geografiche con delle parti colorate in rosso i bordi, poi alcuni documenti risalenti ad almeno una cinquantina di anni prima della mia nascita e alla fine un cartoncino con su scritto

“Al mio pronipote Adelmo con tutto il mio affetto e ricorda che: “La tradizione è memoria!”. Tuo prozio Adelmo”

Annesso al cartoncino con una graffetta un bigliettino

“Notaio Di Rinaldo – Pristina. Via Oleandri 12”….

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5 Maggio 2022 – Una evento indimenticabile!

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Un vecchio detto recita “L’uomo propone e Dio dispone”!

Non sono mai stato un amante dei detti o dei proverbi, ma nella vita non mi aspettavo di dovermi ricredere presto, all’età di trent’anni, dopo aver conseguito una laurea in economia e commercio e un master in Scienze della comunicazione, ero certo della strada che avrei dovuto iniziare di lì a poco.

Presentai il mio curriculum alle più prestigiose Università, a tempo di record, fui contattato dalla prestigiosa LUISS di Milano proponendomi un contratto a tempo indeterminato e dopo i primi sei mesi di prova, una cattedra a tempo pieno.

Ero euforico, avevo tanto studiato, mi appassionava quella materia più delle altre e con dodici pubblicazioni e un meritato centodieci con lode e menzione d’onore dell’Università La Sapienza di Roma, ero certo di poter contribuire nell’insegnamento universitario e trasmettere quella mia stessa passione agli studenti.

Ma!

Già, c’è sempre un ma, nella vita!

La mia famiglia gestiva un’azienda di ortofrutta, acquistava e rivendeva beni  di eccellenza del nostro territorio campano dal mercato ortofrutticolo e da produttori privati su una vasta area della Regione Lazio, la nostra sede era nell’alto casertano, quasi al confine con il mare laziale, avevamo a quell’epoca trenta dipendenti, mia madre gestiva la contabilità e mio padre invece gestiva gli acquisti e la logistica dei corrieri.

Già, avevamo i nostri corrieri, venti persone fidate con dieci furgoni frigoriferi, i quali giornalmente raggiungevano decine di ristoranti per rifornirli di una vasta gamma di frutta e verdure già pronte per essere utilizzate, si questo era il nostro punto di forza, nulla andava sprecato, le verdure erano sfrondate, pulite e preparate in apposite vaschette sotto vuoto, già pronte per essere utilizzate dagli Chef e  ad un costo contenuto, con un prodotto a chilometri zero e la frutta era sempre fresca di stagione….

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Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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4 Maggio 2022 – L’uomo con il cappello.

La graduatoria generale per la Medicina di base, da quell’anno, divenne Nazionale e non più Regionale, partecipai con pochissime speranze di poter essere collocato in alto nella graduatoria.

Dopo la laurea, avevo sostenuto e superato le specializzazioni in pediatria e chirurgia d’urgenza e in attesa dei bandi di concorso, sostenni un altro corso per la medicina generale, avevo  trent’anni senza un lavoro, ma solo studio e studio, ero stufo!

Per fortuna, la famiglia poteva aiutarmi, iniziai a fare delle sostituzioni dei medici di base di ruolo e alla fine del mese riuscivo a portare a casa un piccolo stipendio, ma ora la mia aspettativa e il mio obbiettivo, era trovare un lavoro stabile, uno stipendio decente e poi la possibilità di formarmi una famiglia ed essere gratificato professionalmente.

Qual’era l’alternativa?

Espatriare!

Ma non ci volevo pensare, Aldo un mio collega, aveva fatto questa scelta, era espatriato in Danimarca, non passava mese che non ci sentivamo per telefono e cercava sempre di convincermi a fare questo passo, mi diceva, “…i pediatri scarseggiavano, non hai problemi con la lingua, conosci l’inglese a perfezione, qui si parla solo inglese in ospedale ed anche fuori, tutti conoscono l’inglese e il norvegese non è difficile da imparare…”, lui con la specializzazione in geriatria, aveva già trovato una buona sistemazione in ospedale e di pomeriggio teneva un ambulatorio a casa sua

– Nino non perdere tempo in Italia, vieni.

– Ti ringrazio, ma per il momento è no.

Era la mia risposta ogni volta!

Quando uscì la graduatoria nazionale definitiva, in base ai punteggi, mi ero posizionato al 298esimo posto, su circa seimila partecipanti non era poco, le sedi erano però 250, quindi ero tagliato fuori!

Dovevo attendere un altro anno, prima di riprovarci, grande era la delusione, avevo prodotto oltre alla laurea, alle specializzazioni, dei Master pagati profumatamente per acquisire punteggio, ma evidentemente non era il momento, chiesi alla Presidententessa dell’Ordine dei Medici di farmi sapere se c’era qualche medico da sostituire, quindi quel fatidico venerdì diciassette, non mi meravigliai della sua telefonata, convocato per le undici, alle dieci e trenta ero già da lei

– L’ho convocato per darle una buona notizia!

La guardai, era molto più grande di me, molto severa, ma il suo sguardo stavolta era dolce

– Grazie, c’è qualche medico da sostituire?

Sorrise

– No, è stata assegnata una sede di medico di medicina generale a tempo indeterminato per lei.

In un primo momento non capii, poi realizzai

– E’ uno scherzo?

Ma poi la guardai, era seria e stava sorridendo

– Non è uno scherzo, abbiamo ricevuto stamattina dal Ministero la sua nomina, se dovesse accettare, ha ventiquattro ore per raggiungere la sede.

Finalmente realizzai e al diavolo l’etica, mi alzai per abbracciarla, lei diventò rossa come il pomodoro, quando la lasciai

– Scusatemi, ma non potete immaginare la gioia che provo in questo momento.

Lei cercò di ricomporsi, in effetti l’avevo stropicciata e non poco, dopo essersi aggiustata la gonna, rossa ancora in viso

– Grazie, potresti essere mio figlio, l’abbraccio non me l’aspettavo, ma ti capisco, non mi hai chiesto nulla della sede e ne dei tuoi giovani pazienti?

Immediatamente

– Accetto!

Lei stavolta seria

– Ne sei certo?

– Si

– Sarai ad ottocento chilometri da qui…

– Accetto!

– …sono dodici frazioni e duecento bambini al di sotto dei dodici anni…

– Accetto!

– …che si sommano alle ottocento persone residenti…

– Dottoressa, fosse stato pure in capo al mondo, avrei accettato, sono stufo di studiare solo o di fare sostituzioni fino alla fine dei miei giorni, ditemi dove devo firmare e lo farò.

Mi vide così determinato, girò la cartellina sulla tavola e solo allora venni a conoscenza di Cassone, un comune della provincia di Torino, situato a mille ottocento metri sul livello del mare

– Grazie.

Con la nomina in tasca, non vedevo l’ora di farla vedere ai miei genitori e così fu, ma la loro reazione non fu proprio quella che mi aspettavo, ero figlio unico e loro erano molto dispiaciuti per la mia partenza, nonostante ciò li coinvolsi con la mia gioia e dopo una giornata di preparativi, salutai e presi l’autostrada per Torino, destinazione Cassone!

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Cinque, solo cinque visite in una mese!

Non ci potevo pensare!

Quando arrivai, dopo aver cercato una sistemazione in una pensione al centro del paese, mi recai al Comune per portare la nomina del Ministero, il sindaco l’aveva già ricevuta, ma non mi sembrò molto contento, chissà, forse aspettavano una persona di una certa età, pensai, invece era proprio così, di poche parole, mi accompagnò al piano terra e mi disse che era a mia disposizione l’ambulatorio del vecchio medico, avevo non solo la funzione di medico di base, ma anche quella di ufficiale sanitario e dopo di lui, ero l’autorità sanitaria riconosciuta nella valle.

Ero talmente scombussolato, non mi passò proprio per la mente di presentarmi al medico anziano in pensione e ne chiesi notizia di lui, grande errore, ma si sa, spesso da giovani, gli errori non si contano e ce ne accorgiamo solo, quando la frittata è fatta!

Guardavo dalla finestra, quelle nuvole bianche, si rincorrevano tra le vette dei monti circostanti, io, uomo di mare in mezzo alle montagne, non mi restava che fare buon viso a cattivo gioco, quelle settimane furono da incubo, nessuno mi chiamava e in ambulatorio in un mese vennero solo cinque giovani per il certificato di sana e robusta costituzione per iscriversi in piscina.

Eravamo alla fine dell’inverno, chiesi e ottenni dall’ASL di pertinenza l’elenco dei miei assistiti e che cavolo?

Erano mille tra giovani e anziani, tutti in perfetta salute?

In auto visitai tutte le frazioni, dodici, nelle bacheche comunali, notai un laconico messaggio che più o meno recitava:

“Il nuovo medico è disponibile per le visite, sia in ambulatorio che presso il comune o a chiamata del paziente, questi sono i numeri di telefono”

E amen!

Questo era tutto!

Non dormivo la notte, mi sfogai con l’unico che mi potesse ascoltare Aldo tramite skype, ed è altrettanto inutile riportare la sua risposta, “…vieni qui, diceva…” ma non volevo, ci doveva essere un modo per farmi conoscere.

Era domenica, dopo una notte insonne, l’ennesima, ascoltando il suono delle campane, mi affacciai alla finestra, vedevo gruppi di persone che si avviavano in chiesa, era poco distante dalla pensione, mi vestii in fretta… dovevo farmi conoscere, farmi vedere, dovevo andare, inventarmi qualcosa!

Ma non arrivai mai in chiesa!

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Avevo gli occhi chiusi, sentivo un profumo invitante, il mio olfatto stava registrando dei profumi intensi, un misto di cannella, farina e olio, non volevo svegliarmi, volevo bearmi ancora di questo sogno, immaginavo una cucina, il vapore dalla padella, un cestino immacolato per le frittelle, una tavola imbandita per la colazione, del latte fresco, e…

…provai a girarmi!

-Oddio!

Lanciai un urlo e aprii gli occhi

– Ma dove sono?

Un dolore lancinante annebbiò la vista, in quei pochi secondi di lucidità, prima di tornare nel buio, vidi accorrere due persone, erano indistinte, solo una cosa riuscii forse a distinguere, una delle due ombre, era un uomo con un cappello nero a falde larghe.

Tutto buio quando mi risvegliai, l’unica fonte di luce, era un piccolo lumino elettrico sotto l’effige di una Madonna, stentai a realizzare, poi lentamente con le mani, accarezzai la coperta, era di una morbidezza assoluta, una finestra di fronte al mio letto ammiravo la luna tra due vette montagnose, con la sinistra, scostai la coperta, gli occhi si erano abituati al buio, ora distinguevo quasi tutto della stanza, strano, ma dove mi trovavo, la casa era immersa nel silenzio, c’era un armadio a due ante con uno specchio al centro, solo allora riflessa nello specchio, vidi di fianco una poltrona con qualcosa sopra, tentai di girare la testa, ma lo feci talmente bruscamente, la stanza iniziò a roteare, mi imposi la calma, toccai la fronte, avevo un grosso cerotto sopra all’occhio destro, ecco perché avevo la vista a senso unico, cercai di muovere le gambe, la sinistra rispose alle mie sollecitazioni, ma la destra…gran dolore!

Urlai e chiusi gli occhi

– Ma dove sono!

Sentii un trambusto, poi una mano sul petto

– Stai fermo!

Era una voce maschile, ferma e autoritaria, la sua pressione sul torace era forte

– Stai fermo! Non ti muovere, sei caduto e ti sei procurato una forte distorsione del piede destro e nel perdere l’equilibrio hai battuto la testa, fermo, stai tranquillo!

Tutto questo detto con fermezza, ma anche con calma e dolcezza, produsse il risultato che voleva, il mio respiro da affannato iniziò a diventare regolare, non potevo vederlo in viso, ma percepivo da una lunga barba, un sentore di tabacco, forte ma per nulla sgradevole, finalmente riuscii ad articolare una frase

– Grazie.

Allentò la presa sul torace, mi rimboccò la coperta

– Sei a casa mia, stai tranquillo, domani vedrai ti sentirai meglio, ma per il momento dobbiamo attendere…

– Cosa?

– Che si assorba l’ematoma sull’occhio, se così non fosse domani ti porto in ospedale.

– C’è una lacerazione?

– No.

– Ecco perché!

– Si.

La sua voce era un tranquillante, chiusi gli occhi e ricordai una reminescenza della lezione di chirurgia d’urgenza, il nostro caro professore:

“Gli ematomi sono la difesa dell’organismo, non sono deleteri, ma se passate ventiquattro ore la ferita inizia a pulsare e diventa dolorosa, bisogna intervenire chirurgicamente onde escludere che possa procurare altri danni…”

e mi addormentai.

Ma prima che il mondo dei sogni si impadronisse di me, ascoltai

“Papà tutto bene?”

“Si Lea, il tranquillante sta facendo il suo effetto”

“Ti do il cambio, stenditi!”

“Ma no, tranquilla”

“Insisto, domani sono certa, non mi permetterai di portarlo da sola in ospedale, io sono abituata a stare sveglia la notte, ti prego stenditi vicino a Licia, sta riposando sul tuo lettone”

“Hai ragione, vado! Però se si dovesse svegliare chiamami, devo controllare l’occhio e se fosse necessario somministrargli un calmante”

“Certamente!”

Chi era?

Chi erano?

E mi addormentai!

.-.-.-.–.-.–.-.-.–.

“Aldo ma tutta questa gente?

Tranquillo sono qua per te, sai è da tempo che aspettavano un pediatra da queste parti.

Non ci posso credere .

Credici, credici, vedrai la villetta che ti hanno procurato.

Sul serio?…”

Aprii gli occhi

– Ma come fa freddo qui…

– Tranquillo, non ti preoccupare è l’effetto del sedativo.

Una voce di donna e sentii una mano calda, tutto era ancora buio

– Ho freddo!

Avevo sognato, ero ancora in quella stanza sconosciuta, vidi l’ombra che mi aveva trattenuto, alzarsi per poi ritornare con una coperta, bella sensazione, quando il corpo si sente protetto

– Chi sei?

– Devi cercare di riposare.

– Chi sei? Cosa mi è successo, ti prego, ho la testa annebbiata, non capisco, ma dove mi trovo, perché sono qui?

La voce si addolcì

– Se mi prometti di stare tranquillo, te lo racconto.

Non risposi, cercavo di vederla, ma non ci riuscivo, sentivo solo il fruscio dei capelli che si muovevano

– Si.

Complice la luna, intravidi i tratti del suo viso, era molto giovane, un viso allungato, degli occhi quasi a mandorla, tutto era proporzionato, mi sembrava una dea scolpita, ammutolii, lei iniziò a parlare ma non ascoltavo, la stavo ammirando, ad un tratto

– Ma non mi ascolti?

Mi uscì spontaneo

– No

Stupita

– Ma allora…

-Sei bellissima!

Si stava allontanando, feci appena in tempo a prenderle la mano

– Non andartene, ti prego, ho freddo!

Non disse nulla, ma lasciò la sua mano nella mia e il tranquillante fece di nuovo il suo effetto, caddi in un sonno profondo.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Quando il pomeriggio successivo mi svegliai completamente, la ragazza che mi aveva fatto compagnia quella notte, non c’era più, tant’è che pensai di aver sognato, ma poi un foulard dimenticato bianco con orchidee colorate sopra, mi diedero la prova della sua esistenza, non dovetti nemmeno chiamare, perché non avendo più dolore alla gamba destra provai a scendere dal letto con cautela e iniziai a fare dei passi, era si dolorante, ma era sopportabile, mi avvicinai allo specchio per controllare la medicazione sopra l’occhio e con grande piacere, mi accorsi che l’ematoma si stava assorbendo, ero talmente intento a guardarlo da non rendermi conto che qualcuno era entrato

– Allora figliolo, come va?

Mi girai e c’era un signore sulla settantina, vestito accuratamente con una barba bianca folta e lunga e un paio di occhiali cerchiati in oro

– Meglio, grazie signore.

Si avvicinò

– Fammi vedere!

Con molta competenza osservò l’ematoma, poi mi fece sedere su una poltroncina e esplorò dal ginocchio in giù la mia gamba destra

– Bene, bene, questi medicinali d’oggi, fanno miracoli e quel gel che ti ho cambiato più volte sull’ematoma, mentre dormivi ha avuto l’effetto che doveva, prova di un buon prodotto.

La sua meticolosità, nel lavarsi le mani, dopo aver versato dell’acqua nel lavabo di fronte al letto, mi illuminò la mente

– Ma lei è un medico?

Quando si girò sorrise

– Ebbene si, sono il Dott. Ascanio Brà e tu sei il Nino il medico che è stato chiamato per sostituirmi per limiti d’età!

Per la meraviglia, spalancai la bocca e non riuscivo a chiuderla, mi sembrava opportuno dargli la mano

– Sono onorato, mi chiamo Nino.

La sua stretta era forte e sincera

– Lo so, ovvero, non sapevo quando ti hanno portato chi eri, ma stamattina quando la governante è venuta a chiamarmi per una visita, ero qui a cambiarti la medicazione, e lei ti ha riconosciuto, sono stato sorpreso, sapevo della tua venuta da parte dei mie ex pazienti, ma non avevamo ancora avuto modo di conoscerci e invece per un caso fortuito, adesso eri nel letto di mia figlia…

Di tutto quello che aveva detto, l’unica cosa che mi era rimasta impressa, “mia figlia”, ecco, allora chi era quella ragazza

– …mi devo scusare con lei, ma non sapevo di voi, ovvero, ho sbagliato a non venire prima da lei, nessuno qui mi vede come un medico, anzi, per dirla tutta, sto passando un brutto momento.

Si stupì

– Lascia stare, dimmi come ti senti adesso?

Feci dei movimenti

– Bene signore.

– Se vuoi puoi rimanere ancora qui.

– No, la ringrazio, domani ho ambulatorio e non vorrei fare un torto a quell’unico paziente presente e poi vorrei togliere il disturbo, di certo sua figlia vorrà dormire nel suo letto stanotte.

Dissi tutto d’un fiato

– Come vuoi! Ti aspetto di la, la mia governante ha chiesto di poter prendere un cambio nel tuo albergo ed è la sulla sedia, il pantalone di prima era lacerato, l’ha messo in quella borsa con il resto, fai con calma, hai tutto il tempo.

– Posso sapere cos’è successo?

E lui uscendo

– Certo! Stasera sei a cena con me, ne parleremo a tavola.

E uscì!

Mi rivestii con calma, riposi il pigiama prestato nella borsa e senza un perché infilai anche il foulard, poi iniziai ad avere una strana sensazione, realizzai, forse avrei incontrato quella ragazza che mi aveva assistito nella notte e solo al pensiero, sentivo un disagio e nel contempo ero contento, tesi e antitesi, la mia vita, sarei venuto a sapere cosa era successo, avrei conosciuto di più l’uomo che mi aveva curato e perché no, avrei potuto chiedergli dei consigli.

Ero quasi pronto, quando sentii bussare discretamente alla porta

– Dottore, tutto bene?

Voce di donna, pensai che fosse lei, mi alzai per aprire, ma c’era una signora, sulla cinquantina

– Sono Delia la governante, tutto bene?

– Si grazie.

– La cena è pronta, se vuole venire?

Imbarazzato e rosso come un pomodoro

– Arrivo!

Tirai un gran respiro e… ahimè lei non c’era!

Mi trovavo in un saloncino, molto ben curato, il camino era acceso e il dottore mi aspettava a tavola, forse fu la mia espressione, oppure il mio silenzio, guardava tutte le mie espressioni

– Siamo solo noi!

E con questo mi aveva detto tutto e niente, cenammo quasi in silenzio, poi

– Perché mi trattano così?

Lui

– Non ti trattano in nessun modo, devi dare il tempo e poi capiranno.

Sorpreso

– Ma non mi danno l’opportunità, mi evitano, sono inesistente.

Con un cenno della mano mi fece accomodare su una poltrona nei pressi del camino, lentamente iniziò a preparare il suo sigaro ed io ebbi il tempo di guardare sopra la mensola, c’erano delle foto, alcuni ritraevano lui con una bella signora, poi lui con una ragazza, aguzzai la vista, poteva avere la mia stessa età, capelli neri come la pece, un sorriso smagliante incorniciato in un viso ovale, era bella!…”….

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

3 Maggio 2022 – Iole.

– Non se ne parla proprio…
Pausa
-…ma siete impazziti, cinquemila euro…ma è una miseria…
Pausa
– …ma che vuol dire che è piccolo…è un monolocale…si capisce che
è piccolo…o no…lo dice la parola…incredibile…
Pausa
-…basta!…la mia richiesta era di quindicimila euro, più che onesta,
ma visto che fate così i simpatici, se trovo qualcuno, mi
accontenterò anche di diecimila euro subito, addio.
Non avrei dovuto ascoltare, ma non potevo evitarlo, ero entrato in
quel bar solo perché avevo freddo, un bar molto grazioso, un
bancone pieno di dolciumi sulla destra entrando, poi subito dopo la
cassa e di fronte cinque piccoli separé con due sedie e un tavolino,
erano quasi tutti occupati e prima che qualcuno potesse
guadagnare il quinto separé mi fiondai, il tempo di sedermi un
cameriere sorridente
– Siete stato fortunato!
Lo guardai stupito, ma il suo sorriso mi disarmò, in un altro
momento mi sarei arrabbiato, invece
– Grazie.
La mia espressione stupita diceva altro, capì di essere stato
inopportuno e con aria professionale
– Gradisce qualcosa?
Mi rilassai
– Si, per cortesia una cioccolata calda e una cialda, grazie.
– Subito!

 

Con un perfetto dietrofront sparì!
Ero di pessimo umore, sradicato dalla mia città in ventiquattro ore,
nemmeno l’auto mi avevano fatto prendere “E’ la tua occasione,
vedrai”, solo una valigia con il necessario e poi imbarcato su un
aereo, destinazione “Aeroporto Orio al Serio di Bergamo”, quasi
svenivo, ero a millecinquecento chilometri da casa!
Ma chi me l’aveva fatto fare?
Figlio di un siciliano e di una toscana, mio padre era il proprietario
di un ristorante a Ragusa, mia madre una giornalista e fu proprio lei
ad inculcarmi le prime nozioni per il giornalismo e mio padre quello
della ristorazione, mia madre ci tenne particolarmente che non
prendesi l’accento siciliano d’accordo con mio padre, solo con gli
amici parlavo il siciliano che conoscevo molto bene, ma con gli altri
parlavo un perfetto italiano.
Da poco avevo festeggiato i miei trenta anni, ero un giornalista
investigativo e usavo uno pseudonimo “Lince”, con quello firmavo
gli articoli, ma uno di questi fu la causa del mio allontanamento
precoce dalla mia amata isola, alla ricerca di uno scoop, tanto
desiderato e voluto dal mio Direttore del giornale, era euforico, per
la prima volta avevano dovuto far ristampare le copie del giornale
perché terminato in tutte le edicole dell’isola.
La ragione?
Avevo scoperto un bidone di immondizia, una commistione, tra
politici e mafia con ramificazioni in tutto il territorio italiano, ed era
proprio per questo che mi trovavo all’altro capo della nazione,
dovevo ricercare, trovare e raccontare, il ramo sporco dei colletti
bianchi sul continente con l’aiuto dei servizi segreti italiani, solo loro
conoscevano la mia vera identità..
Come da istruzioni prima della partenza, all’arrivo seguii le persone
verso l’uscita, non eravamo in molti quella sera, una decina forse,
mi avevano detto che all’arrivo mi attendeva un auto e guardando

 

all’uscita vidi una persona con un cartello con solo un nome ”Alfio”,
mi avvicinai
– Sono io!
Mi squadrò, prese un tablet e dopo essersi rassicurato che ero
proprio io quella persona in fotografia
– Mi segua!
In auto, lui davanti e io dietro
– Sul sedile troverà una valigetta, dentro ci sono le istruzioni per la
sua permanenza qui, alloggerà per il momento in un appartamento
residence “La corte dell’angelo”, poi verrà contattato da un nostro
agente, buona permanenza.
Fine comunicazioni!
La sera dopo vennero, uno dei due era l’autista del giorno prima, mi
diedero nuovi documenti, mi chiamavo Vieri, nato a Firenze, era un
diminutivo di Oliviero “colui che possiede uliveti”, avevo un lavoro
presso la Gazzetta di………., come giornalista gastronomico e
trentamila euro in contanti, potevo utilizzarli come volevo, un tablet
per il resoconto giornaliero e due numeri di telefono cellulare per i
contatti con loro con un nuovo cellulare certamente intercettato da
loro, ci tennero a precisare che avevo carta bianca per le mie
ricerche, ma volevano essere messi al corrente di tutto quello che
poteva essere importante per l’indagini.
Erano di poche parole e nella mia mente li battezzai Flick e Flock!
Dai documenti nella valigetta venni a conoscenza che il soggetto
che stavamo cercando, per molto tempo era stato localizzato nei
paraggi di un quartiere della Bergamo alta ed era proprio lì che mi
diressi quella mattina ed entrai in quel bar.
Ero alla ricerca di un alloggio nelle vicinanze, ad onor del vero lo
cercavo in locazione, ma non mi sembrò vero ascoltare quella
telefonata, detto e fatto, con il giornale in mano mi affacciai al
separé e vidi una signora sulla sessantina che stava sbuffando….

(Totale 113 pagine)

(Ogni riferimento a persone, luoghi è frutto solo di fantasia)

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

2 Maggio 2022 – Il coraggio e la paura.

Leggi le prime pagine per entrare nel racconto e scegliere quello che preferisci.

E con questo, è il terzo lavoro che perdo in sei mesi.

Ma si!

E’ mai possibile accettare sempre dei compromessi?

No, basta!

Negli altri due, non mi pagavano mai. Ma in questo?

Se l’è meritato, certo sono stato licenziato, ma non potevo, non dovevo, andare avanti, anzi, ho aspettato fin troppo, ma quella mattina non ne potevo più.

Stavo come sempre al lavoro di prima mattina, avevo già più volte espresso il mio rammarico, di non poter fare la spesa per il locale, ma niente, ottuso e braccino corto, mi rispondeva

– Quando hai accettato il lavoro, ti avevo avvertito, la spesa la faccio io e tu cucini.

Certo, cucino, ma non avveleno le persone!

L’avevo già avvertito, quel giorno del riposo del locale, lo avevo intravisto mentre facevo una passeggiata per il rione, acquistava della merce nei posti più disparati e a basso prezzo

– Se continui così, me ne vado!

Gli dissi, e lui,  quasi con un mezzo sorriso di sogghigno

– Si. E dove vai?

Era questo che mi frenava, non avendo casa, accettavo solo dei posti dove mi fornivano l’alloggio, ovviamente il fitto me lo defalcavano dallo stipendio.

Alloggio?

Se quello si poteva chiamare alloggio, una stanzetta con un letto e un comodino, senza finestre, ricavato dallo sgabuzzino.

Ero pieno di idee al servizio militare, si ci ho provato, ho fatto tre anni, ma poi alla fine, non mi hanno arruolato e così mi trovai in mezzo ad una strada all’improvviso.

La famiglia, manco a parlarne, era distante mille chilometri e già da soli avevano problemi finanziari, quando seppero che mi avevano bocciato all’esame per rimanere sotto le armi, mi dissero “e ora arrangiati!”.

Eh già, una sorellastra, ragazza madre con due bambini da due padri, un fratellastro, entrava ed usciva dai centri di tossicodipendenza,  mia madre in cielo da tre anni e poi un padre, anzi patrigno, che passava le sue giornate al bar sotto casa a bere birra e a giocare a carte.

No, grazie!

Meglio dimenticarseli! Era proprio inutile sperare in qualcosa da loro.

Quei tre anni, furono per me una palestra, perfetto sconosciuto senza una raccomandazione, finii in cucina, a lavare pentoloni maleodoranti e padelle incrostate, l’unica cosa positiva fu la conoscenza con uno dei cuochi anziani, quando era il suo turno, mi insegnava a cucinare.

Fu proprio lui che avendo notato una certa predisposizione per la cucina mi invogliò ad iscrivermi ad un Corso online, per conseguire il titolo di cuoco.

Non era certamente l’Accademia, ma le basi, si!

Lo conquistai!

Quando uscivo la sera, dopo aver terminato il servizio di cucina, invece di fare come gli altri, alla ricerca di ragazze da abbordare, me ne andavo per librerie, alla ricerca di libri di cucina usati e dopo averli letti e riletti, li rivendevo ad altre librerie in cambio di altri libri.

Ero stufo, quella mattina, il padrone della trattoria, decise che quel lunedì dovevamo fare la lasagna e mi buttò letteralmente sulla tavola, circa tre chili di carne macinata e un filoncino bianco che lui definiva fiordilatte, dieci scatole di pasta fresca per lasagne.

– Ecco, cucina, oggi lasagne e polpette per secondo.

E se ne andò, vidi la scadenza della pasta fresca, era di un mese prima, poi passai al filoncino, era duro come una pietra, congelato e poi alla carne e qui, dovetti turarmi il naso, puzzava.

I nostri avventori erano degli operai di una vicina fabbrica, quasi sempre mangiavano da noi un piatto caldo per poi la sera arrangiarsi con pane e qualcosa.

Non potevo fare loro questo!

Come un pazzo, uscii dalla cucina, arrivai alla cassa, dove si trovava il padrone

– Secondo te, dovrei cucinare quella merda?

Avevo gli occhi fuori dalle orbite.

E lui, come se fosse la cosa più placida del mondo

– Certo! Ci metti gli aromi, la passi al forno e vedrai che nessuno se ne accorgerà, le altre le friggi.

– Tu sei pazzo, io non intendo avvelenare le persone.

Rideva, quello stolto, rideva.

Mi guardai attorno, c’era uno scaffale con delle bottiglie di vino scadente, ne presi una e la lanciai.

Non rise più, l’avevo centrato all’altezza degli occhi!

– Ti faccio arrestare!

Esclamò

– No, ti faccio arrestare prima io, chiamali i carabinieri, così faccio vedere quello che hai acquistato.

Si manteneva la fronte, stava rovistando nel cassetto, ma prima che potesse prendere la pistola, con un calcio lo chiusi chiudendogli la mano destra dentro, lanciò un urlo

– Fuori da qui!

Il tempo di prendere la sacca e ed ero in strada.

Quel lurido straccione, non mi aveva nemmeno pagato quel mese, diceva domani, avevo 150 euro in tasca, ma se lo meritava.

E ora? Cosa faccio?

La città non era molto grande, avevo poche possibilità di trovare altro, delle due trattorie e quattro ristoranti, ne avevo frequentati tre e mi erano bastati.

Via, dovevo andare via e di corsa, prima che quello scellerato, mi denunciasse per qualcosa che non avevo fatto per vendetta.

Presi a piedi la strada che portava alla stazione, come sempre mal frequentata, guardai il tabellone, c’erano cinque treni dell’alta velocità in partenza da li a poco, due per la Francia, e tre per delle stazioni italiane, Verona, Bolzano e Parma, optai per Parma, feci il biglietto e dopo un quarto d’ora ero in treno, mentre viaggiavo cercai qualche ostello dove dormire, chiamai e c’era un posto con un coinquilino, a 19 euro per notte, prenotai per cinque notti e con questo i miei ultimi cento euro erano partiti.

Per fortuna quando arrivai,  dovetti pagare solo la prima notte, senza anticipo, avevo ancora un margine in tasca.

Invece di andare a dormire, lasciai la sacca, il mio coinquilino non c’era e mi diressi verso il centro città dove si trovavano i locali, alla ricerca di un lavoro, il metodo era sempre lo stesso, entravo andavo alla cassa e chiedevo se c’era opportunità di lavoro in cucina, prima mi dicevano di no e poi mi chiedevano il curriculum e le referenze.

Niente da fare, così  fu il primo giorno, così anche il secondo, non potevo continuare, saldai quello che dovevo all’ostello prima di rimanere senza soldi e riandai alla stazione ferroviaria, fino a quel giorno avevo mangiato un panino con qualcosa solo a pranzo.

Presi il treno per Bologna, tramite il mio coinquilino, seppi che c’era un centro d’ascolto molto attivo alla Basilica di San Petronio, con una mensa per i poveri, e fu li che mi presentai.

Di lato un ingresso, il freddo fuori era pungente, passai la doppia porta, un piccolo atrio, non c’era nessuno, mi guardai intorno, poi iniziai ad avvertire un buon odore, sarà stato il freddo o la fame, cercai di seguire quel profumo, ma non feci in tempo ad arrivare alla sala, svenni.

Non so quanto tempo rimasi svenuto, ma so che quando mi risvegliai ero in un ambulatorio medico, cercai di alzarmi, ma non ce la facevo, avevo un cerchio alla testa, forse avevo sbattuto contro qualcosa, mi toccai con la mano, e mi uscì un grido di dolore.

Entrò una suora

– Ma che fai benedetto figliolo!

Venne vicino e mi fece stendere

– Ha detto il dottore che non ti devi muovere.

E mi guardava per capire se l’avessi ascoltata, feci segno con la testa di si.

– Sei molto debole, chissà da quando non mangi, ora ti portano qualcosa, stai tranquillo.

Ecco cosa mi era capitato, ora ricordavo, dopo un poco rientrò la suora e alzando il lettino, mi fece mangiare un poco di carne nel brodo, mi imboccava, presi da solo il cucchiaio e la ringraziai con gli occhi, terminai tutto, mi sentivo meglio, solo mal di testa.

– Stasera potrai mangiare qualcosa di più solido, adesso solo questo.

– Grazie.

– Mi vuoi raccontare perché sei venuto da noi?

Onestamente non ne avevo voglia, ma non potevo stare li muto, su un lettino, con calma le raccontai quasi tutto e nel sentirlo notavo che il suo viso cambiava espressione.

Cosa le raccontai?

Che ero stato licenziato, che lavoravo in cucina, che non avevo ne casa ne parenti, con pochi soldi in tasca, avevo cercato lavoro prima a Parma e poi consigliato da un amico mi aveva detto che c’era un Centro d’ascolto, dove forse mi potevano aiutare a Bologna.

– Come ti chiami?

– Dino

Mi guardò amorevolmente

– Vorrei tanto aiutarti, ma abbiamo solo dodici posti letto e tutti occupati, stasera puoi riposare su uno di quei letti, ma domani devi andare, perché la persona che lo occupa verrà dimesso dall’ospedale, poi ti farò parlare con gli operatori del centro di ascolto.

– Grazie Madre

– Suor Agi

– Suor Agi, grazie, sono mortificato, non avrei mai immaginato di ridurmi in questo stato.

Era sorpresa

– Il Signore toglie, il Signore da, tranquillo, vieni che ti accompagno.

Così quella notte dormii nel letto di Antonio, un professore universitario che era ridotto sul lastrico dopo un divorzio con una donna senza scrupoli, i miei vicini di letto mi raccontarono che aveva tentato il suicidio.

Cercai di dormire, il dolore lentamente sparì, riuscii all’alba ad appoggiarmi sul cuscino e fui risvegliato dalla suora

– Dino, svegliati è tardi.

Ci vollero cinque minuti buoni per riprendermi, mi lavai e rasai, cambiando l’abito della sera prima con un altro jeans e una felpa di lana, faceva freddo, presi il giaccone e mi recai da Suor Agi

– Dove devo andare?

Notai che era favorevolmente colpita dal cambio d’abito, sintomo che non ero uno sbandato, mi accompagnò a fare colazione, poi mi indicò la porta del Centro di ascolto, mi disse di farle sapere.

La ringraziai, presi un numero, ero il diciottesimo e mi sedetti su una delle sedie disponibili, c’erano tante persone, di tutte le età, gocce di umanità allo sbaraglio, venne una mamma con un figlio piccolo attaccato al seno, guardai il suo numero, cinquantaquattro, non ci pensai due volte, le offersi il mio numero, l’accettò sbalordita

– Grazie.

Quando venne il suo turno, la vidi, il bimbo dormiva beato e lei era più tesa, poi all’uscita aveva un largo sorriso, venne vicino

– Grazie, se non fosse stato per lei non avrei avuto la possibilità di trovare lavoro, vado a fare la babysitter e porto mio figlio con me, Dio la benedica, grazie.

E mi abbracciò!

Eh già, qui chi prima arriva, forse trova lavoro, ma ero contento, il suo sorriso mi aveva emozionato, sia quello che sia!

Dopo tre ore eravamo al quarantaquattresimo numero, mi mancavano ancora dieci persone, poi sarebbe stato il mio turno, vidi avvicinarsi Suor Agi

– Vieni con me!

Ero stupito, volevo dirle che tra poco era il mio turno, ma non feci in tempo, mi prese per mano e la seguii, stavamo entrando nel convento, corridoi enormi, con stanze ai due lati, in fondo una vetrata artistica con il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, eravamo arrivati, mi guardò, mi aggiustò il giubbino

– Andiamo dalla Madre Superiora, lascia qui la sacca, nessuno la toccherà.

Dalla Madre Superiora, io? E perché?

Ma feci quello che mi era stato detto, entrammo in una stanza molto grande, era semplicemente arredata, in fondo una grande scrivania con un crocefisso e il telefono, poi la vidi, di spalle una donna molto alta, stava inginocchiata, stava pregando, attendemmo in piedi in silenzio.

Terminò e si girò, era una donna con un volto stupendo, nonostante l’età, sui settant’anni, mi guardò con aria severa, poi la sua bocca si allargò in un sorriso

– Ecco madre, questo è il giovane.

Non diceva una parola, mi fece segno di sedere, cosa che feci subito, poi lei passò dietro la scrivania

– Dimmi, perché hai cambiato la tua prenotazione?

Ero sorpreso, come faceva a sapere

– Mi è sembrata la cosa più giusta da fare, ho sbagliato?

Sorrise

– No, ma non potevi sapere che quella donna era qui da sei mesi, fin dalla nascita del bimbo e non avevamo trovato nessuna occupazione.

– L’ho vista preoccupata con quel bimbo attaccato al seno, per caso ho notato il suo numero e ho pensato che avrebbe avuto dei problemi ad attendere tutte quelle persone, io potevo darle una mano e le ho dato il mio numero.

– E’ venuta qui piangendo dalla gioia, dopo che aveva raccolto le sue cose,  mi ha raccontato tutto.

– Sono contento per lei.

Ero imbarazzato, cosa ci facevo io li, tra poco era il mio turno, stavo perdendo tempo, ma i suoi occhi erano fissi sui miei, ero inchiodato alla sedia.

– Vuoi raccontarmi quello che ti è accaduto?

E perché dovrei farlo? Cosa voleva da me?

Guardai Suor Agi, mi fece di si con la testa, stava seduta vicino a me.

Come se fossi stato in uno stato ipnotico raccontai tutto, ma proprio tutto, dalla mia infanzia ad oggi, per finire tra le lacrime senza ritegno, non avevo nemmeno il fazzoletto, fu Suor Agi che me ne diede uno, poi finalmente alzai gli occhi

– Scusatemi!

La vidi, era colpita, aveva nello sguardo l’amore di una mamma verso un figlio, si alzò lentamente e venne a sedersi vicino

– Come ti chiami?

– Dino.

Mi asciugò le ultime lacrime

– Tu oggi hai fatto una buona azione, quando è andata via con il bambino ho chiamato Suor Agi e le ho chiesto se conosceva un giovane sui 28 anni che si trovava al centro di ascolto, lei mi ha raccontato quello che è successo ieri sera e ho voluto conoscerti.

– Vi ringrazio, ma non credo che la mia storia possa interessarvi.

Ero sincero, veramente ero anche arrabbiato con me stesso, per aver detto tutte quelle cose ad una sconosciuta, ma oramai l’avevo fatto.

– Non è proprio così, ascolta ho un’idea, tu ti fermerai stanotte qui, dormirai nel locale di fianco alla cucina, poi domani alle dieci ci vediamo di nuovo qui, che dici?

La guardavo, ma era come se non la vedessi, ero ancora debole

– Va bene.

Mi congedò, Suor Agi mi accompagnò alla cucina,  mi fece vedere la stanzetta, mi disse che era per il cuoco che ora era in ferie, posai la sacca e andai a pranzo con gli altri.

Cosa mi aspettava domani? Perché mi aveva voluto far rimanere? Aveva un’idea, quale?

Non potevo stare con le mani in mano per tutto il pomeriggio, finito il pranzo aiutai gli altri a togliere i residui, poi mi misi un camice e aiutai in cucina a pulire, non mi fermai un attimo, li vedevo erano stupiti di vedere questo giovane che senza parlare, lavava, asciugava e aiutava a preparare la cena, finalmente stanco morto, ma finalmente in forze, andai a dormire.

La mattina successiva mi svegliai per tempo, andai in cucina e aiutai a preparare la colazione, poi verso le 9.30 venne Suor Agi per accompagnarmi

– Tutti mi hanno chiesto di te.

Sorpreso

– Chi?

– Quelli della cucina.

– Grazie.

Era orgogliosa, lo sentivo, arrivammo con dieci minuti di anticipo, lei scomparve dalla Madre Superiore ed io fuori ad attendere

– Vieni

Era sorridente

– Vieni Dino, accomodati

Stavo in attesa, ma la vedevo era contenta

– Suor Agi mi ha raccontato quello che hai fatto in cucina

– Non ho fatto nulla, ho solo aiutato

– Hai fatto molto invece, se avessi avuto qualche esitazione nell’aiutarti, si sarebbe dissolta e non ti nascondo che se avessi la possibilità di assumerti lo farei, ma non posso, tu hai bisogno di un luogo stabile e di avere una vita serena con uno stipendio.

Quelle parole erano balsamo per me, ma non capivo dove voleva arrivare

– Poco lontano da Bologna ho una sorella a Budrio

Ero attentissimo

– Ha un piccolo ristorante, l’ho contattata e le ho chiesto se avesse avuto bisogno di personale in cucina, mi ha chiesto il perché e ho raccontato qualcosa di te, ma non tutto, alla fine mi ha detto che era disponibile a farti fare un periodo di prova come aiuto chef, che ne dici?

La guardai, sorridente

– Quando posso partire?

Rise stavolta

– Anche adesso, c’è un autobus che passa davanti al convento tra dieci minuti, allora?

Mi alzai, prima abbracciai Suor Agi, poi mi avvia verso di lei con la mano stesa

– Non so come ringraziarvi.

Non volle rispondere alla mia mano, sorridente, mi volle abbracciare e mi diede un biglietto con l’indirizzo e il suo numero di cellulare

– Che il Signore ti accompagni, avverto mia sorella, vai.

E mi congedò

Ero al settimo cielo, in prova, in un ristorante, piccolo ma che importava, ero sull’autobus con il cellulare guardai delle notizie su questa cittadina, non era molto grande, meglio pensai, poi mi misi a guardare il paesaggio, da Bologna ci voleva meno di un’ora per arrivarci, l’autobus mi lasciò sulla piazza centrale, mi avviai ad un bar poco distante e chiesi indicazioni, furono gentili e mi indicarono la strada.

Ero nel centro storico, vidi l’insegna “Nuova ocarina”, era il giorno di chiusura, trovai l’ingresso dell’abitazione di lato sulla destra, strano, mi sentivo osservato, ma non vedevo nessuno, bussai

– Si

– Signora sono Dino

– Si accomodi

Si senti un click e la porta si aprì, era un ingresso piuttosto piccolo, c’era una scala, di lato una cremagliera che saliva, iniziai la salita e poi mi resi conto che alla fine c’era una di quelle sedie per persone di una certa età per salire e scendere

– Venga giovanotto, sono qui

La voce veniva dalla stanza sulla sinistra, lasciai il sacco ed entrai

– Permesso

Grande fu il mio stupore nel vedere la seconda Madre Superiora, erano identiche, solo che questa era su una sedia a rotelle, ma avevano lo stesso sguardo e lo stesso viso, notò il mio stupore

– Si, siamo gemelle, venga accomodati, ti do del tu potresti essere mio figlio.

Inebetito, cercai la sedia più vicina

– Grazie, scusatemi, ma sono rimasto interdetto.

Sorrise, aveva un volto buono, era ben vestita con uno scialle rosso e nero sulle spalle, vicino al camino acceso

– Sono abituata, tutti hanno questo effetto quando ci vedono, mi chiamo Maria, mia sorella mi ha chiamato poco fa per avvertirmi della tua venuta, allora?

Allora cosa? Ero ancora senza parole, ma cercai di darmi un tono

– Sono venuto come lei sa per lavorare.

– Si questo lo so, ma non mi vuoi chiedere altro, che so lo stipendio….”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

1 Maggio 2022 – Dalle stalle alle stelle.

Leggi le prime pagine per entrare nel racconto e scegliere quello che preferisci.

Non potrò mai dimenticare per tutta la vita, quella mattina!

La notte fu agitata, l’insonnia era diventata la compagna della mia vita, al massimo erano solo due le ore di sonno e poi … gli occhi sbarrati e il cielo della stanza a farmi compagnia fino alla luce dell’alba, verso le sette, all’improvviso squilla il cellulare, l’agguanto

– Pronto?

– Sei sveglio?

Riconobbi la voce, il mio migliore amico

– Franco, sei tu?

– Si, sono io, ho una notizia importante da darti.

– Dimmi?

Silenzio, pausa, grosso sospiro

– Mi sposo!

Saltai dal letto

– Ma come? Sei sicuro? E quando?

Risata dall’altro capo del filo

– Sorpreso amico mio?

– Certo!

Risata

– Ho trovato la donna che fa per me Laura e non me la lascio scappare. Ti chiamo per darti un’altra bella notizia.

Stupito già dalla prima

– Sono emozionato per te, dimmi.

– Domenica sarai il mio testimone di nozze!

In pochi secondi passarono per la mente le immagini di quando ci eravamo incontrati la prima volta, eravamo con i calzoncini corti, timidi entrambi, poi una palla fece il miracolo, iniziammo a giocare e da quel momento fummo inseparabili.

Lui ed io, due caratteri diversi, io magro come un’alice e lui robusto come un panzarotto, estrazioni familiari diverse economicamente, ma ciò non ci divise mai, anzi, lui studioso ed io un sognatore, lui si laureò in Economia e Commercio ed io mi fermai al diploma per lavorare.

Poi il lavoro ci divise, eravamo sempre comunque in contatto, io a Napoli e lui adesso a  Padova.

Sapevo della ragazza, l’aveva conosciuta in un Master fatto in Spagna, Laura, mi mandò le sue foto, erano splendidi insieme, sorridenti, ma adesso prossimi alle nozze, incredibile

– Rino, ci sei?

Ingollai le lacrime

– Si, ma perché io?

– Perché sei mio fratello, accetti?

Silenzio

– Rino?

Le parole non mi uscivano, ero emozionato

– Certo che si!

Un urlo, poi “Laura ha accettato, Rino sarà il mio testimone”

– Non avevo dubbi! Ti aspetto, quando vieni?

Non era una domanda, lo sapevo

– Arrivo, anche oggi.

Tranquillizzato, un urlo e poi

– Lo sapevo! Un abbraccio da noi due, a più tardi. Ti mando via email le indicazioni per venire qui da noi.

– Grazie.

E chiuse la telefonata.

Quasi contemporaneamente mi arrivano le indicazioni sul telefonino, e già, era certo, non mi sarei mai tirato indietro, mentre preparavo la valigia, il ricordo della nostra ultima telefonata alcuni mesi prima

“Sono dispiaciuto”

“Lo so”

“Ma quando è capitato?”

“Stanotte, mi hanno bruciato il locale”

“Tutto distrutto”

“Si”

“Tu come stai?”

“Uno schifo”

“Vorrei stare li per aiutarti, ma sono in Spagna”

“Tranquillo, mi riprenderò”

Non passava settimana che non mi chiamasse!

Mentre stavo in treno per Padova, ricordai quei momenti tristi e felici, dopo anni di gavetta, finalmente avevo il mio locale, la mia pizzeria, furono mesi difficili all’inizio, poi con un duro lavoro, iniziai ad avere fortuna, volli condividere con il quartiere il successo e decisi di mettere un “contapizze” devolvevo un euro per ogni pizza che sfornavo all’oratorio della chiesa per contribuire alle spese per i ragazzi disagiati.

Dopo tre anni, la pizzeria cresceva sempre di più.

Iniziarono a venire le prime “chiamate” dalla delinquenza, volevano darmi “protezione” in cambio di una somma settimanale, rifiutai.

Tenni duro per due anni.

Poi… fu la fine!

All’ennesima richiesta, con danni alla vetrina del locale, mi rivolsi alla polizia, concordammo un’azione per una finta “mazzetta” destinata a loro, e,  in quell’azione furono arrestati alcuni delinquenti, passarono tre giorni dall’arresto, l’incendio del locale e la fine del sottoscritto e della sua attività.

Dopo la prima rabbia, in attesa del risarcimento dell’assicurazione, tentai di farmi assumere in un ristorante, una pizzeria, ma nulla, si era sparsa la voce, ero da sei mesi senza lavoro.

Avevano fatto terra bruciata intorno a me!

Andavo avanti ancora con i risparmi da parte, cercando di non entrare in depressione, stavo valutando di andarmene all’estero, ma non trovavo il coraggio di farlo, amavo la mia città, nonostante tutto.

Avevo trentacinque anni,  ma ne sentivo il doppio!

Dovevo distrarmi e non pensare sempre alla stessa cosa.

Guardavo fuori al finestrino il paesaggio era diverso dal nostro, niente più colline, ne boschi, ma solo grandi distese di terra e fattorie distanti tra loro, ogni tanto una città e poi arrivato a Padova, seguendo le istruzioni di Franco, presi un’auto a noleggio e mi avviai verso Ala nel trentino, era la città natale di Laura, avevano deciso di sposarsi li.

Frequenti furono le telefonate di Franco, il quale non vedeva l’ora che arrivassi, lui meridionale come me, si sentiva un estraneo in questa terra, emozionante fu il nostro incontro, io mingherlino e lui robusto, conobbi Laura, una bella ragazza, sprizzava gioia da tutti i pori, ci definì Davide e Golia.

– Finalmente ti conosco!

Era Laura, una bella ragazza, occhi scuri come la pece, una massa di capelli biondi che l’incorniciavano il viso e sincera come l’acqua di una fonte.

Ero contento, la loro gioia mi faceva bene, mi lasciai trasportare, gli occhi di Franco luccicavano

– Ero certo che avresti preso il primo treno, ti abbiamo prenotato una stanza nell’albergo dove faremo il rinfresco, ora andiamo al ristorante.

Erano preoccupati per me, lo sapevo, ma mi travolsero raccontando i preparativi per le nozze, li ascoltavo ma non rispondevo, mi lasciavo trasportare e così ci ritrovammo a tavola.

– Allora fratello, mi hai fatto una bella sorpresa!

– Ero certo, non mi avresti detto di no, abbiamo programmato tutto e Laura continuava a dirmi, ma quando lo chiami? Ed io , non ti preoccupare, all’ultimo momento, e così è stato.

– Hai rischiato, ma sono contento.

Laura mi studiava, poi

– Che progetti hai Rino?

Bella domanda

– Non lo so?

Franco si fece serio

– Non ti lasciare andare, sei provato, ma sei in gamba.

Non mi piaceva come andava la discussione, cercai di evitare la risposta

– Allora, la festa di addio alla vostra posizione di single?

Si guardarono e risero

– Abbiamo deciso di non farla, viviamo insieme da due anni e siamo più che contenti di sposarci.

– E tu?

Era Laura

– Hai qualcuna?

Sempre più imbarazzato

– No, e da tempo, oramai!

E lei subito

– Mai dire mai!

Meravigliato non dissi nulla.

Dirottai l’attenzione su altro, mi parlarono del loro lavoro a Padova, avevano uno studio di architettura e andava talmente bene che avevano assunto tre collaboratori.

Terminata la cena mi avviai all’albergo dopo le indicazioni di Franco, dopo pochi minuti arrivai, la struttura era bella per quello che potevo distinguere di sera, la stanza era confortevole, scesi dopo aver disfatto la valigia e chiesi se potevano farmi la cortesia di far stirare il vestito

– Certo! Lei deve essere l’amico del Sig.Franco venuto per il matrimonio.

Sorpreso

– Si, sono io.

Si era accorto della sorpresa

– Scusatemi, qui ci conosciamo tutti, poi Laura è cresciuta qui, siamo contenti per lei. Scusatemi.

– Non vi preoccupate, capisco. Buonanotte.

Mi ringraziò con gli occhi, prese il vestito e finalmente tornai in camera per dormire.

Dormire?

Avrei voluto, ma non riuscivo a chiudere occhio, dopo aver fatto il giro del mondo in quel letto, troppo grande per me, mi alzai rivestendomi e scesi per fare una passeggiata.

L’aria era frizzante, eravamo prossimi alle vicine montagne, nonostante avessi cappello, giacca pesante e guanti, sentivo freddo.

In lontananza c’era rumore di acqua che scorreva, seguii il rumore e mi trovai nei pressi di un ponticello nel parco dell’albergo, sotto scorreva un torrente, la luce della luna mi faceva da guida e vedevo ogni tanto zampillare qualcosa nell’acqua, erano dei pesci.

Sarà stata la loro vista, l’aria frizzante, il silenzio, iniziai a sentire che l’ansia lentamente diminuiva, iniziavo a sentirmi in pace con me stesso, avevo fatto la cosa giusta, anche se questo aveva portato la fine del mio locale.

Tornai in camera e finalmente di addormentai.

Giuro la mattina successiva, non mi sarei svegliato, ma uno squillo sul cellulare, mi fece desistere, era un messaggio

“Scendi poltrone, facciamo colazione. Franco”

Guardai l’orologio, erano le dieci, mi vestii in fretta e aprendo la porta trovai il mio vestito pronto, lo riposi nell’armadio e scesi al ristorante dell’albergo

– Finalmente!

– Se non mi avessi inviato il messaggio avrei dormito fino a tardi.

Era allegro

– Ma tu sei o non sei il mio testimone?

Lo guardai divertito

– Si.

– E allora? Mi sono trasferito stamattina qui in albergo, sai ci tengo alle tradizioni, domani è il gran giorno e lei ci tiene alla cerimonia tradizionale, lo sposo non deve vedere la sposa se non in chiesa, quindi, oggi passeremo la giornata insieme.

– Bene, allora quali programmi hai?

– Ora facciamo colazione, poi andiamo a rimisurare il vestito e ti faccio conoscere un poco la città.

E così facemmo, tranne qualche piccolo particolare, il cellulare.

Non passavano cinque minuti che quei due non si sentissero.

La città mi piaceva e mentre lui parlava con l’amata, io osservavo e registravo tutto quello che vedevo.

C’erano alcuni ristoranti, ma nessuna pizzeria.

La chiesa era bella, mentre Franco verificava che le richieste di Laura erano state esaudite dal fioraio, il sagrista si avvicinò

– Domani molti verranno in chiesa per vedere il matrimonio.

Ero sorpreso e continuò

– Sa e da diversi anni che non ne viene celebrato uno, poi i due sposi sono conosciuti, Laura è una di noi.

Ero contento per i miei amici, ma quello che non aveva detto lo scoprii solo il giorno dopo.

La funzione era per le 11.00, alle 9.30 eravamo già pronti e dovevo trattenere Franco che voleva andare in chiesa già a quell’ora

– Andiamo a controllare la sala per il ricevimento, metti che hanno sbagliato a mettere i fiori che ha richiesto Laura.

Mi guardò di malavoglia, poi sentendo quel nome mi sorrise

– Andiamo!

Rimasi sbalordito, senza parole, era un salone rettangolare tutto in legno, con delle arcate al solaio alto più di cinque metri, i tavoli erano rettangolari tutti vestiti di bianco, su ogni tavolo dei portafiori con fiori verdi e bianchi, un colpo d’occhio che avrebbe sorpreso chiunque, poteva contenere duecento persone, poi al centro,  il tavolo tondo degli sposi con un enorme cuore sospeso in alto e le loro due iniziali, la F e la L.

Ero a bocca aperta, senza parole e non sentivo la voce del mio amico che continuava a chiamarmi

– Rino, Rino.

Finalmente mi strattonò e mi svegliai

– Rino ti presento…

E io come se non l’avessi sentito

– Ma è meraviglioso qui, che bello.

– Grazie.

Sentii una voce di donna, mi girai e la vidi, una signora suo sessanta anni, capelli corti ricci e biondi, vestita elegantemente con un pigiama palazzo azzurrino, che stava sorridendo

– Ti presento…

E lei

– Ivana

Mi allungò la mano, non so perché, ma mi venne d’istinto di baciarla, rimase stupita ma non la ritrasse

– Onorato, io sono Rino.

Franco

– La Signora Ivana è la proprietaria di questa bella struttura.

Ero rapito dai suoi occhi, erano chiari e non li staccava un attimo dai miei

– Complimenti!

– Grazie, è rimasto stupito?

– Certo, lei ha fatto fare un lavoro stupendo, i miei amici non potevano scegliere di meglio è la prima volta che vedo tanta bellezza, rispecchia la sua proprietaria

Arrossì

– Franco, non mi avevi detto che era anche un adulatore?

Rise, e Franco fece altrettanto

– Vedi Ivana lui è così, sincero fino alla fine. Sai aveva un locale a Napoli…

Lo fermai

– Non parliamo di me, per piacere, oggi è la vostra giornata, dobbiamo andare.

Poi rivolto a lei

– E’ stato un piacere, ma penso che ci vedremo in chiesa o sbaglio?

Civettuola

– No, non sbaglia, vi raggiungerò li, oggi per la nostra città e un bel giorno, ci sarà anche la televisione regionale all’evento.

Meravigliato, mi rivolsi a Franco

– Come?

– Si, il nonno di Laura è il Presidente della Camera di Commercio di Trento e la televisione regionale ha chiesto il permesso di fare un servizio sul nostro matrimonio e noi abbiamo accettato con piacere.

Ci avviammo, notavo la sua emozione, difatti esplose quando arrivammo finalmente in chiesa.

Era quasi al completo, non so quante persone mi furono presentate, arrivammo finalmente all’altare, Laura aveva voluto dei fiori semplici su ogni banco, alle 11.00 precise fece il sue ingresso, era stupenda.

Emozionatissimi, salimmo gli ultimi gradini, la testimone della sposa era la sorella più piccola di Laura, il sacerdote prima di iniziare esortò l’assemblea per un applauso agli sposi e così la tensione diminuì.

Cosa pensavo?

Per tutta la durata della cerimonia, non riuscivo a distogliere lo sguardo dai miei due amici, erano la felicità fatta persona, si tennero stretti per mano fino alla consegna degli anelli, entrambi avevano le lacrime agli occhi durante le frasi di rito, non riuscivano a leggerle,  il tutto fu suggellato da un bacio finale e un applauso scosse la chiesa.

Il ricevimento fu un’apoteosi di balli e canti, ogni tanto vedevo Ivana che discretamente sorvegliava la sala, i camerieri erano perfetti, le pietanze regionali e la troupe televisiva riprendeva i momenti salienti, fino a quando verso la fine,  mi avvicinò un cameriere

– Signore c’è una persona che vuole parlarle.

E mi fece segno di seguirlo.

Chi poteva essere, non conoscevo nessuno, se non Ivana, ed era difatti lei

– Una persona mi ha parlato di lei, la sua storia e volevo cogliere l’occasione per fargliela conoscere.

– Ma Signora.

– Sono Ivana per te.

Mi prese per mano e ci inoltrammo in una sala adiacente, c’era una ragazza con un microfono in mano, la guardai, era molto bella, rossa di capelli, un viso pieno di lentiggini e due occhi blu che mi fissavano, guardai Ivana

– Rino ti presento Eva.

Pasticciò con il microfono, poi si rese conto che era inutile tenerlo come una torcia lo passò nella sinistra abbassandolo,  porgendomi la mano destra

– Piacere, a cosa devo …

Aveva un vestito adatto per l’occasione, le poneva in risalto il seno prorompente, era titubante, quasi balbettando

– Signore volevo farle un’intervista, sono la direttrice del giornale radio online della televisione regionale.

Un’intervista? A me? E perché?

– Perché?

Guardai lei e Ivana

– Ci hanno informato su quello che le accaduto a Napoli e volevo…

Non la feci proseguire, guardai Ivana e lei,  ero sconvolto,  uscii dal salone a passo svelto, erano rimaste interdette, non andai in sala, presi la scala per la mia camera.

Continuavo a ripetermi, perché, perché, anche qui! Oggi è un giorno di festa. Perché?

Mi buttai sul letto e piansi.

Dopo un poco sentii bussare alla porta, cercai di asciugarmi sommariamente le lacrime

– Chi è?

Dissi alterato.

Silenzio, mi alzai e andai alla porta, l’aprii, era Eva…”…

…segue…
Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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Araldo Gennaro Caparco

30 Aprile 2022 – Da Vanni – “Soloprimi”

Leggi le prime pagine per entrare nel racconto e scegliere quello che preferisci.

Era d’ agosto,

il caldo era notevole, ma alle prime ore della mattina era piacevole trovarsi per strada in auto tra le campagne, nell’aria un fiorire di colori e di profumi, quella mattina mi stavo recando alla stazione ferroviaria, dovevo ritirare dei giunti meccanici in arrivo da Arezzo.

I finestrini erano abbassati, la musica a tutto volume della radio mi facendo compagnia per quei sei chilometri di distanza dalla mia cittadina Alleria alla staziona ferroviaria.

Alleria, bel nome, vero?

Chi sa qual è l’origine del nome, ma ci stavo bene!

Dopo anni di “schiavitù” da partita Iva, una laurea in ingegneria meccanica messa definitivamente in bacheca all’ultimo esborso/pirata dello stato, ho detto basta e iniziato una nuova vita da cinque anni.

Questi erano i miei pensieri di quella mattina, un lunedì d’agosto che cambiò la mia vita!

Arrivai alla stazione con qualche minuto d’anticipo sul treno, un mio amico mi stava inviando quello che sarebbe servito per terminare l’opera della Madonna della Grotta,  già,  ero uno dei sostenitori e organizzatori della Festività del 15 di agosto, giorno in cui si sarebbero riversati qui centinai di persone, turisti ed ex emigrati, per partecipare a quella festività di cui la storia sul ritrovamento della Madonnina in quella Grotta, risaliva al 1500.

Sta per arrivare il treno, devo muovermi e andare verso la prima carrozza, la fermata non dura a lungo e il treno deve proseguire per Terni

– Sei tu Osvaldo?

– E tu dovresti essere Vanni?

– Si, sono io.

Si sporge dal finestrino e mi consegna un pacco

– Grazie, salutami Lapo quando torni.

– Sarà fatto, buona giornata!

Il mio nome è Vanni, diminutivo di Giovanni, età 50 anni, ben portati, “sposato/separato in casa” con Luisa biologa dell’Ospedale di Arezzo, oggi dovrebbe essere il nostro anniversario di matrimonio, il ventesimo, ma ha poca importanza, sono già quindici anni che non lo festeggiamo più, dal momento della sua vincita al concorso nella Asl di Arezzo, ci vediamo solo qualche volta, quando viene a casa non dormiamo insieme ma in stanze separate,  la sua vita è ad Arezzo, la mia era dovunque in giro per il mondo per lavoro e adesso è qui.

Stiamo divorziando, dovrebbe arrivare presto la risposta definitiva!

Cosa faccio?

Dopo aver smesso di girare il mondo, rincorrendo gare e appalti per un’industria tedesca che produceva motori per auto per quindici anni, ho deciso nonostante le rimostranze della mia ex moglie/non moglie, di ristrutturare il piano terra e il seminterrato del mio casale,  aprendo  una trattoria “SoloPrimi” dove faccio il gestore, il cuoco e il cameriere.

Guadagni?

Pochi, ma quanto basta per me e pagare le fatture e gli ammennicoli vari dell’attività e del casale.

La libertà non ha prezzo!

Questo è il mio motto.

Prendo il pacco e mi avviò all’uscita, poi la noto, chi?

Una ragazza, sulla panchina fuori alla stazione, due valigie uguali, una piccola e una grande, avrà sui venticinque anni, ben vestita, una massa di capelli biondi, sta seduta tutta composta in attesa.

Cosa mi ha colpito?

Qualcosa di strano?

Guardandola di sfuggita,  sembra avere un’aria familiare e poi lo sguardo, sono passato a pochi centimetri di distanza e il suo sguardo è nel vuoto, perso!

Sto fantasticando!

Spesso mi capita, sarà di certo una turista o una persona in attesa di qualcuno, forse aspetta l’autobus, forse il fidanzato, il padre, la madre, forse…

Basta fantasticare!

Mi aspetta una giornataccia, ieri era il mio giorno di chiusura, ma oggi riapro la trattoria e non ho ancora preparato nulla, l’avrei potuto fare ieri, ma sono andato a lavorare alla Grotta dopo aver pulito e lavato i pavimenti della trattoria e tornato tardi, giusto il tempo di preparare una cena leggera e buttarmi sul letto stanco in un sonno profondo ristoratore.

L’aria esterna si sta riscaldando, non bastano i finestrini abbassati, aumentò la velocità, ecco va meglio, prima di preparare devo passare per la Grotta e lasciare i giunti che ho appena preso.

La Grotta si  trova distante quasi tre chilometri dal centro abitato, su una montagna che sovrasta la nostra valle, la strada è agevole e panoramica, tutti tornanti e poi lassù quasi in cima, la spianata, grande come un campo di calcio, da li un sentiero piuttosto largo ma impraticabile per le auto porta alla Grotta dopo cinquecento metri.

Nello spazio antistante, su un mio progetto, stanno lavorando degli operai ad una struttura sopraelevata li dove dovrà essere montato l’altare e il baldacchino per la statua della Madonnina, eccezionalmente e solo per il giorno di ferragosto viene spostata dalla sua sede a cura della Confraternita di cui faccio parte per poi ritornare a sera nella sua sede naturale, la Grotta.

Si narrano due leggende su quel luogo:

– la prima racconta che due giovani pastori, un uomo e una donna, mentre si trovavano ai loro pascoli sul monte, furono presi un giorno alla sprovvista da un furioso temporale, erano con i loro ovini e caprini, impauriti trovarono riparo con le loro bestie nella grotta. La leggenda vuole che rimasero per una settimana, in attesa che il tempo migliorasse. Nel frattempo i giovani nel consolarsi a vicenda si innamorarono ed erano prossimi a congiungersi, quando due capre in un combattimento per la sovranità sul branco, fecero crollare una parte della grotta e venne scoperta una statua alta due metri, miracolosamente intatta che aveva due simboli in mano, sulla destra una colomba e sulla sinistra un similcuore. Nel vederla, furono così colpiti che non completarono la congiunzione carnale, la tempesta terminò all’improvviso, il cielo si illuminò con un sole splendente e i due corsero al villaggio per raccontare del ritrovamento della statua. Dalla cronaca orale e poi scritta nei secoli, vengono raccontate le nascite miracolose, frutto delle preghiere di donne che si rivolgevano a Lei per concepire un figlio;

–  la seconda, invece, racconta che al tempo esisteva un uomo gigantesco che andava di villaggio in villaggio, alla ricerca delle vergini e con le maniere forti riusciva a deflorare quelle donne. Nel piccolo villaggio, solo una ragazza era in età da marito e quando seppe che l’uomo si stava dirigendo verso il villaggio, si nascose sulla grotta del monte. L’uomo riuscì con minacce e percosse a conoscere il suo rifugio e la trovò, stava per portare a termine il suo turpe desiderio dopo aver tramortito la giovane in una giornata di pioggia torrenziale, quando, un fulmine penetrò nella grotta colpendo una parte e mettendo in luce la statua. L’uomo fu colpito dalla luce e si fermò, fu talmente abbagliato dalla statua, diventò cieco e uscì urlando dalla grotta e nessuno più l’ha rivisto. Un pastore nelle vicinanze sentì le urla della giovane e corse soccorrendola e insieme portarono la notizia al villaggio della scoperta della Madonna.

Qualche secolo dopo,  facendo dei lavori di consolidamento della volta della cripta, nel spostarla si scoprì a metà agosto, una scritta in oro sotto al basamento “Madonna virgo fecunda” e da allora si festeggia con canti e balli nella giornata di Ferragosto.

Avevo studiato e progettato una struttura agile e aperta che voleva raffigurare un fulmine caduto sulla terra e i giunti mi servivano da congiunzione delle rette tubolari per completare la coreografia.

La Grotta era tappezzata di ex voto e di regali che le persone donavano alla Madonna, solo noi della confraternita avevamo le chiavi di accesso alla cripta.

– Finalmente sono arrivati!

Era il mio giovane amico Lorenzo, laureato da poco in Conservatoria dei beni culturali,  dirigeva gli operai al lavoro, lavorava ad Arezzo al Ministero dei Beni Culturali

– Si, sono appena arrivati, ora scappo che devo preparare per il pranzo.

Sorridendo

– Siamo in dodici come gli apostoli.

Mi misi in auto ridendo

– Anche ventiquattro, per me non fa differenza, per la nostra amata Vergine questo ed altro.

Per me che ero nato in quella valle, Lei era importante per tante ragioni, ed era sempre un’emozione ritornare nella Grotta.

In quei giorni di lavoro venivano a pranzo e a cena da me i confratelli e gli operai impegnati nella costruzione a cui si aggiungevano i miei clienti abituali, ma ero contento, non volevo essere pagato da loro, ma il presidente della confraternita non volle sentire ragioni “Per il tuo progetto e la direzione dei lavori non possiamo sostenere le spese, ma per il vitto e le strutture per realizzarlo,  siamo noi che ci siamo autotassati ed è giusto darti il dovuto”.

E così, io dichiaravo cinquanta e lui mi dava cento, poi sorridendo diceva “So che è meno di quello che hai speso, ma non è giusto che tu mi chieda la metà della metà! Conosco il tuo impegno, ma non dobbiamo approfittare della tua disponibilità”.

Non avevo un menu fisso settimanale, non c’erano dei secondi, nella mia trattoria servivo solo l’antipasto, il primo, la frutta e nei giorni di festa il dolce.

Mentalmente mentre scendevo decisi di fare un sugo semplice con la salsiccia da servire con le pappardelle, mentalmente mi ripassai le quantità degli ingredienti che avevo nella dispensa e mi ricordai di aver terminato il salame, feci una variazione sul tragitto verso casa per farne rifornimento

Erano quasi le dieci quando arrivai in città, alla norcineria presi un buon quantitativo di salame e l’auto si riempì di profumo di carne conciata, stavo per uscire dal cortile del negozio, quando mi bloccai con l’auto.

Cos’era successo?

Di fronte all’ingresso del cortile c’era una pensilina per gli autobus con una panchina, il riflesso del sole rimbalzando sulla vetroresina di copertura schermava la scena,ma riconobbi le valigie e notai la stessa ragazza del mattino, stava seduta, aveva un cartello tra le mani, non riuscivo a leggere da lontano, incuriosito scesi dall’auto e mi avviai per attraversare la strada, ero ancora sul marciapiedi opposto, quando riuscii a leggere

“Cerco lavoro”.

Ero senza parole!

Attraversai la strada, mi avvicinai, lei mi notò

– Buongiorno.

La guardai meglio, era forse più piccola dei venticinque anni che le avevo dato, aveva un’espressione seria ma lo sguardo era perso nel vuoto

– Buongiorno, scusi la mia domanda, ma non ha paura?

Stavolta alzò lo sguardo, aveva degli occhi celesti, come il mare

– No, al mio paese si fa così.

Vedendo il mio disappunto, esclamò

– Da voi no?

Immediatamente

– Da noi? No certo! Ma hai idea di quello che fai,  chiunque, in questo modo, potrebbe importunarti, prenderti in giro, fare qualsiasi cosa, dicendo delle bugie per poi farti del male? Da noi ci sono delle agenzie dove rivolgersi, dare i propri dati e attendere le risposte.

La ragazza, abbassò il cartello, poi quasi sottovoce

– Non ho tempo di attendere!

Fu così spontanea la risposta che non potetti fare a meno di sedermi

– Io mi chiamo Vanni

E lei stringendo la mano

– Io Sofia, sono arrivata oggi dall’Olanda.

Lei analizzava me ed io facevo altrettanto, già quando aveva detto il nome, mi ero meravigliato, pensavo a qualche nome straniero, ma poi quando disse la nazione fui ancora di più sorpreso

– Che tipo di lavoro stai cercando?

Mi sembrò più rilassata, forse avevo fatto buona impressione, non lo so

– Baby sitter, badante, cameriera… tutto quello che posso fare legalmente ma ad una condizione che sia previsto anche l’alloggio.

Sarà perché il sole stava iniziando a picchiare, sarà che la vedevo così indifesa, sarà che fondamentalmente non sono normale

– Potrebbe interessarti un lavoro in una trattoria come cameriera e tuttofare.

Finalmente vidi un accenno di sorriso

– Tuttofare si, ma niente sesso!

Saltai dalla panchina

– Certo che no!

Sorrise

– Certo, a chi mi devo rivolgere?

Mi stavo ancora riprendendo dalla battuta

– A me! Ho una piccola trattoria, se vuoi, ti faccio vedere.

Si alzò immediatamente

– Andiamo!

Non credevo a me stesso, ma come mi era venuto di fare quella proposta, per anni ho lavorato senza nessuno ed ora?

Ma come si dice “cosa fatta capo ha”.

Misi a posto le valigie con il suo aiuto, entrammo in auto

– Che buon odore!

Era il profumo del salame, sorrisi

– L’ho preso adesso, vuoi assaggiare?

– Si, grazie, sono ventiquattrore che non mangio nulla.

Non tagliai il salame

– Posso darti del tu?

Mi guardò, era contenta

– Certo!

– Bene, allora Sofia, ora facciamo colazione come si deve e poi andiamo alla trattoria.

– Va bene.

E così facemmo, divorò tutto nel bar dove ci fermammo e dopo un breve tragitto arrivammo alla trattoria, non mi capacitavo, eppure non mi sembra una persona che non aveva i soldi per mangiare, è vestita bene, le valigie sono di marca, quale mistero c’è sotto?

– Ecco, siamo arrivati!

Scendemmo le valigie, poi il salame, aprii la trattoria e annusò l’aria

– Anche qui c’è un buon profumo!

Ero contento

– Grazie, ho lavato e pulito da cima a fondo ieri, ora ti porto le valigie sopra, c’è una stanza con bagno, rinfrescati, poi scendi giù, inizio a cucinare. Non ti dimenticare, portami i documenti che devo registrarti.

Fece con la testa di si e mi fiondai in cucina.

Dopo aver riposto il salame nella dispensa, una generosa lavata di mani, inforcai i guanti e iniziai a sbriciolare la salsiccia, in una pentola capiente  misi a soffriggere dell’olio d’oliva con la cipolla, immersi la salsiccia sbriciolata senza budelli, del rosmarino tritato finemente, un poco di pepe  alzando la fiamma

– Ma sei uno Chef?

Trasalii, mi ero completamente dimenticato di lei, eccola stava sulla porta e mi guardava incuriosita

– Si e no.

Risposi sorridendo

– Che buon odore!

– Oggi prepariamo sugo di salsiccia con le pappardelle.

Rise

– Prepariamo?

– Certo, qui fino ad oggi ho fatto tutto io, gestore, cuoco e cameriere, ora ci sei tu.

– A ecco!

Si avvicinò e mi diede i documenti.

– Appoggiali su quella mensola, li vedrò dopo, ora vuoi fare qualche domanda?

– Che devo fare?

Mi piaceva, era pratica ed efficiente, si era cambiata, aveva dei jeans e una camicetta bianca, i capelli li aveva raccolti in un’unica treccia

– Se te la senti vai in sala, appena esci di qua c’è una credenza con il tovagliato e il resto per guarnire la tavola, abbiamo oggi una tavolata con dodici persone, ma metti quindici coperti e un tavolo per quattro persone.

Nemmeno il tempo di finire la frase, sparì, continuai a cucinare, inclinai leggermente la pentola per eliminare il grasso in eccesso e poi versai del vino bianco secco aspettando che evaporasse.

Presi i documenti:

Sofia Palmer

Residente ad Amsterdam

Età 23 anni

Riportai i dati sul modulo di registrazione per i dipendenti in prova ed inviai il fax alla caserma dei carabinieri.

Aggiunsi la passata di pomodoro, un poco di zucchero e coprii la pentola, mettendo il fuoco basso. Su di un altro fornello, misi una pentola capiente per le pappardelle e entrai nella sala con i documenti in mano.

– Sofia, ecco…

Mi caddero da mano, ma come diavolo aveva fatto?

La sala a piano terra aveva dieci tavoli, aveva accorpato dei tavoli per i quindici come avevo detto, poi non si era fermata a preparare un solo tavolo, ma tutti, tutti erano pronti con tutto quello che serviva, aveva aperto le imposte delle finestre, abbassate le tendine contro gli insetti, acceso la radio sul canale della filodiffusione e la televisione sul canale delle news senza audio solo con le scritte che scorrevano.

Raccolsi il passaporto a terra, ma lei non la vedevo, mi guardai intorno.

Verso le toilette, c’era un angolo con due poltrone, per le persone che erano in attesa di entrare, ed eccola, stava raggomitolata su una di queste, evidentemente si era rilassata, ero stato uno stupido, dovevo immaginare,  era stanca, riposava, chiusi la finestra da dove entrava un fascio di luce solare, le misi un plaid addosso, era bella, aveva il viso rilassato.

La lascia riposare e tornai in cucina, erano tempo di preparare gli antipasti.

Tagliai il pane, i salumi, il formaggio e preparai la frutta, ma il pensiero era fisso, cosa ci faceva qui? Solo le scarpe che portava, quelle di ginnastica adesso, costavano un occhio!

Mancava un’ora alle 13.00, ora di arrivo degli operai, stavo impiattando gli antipasti

– Scusami Vanni, mi sono addormentata, grazie per il plaid.

Continuando a riempire i piatti

– Sono io che mi devo scusare, sono un negriero, appena sei arrivata ti ho messo a lavorare.

Sorrise, si era rinfrescata e cambiata la camicia, aveva messo il grembiule della trattoria e si mise ad aiutarmi

– Non potevi sapere!

– Nel pomeriggio sei libera, puoi riposarti, poi stasera il servizio inizia alle 20.00.

– Grazie, la stanza è bella.

– Si, era quella di mia madre, voleva la sua privacy, tieni le chiavi del portoncino d’ingresso, non ho il doppione.

– Grazie, vado a posare i documenti, ma posso lasciare le chiavi anche qui in cucina se vuoi.

– No, Sofia, voglio che stai tranquilla, tienili tu, l’altra chiave è quella dell’ingresso della trattoria, così sei libera di muoverti a piacimento, abito di fronte al tuo portoncino sul pianerottolo di sopra.

Era contenta, lo vedevo, le brillavano gli occhi

– Grazie, sei troppo gentile.

– No, sono coerente, ho visto come hai preparato la sala, sei brava e responsabile ma tu non conosci me e io altrettanto, è meglio così! Quando scendi mangiamo qualcosa,  poi si parte per il servizio.

Sorrise e sparì.

Quando ritornò, avevo già i piatti pronti sul tavolo nella sala prima della cucina, mangiammo in silenzio, gradì tutto, fu allora che mi accorsi che non aveva un telefono cellulare, strano, mi venne spontaneo

– Ma i tuoi lo sanno dove sei?

Ebbe un fremito, ma poi fissandomi con calma

– Sanno che sono in Italia, mio padre domani parte per raggiungere Atene in Grecia, poi lo raggiungerò.

E non disse più una parola!

Ero stato stupido lo so, ma avrei voluto farle mille domande, ma mi astenni, lei capì ritornò allegra come prima, arrivarono gli operai, tutti si accorsero della novità, uno in particolare mi disse che non le staccava gli occhi da dosso, me lo descrisse, era Lorenzo.

Arrivarono pure i miei clienti fissi del pranzo, due coppie, li chiamavo i magnifici quattro, se avessi sommato gli anni di ciascuno arrivavo alla cifra iperbolica di 320 anni.

La prima coppia era composta da un generale in pensione con la terza moglie straniera, l’altra coppia amica della prima era il farmacista della città in pensione con la moglie, entrambi non avevano figli.

Erano due anni che frequentavano tutti i giorni la trattoria solo per il pranzo, avevano una certa confidenza con me, le due mogli appena fu possibile vennero a chiedermi chi era quella ragazza, sorrisi di buon gusto e senza raccontare nulla, dissi che era di passaggio, aveva bisogno di lavorare e di un posto per dormire e io glielo avevo offerto.

Appagata la loro curiosità, fecero i complimenti per l’educazione e la correttezza nel servire ai tavoli, lo stesso fece anche Lorenzo quando venne a salutare, lo vidi, voleva chiedere di più, ma si astenne.

Sofia mi disse che avevano gradito tutto e iniziò a sparecchiare, mi misi a pulire la cucina, dopo circa un’ora

– Finito! Vanni di chi è quell’auto la fuori?

Era un  regalo per mia moglie, cinque anni fa l’avevo acquistata, una 600 nuova di zecca, aveva fatto si e no tremila chilometri da allora, ogni tanto la mettevo in moto o la usavo per fare delle commissioni senza usare il furgone

– E’ mia, ovvero l’avevo regalato alla mia ex moglie, perché?

Era rimasta colpita, forse dal tono della mia voce

– Non volevo, scusami.

– No, non ti preoccupare, dimmi.

La tranquillizzai

– Volevo prenderla per a fare un giro e rendermi conto della città, posso.

Andai all’armadietto in cucina

– Ecco! Ma non volevi riposare?

Le prese, si era illuminato il viso

– Riposerò stanotte, grazie.

Guidava bene, lo vidi dalle manovre per uscire dalla tettoia, era sicura di se, chissà dove è diretta, pensai, continuavo a fantasticare, ma non era giusto, presto andrà via, ne sono certo, ha detto che il padre sta per andare ad Atene e deve raggiungerlo….”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

29 Aprile 2022 – Aurora.

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Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

Mi divertiva questo dialogo tra sconosciuti

– Ufficialmente sono un geometra, ma per diletto cucino.

Meravigliata, sorridendo

– E quale dei due lavori è impegnato in questo tuo viaggio?

– Entrambi!

Era incuriosita ed io ero disponibile a parlare, ma anche curioso di conoscere il perché del suo viaggio, fummo interrotti dagli stewart della compagnia ferroviaria ci offrirono uno snack e utilizzammo quei pochi minuti per analizzarci a vicenda

– E tu? Ho visto che hai due valigie corpose, ti stai trasferendo?

Divento rossa all’improvviso, poi abbasso gli occhi e quasi sottovoce

– Si, e per sempre!

E cadde il gelo, mi morsi quasi la lingua per aver fatto quella domanda inopportuna, per fortuna arrivammo a Roma Termini

– Sgranchisco le gambe e fumo una sigaretta, vuoi venire?

Sollevata

– Perché no?

Scendemmo!

C’erano molte persone in attesa di salire, mi misi da parte per fumare la sigaretta e lei mi seguiva, poi squillò il suo cellulare, mi allontanai senza perderla di vista, dai gesti intuii che era qualcosa di importante, era nervosa e gesticolava ma sempre senza alzare la voce e così facendo non si era resa conto che si stava allontanando dalla banchina e dal treno.

Spesso avevo fatto quella linea come tanti giovani e meno giovani alla ricerca di un lavoro, conoscevo a memoria i vari segnali per la ripresa del viaggio, mi allarmai quando sentii il secondo squillo della prova dei freni e senza pensarci due volte, mi avvicinai di corsa, stava oltre lo scompartimento e quasi prendendola in braccio la catapultai nello scompartimento, fui aiutato dai miei centoventi chili di peso e placcando rovinammo sul predellino, era sconvolta

– Ma che diamine?

Ansimavo, appena dentro si chiusero le porte

– Stavamo per perdere il treno, non te ne sei accorta?

Si guardò intorno, il cellulare le cadde da mano aprendosi

– No, non mi ero resa conto, scusami!

Senza accorgermene avevo quasi urlato

– Quando ti ho visto presa al telefono, ho pensato di fare la cosa giusta, scusami.

Presi con calma il cellulare, rimisi la batteria a posto e glielo diedi, qualcosa era cambiato in lei, stava lacrimando, mi preoccupai, pensai di essere stato inopportuno

– Non l’ho fatto apposta, anche se non ti nascondo è stato un  piacere prenderti in braccio.

Le strappai un sorriso e arrossì

– Vieni, andiamo a sederci.

La presi per mano e ritornammo ai nostri posti, mi sedetti

– Vado un attimo in bagno.

Lasciò la borsa e il cellulare

– Aurora, la borsa.

Stavolta sorrise

– Con te sono tranquilla!

E si avviò, ero contento!

Quando ritornò

– Ho trent’anni, da cinque collaboro con un anziano architetto specializzato in ristrutturazione di chiese, quando ha saputo che avevo un colloquio di lavoro a Torino, mi ha affidato un progetto l’abbiamo fatto insieme, per portarlo al sacerdote che l’ha commissionato, in un paese vicino ad Aosta, Saint Marcel…

Se fossi stato attento, certamente avrei notato che ascoltando quel nome si era allertata, ma continuai, guardando fuori

– …ma la mia vera passione è la cucina, ho un secondo diploma dell’alberghiero come chef…

Stupita e oramai ripresa

– Davvero?

– Si, il mese scorso ho risposto ad un annuncio e oggi nel pomeriggio ho un colloquio di lavoro e domani vado a presentare il progetto al sacerdote.

E mi girai verso di lei, capì che era arrivato il suo momento

– Era mio padre al telefono!

Disse quasi piangendo e si fermò

– Non continuare, non voglio sapere, ti prego.

Ma lei continuò

– Sono andata via da casa per sempre!

Ero stupito!

E non parlò più, arrivammo a Firenze, avevo rispettato il suo silenzio

– Vuoi scendere?

Fece con la testa di no e quando tornai nel vagone, notai la sua aria più serena, appena mi vide

– Solo qualche giorno fa ho saputo di avere un fratello gemello.

Sgranai gli occhi e dovetti fare una faccia così strana che scoppiò a ridere

– Come? Un fratello gemello e tu non lo sapevi?

Ridiventò seria

– Si, è stata mia nonna ad avvertirmi e la sto raggiungendo, a Torino viene mio fratello Antonio a prendermi, quando l’ho detto a mio padre,  non voleva che partissi, ha continuato a negare che ci fosse un mio gemello, abbiamo litigato, ho preso le mie cose e sono andata via.

Un poco per quello che aveva detto, un poco perché a Bologna, il treno si riempì di persone, rimanemmo in silenzio per diversi minuti

– Ma se non lo conosci come farai a riconoscerlo?

Mi guardò diritto negli occhi

– Mi ha detto che avrà una sciarpa rossa al collo e di sicuro non potrò non riconoscerlo.

Tutto strano!

Cercai di distrarla

– Che lavoro fai?

Si illuminò

– Lavoravo in una radio cittadina, avevo una mia rubrica che trattava la cronaca nera e ha detta degli altri, ero anche abbastanza brava, quando ho lasciato il lavoro, il direttore voleva in tutti i modi convincermi a non farlo, aumentando anche lo stipendio, ma poi alla fine, non riuscendo mi ha dato dei numeri di telefono per delle radio locali di Aosta, dove sono diretta.

Secondo errore, se fossi stato attento!

Ma non lo ero, mi bastava guardarla, ma per non metterla in imbarazzo lo facevo di nascosto, ma non appena chiudevo gli occhi, la rivedevo, il suo sorriso, i suoi occhi , la sua bocca, ero indifeso.

Si chiuse in un mutismo, arrivammo a Torino, l’aiutai a prendere i bagagli e ci avviammo all’uscita di Porta Nuova, ma di persone con una sciarpa rossa al collo nemmeno l’ombra, lei iniziò a preoccuparsi, prese il cellulare, nessuna risposta

– Andiamo verso il parcheggio, vedrai che si sarà fermato li.

Prendemmo le valigie e ci spostammo sulla destra verso il parcheggio, ma nulla nemmeno li, non c’era nessuno in attesa con la sciarpa rossa

– Ho telefonato e non risponde, ho mandato dei messaggi, ma nulla, nessuna risposta.

Era come un pulcino disorientato

– Facciamo così, ora prendiamo un tassì e andiamo al bed e breakfast che ho prenotato.

Lei mi guardò allibita

– Stai tranquilla, non ho nessuna intenzione cattiva, ci sono due camere da letto, sono stato spesso in quel luogo.

Sorrise

– E poi?

– Io vado al colloquio di lavoro e tu nel frattempo ti puoi rinfrescare e chiamare tuo fratello, ci terremo in contatto con il cellulare.

Mi stupì la sua velocità nel rispondere, immediatamente

– Va bene!

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Il mattino dopo.

Sono fuori ad un palazzo di Corso D’Azeglio, ho preso un’auto a noleggio e sono in attesa delle undici l’orario che mi ha dato Aurora per l’appuntamento.

Cos’è capitato?

Dopo aver accompagnato Aurora, la lasciai per andare al ristorante per il colloquio, al lato opposto della città verso via Conte Verde in prossimità del Duomo dove si trova la Sindone e la sede del Comune di Torino.

Incontrai il proprietario, un peruviano, mi fece vedere la struttura e mi avvertì che tra non molto sarebbe arrivato il cuoco per farmi il colloquio, nell’attesa vedendo lo stato della cucina, mi cambiai e fece pulizia, ci tenevo a fare una bella figura e così misi a lucido tutto, ma della brigata di cucina e dello chef nemmeno l’ombra.

Squillò il cellulare

– Rino.

– Dimmi Aurora.

– Hai finito?

– No, non ho ancora iniziato, nel frattempo ho messo a posto la cucina

Silenzio

– Da solo?

– Si, non ti dico in che condizioni era.

Sorrise

– Senti, volevo dirti che ho sentito una mia amica e mi trasferisco da lei per stanotte

Stavolta ero io senza parole

– Rino?

– Si, ci sono.

Ero dispiaciuto e si sentiva

– Scusami, non riesco a rintracciare mio fratello, ho avvertito nonna, potremmo andare insieme in auto domani, mia nonna non è molto distante da Saint Marcel, che ne pensi?

Si ero dispiaciuto, ma l’idea mi piaceva

– Certo!

– Bene, allora ti mando l’indirizzo, a domani, in bocca al lupo per il colloquio.

E già, il colloquio!

Non ci fu nessun colloquio!

Il proprietario ad una certa ora mi avvertì che lo chef e la brigata di cucina si erano licenziati in tronco, era disperato, aveva delle ordinazioni per dei tavoli e mi pregò di dargli una mano e così fu.

Alle quattro di mattina terminai il servizio, voleva che tornassi il giorno dopo, ma gli dissi di no e mi diede duecento euro per avergli salvato la serata.

Tornai a casa e trovai tutto intatto, Aurora non aveva usato nulla, tante erano le domande senza risposta, ma stanco e distrutto così com’ero mi misi a letto e dormii profondamente.

Ed eccomi qui, letteralmente in mezzo ad una strada in sua attesa, ero arrivato in anticipo, presi un caffè e chiesi delle indicazioni stradali e dopo mi riportai sotto al palazzo dove avevo parcheggiato l’auto, alle undici precise si aprì il portone, ma non era lei, uscì una ragazza bionda mozzafiato, aveva una tuta pantaloncini corti e canottiera nera che mostrava in pieno il suo bellissimo corpo, si avvicinò sorridendo, era talmente evidente la mia sorpresa

– Tu devi essere Rino!

Quasi balbettando

– Si, e tu?

Sorrise

– Tara, l’amica di Aurora.

Solo allora realizzai che lei non c’era

– E Aurora?

– E’ partita!

Così dicendo, mi diede un foglietto

– Mi ha detto di darti questo, ciao.

E si avviò correndo.

Inebetito la guardai, senza parole, si girò, salutai come un deficiente e lessi il foglietto

“ Scusami, non avendoti sentito ho pensato che avresti fatto tardi stanotte e non ti ho chiamato sul cellulare,  mio fratello viene…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco