17 Ottobre 2022 – La forza della verità.

17 Ottobre 2022 – La forza della verità.

…da pag.29…

…”…Quella sera, dopo aver salutato Salvo, ero solo, gli zii erano andati via al mattino, in attesa che l’acqua bollisse per buttare gli spaghetti, avevo deciso di farli con il pesto fresco portato da zia, stavo sul divano con la televisione accesa, ma non la guardavo, c’era il telegiornale della sera, pensavo a lei, avevo il cellulare vicino, quasi come se fossi sotto l’effetto dell’ipnosi, le scrissi un messaggio

“La cioccolata senza di te si è suicidata e la mia ha avuto lo stesso destino pochi istanti dopo, ora sto preparandomi uno spaghetto al pesto, vorresti farmi compagnia? Firmato Rosario lo sbadato.”

E lo inviai, pentendomi subito dopo per la mia sfacciataggine, guardavo se l’avesse letto, ma nulla, sentii il sibilo dell’acqua in ebollizione, stavo per alzarmi per versare la pasta, squillò il cellulare, messaggio

“Sei da solo?”

Mi bloccai

“Si”

Aspettavo, la risposta

“Non penso che sia il caso!”

Dovevo battere il ferro finche era caldo

“Prometto di mangiare solo gli spaghetti”

Non rispondeva, continuai a scrivere

“Mira so chi sei! Era solo un modo per sdrammatizzare e scusarmi per averti buttato a terra in quel modo, sono stato maldestro ma mi farebbe piacere condividere con te la mia cena, scusami se ti ho disturbato”

Non rispondeva, come un ebete tenevo il cellulare in mano, in attesa, ma nulla accadeva, si, l’aveva letto, d’un tratto il campanello d’ingresso, saltai dal divano e agguantai il citofono

– Chi è?

– Mira.

Eccitato come un bambino, versai dell’altra acqua nella pentola e corsi ad aprire il portoncino, eccola, aveva i capelli raccolti, il cappotto della mattina e un basco sulla testa per proteggersi dal freddo

– Grazie, entra!

Era titubante

– Chi ti ha detto chi ero?

Aveva le lacrime agli occhi

– Entra, per piacere e te lo dico.

L’aiutai a togliersi il cappotto, aveva una tuta rossa, si girò

– Chi?

– Salvo, ma vieni accomodati, ora ti racconto.

Mentre stava per sedersi sul divano

– Non sarei dovuta venire, ma il tuo messaggio “Mira so chi sei!”, mi ha buttata nel panico, ma forse è meglio che vada via.

E fece per andare verso l’ingresso

– Aspetta!

– Non sono una delle ragazze che conosci tu, che corre a quest’ora a casa di uno sconosciuto e per di più figlio di…

La bloccai dopo due passi

– Ascoltami Mira, non mi sono fatto nessuna strana idea su di te, siamo solo due giovani che hanno in comune una tragedia con aspetti diversi, se vuoi andartene non ti fermerò, ma voglio che tu sappia perché ero al carcere stamattina, ho parlato con tuo padre Ercole.

Questo fu, si bloccò, impallidendo

– Con mio padre e perché?

Non fece in tempo a finire la frase, me la ritrovai svenuta tra le braccia, la presi di peso e la portai sul divano, ero preoccupato, in bagno presi la mia acqua di colonia e la feci inalare, riprese i sensi, mi guardava e non parlava

– Come ti senti?

Chiuse gli occhi

– Primo non sono uno sconosciuto, se non sbaglio tu sei già stata qui per aiutarmi quasi a notte fonda, secondo mi è venuto spontaneo mandarti quel messaggio, mi faceva piacere stare in compagnia a tavola con te, terzo e ultimo, dopo se vuoi ti racconterò tutto, allora?

Si era ripresa, seduta e mi guardava, ma non sorrideva

– Va bene!

Sorrisi

– Allora a tavola!

Mentre stavo mettendo la tovaglia, lei versò gli spaghetti la feci fare senza dire nulla, faceva molto freddo, avvicinammo il tavolo al camino, eravamo entrambi disorientati, di nascosto ci osservavamo, mi piaceva, era bella, ma un muro invisibile si frapponeva tra noi, quando ci sedemmo a tavola

– Parlami di te.

Dissi

– Di cosa?

Mi rispose interrogativamente con una forchettata di spaghetti a mezz’aria.

– Parlarmi della tua vita.

Perché?

– Dopo promesso ti parlerò della mia,vuoi?

E così tra una forchettata e un’altra, mi raccontò che si svegliava alle sei di mattina, alle sette iniziava il suo giro di casa in casa per fare siringhe o mettere delle flebo, era diplomata come infermiera professionale faceva questo per mantenersi agli studi fino alle dodici, poi volontariato all’ospedale, nel reparto pediatrico, quello che le piaceva di più e alle quattordici andava a seguire le lezioni all’università, era prossima a terminare gli studi, le mancava solo la seduta di laurea, si sarebbe specializzata in neonatologia, come capo sala ospedaliera.

L’ascoltavo e l’ammiravo, spesso si fermava, voleva interrompere il racconto, ma poi continuava, sapevo che voleva terminare presto, sapere del padre, di me e di cosa ci eravamo detti, ma facevo finta di non capire, alla fine del piatto di spaghetti e del suo racconto

– Perché hai incontrato mio padre?

Stavo per sorridere, avevo visto giusto, ma poi il suo sguardo mi fece desistere, aspettava come un assetato nel deserto che aspetta l’acqua per dissetarsi

– Non vuoi sapere nulla di me?

Abbasso gli occhi

– So già tutto o quasi tutto!

E la mia forchetta cadde dalle mani nel piatto

– Come?

Senza alzare lo sguardo

– Ti ho sempre seguito, non di persona, ma con la mente, tramite Salvo sapevo quello che facevi, tu non mi hai vista, ma ero nell’aula quando ti sei laureato… scusami.

Sgranai gli occhi, poi allungai la mano e le alzai il mento

– Scusarmi e di che cosa? Tu alla mia laurea, ma come sapevi? Non riesco a crederci.

Si alzò e lentamente iniziò a sparecchiare, feci altrettanto per aiutarla e continuò

– Avevo ventidue anni quando mio padre fu arrestato, mi ero appena diplomata e avevo anche fatto un concorso a Reggio Calabria per gli Ospedali riuniti, l’avevo vinto, ma mamma non la potevo lasciare da sola, mia sorella vive in Canada con la sua famiglia, ho tre nipotini e dopo aver realizzato che mio padre non sarebbe più tornato dopo la sentenza, entrai in depressione, rifiutai il concorso, mi chiusi in casa e non volevo uscire più e non volevo nemmeno vedere mio padre, da mamma avevo saputo che lui conosceva bene tua madre ed era stato suo compagno di infanzia, mi chiedevo com’era possibile che l’avesse ammazzata, lui che non faceva male ad una mosca, lui che era tenero con le sue uniche figlie e innamoratissimo di mia madre, aveva buttato tutto alle ortiche.

Si fermò, le lacrime scendevano silenziose, si sedette pesantemente su una sedia, mi faceva tenerezza, la presi per mano e la feci alzare per farla sedere sul divano vicino al camino, mi ringrazio con gli occhi e mi persi

– Dopo quasi un anno in quello stato, decisi di andare in carcere e parlagli, avevo bisogno di risposte, mi sentivo di impazzire e così feci, fu straziante, mi dovettero calmare, due vigilanti mi dissero che se avessi continuato, mi avrebbero dovuto far uscire dalla stanza, mi ero sfogata e lui non parlava, lo conoscevo bene, quando si comportava in questo modo aveva qualcosa da nascondere quindi quando gli domandai direttamente e a bassa voce “Papà sei stato tu ad ammazzarli?”, alzò lo sguardo, piangeva “No figlia mia, non sono stato io!”, tanto mi è bastato, ci credo, non è stato lui.

E così avevo avuto anch’io la certezza che nonno non sbagliava e nemmeno io su Ercole, non la fermai, anzi le dissi

– Non farti più male, basta calmati, non mi devi nessuna spiegazione….”…

Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

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