Una seconda opportunità.

Una seconda opportunità.

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Descrizione

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Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.

Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!

Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.

Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.

Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.

Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono

– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!

Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino

– Per cosa?

– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!

Ero meravigliato, un provino? A noi?

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?

Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina

– Ma dove vai a quest’ora?

Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…

…suonò il campanello, erano loro!

E questo fu l’inizio della fine!

Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:

“The boys band”

I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti,  increduli …

…e così, ci perdemmo!

Imparai la lingua inglese, ma quando si dice che il successo da alla testa, non è un modo di dire, ma verità assoluta!

Oltre ai soldi, alle ragazze che ci saltavano addosso, arrivarono anche le droghe, prima leggere, poi sempre più pesanti, eravamo sottoposti a stress incalzante, dormivamo poco e male, fui l’unico a rimanere con i piedi ben piantati a terra, anche perché dopo due anni circa di quella vita, persi mio padre per un tumore che raggiunse mia madre, morta dandomi alla luce.

Fu il suo ultimo triste regalo!

Con un aereo dall’Inghilterra, messo a disposizione dalla produzione, lo raggiunsi prima di morire in ospedale tra le mie lacrime e con un filo di voce mi disse

“Ricordati quello che eri prima e cerca di non perderti!”

Mai parole furono più profetiche!

Quella frase rimase così impressa nella mia mente che da allora tutto cambiò, ma per Ludo e Dino purtroppo non andò così, nell’ultimo periodo Dino dovette essere ricoverato più volte per disintossicarsi dalla droga e Ludo subì la sua stessa sorte, non solo per la droga ma si aggiunse anche l’alcol.

La nostra avventura durò otto anni e poi?

Ci perdemmo di vista!

Passarono altri cinque anni da allora e quando mi informai su di loro, venni a conoscenza che Dino lavorava in Inghilterra come Chef in un ristorante di Plymouth e Ludo a Berlino oramai era parte integrante di una comunità di gay, queste furono le ultime notizie dei miei amici.

Quando il complesso si sciolse, cinque anni prima, mi ritrovai da solo, impiegai molto tempo per disintossicarmi da quell’incredibile successo improvviso e decisi di iscrivermi ad una scuola alberghiera, diventai Chef di partita addetto alla griglia e alle fritture, ero taciturno, mi stavo rinchiudendo sempre di più.

Di quell’incredibile avventura mi rimase solo un anello, era in oro con una placchetta nera in superficie con le nostre iniziali a forma di cuore incrociate, fu un regalo che ci facemmo il primo anno, pezzi unici forgiati da un artigiano olandese, promettendoci di non toglierlo e non cederlo mai a nessuno.

Ed eccomi oggi, quasi trent’enne, con un camper come casa e la mia attività al seguito, un food truck, grande come una roulotte per sei persone, modificato e acquistato a Parma.

Prima mi ero trasferito a Lecco, avevo lavorato in diversi ristoranti a Novara, Varese e Como, mi volevano bene tutti, ma non mi sentivo soddisfatto, mi piaceva far parte di una brigata, ma non mi piaceva essere un sottoposto, troppe pressioni in cucina e poi non sopportavo l’arroganza degli Chef, avevo messo da parte i soldi guadagnati con la musica e furono quelli che mi salvarono e mi diedero l’opportunità di finire gli studi e…altro!

Una sera uscendo dal ristorante di Como, una folata di vento a mulinello mi travolse,  riuscii a mettermi al riparo e mi ritrovai tra le mani un volantino, era la pubblicità di una Fiera a Parma dove venivano presentati modelli di automezzi adatti per la ristorazione mobile, nuovi e usati, quella notte non riuscii a dormire, ero alla ricerca di trovare la mia strada, poteva essere quella giusta, decisi di visitare la fiera.

E il giorno dopo…

…fu la giornata che cambiò tutta la mia vita!

– Come va oggi?

Ero in ospedale, pregavo e la guardavo, com’era bella, nonostante le ecchimosi sul viso fossero diventate viola, chiudendo gli occhi per un attimo, la rivedevo come la prima volta che l’avevo incontrata, una ragazza bella,  solare e piena di vita.

Adesso i suoi capelli biondi lunghi scendevano sulla copertina del letto d’ospedale inerti, gli occhi erano chiusi, ma conoscevo bene il loro colore, celesti come il mare, dai documenti della cartella clinica, ero venuto a conoscenza della sua età, trentuno anni, la mia stessa età, era in coma, respira solo con una mascherina e il suo corpo era avvolto in un vestaglia bianca come la neve attaccato a delle macchine che controllavano il suo stato di salute, avevo gli occhi velati dalle lacrime, sentii dei passi, alzai lo sguardo, era Nico il suo datore di lavoro, aveva un’agenzia pubblicitaria e lei aveva accettato di fare da promoter per un food truck di una compagnia inglese, era un brav’uomo, sui sessanta anni, venne alle mie spalle

– Non è stata colpa tua!

Era già passato un mese da allora, ma non riuscivo ancora a capacitarmi!

Quel giorno mi ero avvicinato a quel padiglione, l’ultimo della fiera…

… c’era tanta gente, bambini urlanti, venditori di ogni cosa, dai food truck fuoriuscivano profumi deliziosi, panini, patatine, sfogliatine, frittelle a ripetizione, fino a quel momento nulla mi aveva colpito, anche perché confesso non ero pienamente cosciente del perché fossi venuto, la giornata era fredda e nonostante i numerosi pannelli radianti accesi per emanare calore sia in basso che in alto appesi al soffitto, non si poteva passeggiare senza essere ben protetti tra i padiglioni.

Nulla mi aveva attratto veramente, la giornata era passata senza nessuna emozione, ero in procinto di allontanarmi dalla fiera, verso una delle uscite, notai un padiglione con i colori inglesi e una doppia bandiera enorme, quella inglese e quella americana, mi era di strada, mi incuriosì e quando mi avvicinai, la prima cosa che mi colpì, fu una ragazza, disinvoltamente vestita solo con una gonna e una camicetta invogliava le persone a visitare lo stand, la vidi batteva i denti, ma nonostante tutto elargiva un sorriso per tutti quelli che passavano vicini, anche per quelli che non rispondevano al suo invito, non so proprio perché lo feci, ma poco distante, c’era un piccolo bar montato su un automezzo, presi due cioccolate bollenti e

– Posso?

Era di spalle, si girò meravigliata

– Cosa?

Poi vide il boccale bollente, colmo di cioccolata con panna che le stavo offrendo

– Ma?

Le sorrisi

– Scusami, ti ho visto che battevi i denti…

Rispose al sorriso, prendendo il boccale

– Grazie, ma ci conosciamo?

– No, ma se è solo per questo, io mi chiamo Rino e tu?

Mi persi nei suoi occhi celesti, mi guardava incuriosita, mi stava analizzando

– Solitamente non sono mai così diretto, ma mi è venuto spontaneo, io qui coperto con cappotto, sciarpa e cappello come tutti qui dentro e tu…

Diventò rossa all’improvviso

– Spogliata?

Abbassai la testa, mi vergognavo, si è vero, l’avevo immaginata così

– …disinvolta!

Risposi…

…e sorridemmo, seguirono dei minuti imbarazzanti, sorseggiammo la bibita calda, mi ringraziò e ci sedemmo nei pressi dell’automezzo

– Mi chiamo Ivvy.

Un perfetto italiano con una inflessione straniera, spontaneamente

– Non sei italiana?

– No, sono irlandese e studio a Londra, il mese scorso ho risposto ad un annuncio di un’agenzia italiana per questo lavoro, il colloquio l’ho fatto a Londra, cercavano una ragazza inglese che conoscesse bene l’italiano, sai, questa Fiera è internazionale e la società produttrice di questi automezzi, voleva essere certa di raggiungere il maggior numero di persone di tutte le nazionalità, amo l’Italia e quindi ho colto l’occasione, mi veniva pagato alloggio e vitto per due settimane da trascorrere in Italia, oltre la Fiera, e tu?

Preso alla sprovvista con un grumo di cioccolata alla gola bollente

– Cosa?

Ero goffo, rosso dallo sforzo di ingollare quel grumo bollente

– Come mai sei qui?

Riacquistato un minimo di normalità mi resi conto che aspettava che parlassi, ma non avevo la risposta e così sinceramente

– Non lo so!

Non dimenticherò mai la sua espressione, era sbigottita, ma non aggiunse nulla, fummo distolti da una sirena

– La fiera sta per chiudere, riapre domani, devo andare, mettere in ordine, scusami, grazie per la cioccolata.

E si alzò, feci appena in tempo

– Ci vediamo domani?

Si girò contenta

– Se vuoi, io sarò qui!

Sorrisi

– A domani allora!

Quella ragazza mi aveva colpito, non riuscivo a chiudere gli occhi senza immaginarla, dormii pochissimo in attesa dell’alba ma il giorno dopo non potetti andare di mattina, fui chiamato da un avvocato per chiudere il rapporto di lavoro con l’ultimo ristorante, non potevo non andare, dovevano liquidarmi e quei soldi mi servivano  e solo nel pomeriggio inoltrato riuscii dopo aver definito la pratica con il mio ex datore di lavoro, accettai pur di andarmene via una somma lievemente inferiore a quella che mi doveva.

Presi l’auto e dopo due ore d’auto finalmente entrai in fiera, mi recai direttamente al suo padiglione, eccola, era la, stava parlando con una persona, mi vide, sorrise e i suoi occhi si illuminarono, aspettai poco distante e poi quando si allontanarono

– Pensavo che non saresti più venuto!

Fu sincera e io stupito e contento, aveva una sciarpa bianca al collo

– Scusami, sono stato impegnato, ma ce l’ho fatta!

Ero contento, mi stava aspettando, stranamente in questo secondo incontro ebbi l’impressione di un’aria familiare ma mi ripresi immediatamente pensando ad una sciocchezza, poi  fui distratto dall’avvicinarsi di una persona alle sue spalle, lei seguì il mio sguardo e lo vide, mi prese immediatamente per mano

– Venga le faccio vedere il food truck.

E mi trascinò verso l’automezzo, l’uomo

– Ivvy, non è possibile, tra poco suona la sirena di chiusura della fiera e dobbiamo andare.

Ma lei incurante delle sue parole

– Venga, le faccio vedere!

E così entrammo nell’automezzo

– Scusami, ma non potevo fare in altro modo, oggi è l’ultimo giorno della fiera, almeno qui non entrerà nessuno.

Non ascoltavo nulla, guardavo solo la sua bocca, era bella e a forma di cuore, rimasi incantato, mi venne un’idea

– Se vuoi ti aspetto fuori, nulla di impegnativo, mi farebbe piacere, andiamo a mangiare una pizza come due amici, conosco un posticino poco distante, è carino, è confortevole….

Mi fermò, con la sua mano appoggiandola sulla bocca, chiusi gli occhi per un attimo, mi piaceva quel contatto, poi li riaprii immediatamente, era meravigliata ma annuì contenta e uscimmo, mi feci da parte per farla uscire per prima e…

…tutto accadde in un attimo, un pannello radiante si staccò dalla cupola e la colpì di striscio, feci appena in tempo a rientrare nell’automezzo e poi la vidi lì per terra con il sangue che le usciva dalla testa, urlai e non si capì più nulla, dopo poco si sentì la sirena dell’autoambulanza!

Mentii spudoratamente in ospedale, con la mia auto seguivo l’autoambulanza in modo spericolato, entrò nel pronto soccorso era in codice rosso in sala operatoria, volevo seguirla, ma mi fermarono

– Lei è?

Immediatamente

– Il suo… fidanzato, fatemi andare, voglio vederla…

Ma fui bloccato da due agenti della sicurezza, mi portarono di peso nella sala d’aspetto

– Stia qui!

Ecco quello che successe in quella giornata indimenticabile, paonazzo mi guardai intorno e vidi quell’uomo, quello della fiera con un cappotto e una borsa di donna in mano, aveva appena ascoltato la mia risposta agli agenti della sicurezza, si avvicinò

– Non sapevo che avesse un fidanzato qui in Italia, ora capisco, perché ha accettato, ecco tenga.

E mi diede il suo cappotto e la sua borsa, non dissi nulla

– Non si preoccupi, vedrà si riprenderà!

Singhiozzavo, se solo non l’avessi raggiunta in serata, nulla sarebbe accaduto, ma ora? Chissà colpito dalla mia reazione, abbracciavo con forza quello che mi aveva dato, disse con una voce dolce

– Stia tranquillo, vedrà tra poco avremo buone notizie.

Ma così non fu!

Arrivò un agente, mi scortò dal medico di servizio, dalla borsa presi i suoi documenti per la registrazione e mentre lui digitava al computer

– Dottore?

E lui scuotendo la testa si alzò e con fare premuroso e preoccupato mi strinse la spalla con la mano

– E’ in coma!

Ero sul punto di sentirmi male, mi cadde il mondo addosso!

Lui continuava a parlare ed io ascoltavo come se fosse stato lontano chilometri, il pannello aveva colpito la parte superiore del cranio, era stata operata per rimuovere un edema, ma aveva perso i sensi ed era in stato incosciente, in coma.

I primi cinque giorni furono terribili, Nico, quell’uomo che l’aveva assunta faceva la spola tutti i giorni ed io non mi spostai dall’ospedale, era nel reparto di rianimazione e aspettavo con ansia il momento di entrare e starle vicino, ma era…

…difficile esprimere a parole quello che sentivo, ero vuoto dentro, non mangiavo da giorni, tant’è che il personale del reparto con dolcezza mi obbligarono dopo un poco a mangiare qualcosa

– Se non stai bene, lei come farà a riconoscerti?

Li accontentai di malavoglia, fu allora che presi quella decisione, non mi sarei allontanato da lei!

Nico mi assicurò che tutte le spese mediche sarebbero state coperte dall’assicurazione, la dirigenza della fiera stava valutando il….

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…segue…
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