Il cielo come ogni mattina era plumbeo, così diverso da quel cielo della mia terra, sempre azzurro e limpido, da casa mia potevo vedere le isole, con lo sguardo le accarezzavo, immaginandomi di fare un salto e trovarmi li, in mezzo al mare o su una montagna a respirare aria limpida e salubre a pieni polmoni.
Invece!
Invece, eccomi qui, in una città, non la mia, a mille chilometri di distanza, sono qui da un anno, lavori saltuari di ogni tipo, ma i miei risparmi si stanno assottigliando, la pensione dove abito non costa molto, ma per me, si!
Sono alla ricerca di un lavoro, certo ho trovato anche qualcosa, sono sopravvissuto, ma quel qualcosa non mi accontentava, avevo dei sogni e volevo realizzarli.
Come tutte le mattine, scendo al bar sotto casa e faccio colazione e pranzo, un cappuccino e un cornetto, la titolare è cinese Liu Jang, esperta sommelier così come attestato in numerosi quadretti alle pareti.
C’era molta gente quella mattina, e già, le persone vanno di fretta di mattina per andare a lavorare, beati loro!
Lei e la sua aiutante sfornano in continuazione, caffè e cappuccini, non ho fretta, attendo, prendo il giornale e inizio a sfogliarlo.
Cosa sto cercando?
Un luogo per dormire! Leggevo gli annunci, non mi ero reso conto di Liu si era materializzata all’improvviso davanti a me
Mi risveglio dal torpore
Mi sorride con quella espressione buffa di tutti o quasi gli orientali, apre la bocca, sorriso a tutto denti, si arriccia il naso e gli occhi si socchiudono.
Mi piace guardarla così, lei lo sa
Si, per la mia consuetudine giornaliera, conosce bene il mio problema
Si fa seria
Con aria dispiaciuta si avvia al bancone Teresa la sta chiamando per la cassa, lascio raffreddare un poco il cappuccino e cerco di non perdermi neanche una briciola del cornetto, scorro gli annunci ma sono troppo cari per me, mentre sorseggio a piccoli sorsi il cappuccino, vedo arrivare Teresa
Sorpreso, con il cucchiaino prendo l’ultima nuvola d’aria di latte e mi alzo
Conoscevo questa coabitazione, ne avevo sentito parlare
Si illuminò
Le ero riconoscente, avevo voglia di abbracciarla, ma non sapevo se potevo farlo, allora sorrisi come faceva lei imitandola, capì si fece una bella risata.
Mi aveva dato la carica, mi ero ripreso dal grigiore del mattino!
Avevo diviso la città in quattro rettangoli, il modo di operare era sempre lo stesso, cercavo lavoro nella ristorazione, era l’unica cosa che sapessi fare, ma quella mattina, decisi di fermarmi in ogni negozio, era l’ultimo rettangolo, dovevo trovare assolutamente qualcosa.
Ero determinato, quelle porte sbattute in faccia non mi demoralizzarono, all’ora di pranzo, iniziai con i ristoranti, kebabberie, osterie, trattorie, pizzerie e fui fortunato!
“Osteria da Davide” trattoria tipica.
Entrai nel locale gremito di persone, ne contai una cinquantina e vidi questo giovane con i capelli racchiusi in una coda di cavallo che si faceva largo tra i tavoli, carrozzine e sedie, portando dei piatti fumanti, chi lo chiamava, chi chiedeva dell’acqua, invece di stare ad aspettare alla cassa come facevo di solito con il mio foglio e il curriculum, mi avvicinai appena fu ad un passo da me
Non ci pensò due volte, mi squadrò
Tanto mi bastava!
Mi tolsi giacca e cravatta, presi un grembiule di lato alla cassa e iniziai a ritirare dei piatti vuoti ad un tavolo, in tasca c’era un notes e presi l’ordinazione, così feci sistematicamente per altri tavoli vicini e senza dirci una parola ci dividemmo in due la sala e i tavoli e li servimmo in perfetta sintonia.
Una signora si affacciò quando depositai l’ennesimo biglietto
dell’ordinazione, stupita
Di rimando, lo indicai
Sorrise e continuammo.
Erano le 16.00, quando servimmo l’ultimo, continuai nello sparecchiare i tavoli, poi arrivò la signora , mi passò il tovagliato pulito e dopo aver pulito dei residui i tavoli, con il giovane iniziammo ad apparecchiare per la sera
Il tutto sempre lavorando
Si fermò
Iniziai a pulire a terra.
Mi piaceva questa discussione, tra una tovaglia e le posate da mettere, Davide mi stava studiando lo vedevo, imperterrito continuavo, con un occhio al lavoro e l’altro in cucina dove era andato
Andammo in cucina, ordinatissima, fui presentato, c’era la signora Amelia e due indiani
Non urlai in quel momento di gioia solo per non farmi internare, certo non era sicuro, ma era qualcosa, toccava a me farmi apprezzare
Amelia mi diede un pacco
Davide mi accompagnò
Avevo le ali ai piedi, mi avviai di buon passo e volevo condividere con qualcuno, andai da Liu, fu contenta, mi misi in un tavolino in disparte e divorai tutto, mi stava aspettando disse, avevamo un appuntamento per la stanza.
Alla fine, ci avviammo, conobbi la famiglia erano delle brave persone, vidi la stanza, un letto a ponte, piccola era piccola, ma non mi interessava, chiesero trecento euro, ma chiudemmo a duecentocinquanta al mese, quando scendemmo non potetti fare a meno di abbracciarla, rimase meravigliata
Avevo solo venticinque anni, i miei genitori erano saliti troppo presto in cielo, sette tra fratelli e sorelle tutti più grandi, sposati e con figli, perdendo i genitori, lentamente si persero pure i contatti, ero sballottato da uno e da un altro, non ce la facevo più, terminata la scuola alberghiera, misi tutto in un borsone, il primo treno ad alta velocità, ed eccomi qui a mille chilometri di distanza, mandai un messaggio, nessuno mi rispose.
Avranno tirato un sospiro di sollievo? Non lo so!
Andai alla pensione, raccolsi quelle poche cose che avevo, avevo la chiave dell’appartamento, prima della mia stanza c’era quella delle due ragazze, ma non c’era nessuno, poggiai al meglio la mia roba, mi rinfrescai e via al locale a lavorare.
Arrivai con un quarto d’ora di anticipo, già erano la, stavano cenando, saltai la cena ero gonfio ma ringraziai per l’invito, Amelia disse che avrebbe messo qualcosa da parte per la notte, mentre loro continuarono tolsi tutte le bottiglie dallo scaffale del bar e tolsi la polvere, rimettendo tutto a posto.
Ero guardato a vista, ma li vidi contenti.
Non avevo idea di quanto fosse difficile coabitare, ma mi abituai lentamente.
Erano passati due mesi da quel giorno, a casa qualche volta incontrai la famiglia, conobbi il piccolo Tommy, ma non incontrai mai le ragazze, i miei orari mi permisero di avere il bagno tutto per me la mattina, spesso facevo colazione con un bicchiere di latte, ma la maggior parte andavo da Liu, cappuccino e dolce, al mattino mi svegliavo tardi e di sera tornavo dopo la mezzanotte, quindi potevo considerarmi un ospite fantasma.
Dopo quella settimana, Davide e la mamma, contenti, mi fecero un contratto regolare, lavoravamo sodo ma era il mio ambiente, ci stavo bene.
Davide dopo qualche mese si aprì con me, aveva un compagno Amos a Madrid, era gay dichiarato, ma la mamma non riusciva a farsene una ragione e cercava in tutti i modi di evitare di parlarne e con la scusa che da sola non poteva portare avanti il locale, l’aveva costretto a rinunciare a seguire il suo amore, ma due volte al mese prendeva l’aereo e volava da lui, a cavallo del giorno di chiusura del locale.
Avevo tante idee per la testa, ma non volli espormi, mi bastava sapere che avevo la possibilità di uno stipendio settimanale e un posto per dormire, non nascondo che più di una volta, al locale questa smania di migliorare le cose, mi prendeva, ma evitavo di parlare, aspettavo l’occasione giusta.
Eravamo agli inizi di novembre, fuori c’era il gelo, quindi ci anticipavamo a turno per far trovare accogliente il locale, così accadde quel giorno che mi avrebbe cambiato la vita!
Mi anticipai per il pranzo, Davide mi aveva dato da tempo le chiavi del locale, ero contento, si fidavano di me, questo mi inorgogliva, dopo aver acceso il camino e le stufe a gas, aggiustato i tavoli andai in cucina, volevo fare qualcosa di sfizioso, avevo notato che gli ospiti nell’attesa di quello che avevano ordinato, diventavano qualche volta intolleranti.
Aprii la porta della dispensa e li vidi, due sacchi di polenta da un chilo, il pensiero corse immediatamente a mio nonno, aveva un mulino e il ricordo di quella piccole porzioni di polenta, calde, fumanti, mi riempiva di gioia.
Fu un tutt’uno, misi subito il pentolone, poi come mi aveva insegnato mia nonna la preparai dosando la giusta quantità d’acqua e di sale, nell’attesa che si raffreddasse dopo aver pulito e igienizzato, versai tutto su una lastra di marmo, accesi sotto l’olio della friggitrice.
Arrivò Amelia, ma non me accorsi, poi Davide e gli altri, fischiettavo e lavoravo, feci tanti tocchetti fritti, una montagna
Piccolo applauso, mi colsero alla sprovvista, mi girai e li vidi, stavano tutti li, diventai rosso, era Amelia che aveva parlato
Lei mi guardava e non diceva nulla, poi come i monaci iniziarono ad assaggiare
A quel punto spiegai il perché, finalmente Amelia
Disse sorridendo
E andai in sala, imbarazzato.
Iniziarono ad arrivare gli ospiti, io e Davide iniziammo a prendere la comanda, oggi erano pappardelle al sugo di carne, cotolette alla milanese con patatine o insalata, dopo aver portato la comanda, trovai già pronti i piattini con la polenta fritta da servire nell’attesa, Amelia aveva aggiunto anche delle bustine di senape, pomodoro kectchup e maionese.
Iniziammo a servirle, sulle prime le persone erano stupite, poi
Lessi la soddisfazione sui volti delle persone e anche Davide e la madre se ne accorsero, entrarono due ragazze e un ragazzo, si sedettero, erano infreddoliti, mi avvicinai
Non fece in tempo a rispondere, ma io feci in tempo ad osservare l’altra ragazza, alta quanto me, magra da far paura, un viso molto bello, curato, occhi celesti e dei capelli lisci biondi, finalmente si accorsero di me
Per evitare il suo sguardo, mi rivolsi al ragazzo
Che bel nome pensai, poi notai che parlavano con me
La ragazza Teresa, chiese anche lei solo le pappardelle, non rimaneva che lei, non si decideva, mi chiamarono ad un altro tavolo
Si destò, mi guardava diritto negli occhi
Mi guardò perplessa ma sorrise
Poi con mio dispiacere dovetti andare dall’altro lato della sala e quindi li persi di vista, Amelia incassò i complimenti per l’iniziativa e volle dirmelo di persona ringraziandomi, Davide non era del solito umore, una volta che lo incrociai
Passò del tempo, stavo sparecchiando, quando di spalle
Mi girai, era lei sorridente
Non uscivano le parole, feci solo segno di si con la testa e scomparve, ma dietro di lei c’era il ragazzo
Con un cenno della mano, mi salutò, lasciandomi interdetto.
Quando terminammo a pranzo, Amelia si era già avviata a casa, rimanemmo io e Davide, era di venerdì, lo ricordo bene, perché avevamo già stilato un menu speciale per la giornata seguente festa del Santo patrono della città, San Onofrio, stava per dirmi qualcosa quando ricevette una telefonata, mi salutò e sparì.
La sera lo vedevo, era più agitato ma non ebbi modo di parlare con lui, quando terminammo il servizio, nell’aggiustare i tavoli per il giorno successivo, più d’una volta stava per far cadere qualche bicchiere, lo fermai, lo feci sedere
E si mise a piangere, ma non leggermente, ma a singhiozzi pieni, cercai di calmarlo, mi alzai e feci una camomilla, solo dopo un poco si tranquillizzò
Era la prima volta che lo chiedevo
Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.
Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!
Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.
Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.
Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.
Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono
– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!
Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino
– Per cosa?
– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!
Ero meravigliato, un provino? A noi?
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?
Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina
– Ma dove vai a quest’ora?
Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…
…suonò il campanello, erano loro!
E questo fu l’inizio della fine!
Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:
“The boys band”
I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti, increduli …
…e così, ci perdemmo!
Imparai la lingua inglese, ma quando si dice che il successo da alla testa, non è un modo di dire, ma verità assoluta!
Oltre ai soldi, alle ragazze che ci saltavano addosso, arrivarono anche le droghe, prima leggere, poi sempre più pesanti, eravamo sottoposti a stress incalzante, dormivamo poco e male, fui l’unico a rimanere con i piedi ben piantati a terra, anche perché dopo due anni circa di quella vita, persi mio padre per un tumore che raggiunse mia madre, morta dandomi alla luce.
Fu il suo ultimo triste regalo!
Con un aereo dall’Inghilterra, messo a disposizione dalla produzione, lo raggiunsi prima di morire in ospedale tra le mie lacrime e con un filo di voce mi disse
“Ricordati quello che eri prima e cerca di non perderti!”
Mai parole furono più profetiche!
Quella frase rimase così impressa nella mia mente che da allora tutto cambiò, ma per Ludo e Dino purtroppo non andò così, nell’ultimo periodo Dino dovette essere ricoverato più volte per disintossicarsi dalla droga e Ludo subì la sua stessa sorte, non solo per la droga ma si aggiunse anche l’alcol.
La nostra avventura durò otto anni e poi?
Ci perdemmo di vista!
Passarono altri cinque anni da allora e quando mi informai su di loro, venni a conoscenza che Dino lavorava in Inghilterra come Chef in un ristorante di Plymouth e Ludo a Berlino oramai era parte integrante di una comunità di gay, queste furono le ultime notizie dei miei amici.
Quando il complesso si sciolse, cinque anni prima, mi ritrovai da solo, impiegai molto tempo per disintossicarmi da quell’incredibile successo improvviso e decisi di iscrivermi ad una scuola alberghiera, diventai Chef di partita addetto alla griglia e alle fritture, ero taciturno, mi stavo rinchiudendo sempre di più.
Di quell’incredibile avventura mi rimase solo un anello, era in oro con una placchetta nera in superficie con le nostre iniziali a forma di cuore incrociate, fu un regalo che ci facemmo il primo anno, pezzi unici forgiati da un artigiano olandese, promettendoci di non toglierlo e non cederlo mai a nessuno.
Ed eccomi oggi, quasi trent’enne, con un camper come casa e la mia attività al seguito, un food truck, grande come una roulotte per sei persone, modificato e acquistato a Parma.
Prima mi ero trasferito a Lecco, avevo lavorato in diversi ristoranti a Novara, Varese e Como, mi volevano bene tutti, ma non mi sentivo soddisfatto, mi piaceva far parte di una brigata, ma non mi piaceva essere un sottoposto, troppe pressioni in cucina e poi non sopportavo l’arroganza degli Chef, avevo messo da parte i soldi guadagnati con la musica e furono quelli che mi salvarono e mi diedero l’opportunità di finire gli studi e…altro!
Una sera uscendo dal ristorante di Como, una folata di vento a mulinello mi travolse, riuscii a mettermi al riparo e mi ritrovai tra le mani un volantino, era la pubblicità di una Fiera a Parma dove venivano presentati modelli di automezzi adatti per la ristorazione mobile, nuovi e usati, quella notte non riuscii a dormire, ero alla ricerca di trovare la mia strada, poteva essere quella giusta, decisi di visitare la fiera.
E il giorno dopo…
…fu la giornata che cambiò tutta la mia vita!
– Come va oggi?
Ero in ospedale, pregavo e la guardavo, com’era bella, nonostante le ecchimosi sul viso fossero diventate viola, chiudendo gli occhi per un attimo, la rivedevo come la prima volta che l’avevo incontrata, una ragazza bella, solare e piena di vita.
Adesso i suoi capelli biondi lunghi scendevano sulla copertina del letto d’ospedale inerti, gli occhi erano chiusi, ma conoscevo bene il loro colore, celesti come il mare, dai documenti della cartella clinica, ero venuto a conoscenza della sua età, trentuno anni, la mia stessa età, era in coma, respira solo con una mascherina e il suo corpo era avvolto in un vestaglia bianca come la neve attaccato a delle macchine che controllavano il suo stato di salute, avevo gli occhi velati dalle lacrime, sentii dei passi, alzai lo sguardo, era Nico il suo datore di lavoro, aveva un’agenzia pubblicitaria e lei aveva accettato di fare da promoter per un food truck di una compagnia inglese, era un brav’uomo, sui sessanta anni, venne alle mie spalle
– Non è stata colpa tua!
Era già passato un mese da allora, ma non riuscivo ancora a capacitarmi!
Quel giorno mi ero avvicinato a quel padiglione, l’ultimo della fiera…
… c’era tanta gente, bambini urlanti, venditori di ogni cosa, dai food truck fuoriuscivano profumi deliziosi, panini, patatine, sfogliatine, frittelle a ripetizione, fino a quel momento nulla mi aveva colpito, anche perché confesso non ero pienamente cosciente del perché fossi venuto, la giornata era fredda e nonostante i numerosi pannelli radianti accesi per emanare calore sia in basso che in alto appesi al soffitto, non si poteva passeggiare senza essere ben protetti tra i padiglioni.
Nulla mi aveva attratto veramente, la giornata era passata senza nessuna emozione, ero in procinto di allontanarmi dalla fiera, verso una delle uscite, notai un padiglione con i colori inglesi e una doppia bandiera enorme, quella inglese e quella americana, mi era di strada, mi incuriosì e quando mi avvicinai, la prima cosa che mi colpì, fu una ragazza, disinvoltamente vestita solo con una gonna e una camicetta invogliava le persone a visitare lo stand, la vidi batteva i denti, ma nonostante tutto elargiva un sorriso per tutti quelli che passavano vicini, anche per quelli che non rispondevano al suo invito, non so proprio perché lo feci, ma poco distante, c’era un piccolo bar montato su un automezzo, presi due cioccolate bollenti e
– Posso?
Era di spalle, si girò meravigliata
– Cosa?
Poi vide il boccale bollente, colmo di cioccolata con panna che le stavo offrendo
– Ma?
Le sorrisi
– Scusami, ti ho visto che battevi i denti…
Rispose al sorriso, prendendo il boccale
– Grazie, ma ci conosciamo?
– No, ma se è solo per questo, io mi chiamo Rino e tu?
Mi persi nei suoi occhi celesti, mi guardava incuriosita, mi stava analizzando
– Solitamente non sono mai così diretto, ma mi è venuto spontaneo, io qui coperto con cappotto, sciarpa e cappello come tutti qui dentro e tu…
Diventò rossa all’improvviso
– Spogliata?
Abbassai la testa, mi vergognavo, si è vero, l’avevo immaginata così
– …disinvolta!
Risposi…
…e sorridemmo, seguirono dei minuti imbarazzanti, sorseggiammo la bibita calda, mi ringraziò e ci sedemmo nei pressi dell’automezzo
– Mi chiamo Ivvy.
Un perfetto italiano con una inflessione straniera, spontaneamente
– Non sei italiana?
– No, sono irlandese e studio a Londra, il mese scorso ho risposto ad un annuncio di un’agenzia italiana per questo lavoro, il colloquio l’ho fatto a Londra, cercavano una ragazza inglese che conoscesse bene l’italiano, sai, questa Fiera è internazionale e la società produttrice di questi automezzi, voleva essere certa di raggiungere il maggior numero di persone di tutte le nazionalità, amo l’Italia e quindi ho colto l’occasione, mi veniva pagato alloggio e vitto per due settimane da trascorrere in Italia, oltre la Fiera, e tu?
Preso alla sprovvista con un grumo di cioccolata alla gola bollente
– Cosa?
Ero goffo, rosso dallo sforzo di ingollare quel grumo bollente
– Come mai sei qui?
Riacquistato un minimo di normalità mi resi conto che aspettava che parlassi, ma non avevo la risposta e così sinceramente
– Non lo so!
Non dimenticherò mai la sua espressione, era sbigottita, ma non aggiunse nulla, fummo distolti da una sirena
– La fiera sta per chiudere, riapre domani, devo andare, mettere in ordine, scusami, grazie per la cioccolata.
E si alzò, feci appena in tempo
– Ci vediamo domani?
Si girò contenta
– Se vuoi, io sarò qui!
Sorrisi
– A domani allora!
Quella ragazza mi aveva colpito, non riuscivo a chiudere gli occhi senza immaginarla, dormii pochissimo in attesa dell’alba ma il giorno dopo non potetti andare di mattina, fui chiamato da un avvocato per chiudere il rapporto di lavoro con l’ultimo ristorante, non potevo non andare, dovevano liquidarmi e quei soldi mi servivano e solo nel pomeriggio inoltrato riuscii dopo aver definito la pratica con il mio ex datore di lavoro, accettai pur di andarmene via una somma lievemente inferiore a quella che mi doveva.
Presi l’auto e dopo due ore d’auto finalmente entrai in fiera, mi recai direttamente al suo padiglione, eccola, era la, stava parlando con una persona, mi vide, sorrise e i suoi occhi si illuminarono, aspettai poco distante e poi quando si allontanarono
– Pensavo che non saresti più venuto!
Fu sincera e io stupito e contento, aveva una sciarpa bianca al collo
– Scusami, sono stato impegnato, ma ce l’ho fatta!
Ero contento, mi stava aspettando, stranamente in questo secondo incontro ebbi l’impressione di un’aria familiare ma mi ripresi immediatamente pensando ad una sciocchezza, poi fui distratto dall’avvicinarsi di una persona alle sue spalle, lei seguì il mio sguardo e lo vide, mi prese immediatamente per mano
– Venga le faccio vedere il food truck.
E mi trascinò verso l’automezzo, l’uomo
– Ivvy, non è possibile, tra poco suona la sirena di chiusura della fiera e dobbiamo andare.
Ma lei incurante delle sue parole
– Venga, le faccio vedere!
E così entrammo nell’automezzo
– Scusami, ma non potevo fare in altro modo, oggi è l’ultimo giorno della fiera, almeno qui non entrerà nessuno.
Non ascoltavo nulla, guardavo solo la sua bocca, era bella e a forma di cuore, rimasi incantato, mi venne un’idea
– Se vuoi ti aspetto fuori, nulla di impegnativo, mi farebbe piacere, andiamo a mangiare una pizza come due amici, conosco un posticino poco distante, è carino, è confortevole….
Mi fermò, con la sua mano appoggiandola sulla bocca, chiusi gli occhi per un attimo, mi piaceva quel contatto, poi li riaprii immediatamente, era meravigliata ma annuì contenta e uscimmo, mi feci da parte per farla uscire per prima e…
…tutto accadde in un attimo, un pannello radiante si staccò dalla cupola e la colpì di striscio, feci appena in tempo a rientrare nell’automezzo e poi la vidi lì per terra con il sangue che le usciva dalla testa, urlai e non si capì più nulla, dopo poco si sentì la sirena dell’autoambulanza!
Mentii spudoratamente in ospedale, con la mia auto seguivo l’autoambulanza in modo spericolato, entrò nel pronto soccorso era in codice rosso in sala operatoria, volevo seguirla, ma mi fermarono
– Lei è?
Immediatamente
– Il suo… fidanzato, fatemi andare, voglio vederla…
Ma fui bloccato da due agenti della sicurezza, mi portarono di peso nella sala d’aspetto
– Stia qui!
Ecco quello che successe in quella giornata indimenticabile, paonazzo mi guardai intorno e vidi quell’uomo, quello della fiera con un cappotto e una borsa di donna in mano, aveva appena ascoltato la mia risposta agli agenti della sicurezza, si avvicinò
– Non sapevo che avesse un fidanzato qui in Italia, ora capisco, perché ha accettato, ecco tenga.
E mi diede il suo cappotto e la sua borsa, non dissi nulla
– Non si preoccupi, vedrà si riprenderà!
Singhiozzavo, se solo non l’avessi raggiunta in serata, nulla sarebbe accaduto, ma ora? Chissà colpito dalla mia reazione, abbracciavo con forza quello che mi aveva dato, disse con una voce dolce
– Stia tranquillo, vedrà tra poco avremo buone notizie.
Ma così non fu!
Arrivò un agente, mi scortò dal medico di servizio, dalla borsa presi i suoi documenti per la registrazione e mentre lui digitava al computer
– Dottore?
E lui scuotendo la testa si alzò e con fare premuroso e preoccupato mi strinse la spalla con la mano
– E’ in coma!
Ero sul punto di sentirmi male, mi cadde il mondo addosso!
Lui continuava a parlare ed io ascoltavo come se fosse stato lontano chilometri, il pannello aveva colpito la parte superiore del cranio, era stata operata per rimuovere un edema, ma aveva perso i sensi ed era in stato incosciente, in coma.
I primi cinque giorni furono terribili, Nico, quell’uomo che l’aveva assunta faceva la spola tutti i giorni ed io non mi spostai dall’ospedale, era nel reparto di rianimazione e aspettavo con ansia il momento di entrare e starle vicino, ma era…
…difficile esprimere a parole quello che sentivo, ero vuoto dentro, non mangiavo da giorni, tant’è che il personale del reparto con dolcezza mi obbligarono dopo un poco a mangiare qualcosa
– Se non stai bene, lei come farà a riconoscerti?
Li accontentai di malavoglia, fu allora che presi quella decisione, non mi sarei allontanato da lei!
Nico mi assicurò che tutte le spese mediche sarebbero state coperte dall’assicurazione, la dirigenza della fiera stava valutando il….
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Quella mattina ci avviammo presto dal castello, avevamo deciso di fare colazione in città, ci sedemmo ad un tavolino di un Bar al centro, era su una veranda verso la strada, lei era con lo sguardo proiettatata chissà dove e io più la guardavo e…
…non riuscivo a credere che somigliava sorprendentemente a nostro padre…ma non era solo nelle sembianze del viso o nei capelli biondi e gli occhi celesti, ma anche nel carattere, dolce ma determinata, triste ma a tratti felice così tanto che chi si trovava con lei non poteva non essere felice
– Perché mi guardi?
Fui sorpreso
– Lo sai che sei tale e quale a papà?
Sorrise
– Si, allora?
Abbassai la testa
– Ti invidio!
Stavolta era lei meravigliata
– Di cosa?
Mi alzai per sedermi vicino a lei, le presi una mano
– Sono due anni che stai combattendo una battaglia e non ti ho mai sentito lamentare.
Mi guardò negli occhi
– Se sono capace di lottare e per merito tuo, non mi hai mai abbandonato, anche in questa avventura dell’asta che già dura da quattro mesi, non ti sei tirato indietro ed è questo la mia forza, sei tu caro fratello maggiore.
Mi emozionai…
… era la prima volta che accennava a questa mia compartecipazione al suo dolore, si, perchè si tratta di questo, solo due anni prima in un controllo sanitario scoprimmo che aveva un nodulo al seno destro, solita routine, biopsia e poi…
…la giornata più lunga…
…l’attesa del responso quindici giorni dopo dal Dipartimento dell’Istologia dell’Ospedale…
…una condanna…
…tumore maligno!
Eravamo solo noi due, ci abbracciammo e piangemmo tutte le lacrime che potevamo avere, ma lei, alla fine
– Si combatte!
E così fu!
E’ inizio la nostra battaglia contro il male!
Eravamo nel mondo del lavoro da non molto, io a trentadue anni e lei ha ventotto anni, io laureato in legge e lei in conservazione dei beni culturali, io avevo rilevato lo studio legale di nostro padre che ci aveva lasciato due anni prima della mia laurea e lei invece iniziò il suo percorso come antiquaria in uno studio molto accorsato della città…
… ma molto presto si rese conto che non voleva avere qualcuno che la comandasse a bacchetta con tutta la sua arroganza per i suoi lavori e poi prendersi il merito, quindi decise di fare un passo più gratificante per lei, mettersi in proprio con una sua Casa d’aste.
– Dovremmo andare Lena in ospedale, è ora!
Guardò l’orologio
– Hai ragione!
In quel momento squillò il mio cellulare
– Pronto?
Dall’altro lato una voce concitata
– Avvocato mi stanno sfrattando, sono Angelo Della ……. sono sul punto di impazzire, se non venite subito prendo il fucile…
Stupito
– Ma chi vi sta sfrattando?
Affannato
– Non lo so, si sono presentati a nome del proprietario e vogliono entrare in casa…sono confuso e disorientato e mia moglie e i miei figli terrorizzati…
Diavolo
– Non aprire, vengo subito!
La guardai
– Devi andare?
Era triste, invece di risponderle, digitai un numero
– Rodrigo dove sei?
– Sono appena entrato in città!
– Potresti accompagnare Lena in ospedale per piacere ho un urgenza con un mio cliente.
Immediatamente
– Certo! Dove siete?
Gli diedi l’indirizzo del Bar, Lena aveva gli occhi sgranati
– Ma Alfio, perchè proprio lui?
– Perchè avevo un appuntamento con lui, quindi sapevo che veniva in città, poi verrò io a prenderti, non ti preoccupare…
Non era convinta
– Ma lui è il nostro datore di lavoro!
E io
– Ma è anche amico nostro!
Non terminai di parlare, arrivò un auto ad una discreta velocità, era lui, l’abbracciai
– Vai, a più tardi!
Sconfitta, mi baciò sulla guancia
– Vedi chi è la mia forza, sei tu!
Uscimmo insieme e ci dirigemmo lei a destra e io a sinistra del Bar.
Ero concentrato alla guida, con il vivavoce chiamai la polizia spiegando la situazione e arrivammo nello stesso momento, alla vista delle auto della polizia cercarono di svignarsela, ma furono bloccati e identificati, alla fine venne il capo pattuglia
– Per fortuna che ci ha avvertito, sono esponenti della malavita locale e stavano effettuando uno sfratto illegalmente, l’aspetto al comando per la denuncia con il suo assistito.
– Grazie.
Al comando mentre Angelo forniva le esatte indicazioni per la denuncia, chiamai a Rodrigo
– Tutto bene?
– Si, non ti preoccupare, ma che è successo?
Gli raccontai tutto e
– Hai fatto un’opera di bene!
– Non mi piace chi si approfitta della violenza, ora non ti preoccupare, fai quello che devi, hai il ristorante da fornire, ci vediamo al castello.
– Posso rimanere se vuoi.
– No, ti ringrazio, Lena sarà lì per cinque ore, ora arrivo io.
Mi sembrò dispiaciuto
– Va bene!
– Un abbraccio!
Chi era Rodrigo?
Spesso, me lo domandavo anch’io, per uno strano caso della vita lui era un mio compagno al liceo, cinque anni insieme e non conoscevo la sua vita, poi ci perdemmo di vista e fui sorpreso quando venne al funerale di mio padre, alla fine della cerimonia si avvicinò a me, Lena era distrutta e fu portata a casa da amici
– Condoglianze Alfio…
Ero distratto, poi lo vidi e l’abbracciai, fu spontaneo
– Come mai sei qui, da quanto tempo non ci vedevamo, dalla fine del liceo…
Sorrise
– Si, vedi mio padre aveva una grande stima per tuo padre ed era un suo cliente da trentanni…
Meravigliato
– Non lo sapevo!
-…anch’io non lo sapevo, l’ho scoperto solo quando mio padre è morto, tuo padre è venuto al funerale e non mi ha lasciato solo quel giorno, mi ha parlato di te e di tua sorella, mi ha confortato e sono certo che prossimamente ci rivedremo nel tuo studio se ti fa piacere.
All’epoca non avevo ancora deciso cosa fare della mia vita, ma risposi
– Certamente!
Nei giorni successivi e in prossimità della tesi di laurea, mentre studiavo nello studio di mio padre, andando a prendere un fascicolo, trovai un faldone, dietro ad un fascicolo
“Conte Galeazzo della Rosa Bianca”
…e questo fu…
…mi ricordai del cognome di Rodrigo..era Della Rosa…
…e appresi che lui era l’unico figlio e erede di una proprietà cospicua sull’Aspromonte, non solo di terreni, ma anche di proprietà immobiliare, quale un castello e diverse dipendenze e a mio padre erano affidate le pratiche legali e amministrative.
Poi…
… fui preso dagli studi e dalla mia fine laurea e non ci pensai più, ma dopo qualche mese…quando avevo aperto lo studio di nuovo per i nostri clienti, un giorno, alla porta me lo ritrovai davanti
– Ciao Alfio!…
Aveva un’aria sorridente, non dissi nulla, ma mi ricordai immediatamente il faldone
-…come vedi sono stato di parola!
– Vero! Accomodati!
Era venuto con le idee ben precise!
Questo stavo pensando quando arrivai in Ospedale quella mattina, avvertii Lena che ero nella sala d’aspetto e lei mi mandò una foto distesa sul lettino con la terapia in corso e un sorriso rassicurante con la mano aveva il pollice in alto.
Non mi ero reso conto che al mio fianco c’era una signora ultrra ottantenne che curiosando e vedendo la foto
– E’ la sua ragazza?
Mi girai, mi vide ero emozionato
– No, è la mia sorellina!
La mia voce si era incrinata, fui gratificato da un sorriso che difficilmente dimenticherò
– In bocca al lupo.
Mi disse, e io risposi
– Viva il lupo!
Solo allora mi resi conto che difronte a me, era rannicchiata una ragazza, era curva su se stessa e solo al sentire la mia voce, alzò la testa e vidi bene il suo viso, era bagnato di lacrime, ne fui colpito, ma cercai di non farlo notare, facevo finta di guardare il cellulare ma ogni tanto alzavo lo sguardo e la vidi che cercava di ingerire una galletta di riso, quasi nascondendosi, la sua posizione non era cambiata, restava compressa su se stessa…
…segue…
Erano mesi che ogni fine settimana, affacciandomi dal balcone di casa mia, notavo un’auto alle 4 del mattino, in particolar modo il sabato o la domenica, stazionare sotto il palazzo di fronte alla mia abitazione.
Un giorno decisi di capire, cosa e chi aspettasse!!
Mi posizionai la sera prima e parcheggiai l’auto in modo che la mattina potessi agevolmente spostarmi. L’Indomani, pur non avendo la certezza, mi svegliai alle 3 e con un plaid entrai in un’auto gelida nel buio totale in attesa.
Certo di fare una cosa stupida, ma mi sentivo tonico per l’avventura che forse mi aspettavo, di certo poteva essere anche una delusione, ma era un’ipotesi che allontanavo, c’era qualcosa, mi intrigava e ciò mi bastava.
Puntualmente, alle 4 arrivò l’auto e si fermò in attesa.
Tolsi il plaid in fretta , misi le cintura e …alle 4.05 scese una persona, si intravedevano solo i capelli bianchi, era intabarrato con un grande mantello per proteggersi dal freddo ed aveva una valigetta in mano, strana forma, era un rettangolo abbastanza corposo, entrò in fretta in auto dal lato posteriore e in un attimo l’auto si mise in moto.
Feci altrettanto, dopo trenta secondi, complice il semaforo alla fine della strada, la raggiunsi…..
L’auto proseguiva lesta, la mia non era all’altezza, per fortuna avevo preso la più grande, mi tenevo a debita distanza, ma che bello vedere il cielo stellato, poche auto in giro, ma è meglio non divagare.
Le cose si mettono male, l’auto sta filando verso l’autostrada e ora? Vado.
Se si inizia una cosa si porta anche a termine.
Telepass a posto, benzina a posto, inserisco il navigatore, siamo in direzione Napoli. Onde evitare di fare il trenino, sorpasso e mi tengo sulla terza corsia, mi faccio superare, mi allontano, e ora? Che succede? L’auto mette la freccia e si avvicina ad un’area di sosta dove vedo stazionare un furgoncino. Non posso non superare, accidenti. Decido di fermarmi alla prossima area di sosta, a trovarla, eccola è prossima, metto la freccia e in quell’istante con la coda dell’occhio intravedo l’auto, sta sopraggiungendo con il furgoncino al seguito, stavolta in velocità.
Elimino la freccia e mi metto sulla scia, loro aumentano e io arranco, ma sono fortunato la sagoma del furgone mi fa da segnalatore, usciamo dall’autostrada, direzione tangenziale, non c’è un’anima, qualche fornitore e trasportatore. Il navigatore mi da indicazione che siamo sulla via per il mare, ma alle 4.35 chi va al mare? Pensieri scomposti, mi concentro, siamo sulla strada di Pozzuoli, direzione porto e qui le cose diventano difficili, c’è un andirivieni di auto e camioncini, cerco di non perdere l’obiettivo, scendiamo per viuzze verso il mare, certo le scorciatoie sono ben conosciute all’autista dell’auto, ma a me no!
Prossimo incrocio alla fine della strada a T, esco, mi fermo, scomparsi!
Vediamo, ho due opzioni, la destra non mi piace nemmeno per le strade, decido di andare a sinistra, quando tutto manca riprendo la strada inversa e torno a casa. Complice la strada semideserta, cammino a passo di lumaca, sostando nei pressi delle traverse, nulla. Ma dove mai sono finiti? Quando ho quasi perso la speranza, in lontananza, quasi come si facesse l’occhiolino, una grande “ P” di parcheggio, si accende e si spegne mi guida.
Arrivo in uno spiazzo enorme con decine di auto in sosta, mi lascio guidare da una freccia a terra alla ricerca di un posto per fermarmi e che diavolo, almeno mi godo l’alba in riva al porto, male non sarebbe, ma di certo non era quello che volevo fare.
Ecco, vedo un posto, di fianco un’auto spegne i fanalini posteriori, passo vicino e…
Bingo!
Oggi deve essere la mia notte fortunata, riconosco l’auto e vedo “capelli bianchi” sta scendendo, prima un bastone e poi (ma il bastone non c’era quando è sceso da casa, evidentemente era nella sua auto), un fascio di luce improvviso lo illumina, strano, il bastone ha il pomo a forma d’uovo, ma non quello piccolo, ma quelli di un’oca, certamente sarà d’avorio.
Giro e parcheggio, non mi muovo dall’auto, vedo le due figure a passi veloci si dirigono verso sinistra, scendo e faccio il loro stesso percorso, il furgone non c’è, l’avranno lasciato da qualche parte, oppure c’è un altro ingresso, chissà! Non mi devo distrarre e nemmeno farmi vedere, a debita distanza osservo, parlottano tra di loro, fa freddo mi guardo intorno e inizio a sentire un vociare in lontananza. “capelli bianchi” è senza valigetta, l’avrà dimenticata? O l’avrà lasciata di proposito in auto? Domande senza risposta!
Ci siamo, vedo le barche ormeggiate cullate dalle onde con le bandierine che si muovono a seconda del vento e dell’ondeggiamento, una serie di capannoni, tutti uguali e illuminati a giorno, sul lato opposto al mare, in fila, tanti furgoncini parcheggiati, si sentono delle voci, entro seguendo “capelli bianchi”.
Ora ho capito! Siamo al Mercato del Pesce!
Se fuori, c’è silenzio, qui mi sembra la festa patronale.
Una cosa simile l’avevo vista solo in televisione, ai lati dei nastri trasportatori trasportano delle cassette ricolme di pesci, in fondo un poggio da dove una persone urla delle cose incomprensibili con un tabellone sulla testa che scandisce dei secondi e di lato un altro tabellone con dei nomi che cambiano (Gabbiano, Veloce, Serena, Zio Toni, Sguattera, Potente, Delfino) e al centro un cerchio numeroso di persone, in silenzio. Nonostante lo stupore non perdo “capelli bianchi” il quale deve essere ben conosciuto da queste parti visto che il gruppo di persone si allarga per farlo arrivare al centro e lui con un cenno del capo saluta.
Mi concentro sulle parole del banditore, sta informando del contenuto delle prossime cassette sul nastro davanti alle persone, arrivano, si fermano e parte il contatore dei secondi, in un attimo non capisco perché, continuano il loro viaggio e il banditore urla, vendute. Ma a chi, nessuno ha parlato, ne ho sentito offerte?
Da dove mi trovo non posso capire è arrivato il momento di spostarmi, anche perché vorrei vedere il viso di “capelli bianchi”. L’unico modo è posizionarmi ad uno dei due lati del banditore, possibilmente senza farmi vedere. Ci riesco, non senza difficoltà, il pavimento è viscido e non vorrei finire all’ospedale. Ecco da qui vedo meglio, ma “capelli bianchi” è coperto. Il banditore urla un altro arrivo, non avevo notato che sotto il tabellone una striscia scorrevole porta il costo del carico di pesce, giro lo sguardo verso le persone e con impercettibili segni, il valore della merce aumenta, 5.000, 7.000, 9.000, poi lo vedo, il pomo del bastone si alza, l’offerta e di 11.000 euro e la sirena avverte che il tempo è scaduto.
Aggiudicato!!
Sono senza parole, un gesto e l’offerta è valida per tutti. Che freddo che fa qui dentro, ma dove è andato? Non lo vedo più….
In lontananza vedo una scritta “cassa” e quindi di sicuro sarà andato a saldare, l’unica cosa è ritornare all’auto, e attendere.
Detto e fatto, mi dirigo all’auto, la sua è ancora li, sono le 5.30 mi assale la stanchezza, mi porta un leggero annebbiamento, sarà stata la tensione, ma chi me l’ha fatto fare.
Pensieri scomposti, mi devo svegliare e finire quello che ho iniziato.
L’auto mi sembra una stufa, nonostante il freddo del mattino, l’alba è prossima vedo fondersi cielo e terra, i gabbiani sorvolano la zona evidentemente sanno che qualcosa per loro ci sarà, lo sento mi sto quasi addormentando con il plaid sulle gambe.
All’improvviso nel silenzio, sento delle voci distintamente, qualcuno parla ad un cellulare ed è in avvicinamento, trattengo il fiato, abbasso il finestrino, aria gelida e resto in ascolto: “allora il carico è arrivato?” – “noi qui abbiamo terminato, fra un’ora saremo in sede, fatemi trovare tutto pronto che iniziamo!”.
Fine della telefonata, dallo specchietto retrovisore vedo “capelli bianchi” distintamente, la luce dell’alba mi aiuta e come una macchina fotografica, registro i suoi dati: folta capigliatura fresca di doccia, il vento la scompiglia, mani ossute con dita molto lunghe aggiustano i capelli scomposti, il viso racconta la sua età, dai 70 agli 80 anni con rughe dolci sul volto, occhi penetranti e vividi, stop, null’altro, sparito dalla mia visuale sta per entrare in auto.
Si ricomincia!
Questa volta non ho il furgoncino a farmi da guida, quindi dovrò essere attento e seguire l’auto da lontano per quanto possibile, lasciamo il parcheggio, ci dirigiamo verso la tangenziale, no, la direzione è quella ma prendiamo la strada interna, stiamo andando verso Castel Volturno ed anche ad una velocità sostenuta.
Guardo l’indicatore del serbatoio, è quasi a metà, speriamo di non rimanere senza benzina, le strade sono libere, non passa quasi nessuno, accendo la radio per farmi compagnia, ma dico? chissà dove sta andando, cosa deve fare, che carico?
Accidenti!
Lasciamo la marina e passiamo sull’asse mediano direzione Capua, ecco dove voleva arrivare al casello dell’autostrada, e ora? Quale direzione? Napoli o Roma, speriamo Napoli, qui rimango a secco. No, direzione Roma. E ora, non posso perdere tempo, devo fare rifornimento, quindi accelero e supero, gioco in casa, conosco bene la strada la prima stazione di servizio è Teano, mi fiondo e affondo il pedale dell’acceleratore.
Deve essere per forza una notte, ovvero un giorno, fortunato, esco dall’area di servizio dopo il rifornimento e lui è davanti a me in terza corsia, lo vedo oramai è la sua auto, ce l’ho fatta.
La prossima uscita è Cassino, posso rilassarmi un poco, allora dove uscirà? Uscirà? O andremo verso Roma? Mentre pensavo a questo, ecco che mi sorpassa il furgoncino lasciato a Pozzuoli, evidentemente avrà fatto il suo carico e ci ha raggiunti, ecco spiegato la velocità di crociera erano in attesa del furgone.
Difatti adesso si fila che è una meraviglia, corsia centrale, sorpasso, corsia centrale, sorpasso.
Freccia, siamo prossimi a Cassino, ecco la metà, forse!…
Ci inoltriamo verso la città, oramai siamo alle 07.30, le persone iniziano a muoversi, il traffico non mi aiuta, ma riesco comunque a non perdere di vista l’auto.
Stiamo andando verso la zona industriale, così recita un cartello appena oltrepassato, dedalo di vie tra capannoni, nudi e deserti.
Ecco la freccia, si svolta a sinistra, lungo rettilineo, in fondo vedo qualcosa, si è una struttura in cemento e vetro tutta illuminata, quasi come ad una festa, l’auto si dirige sul piazzale di ingresso dopo la sbarra, una guardia giurata ha aperto il varco e poi chiude, è finita!
Supero, è inutile cercare di entrare, non ho nessuna ragione per entrare, mi posiziono in modo da non essere visto dal vigilante, scendo. In alto troneggia un enorme tabellone “La Mimosa” s.p.a., e che sarà? Mi affaccio al di la delle grate di protezione sulla strada, “capelli bianchi” sta scendendo, questa volta senza bastone ma con la sua strana valigetta, si avvia a passi veloci verso una delle entrate, di lato vedo due furgoni parcheggiati, li riconosco sono gli stessi del porto, l’altro certamente sarà per l’altro “carico”, quale carico?.
Non faccio altro che fare delle domande, se dovessi raccontare questa storia, mi rinchiuderebbero, ho pedinato un perfetto sconosciuto, un mio dirimpettaio di palazzo, a che pro?
E poi che ci faccio a Cassino? E a Pozzuoli?
Sto maturando l’idea di andare via, prima di fare altri danni a me stesso, è perfettamente inutile fermarmi, la struttura è enorme, se cerco di entrare entro a far parte di quelle persone da codice penale, vado via, sarà una frustrazione per non esserci riuscito, ma almeno sarò libero, me ne farò una ragione.
Nel frattempo accedo la seconda sigaretta della giornata, mi guardo intorno, decido di fare qualche passo intorno, alberi, alberi dovunque, uccellini che salutano il mattino, fregandosene del sottoscritto e dei suoi pensieri, sono arrivato all’angolo, ci sono diversi autotreni, in posizione di carico, strano, non hanno nessuna scritta pubblicitaria, bianchi come il latte.
Il silenzio dalla struttura, non ha eguali, non c’è un rumore, poco distante noto un gruppo di persone con camici bianchi che stanno entrando, sarà una struttura sanitaria? Poi ecco in un altro spiazzo alle spalle della struttura, decine di auto, segno di tante persone all’interno.
Il mistero si infittisce, basta, devo trovare un modo.
Ritorno all’auto, faccio delle ricerche sul telefonino, nulla non mi riporta nessun tipo di attività, l’azienda viene menzionato come “società si servizi”, strano per una s.p.a di quelle dimensioni.
Metto in moto, faccio tutto il perimetro dell’azienda, lo rifaccio per la seconda volta, ho deciso cosa fare!
Ho deciso farò la “pecorella smarrita”.
Mi avvicino al cancelli d’entrata, fermo l’auto e chiedo alla guardia giurata:
Vedo che la guardia giurata mi guarda, come un ex terrestre, poi esce dalla guardiola e viene verso di me:
Pazientemente, rientra nella guardiola per uscirne poco dopo con una cartina:
Capisco che il mio tentativo sta vacillando:
Faccio finta di andare verso l’auto, nel frattempo arriva un auto a tutta velocità, la sbarra si è alzata prontamente e poi…torno indietro.
Dico sconsolato ad alta voce a il guardiano:
Mi risponde, allora mi attacco alle ultime parole:
Ho giocato sporco, lo so! Ma non potevo trovare di meglio, quel “ci investiva” ha gratificato la guardia ed io ho avuto l’appiglio che cercavo, non deve essere semplice passare otto ore in una guardiola senza poter parlare con qualcuno e ho stimolato a dirmi quattro parole.
La guardia riesce dal guardiola e:
Meglio non entrare in dettaglio, potrebbe insospettirsi, allora:
Sono un bugiardo, lo riconosco, ma è la mia curiosità innata e voglio sapere al più presto, senza fare danni dove “capelli bianchi” mi ha portato, evito di guardare la guardia, mi sta soppesando lo sento, mi sta squadrando e il mio vestire casual e pratico non mi aiuta, ci vuole un rinforzo e prima che lui parli:
Bingo, ci ho azzeccato, la guardia sorride rilassato e:
Ci siamo!
E ora come me la gioco questa notizia, che dico? Cosa mi invento? Dimostrarmi molto interessato oppure no? Chiedere informazioni dirette o indirette? Sorvolare?
Ho poco tempo, davanti, non devo sbagliare, mi gioco tutto…
E’ strano, quando arrivi ad un traguardo, in qualunque ambito, resiste una certa ritrosia nel voler conoscere la verità, quasi un rifiuto, un desiderio di allontanare quel momento tanto agognato.
Cosa faccio? Cerco di non far capire il mio interesse senza tirare troppo la corda:
Vogliamo scommettere, vincerei facile forse:
Oh cavolo, mi sta sfuggendo la fine, cosa faccio? Domanda diretta a risposta diretta, è l’unica soluzione:
La guardia mi guarda sorridendo, ha captato, il campanilismo regionale mi ha colpito e sorridendo:
Mi saluta sorridendo e se ne va.
Ecco chi è, uno chef!
Capperi ora si spiega la valigetta rettangolare, di certo saranno i coltelli, uno chef di un certo livello, non si separa mai dai suoi “ attrezzi” del mestiere.
Ecco ho raggiunto la mia curiosità, un senso di gioia mista stupore mi pervade.
Uno Chef, e che Chef per avere uno stuolo di aiutanti di questa portata, l’auto personale, l’acquisto del pesce migliore, il secondo carico di certo sarà composto dagli altri ingredienti. Capperi, ho una storia fenomenale da raccontare, pensieri scomposti, chi mi crederebbe? Non ho uno straccio di prova se non la mia parola, e poi a chi raccontarla o farla conoscere?
Però!
Un nostro concittadino, Chef di una certa età, che si muove dalla sua città per andare in un’altra regione e coordinare 60 persone, deve avere una storia, deve essere speciale, sarebbe bello saperne di più.
Sarebbe bello farlo sapere, non è di tutti i giorni una storia così! Certo non fa una piega, ma cosa altro potrei fare?
La guardia giurata è rientrata al suo lavoro, prendo l’auto e metto in moto e non mi accorgo che sto rifacendo la strada di prima che corre per tutto il perimetro dell’azienda. Sono ancora assorto nei miei pensieri, oramai il sole è alto.
Non può finire così, continuo a ripetermi, non può finire così!
Niente non mi viene nessun piano da seguire, a malincuore prendo la strada verso Cassino.
Dopo cinque chilometri circa, vedo l’insegna di un bar, si meglio prendere qualcosa prima di tornare a casa, mi fermo, ci sono delle auto fuori , dei tavolini lindi e puliti sotto ad una veranda aperta, mi siedo e sono sempre assorto nei miei pensieri non mi accorgo di un cameriere, mi sta chiedendo qualcosa:
Mi sveglio dal “letargo”, lo guardo come se fosse un alieno, e poi:
Mi accendo una sigaretta e seguo le nuvole di fumo, uno Chef ma tu pensa!
Tutto avevo immaginato, anche di poter correre dei rischi, ma uno Chef, mai!
Il bar all’interno è molto bello, strano, pensavo fosse più piccolo dall’esterno, il mio tavolo e di fianco all’ingresso nelle vicinanze della cassa, c’è una ragazza intenta a scrivere qualcosa su un tablet, al bancone due persone e una decina i clienti, sparsi per la sala. Una musica in sottofondo discreta fa compagnia, ecco la mia ordinazione:
Addendo il panino, caldo soffice, mi gratifica dopo tanto freddo che ho preso, sto assaporando, quando squilla il telefono alla cassa….
Guardo l’orologio, ecco perché sentivo un certo appetito , sono quasi le 11.00 e non me ne ero reso conto, il panino scivola giù, è una meraviglia, non è come quei soliti panini acquistati al bar, è soffice e secondo me è fatto in casa, stamattina artigianalmente, non ci avevo fatto caso, ma oltre ad essere un bar è anche una tavola calda, hanno indovinato il posto, zona industriale, passeggio di auto e camion, attività più che perfetta per questo luogo.
Mi ero distratto un attimo, la signorina alla cassa sta rispondendo al telefono:
Rivolto alla persona anziana dietro al bancone:
La signorina, risponde riportando le parole del padre, ed io mi faccio sempre più attento, il panino è volato, così anche la birra, mi sento ritemprato:
E’ stato un caso? L’unica persona conosciuta e con cui ho parlato è stata la guardia giurata? E’ stato un caso fermarmi in questo bar? Ora vediamo che succede:
Mi chiamo Luzio, sono in attesa su una panchina all’esterno dell’aeroporto di Napoli in scalo da Amsterdam e in partenza per Olbia, ho già imbarcato le valigie, con me ho solo una valigetta 24ore e ancora non riesco ancora a crederci, sarei ritornato ad Olbia dopo vent’anni!
A dieci anni mi ero trasferito con la mia famiglia, non avevo nessun parente in quella bellissima città, cinque anni fa i miei genitori, si diedero appuntamento in cielo a sei mesi di distanza, l’uno dall’altra, quando finì mia madre, mi disse “Non angustiarti, raggiungo solo tuo padre!” e così la mia famiglia era formato da un solo componente, il sottoscritto.
Mio padre e mia madre, erano originari di Pescocostanzo in Abruzzo, si dovettero trasferire in Sardegna per lavoro, passammo dieci anni in quella bellissima terra.
Sono sardo, si e amo quella terra, ma solo per nascita!
A ventidue anni, diplomato e poi laureato in marketing aziendale, alla Luiss di Milano, a venticinque in pista per una Grande Compagnia Olandese nel campo della Grande Distribuzione Organizzata, dopo per cinque anni, formatore e Responsabile del Controllo di Gestione per l’apertura di nuovi punti vendita, ho girato l’Europa, ero fidanzato con una hostess olandese, era statuaria, un metro e ottanta, capelli biondi, occhi celesti, ma nessuna voglia di formarsi una famiglia, solo sesso, sesso e sesso, non eravamo conviventi, nessuno dei due poteva permettersi di rimanere più di un certo periodo in un luogo, vista la possibilità economica di entrambi, quando passavamo dei giorni insieme, Gran Hotel e via con le danze.
Poi se ne accorse, volevo qualcosa di più, cercavo una stabilità, avevo trent’anni, fiutò il “problema” e con un sms, troncò la relazione.
Ci rimasi male, molto male!
Mi dedicai al lavoro, anima e corpo, non avevo orari, pochi riuscivano a tenermi testa, ma mai ho chiesto ad alcuno di tenere i miei ritmi, ma questo stato di cose, fu la mia rovina, i piani alti dei vertici aziendali ne erano a conoscenza.
Un giorno, sette giorni dopo la fine della mia relazione, fui convocato in Olanda dal Direttore Generale, ovvero, dall’unico proprietario della Compagnia, il mio animo mediterraneo mi consigliò di non utilizzare la compagnia aerea della mia ex, onde evitare aggressioni in volo con relativa denuncia alle autorità aeroportuali nei miei confronti, arrivai ad Amsterdam di prima mattina, in un albergo già prenotato da loro, ebbi l’intuizione che mi stesse per accadere qualcosa di importante, avevo una suite tutta per me, riposai senza disfare le valigie, già altre volte era capitato di ripartire dopo qualche ora, alle dieci venne un’auto della Compagnia a prendermi, dopo venti minuti ero al cospetto, dell’arci milionario Ernest
– Allora, com’è andato il viaggio?
– Bene, non mi posso lamentare, sono stato trattato nel migliore dei modi, non poteva essere altrimenti, vista la prenotazione fatta dalla Compagnia in prima classe da Roma per Amsterdam.
Sorrise, mi conosceva da cinque anni, era stato lui che mi aveva assunto, non rientrava nei suoi compiti, ovviamente delegava altri, ma quel giorno, quando mi sedetti davanti all’esaminatore, in risposta ad un loro annuncio sul Giornale delle GDO, fece spostare l’esaminatore e iniziò a valutarmi, una raffica di domande senza tregua, non sapevo minimamente chi era, ma l’ho capii alla fine, mentre per gli altri c’era un laconico “Vi faremo sapere”, con lui, fu totalmente diverso “Domani alle otto nel mio ufficio, al diciottesimo piano, sei assunto!”.
Mi alzai, intontito e meravigliato, gli altri erano più stupiti di me, compreso il capo del personale , il quale mi fece accomodare nel suo ufficio, per farmi firmare il contratto, quando lessi il frontespizio,”A tempo indeterminato” lo guardai stupito e lui “Questi sono gli ordini del proprietario”.
– Sono contento Luzio!
La cosa non mi convinceva, poche volte mi aveva chiamato così, sempre e solo di cognome, nei rapporti era impersonale e quelle poche volte che l’aveva fatto erano incarichi speciali o difficili, quindi fui attentissimo, si alzò e accarezzò la fotografia della sua famiglia, in quella foto c’era la moglie e le sue quattro figlie, ci teneva moltissimo e mi ricordo una volta che dovevo partire per il Portogallo mi disse “Sei fidanzato” – “No” – mi stupì – “Che aspetti? Di diventare vecchio senza famiglia?” risposi “Aspetto il momento giusto e la persona giusta!”, gli piacque e fece cadere il discorso.
– L’ultimo ipermercato in Inghilterra a Bristol funziona alla grande, la percentuale delle presenze, in soli tre mesi, è triplicata.
Aspettava
– Certo, avere un bacino di utenza superiore alle cinquecentomila persone mi ha aiutato molto.
– Vero! Ma con te alla guida è stata importante, per questo ti ho inviato lì dopo il misero fallimento dell’inaugurazione.
Qui gatta ci cova, pensai!
– Orbene, so che tra tre giorni inizi il prossimo corso per dieci neo-direttori, ma avrei una opportunità da proporti.
Ecco, ora arriva, in quale parte del mondo, sarò inviato, già sapevo da voci di corridoio e da notizie lette tra le righe dal Giornale delle GDO, il Gruppo voleva espandersi oltre manica.
– Il tuo stipendio attuale?
Aveva la mia cartellina davanti, l’avevo intravista
– Cinquemila euro netti escluso gli straordinari, al mese.
– Con?
– L’alloggio e niente spese per contratti delle utenze.
– Bene, da oggi e se dovessi accettare l’incarico, il tuo stipendio, sarà raddoppiato con tutti i benefici di cui già godi in più l’auto aziendale ti verrà regalata senza ulteriori oneri da parte tua – così dicendo prese qualcosa dal suo cassetto – e mise le chiavi davanti a me, era una chiave elettronica per auto, c’era lo stemma della mercedes.
Notizie simili, avrebbero stordito chiunque senza toccarlo, immaginate il sottoscritto in quel momento, ma il pensiero fisso era solo uno, cosa giustificava tutto questo ben di Dio?
Ma il mio self control, tenne, anche se dentro di me c’era tempesta forza nove.
Incassò, non aveva dubbi in proposito, mi conosceva piuttosto bene, quindi sapeva perfettamente a cosa stavo pensando, iniziò
– Tu sei sardo di origine?
Oddio e questo che c’entra?
-Si.
– Di dove?
– Olbia.
Inutile chiedere il perché, attendeva una mia domanda, ma non gli diedi questa possibilità, volevo sapere dove voleva arrivare, lui capì, cambio strategia
– Circa dieci anni fa, acquistai un centinaio di ettari di terreno per dieci milioni di euro, alla periferia di Olbia lato mare, erano degli investimenti da portare in detrazione in bilancio, per mancati guadagni e inserire le perdite in sottrazione dagli utili. Cinque anni fa, quella zona è stata dichiarata edificabile, come tutto il circondario e negli anni, sono sorti edifici e uffici pubblici dove prima c’era il nulla, quindi decisi di iniziare un programma di investimenti nella zona e di far nascere un Centro Commerciale di tutto rispetto.
Girò una tavola e mi fece vedere il Centro Commerciale, qualcosa di mastodontico, grande come quello di Bristol, lo osservai con molta calma, lessi i numeri laterali in legenda, 120 negozi, 52 esercizi commerciali bevande, food, caffè, dieci pizzerie, personale diretto e indiretto della Compagnia 120 persone, Ufficio di direzione cinque persone.
Questa fu la nota stonata, stavolta lo guardai, in altri nostri Centri di grandezza minore, la direzione contava ben venticinque persone
– Notevole, un grande investimento per poco più di centocinquantamila persone tra Olbia e province.
Non sorrideva più, era molto serio
– Forse!
Poi sorridendo
– Giusta osservazione, non avevo dubbi! Bene, in questo nostro prodotto, stiamo testando una Gestione completamente rinnovata, tutta automatizzata a livello informatico e con l’aiuto della robotica.
Conoscevo il progetto, ma dalle ultime rilevazioni si era conclusa in una riunione di non considerare “maturi” i tempi di immissione sul mercato, in effetti era avveniristica, ma di fatto, ancora utopica, di certo molti non conoscevano questa nuova nascita e nemmeno io ero stato messo al corrente, ma questo era ininfluente, non ero certo io a capo di una Compagnia, con 250 ipermercati e circa diecimila dipendenti in busta paga, numeri che da soli fanno rabbrividire.
Aspettavo la stoccata finale
– La proposta ti meraviglierà, ma vorrei che diventassi il nuovo Direttore Responsabile di questo Centro Commerciale!
Eccola la, secca e precisa! E ora?
Se fosse capitata in altro momento, forse avrei avuto certamente delle remore ad accettare, se solo quella stronza non mi avesse trattato solo come un toy boy, avrei chiesto anche il perché, spostare una risorsa come me su un GDO di tutto rispetto, ma dove minimamente la mia persona era indispensabile, non aveva senso farmi una proposta del genere, proprio adesso quando la Compagnia si stava preparando per entrare in campo negli Stati Uniti d’America, dove per poter sfondare ci volevano persone preparate e con gli attributi sotto e allora?
Ernest, stava sondandomi per capire, ma stavolta dovette desistere
– Cosa ne pensi?
Fui diretto quanto lo era stato con me
– I negozi non pagano?
– No
– Problemi con i dipendenti?
– No
– Con le società in sub appalto?
– No
– Allora non capisco!
Se l’aspettava, mi conosceva troppo bene dal punto di vista lavorativo, sapeva a cosa si riferiva la mia risposta e tutto il ragionamento che avevo fatto.
– Mi servi ad Olbia, in un anno di gestione ho perso due direttori dell’ipermercato.
Stavolta ero si stupito
– Licenziati?
– No, si sono suicidati!
E mi piantò i suoi occhi in attesa di risposta, non potevo fare altro e lui lo sapeva, nonostante la cattiva notizia della morte dei miei colleghi
– Accetto!
Non si mosse un muscolo facciale, mi girò il contratto per farlo firmare e solo dopo si accese il suo sigaro un avana invecchiato, sintomo della sua grande soddisfazione, prima di salutarmi, mi diede una valigetta, me la fece aprire, c’era una cartellina, conteneva dei documenti del Centro Commerciale, il contratto per l’abitazione, i documenti della macchina e il biglietto aereo di sola andata intestato a mio nome, per la sera stessa per Olbia, non potetti fare a meno
– Come sapevate?
– Ne ero certo, non te ne pentirai!
E così frastornato, tornai all’albergo, controllai il mio numero di conto corrente, mi erano stati depositati tre mesi di stipendio, cinque minuti prima, non acconti, ma a fondo perduto.
Tanta grazia!
Ecco quello che stavo pensando su quella panchina in aeroporto, quando per un caso, mentre fumavo una sigaretta all’esterno, vidi al di la del vetro, una ragazza, un flash, era particolare, aveva dei lineamenti vagamente familiari, pensai di essermi sbagliato, lei uscì fuori, era vestita in modo casual, scarpette di ginnastica, pantaloni larghi neri, una camicetta bianca e sopra un giubbino di jeans, borsetta tipo borsello a tracolla, si sedette su una panchina a circa dieci metri da me, non riuscivo a vederla in volto e dopo essersi preparata una sigaretta, iniziò a giocare con un gattino randagio, lo chiamò e lo accarezzò, lui faceva le fusa, ma i capelli a cascata non mi davano l’opportunità di vederla bene, solo quando alzò la testa e il gattino scomparve alla vista, si scostò i capelli, fu solo allora che mi ricordai, era lei, ma non feci in tempo ad alzarmi.
Ricevette una telefonata, spense immediatamente la sigaretta, si guardò intorno e si diresse dentro, ero ancora imbambolato, la vedevo, era corsa agli arrivi un uomo alzò la mano, lei corse e lo agganciò come sanno fare solo le donne innamorate, saltandogli addosso in un attimo, cingendo tutte e due le gambe all’altezza del suo torace, abbassai lo sguardo ma era forte la mia curiosità, volli vedere ancora, l’uomo automaticamente lasciò il borsone e la sorresse per le natiche e… in un attimo si trovò a terra con una pistola puntata sulla fronte all’altezza degli occhi, in pochi secondi arrivarono di tutto, polizia, carabinieri, fu ammanettato e scomparvero, ed anche lei scomparve.
Non mi ero ancora ripreso da quella scena vissuta in diretta, ascoltai l’altoparlante stavano chiudendo il mio imbarco, mi avviai velocemente, guardandomi intorno cercandola, ma non c’era più, sull’aereo comodamente in prima classe mi apprestai a passare quell’ora di distanza tra la mia vecchia routine e il nuovo incarico, avevo portato con me un libro, per ingannare l’attesa, ma non lo presi, stavo pensando a lei, mi ricordava una ragazzina che avevo conosciuto in oratorio tanti anni prima, eravamo a messa con tutti gli altri oratoriani, al momento della preghiera dei fedeli, ero emozionato, era la prima volta, ero stato scelto per un brano da leggere ed ero leggermente intimorito dalla platea della chiesa, fu lei, con un fermacapelli buffo nei capelli neri come la pece a farmi forza, mi diede la manina “Ce la faremo, andiamo!” e così, forte di quella sicurezza dovuto a quel contatto, andai alla grande,
Pianse tanto quando le comunicai che partivo vent’anni fa, da allora non l’avevo più vista e sentita!
L’appartamento era molto bello, mi piaceva, aveva due stanze da letto, un salone ampio, una cucina due servizi e un grande ripostiglio, ultimo piano, direi attico, con un terrazzo di circa cento metri intorno all’appartamento, posai i bagagli, l’auto, secondo le istruzioni la trovai al parcheggio dell’aeroporto ed avevo un garage molto spazioso, c’era posto per due auto, mi affacciai avevo una vista sulla città, sul mare e sentii i suoni di un luna park.
Erano ricordi di un ragazzino, ma i miei genitori mi portavano sempre a visitarlo e li mi inebriavo di quelle luci, dei colori, delle attrazioni, sentii il bisogno di evadere per quella sera e così scesi a piedi e dopo cinquecento metri in una villa molto grande piena di verde, vidi al centro i carrozzoni illuminati con tante persone intorno, adulti, anziani, bambini, famiglie intere, l’odore dello zucchero filato, la pesca dei pesciolini rossi, la bancarella che vendeva giocattoli, ad un certo punto mi sentii alle spalle, un piccolo colpo come se fossi stato colpito da una piccola pietra, mi girai, ma a terra vidi un turacciolo, lo presi, cercavo di capire chi mai l’avesse gettato, poi poco distante vidi una signora ben vestita che cercava di calmare un bambino
– Ma non, non l’hai perso Dario, ora lo cerchiamo.
E il bambino, piangeva più forte, lo vidi aveva un fucile giocattolo, di quelli che avevano un turacciolo alla fine legato con una cordicella, mi avvicinai
– Per caso è questo?
Mi guardò, non pianse più e sorrise, strappandolo dalle mani
– Ma si fa così? Lo scusi, hai visto l’ha trovato il signore…
Sorrisi
– Lo lasci stare, mi hai anche colpito lo sai?
Stavolta si nascose dietro la gonna
– Scusatelo è il mio nipotino, evidentemente non era stato messo bene il turacciolo ed è scappato, lo scusi!
Sorrisi, nel frattempo lo stavo rilegando alla cordicella
– Ma è un bambino signora, non si preoccupi, solo che la prossima volta non sparare se davanti c’è qualcuno.
E gli accarezzai la testa, uscì da dietro la gonna, disse di si e rispose
– Grazie signore.
Anche la donna sulla sessantina mi ringraziò sorridente e andarono via.
Sentii una stretta al cuore, poteva avere sei anni, anch’io avrei potuto avere una famiglia e un figlio come lui, ma non mi era stato ancora destinato.
La mattina successiva di buon’ora mi avviai al Centro Commerciale, presi l’auto perché era distante dal centro città, una decina di chilometri, era deserto a quell’ora, mi feci riconoscere dalla vigilanza, avevo il cartellino a banda magnetica per entrare nei locali e passeggiai per tutto il periplo del Centro.
Non c’è che dire, era proprio bello, già lo immaginavo con tante persone e mi recai presso la sede della vigilanza interna, li dalle telecamere potevo osservare tutto il Centro e il personale di servizio mi avvisò che venivano trasmesse tutte le immagini anche nel mio ufficio, per ultimo mi avviai in direzione, non c’era ancora nessuno, quattro scrivanie all’ingresso e poi una scrivania prima della mia stanza, era un ufficio notevole, iper accessoriato, il quadro delle telecamere erano a vista, poi tutti gli altri accessori per poter comunicare con l’intero centro e la sala, sentii bussare
– Avanti.
Un giovane sui trent’anni, come me
– Buongiorno Direttore, se vuole possiamo venire a presentarci.
Ero contento, rispecchiavano i protocolli che avevo insegnato nei corsi
– Certo!
E così si presentarono, ma grande fu la meraviglia, quando vidi l’unica donna del gruppo, era lei, la nonna della sera prima, anche lei era stupita, dopo aver stretto le mani agli altri, arrivai a lei
– Allora, ci rivediamo!
Diventò rossa, gli altri la guardavano interdetti
– Grazie, il mio nipotino l’ha raccontato a mia figlia ieri sera, era dispiaciuto.
– Vedrà, non gli accadrà più.
Almeno una persona la conoscevo, tenni il discorsetto, breve di inizio e poi tutti al lavoro, Elide così si chiamava la nonna, era il mio assistente personale, ne era fiera, lo vidi quando ci salutammo e iniziammo a lavorare.
Solo per rispetto, degli altri due predecessori, non chiesi nulla sulla loro morte, ma dovevo conoscere le azioni che avevano intrapreso e Elide, prima ancora che glielo chiedessi, mi portò le cartelline, era tutto codificato nei nostri GDO e lei era la più anziana di certo lo sapeva perfettamente, la ringraziai e continuai, mettendo le due cartelline nella mia valigetta.
La prima settimana volò, non ebbi il tempo di leggere le cartelline personali, ma lessi le loro direttive, poi si presentarono tutte le persone a capo dei vari dipartimenti, dalla manutenzione, alla pulizia dei locali, i responsabili della sicurezza esterna e delle videocamere e così di seguito, mi mancava solo il dipartimento della sicurezza interna, ma non ci feci caso, fu Elide a farmelo notare, telefonai e mi dissero che erano in attesa del loro nuovo comandante e si sarebbe presentato non appena fosse arrivato.
Elide non lasciava mai il lavoro, fino a quando c’ero io, glielo feci notare, e lei
– Non si preoccupi, fin che posso, l’aiuto volentieri.
La ringraziai e ci avviammo a casa, prima di salire, non avendo voglia di cucinare quella sera o di mangiare pre cotti, mi fermai in una bar-pizzeria, vicino casa, era la prima volta mi sedetti ad un tavolo, portavo con me la valigetta, presi le cartelline e diedi un’occhiata ai miei predecessori, avevano tutte le carte in regola, non ero io che li avevo formati, ma Enrico un mio collega, lo chiamai
– Enrico sono Luzio.
Sorpreso, vista l’ora
– Scusami, tu sai i nostri orari.
– Non ti preoccupare, dimmi?
– Sai che sono ad Olbia?
– E chi non lo sa, in un’indagine prima di essere chiamati dal Gran Capo, il capo del personale alla fine di una sua ricognizione sul personale dirigenziale concluse che ad Olbia non ci sarebbe andato nessuno.
Incuriosito
– Come? E perché?
– Luzio, non fare l’ingenuo, sai che ci sono stati dei morti.
– Si
– Suicidati?
– Si
– E non è strano?
– Non lo so, potrebbero aver avuto problemi personali, sai io non sono superstizioso.
Risata
– Ecco! Il Gran capo ti conosce bene, ma alla fine te l’ha proposto e tu accettato, sicuramente ben retribuito.
Azz! Sapevano tutto!
– Si, come certamente ben saprai, volevo chiederti qualche notizia, visto che sono stati tuoi corsisti, ho letto le loro cartelle personali e nulla fa evincere qualche problema serio, mi puoi dare una mano a farmene una ragione dei loro suicidi.
– Questo proprio no, quello che hai letto, lo so bene, perché l’ho scritto io, posso dirti che erano entrambi sposati, il primo Luca a Lecco e il secondo Remo a Roma, lo so perche facevano la spola quasi tutte le settimane non avendo portato le famiglie con se, giovani, forse troppo giovani per quell’incarico, ma dai loro curriculum e dai colloqui, ho notato una certa presunzione che rasentava l’arroganza, in poche parole, volevano emergere, una sola cosa li accumunava, erano entrambi superstiziosi.
Capii che non c’era null’altro da aggiungere
– Grazie, a buon rendere.
E ci salutammo!
Mangiai una pizza, era passabile, dissi che sarei ritornato, se fossi stato più attento, mi sarei accorto di qualcosa, ma ero immerso nei miei pensieri, sentivo la mancanza di quella stronza, purtroppo, era ancora viva la ferita.
La mattina successiva mi avvertirono che nel pomeriggio, sarebbe venuto il comandante della vigilanza interna del Centro e chiedevano se ero disponibile ad incontrarlo, Elide mi riferì ed io accettai per fine lavoro, alle diciannove ma aggiunse che lei non poteva esserci per il nipotino, le risposi di non preoccuparsi.
Puntuale alle diciannove, sentii bussare alla porta, per poco non mi veniva un infarto, davanti a me, mi ritrovai il vice comandante, tale Aldo e poi lei, quella ragazza l’avevo riconosciuta era quella dell’aeroporto di Napoli, ero così stupito che non vidi la sua mano in attesa della mia…”….
Nella vita non si deve dare nulla per scontato!
– Dino dove sei?
Guardai il cellulare, era Mia, il capo della mia Agenzia e per un caso del destino, mia sorella…
… lei uno scricciolo di donna e io un armadio, non avrei voluto rispondere, solo poche ore prima avevamo litigato a casa sua
– In palestra!
Dissi asciutto
– Vieni in Agenzia, ci sono delle novità!
– Non vengo!
– Non fare lo stronzo come sempre, vieni e basta!
Sferrai un pugno al pungiball davanti a me, mi aveva colpito come sempre, solo poco prima
“Sei testardo, cocciuto, arrogante e ambizioso, ma non hai portato a termine nessuno dei tuoi sogni, hai trent’anni ti rendi conto che è il momento di crescere?”
Aveva ragione!
E la cosa mi faceva incazzare, sono passati dieci anni e non avevo concluso nulla, ex giocatore di basket, ex giocatore di calcio, ex giocatore di tennis, ne avessi finito uno, quando era il momento di raccogliere, cambiavo e sbagliavo, forse l’unica cosa che avevo terminato, l’università, facoltà di lettere, era stata quella in cui non mi ero mai cimentato…eppure l’amavo a tal punto che mi ero laureato con centodieci e lode.
Raccolsi le mie cose, una doccia veloce e dopo un’ora arrivai all’Agenzia
– Sei arrivato veloce!
Era una frecciatina
– Se sei pronta ancora una volta ad offendermi, me ne vado e non mi vedrai più, contenta?
Pensavo che mi avrebbe urlato contro, invece rimasi di sasso, si alzò e volgendomi le spalle, era in silenzio, lasciai la borsa e mi avvicinai…
…piangeva in silenzio…
…l’abbracciai…
– Non me lo merito!
Dissi, mentre le asciugavo le lacrime, e lei, guardandomi negli occhi
– Sei rimasto solo tu, quando i nostri genitori ci hanno lasciato per andare in cielo, maledetto incidente, avevi vent’anni e io cinque di più, ti sei sbandato e io non sono riuscita a starti vicino come avresti voluto, avevamo questa Agenzia da portare avanti, il sogno dei nostri genitori, dare sicurezza alle persone in difficoltà…
Le spalle erano un sussulto dai suoi singhiozzi
-…mentre io ero impegnata a portare avanti il loro progetto, tu ti sei laureato e poi hai fatto tante cose senza portarle a termine, io so quanto vali, sei forte e generoso, ma mai hai voluto collaborare…
Mi abbracciò
-…ma ora è arrivato il momento di aiutarmi, senza il tuo aiuto devo chiudere l’Agenzia…
Sgranai gli occhi
– Perchè?
– …gli ultimi incarichi non hanno portato un utile tale da tenere aperta l’attività, cinque famiglie, compresa la nostra saranno sul lastrico tra qualche mese, dovremo dimettere tutti…
Deciso, non potevo stare lì ad ascoltare solo, la sua voce si incrinava sempre di più
-…cosa dovrei fare?
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.-.
Sul traghetto da Civitavecchia per Cagliati, mi risuonarono le parole di Mia
“Un’amica di mamma inglese mi ha chiamato per un servizio di sicurezza per un suo parente sardo ma emigrato venti anni fa in Inghilterra a Londra, un romanziere di settanta anni che ha deciso di tornare nella loro casa a Capo Teulada in Sardegna dopo anni, hanno bisogno di un secondo assitente per il Professore, ex docente dell’università a Londra, per la scrittura di un terzo romanzo che dovrà scrivere…”
E io
“Perchè noi?”
“Perchè la prima assistente dovrà assentarsi per brevi periodo per sostituirlo nella presentazione del suo ultimo romanzo in diverse città inglesi…”
“Non capisco lo stesso, noi siamo un agenzia di sicurezza..”
E lei
” A Capo Teulada hanno già tentato negli anni di ucciderlo con due attentati…”
“Azz”
“Già e allora oltre alla sicurezza hanno chiesto qualcuno che potrebbe trascrivere sul computer e laureato in Lettere, per ridurre al minimo la sua permanenza, prevista per il momento per un mese”
Ecco perchè!
“Solo per un mese?”
“Si, e per questo incarico, l’agenzia sarà retribuita con venticinque mila euro…e… se tutto va a buon fine, altri venticinquemila a fine mese”
La guardai e lei
“Ci servono!”
Non c’era da pensare dopo quello che mi aveva confessato
“Accetto!”
La sua faccia si illuminò
“Davvero?”
E io incosciamente
“Si”
” Grazie!”
Ed eccomi qui, su una corriera che aveva visto giorni migliori verso Capo Teulada!
Il caldo era insopportabile, eravamo ai primi di giugno, guardavo fuori dal finestrino e mi si strinse il cuore, dune e dune di sabbia che facevano un contrasto con il mare che si vedeva ogni tanto, non era un blu normale, a tretti diventa verde smeraldo, la corriera mi lasciò nei pressi di un bar, guardai in alto era il classico Bar dello Sport di antiche memorie urbane,entrai e una nuvola d fumo mi accolse, c’erano degli avventori al bancone centrale e altri seduti ad un tavolino, inutile dire che quando entrai, tutti smisero di parlare per qualche minuto, quando mi sedetti con il mio trolley vicino, ripreso le loro discussioni, venne un cameriere
– Desidera?
. Un latte di mandorla gigante ghiacciato.
. Certo!
E scomparve, lessi i miei appunti su un foglietto che mi aveva dato Mia
“Questo è il cellulare della sua prima assitente, si chiama Gin, la villa del professore è a Porto Pino, chiama e verrà un auto a prenderti”
Dopo essermi dissetato, vidi che al cellulare non c’era linea, quindi mi alzai per uscire dal locale e mentre pssavo vicino ad un tavolo con tre persone, sentii distintamente
“Il vecchio è tornato”
L’altro seduto
“Durerà poco”
Il terzo
“Ne sono certo”
Non so perchè, ma il mio istinto era attentissimo e pensai immediatamente che fosse rivolto a quel professore, uscii e
– Pronto?
Una voce di donna giovane, mi sembrava preoccupata
– Sono Dino!
E lei, sospirando finalmente rilassata
– Dove sei? Sono Gin.
– Al Bar dello sport a Teulada.
Pausa
– In fondo alla strada c’è un negozio di fiori, un quarto d’ora e arriverà un auto a prelevarti, non è il caso davanti al bar.
– Ricevuto!
E rientrai, quei tre avventori erano ancora seduti nello stesso posto, non so nemmeno il perchè, li guardai bene per memorizzare le loro facce.
Ovviamente seguii le istruzioni e dopo poco ero in auto con due persone, il guidatore
– Hai una pistola?
Strana domanda
– Si!
– Marca e tipo!…
…segue…
Roma stazione Termini.
Mai mi sarei aspettata quella raccomandata, ero certa che sarebbe stata solo una prova il partecipare al concorso in magistratura, che cavolo mi dicevo, ho solo venticinque anni e di certo ci saranno molti altri partecipanti più preparati di me.
Era un maxi concorso per 250 posti in tutta Italia, mio padre mi convinse e …
…dopo due mesi dal concorso mentre ero nel locale di mio padre a dare una mano, arrivò il postino e mi diede quella busta gialla indirizzata all’Avvocatessa Anna ……..
…mi tremavano le mani, aveva di sfuggita visto l’intestazione della busta
“Ministero di Grazie e Giustizia”
…mi trovai piegata in due per terra
– Anna che ti succede?
Non riuscivo a parlare, alzai solo la mano destra e mio padre prese il foglio, dopo poco
– Bambina mia, ce l’hai fatta!
Esclamò prima di abbracciarmi per terra, stavamo piangendo, ma fu solo un attimo, i miei occhi si rivolsero sulla mensola sopra la cassa, c’era una foto, era della mia mamma…
…guardai meglio…
…sembrava che sorridesse, strinsi ancora più forte mio padre
E lui
– Tua madre sarebbe orgogliosa di te, ma sono certo che da lassù sta esultando con noi.
Ecco!
Questo era quello che pensavo mentre ero in treno da Milano per Roma, ero stata convocata dal Ministero per conoscere la nostra destinazione di lavoro, dal documento si evinceva che ero la duecentoquarantaseiesima vincitrice…ma non mi importava nulla…avevo bruciato tutte le tappe della mia università e a solo ventitre anni mi ero laureata, partecipai l’anno successivo all’esame di stato e riuscii a vincerlo…
…e tutto questo perché mia madre era affetta da un male terribile e non volevo che lei non partecipasse alla gioia con me…
…e c’ero riuscita!
Ma…
… dopo la sua morte caddi in depressione, furono sei mesi terribili e mio padre tentò tutte le strade per farmi riprendere, lui non avrebbe voluto che l’aiutassi nel locale di mia madre, ma io ero irremovibile, avrebbe voluto che aprissi uno studio legale, ma non volli e allora accettò solo dopo che avevo promesso di partecipare al concorso in magistratura.
Avevo promesso e non potevo non mantenere, anche se questo mi costava molto, di giorno lavoravo con lui al ristorante e di notte studiavo per il concorso…
…ma alla fine aveva avuto ragione lui, c’ero riuscita e a soli venticinque anni!
Avevo prenotato una camera nell’albergo più vicino, mi rinfrescai e scesi, quando arrivai al Ministero mi tremavano le gambe, all’ingresso c’erano i controlli della sicurezza, versai quelle poche cose che avevo dalla mia borsa e nelle tasche
– Signorina perché è venuta al Ministero?
Ero così assorta che non avevo sentito, poi
– Signorina?
Mi girai e c’era un signore sui cinquant’anni che aveva un foglio in mano
– Mi scusi?
– Di nulla, dovrebbe rispondermi…
Era sorpresa
– …ho qui l’elenco dei visitatori ammessi alla Cerimonia di insediamento dei nuovi magistrati della repubblica e lei non è nell’elenco…
Disse continuando a guardare il foglio, la mano mi tremava, ma cercai di non farlo notare, dalla tasca della giacca presi la preziosa raccomandata che avevo lasciato per ultima nel consegnarla per i controlli e…
…fu un attimo, come vide la busta gialla e cambiò espressione, con una velocità notevole lesse solo il nome
– Mi dispiace, non avevo capito, ma ora so chi e lei.
E con un cenno della testa ai vigilanti immediatamente mi ridiedero le mie cose e si avvicinò
– Venga con me, l’accompagno io!
Ero meravigliata da quell’uomo e lui capì
– Sono il capo dipartimento delle relazioni con il pubblico.
Ecco perche!
Fu la mia fortuna, la testa mi girava per tanta bellezza, c’era uno scalone che saliva al piano superiore contornato di statue, alzai gli occhi e vidi una cupola fatta di vetro che emanava una luce abbagliante sui numerosi marmi che tappezzavano le pareti, ma nulla fu a confronto quando quell’uomo
– Ecco, siamo arrivati, prego!
Si spostò e mi sorrise
– Grazie.
Lui scomparve e io rimasi a bocca aperta, eravamo nell’aula magna più grande che io avessi mai visto, rimasi talmente stupita che non mi resi conto di una hostess che mi stava dando una cartellina, la presi in automatico ringraziando e mi guardai intorno, vi era una moltitudine di persone di una certa età, mi feci piccola cercando un posto alla fine per non farmi notare, ma inaspettatamente la hostess
– Dottoressa mi segua.
E come una imbambolata la seguii, ma quando mi resi conto che mi stava portando in una delle prime file
– Mi scusi, ma non penso che questo sia il mio posto.
E lei, indicando il palco
– Non sono io che ho deciso, è stato quell’uomo che è lì sopra…
Mi girai, ed era quella persona che avevo incontrato all’ingresso che parlottava con il Presidente
-…ci ha raccomandato di portarla qui!
E mi lasciò interdetta, di fianco avevo due persone di una certa età, una delle due all’altra
– Mi hanno detto che il Presidente deve fare un comunicato prima di chiamarci…
E l’altra
– Speriamo bene, ho l’aereo di ritorno a casa tra due ore e sono la tredicesima, non vorrei perderlo, chissà dove mi manderanno…
Per uno strano caso, si rivolsero verso di me entrambe a e all’unisono
– Lei è una giornalista?
Le guardai e non volevo essere scortese
– No, sono una vincitrice del concorso!
Si portarono le mani alla bocca e poi…
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
…segue…
Oggi doppio festeggiamento, il mio ventinovesimo compleanno e l’abilitazione ad esercitare come commercialista.
Iniziavo l’anno alla grande
– Allora hai preso tutto?
Mio padre, sempre premuroso
– Si papà!
Eravamo appena scesi dalla sede dell’Ordine dei Commercialisti
– Sei sempre della stessa idea?
Lo guardai, era stranamente preoccupato
– Si, era una promessa che ho fatto a me stesso e a nonno, non vedo l’ora di iniziare.
Fece un mezzo sorriso, lo sapevo che non era del tutto contento che io mi trasferissi a Palermo, già, la nostra famiglia era originaria di quella bellissima città nonché la capitale della Sicilia…
…ma.
Lo vedevo pensieroso, poi
– Ari…
Ero in procinto di entrare nell’auto, rimasi colpito, mio padre poche volte mi chiamava con il mio diminutivo e ogni volta c’era un problema
– Dimmi?
– Dovresti farmi un piacere, andiamo al solito caffè ci aspettano gli amici per salutarti e poi c’è una persona che ti vuole parlare.
Stupito, ma non meravigliato, ci avviammo, li conoscevo tutti gli amici di mio padre, mi avevano visto crescere dai quindici anni in poi, da quando ci eravamo trasferiti dopo la morte di mia madre colpita da un grave tumore che la portò a fine esistenza ad appena cinquant’anni, mi intristiva ricordarlo ma in quel momento non era il caso di rendere triste anche mio padre, c’erano professori universitari, due generali, uno dell’esercito e uno della Guardia di Finanza e medici
– Certamente!
Dissi sorridendo e solo allora vidi finalmente mio padre rilassarsi.
Quando arrivammo al bar-ristorante dove c’erano gli amici, fu festa grande, avevano messo dei festoni alle pareti e tutti mi fecero una gran festa…
…tutti tranne uno..
…lo vidi era zio Tore, stava in angolo in fondo al locale, si, mi aveva abbracciato quando ero entrato, era quello che si definisce un padrino, ma non in quella eccezione negativa, mi aveva cresimato e al collo tenevo sempre la sua collana con l’immagine di Santa Rosalia in un ovale di corallo sottilissimo
– Ari?
– Dimmi papà?
– C’è zio Tore che ti vuole parlare!
Mi avvicinai a zio Tore e mi accolse con un sorriso, mi aspettava, con il capo fece un cenno ad una persona che non avevo visto e dopo pochi minuti arrivò con una valigetta ventiquattro ore di pelle
– Vieni Ari, siediti vicino a me.
Già, era lui l’unico dopo mio padre che mi chiamava così, mi piaceva, era sempre stato per me presente, non mancava settimana che non ci venisse a trovare a casa e qualche volta pranzava con noi, si teneva al corrente dei miei studi e quando mi diplomai mi regalò un corso da pilota di elicotteri, era un sogno che avevo da tempo e dopo tre anni presi il brevetto tra la gioia di papà e sua, avevamo una governante, un poco su con gli anni, ma era stata per me come una nonna, mi chiamava “il suo ipotino acquisito”, già, perché lei aveva quattro figli sposti e tutti sparsi per il mondo e otto nipoti, quattro maschi e quattro femminucce, erano piccoli e lei ogni mese passava un fine settimana con un figlio, mio padre acquistava i biglietti e glieli regalava, lei non voleva, ma lui era contento così.
Lo guardai, dopo aver sorriso a quarantadue denti, quando arrivò la valigetta, divenne serio
– Non sai come sono contento per te, la tua laurea, la tua abilitazione sono stati dei traguardi che non vedevi l’ora di guadagnare…
Si fermò, una pausa piuttosto lunga guardandomi negli occhi
– … ma adesso, abbiamo bisogno di te!
Mi allarmai, non l’avevo mai visto così…
…e venni a sapere che:
-…dovresti farci una cortesia…
– Quale?
-…è il momenti di metterti al corrente che noi siamo proprietari di diverse cliniche in Italia…
Sgranai gli occhi, era una cosa che non sapevo, si, mio padre era da poco in pensione come medico di base e mai mi aveva accennato che zio Tore aveva delle Cliniche
– Noi?
Dissi sottovoce, anche perché la saliva era scomparsa dalla mia bocca
-…si noi, anche tuo padre e dei nostri!
Mi girai meravigliato e incrociai gli occhi di mio padre che lentamente fece si con la testa, evidentemente sapeva quello che lui mi stava raccontando
– Nostri? Mio padre? Ma perché non me l’ha mai detto?
Sorrise
– Fa parte di una regola che ci siamo dati!
Disse
– Regola? Quale regola? E poi chi sono gli altri?
Con la mano indicò un tavolo dove si trovavano alcuni amici che conoscevo molto bene
– Abbiamo iniziato da una ventina di anni e abbiamo investito i nostri soldi nell’aprire quelle strutture, reinvestendo gli utili abbiamo creato lavoro e allo stato abbiamo circa seicento dipendenti tra medici e personale sanitario, la regola che ci siamo dati e che solo noi dovevamo esserne a conoscenza ed è la nostra eredità per le nostre famiglie, noi solo i dodici come gli apostoli…
Lo fermai
– …come mai allora me lo stai dicendo?
Non rispose, ma
-…abbiamo fiducia in te!..
Stupito
– Ma?
-…ne abbiamo parlato in consiglio e avendo saputo che eri in partenza per Palermo, tutti hanno votato per darti un incarico come nostro commercialista aggiunto e socio di minoranza…
Stralunai gli occhi
– Socio di minoranza?
Sorrise
-… la nostra Società la Nettuno spa è quotata anche in borsa e ognuno di noi ha delle quote, per questo tuo incarico sotto copertura, ognuno è disposto se tu accetti l’incarico di donarti il dodici per cento delle quote globali…
Divenni molto attento
-…per far si che entri di diritto nel nostro Consiglio d’Amministrazione…
Annaspavo, lo fermai
– Perché zio Tore? Perché a me e non ad altri? Sono frastornato!
Mi prese una mano
– Abbiamo un grosso problema a Palermo!
E così venni a sapere che la Nettuno spa aveva allo stato attuale otto strutture e in procinto di aprire un’altra clinica a Ragusa, ma, quindici giorni prima avevano ricevuto una raccomandata dall’Agenzia delle Entrate dove veniva comunicato che in una struttura, quella di Palermo, dai riscontri effettuati e dalle tasse pagate, c’erano delle contraddizioni e quindi era partita una indagine patrimoniale su tutte le strutture comminando per il momento una multa di tre milioni di euro per i resoconti e il bilancio della Clinica di Palermo.
– Ma è pazzesco!
Esclamai
– Già, ma al momento abbiamo chiesto la rateizzazione in dodici mesi, perché siamo certi dei nostri Amministratori delle Cliniche…
Si fermò
-…tranne di quella di Palermo!
Mi venne spontaneo, mi stavo appassionando al racconto
– Perché?
Non mi ero reso conto che mio padre si era avvicinato
– Vedi Ari, un anno fa, uno dei nostro soci ha ceduto le sue quote della Società a sua figlia e ha preteso che lei divenisse la Direttrice della Clinica, fino ad oggi noi non abbiamo avuto problemi con lei, ma ora con questa multa relativa alla sua struttura abbiamo un problema e quindi abbiamo bisogno di infiltrare qualcuno come revisore dei conti a Palermo e zio Tore, con l’appoggio degli altri soci ha proposto la tua candidatura e ognuno di noi cederebbe un per cento delle proprie quote per te se accetti…
I conti non mi tornavano, ma zio Tore
– La struttura di Palermo non sa nulla di questo e poi sono io che ho ceduto il due per cento delle mie quote come regalo per la tua specializzazione che comunque saranno tue anche se non dovessi accettare questo incarico.
Ero emozionato e dopo questa dichiarazione e la presenza di mio padre contento, non potevo fare altro che approfondire e dopo avergli stretto la mano
– Grazie! In cosa consiste questo incarico?…
…segue…
Egitto – Il Cairo
Ho terminato di decifrare l’ultimo papiro ritrovato in una piramide del luogo e oggi sarà anche l’ultimo giorno della nostra permanenza in Egitto
– Papà, perchè dobbiamo andare via?
Quella stessa mattina mi si strinse il cuore
– Marina ho terminato il mio lavoro qui in Egitto!
Mise il broncio, le mani conserte e la testa bassa
– Non voglio!
Come darle torto?
Dalla sua nascita era vissuta in Egitto, era si, una cittadina italiana, ma amava quel Paese come se fosse stato il proprio, otto anni erano tanti e solo per la sua nascita a Roma si sentiva italiana, venne in mio aiuto Samira, la sua tata dalla nascita
– Professore sta facendo tardi!
La ringraziai con gli occhi e mi avvicinai a Marina
– Figlia mia, non sei la sola ad essere dispiaciuta…
Solo allora alzò il viso
-…allora?
– I nonni hanno bisogno di noi!
Gli occhi si illuminarono
– Davvero?
– Si, vedi avevo promesso che saremmo tornati in Italia non appena avessi terminato questo lavoro e ora è arrivato il momento.
Avevo toccato il tasto giusto, amava i nonni alla follia anche se li aveva visti e vissuti solo tre volte all’anno dalla sua infanzia, già, tornavamo da loro, per le feste comandate per quindici giorni e poi un mese intero quando arrivava la stagione estiva ed era libera dalla scuola.
Meno imbronciata
– Va bene!
La presi in braccio, si dimenò
– Papà!
– Che c’è?
– Non sono più una bambina!
La guardai fisso nei suoi occhi celesti, aveva una cascata di riccioli biondi in testa e era notevolmente alta per la sua età
– Per me sarai sempre la mia bambina!
Mi abbracciò forte
– Ora vai, preparati, poi Samira ti accompagnerà a scuola per salutare i tuoi compagni e alle quindici ci avviamo all’areoporto, va bene?
Non era convinta, ma ero certo che l’idea di andare dai nonni le piaceva molto
– Va bene!
Com’è strana la vita, quando meno te l’aspetti ti capitano cose che la stravolgono e…
… tutto da quel momento in poi non è prevedibile!
Questo pensavo mentre ero in auto del Ministero guidata dal mio autista personale Jussef, era lo stesso che dieci anni prima era venuto a prendermi in areoporto e per tutti questi anni aveva il compito di essere a disposizione per i mie spostamenti, da un cantiere all’altro dove si ritrovavano dei papiri…
…già questo era il mio lavoro, laureato in Archeologia a Roma, specializzato nel decifrare gli antichi papiri romani ed egiziani, partecipai ad un Concorso internazionale per il Museo del Cairo e lo vinsi, ero il più giovane ricercatore a soli trent’anni, ricordo bene il mio primo giorno, il Direttore del Dipartimento egizio, nel vedermi così giovane
“Lei è sicuro di farcela?
Ero intimorito, ma
“Glielo dimostrerò!
E così fu!
E dopo qualche mese fui candidato per la cattedra di Professore aggiunto, carica che ricoprii solo dopo due anni, ma questa fu la fine per me, con il senno di poi sarebbe stato meglio non partecipare a quel concorso, ma…
…il destino aveva deciso diversamente!
Già, quando fui nominato Docente all’Università del Cairo conobbi una collega Samantha, borsista per un anno, proveniva dagli Stati Uniti, fu un colpo di fulmine e la relazione fu improvvisa e travolgente, lei era troppo bella, statuaria, capelli biondi e occhi celesti e straordinariamente disinibita, forse se avessi ragionato di più non sarebbe accaduto quello che mai mi sarei aspettato, dopo circa un mese dalla sua conoscenza, impazziii per lei e andammo a convivere insieme, sembrava un eden, non vedevamo l’ora di essere a casa e…
…dopo poco…rimase incinta.
– Professore vuole che le prenda un caffè?
Era Jussef, mi risvegliai
– Si, grazie!
Fermò l’auto e nemmeno a farlo apposta eravamo arrivati nella piazza principale dove Samantha mi mise al corrente della sua gravidanza…
…ero incredulo e contento, l’abbracciai, ma subito dopo mi allontanò e fu il gelo…
“Vogli abortire!
…quelle che seguirono furono giornate infernali…
…segue…
(Anteprima di lettura di tre pagine su settantacinque pagine)
Il treno correva veloce, vedevo scorrere le immagini senza che riuscissi a focalizzarle, i miei pensieri erano altrove ed anch’io correvo veloce con i miei pensieri!
Per distrarmi sfogliavo un giornale del mattino e sorridevo, c’era un titolo a carattere cubitali nella pagina dedicata alla cultura e arte:
“Il Falco è scomparso!”
poi su due colonne, veniva raccontata parte della vita del Falco, la sua scoperta e il suo successo e sempre la stessa domanda
“Chi era il Falco?”
Già!
Chiusi gli occhi e come in un film iniziarono a passare le immagini di quello che era realmente successo nei miei primi trent’anni della mia vita, fotogrammi di attimi vissuti intensamente e pieni di contrasti.
Amavo l’odore dei colori e fin da piccolo disegnavo tutto quello che mi colpiva realmente imbrattando quello che potevo per la disperazione di mia madre, dalle pareti domestiche alle tovaglie della tavola.
Già, mia madre…
… sopportava tutto quello che facevo e nonostante la perdita precoce del marito, con solo le sue forze, riuscì ad inculcarmi i valori reali della vita, l’amore per la bellezza e il giusto rispetto per i soldi, era fiera dei miei progressi a scuola, ma nonostante ciò, quando terminai il liceo classico e le dissi che volevo iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti, si rifiutò di ascoltarmi.
E così mi ritrovai iscritto alla Laurea di Giurisprudenza!
Otto anni sono passati dal giorno della mia laurea, ricordo ancora oggi quel giorno…
– Signore biglietto.
E l’incanto svanì all’improvviso!
Mi risvegliai e persi i ricordi di allora, avevo la fronte madida si goccioline che scendevano silenziose.
Ma cosa stavo facendo?
Ero a Milano solo pochi giorni prima, si stava inaugurando una Mostra dei miei quadri, c’era tanta bella gente e io mi crogiolavo nell’ascoltare i loro commenti.
Nessuno sapeva che ero lì accanto a loro ed ero l’autore di quei quadri, solo una persona ne era a conoscenza, Loly la mia super agente, come se l’avessi evocata per telepatia, sentii un sussurro all’orecchio
Non la risposi, spostandomi lateralmente, intercettai un cameriere con un vassoio con dei bicchieri di spumante, presi due flute dal vassoio al volo e mi girai
Aveva l’aria così meravigliata, non potetti fare a meno di sorridere, ma lei senza perdere il suo self control
– Che diavolo vuoi dire ? Sai bene che qui tutti vorrebbero conoscere l’autore di questi quadri, nella prima ora della Mostra sono stati venduti già tre tuoi quadri e sono certa che basterebbe che dicessi che l’autore è tra di noi si scatenerebbe il putiferio per accaparrarsi una tua opera e avere una dedica sul retro del quadro….
Accigliato
Stavolta sorrise
-Non lo farò, stai tranquillo, non voglio perdere il mio autore preferito!
Tranquillizzato
-Si, sono contento di tutte queste persone, no, perché sono certo che quello che sto per dirti non ti piacerà.
-Cosa?
La presi sottobraccio e ci spostammo sulla terrazza, mentre il banditore dell’asta urlava
– Venduto!
In quel momento il treno ad alta velocità entrò in stazione, ero a metà viaggio, era arrivato a Roma Termini, presi i miei bagagli, era la mia fermata, mentre guidavo l’auto a noleggio, ricordavo quei momenti
– Tu sei pazzo!
Loly aveva gli occhi fuori dalle orbite, non riusciva a calmarsi, alla fine mi diede le spalle imbronciata e preoccupata dalle mie parole
– Non fare così, ne ho bisogno per davvero…
Passai davanti a lei in modo che mi potesse guardare negli occhi
-…devi capirmi, sono stanco di vivere la mia vita a metà…
Se avesse potuto mi avrebbe fulminato con quello sguardo
– Che significa?
Le presi la mano e la guidai verso un tavolino della terrazza, lei mi seguì senza dire nulla, ci accomodammo
– Non ti sto abbandonando, so quello che hai fatto per me in questi anni, ti voglio un bene dell’anima per questo ma…
Si svegliò dal torpore
– Ma?…
…segue…
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