Tutta colpa di un’anatra!

Tutta colpa di un’anatra!

15,00

Descrizione

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Aosta

– Dott.ssa ho una bella notizia per lei.

Il cellulare iniziò a tremare

– Quale?

Quel silenzio non finiva mai

– Allora?

Si sentì un sorriso

– Sono uscite le graduatorie del Concorso Nazionale, lei è tra le prime venti…

Lanciai un urlo, poi recuperai il cellulare volato sul divano

– E…

– Le è stato assegnato l’incarico nella sua regione, l’aspetto per la firma di accettazione nel mio ufficio.

Non riuscivo a crederci

– Grazie Direttore, ci vediamo in ufficio.

Questo era successo una settimana prima, ora mi trovo sull’autostrada per Reggio Calabria, finalmente ritorno nella mia regione, dopo una gavetta durata dieci anni, tra le montagne della Valle d’Aosta e Trentino.

In ufficio fu prima festa grande per me, non avevo mai nascosto il mio desiderio di tornare a casa, poi venne il momento commovente ed emozionante degli addii, non so quanto ho pianto, volevo essere forte, ma alla fine, crollai.

Tutti, si erano affezionati a me e tutti mi diedero una mano a svuotare la mia villetta, con me avevo solo una valigia e un trolley, il resto era stato già inviato presso uno spedizioniere a Ragusa in attesa del mio arrivo tre giorni prima, un mio cugino Alfio mi avvertì che tutto era stato trasferito in un locale della ditta.

Gradualmente scendendo per l’autostrada mi liberai dei vestiti pesanti, eravamo in primavera e quando arrivai a Reggio Calabria, per imbarcarmi sul traghetto per Messina, avevo un vestito leggero a maniche corte con solo un foulard al collo, quello di mia madre, finalmente sentivo il caldo dopo per anni aver sofferto il freddo, per un’anima mediterranea come me, avevo sofferto tanto, ma mai, dico mai, avevo abbandonata l’idea di ritornare nella mia Sicilia.

Appena laureata, per un moto di ribellione verso la mia famiglia, partecipai ad un concorso, avevo 23 anni e non sopportavo l’idea che mio padre si risposasse dopo la morte di mia madre avvenuta solo due anni prima, non era un astio nei confronti di quella donna, ma, avrei desiderato che mio padre non avesse fatto una cosa così affrettata, non mi ero ancora ripresa da allora e i nostri contatti furono irrimediabilmente troncati, non avevo più nessun padre mi ripetevo e alla fine mi convinse che così fosse, onestamente lui cercò in tutti i modi di riallacciare il rapporto, più di una volta, nonostante il suo carattere  e la sua indole, venne a trovarmi, ma furono momenti di imbarazzo totale, il tempo di un caffè insieme e nulla più.

Eravamo simili, troppo simili e distanti!

Al contrario i parenti di mia madre, erano costantemente al corrente di quello che facevo, in particolare una sorella di mia madre non mi lasciò mai da sola, per diverse stagioni estive venne in montagna a farmi compagnia, accampò la scusa che i medici le avevano prescritto aria di montagna, per una sua malattia, non ho mai saputo di quale malattia e non l’ho mai chiesto, sapevo era tutta una scusa per stare con me e tanto mi bastava.

Fu proprio a farmi arrivare la notizia del primo concorso e fu sempre lei che mi esortò a partecipare, dieci anni non sono pochi e quasi mi stavo abituando a quello stile di vita, è vero, non sopportavo tante cose, ma tutto passava in secondo ordine, quando vedevo che il mio lavoro era gratificato.

Amavo il mio lavoro e tutti mi chiamavano Dott.ssa Emy, per loro era difficile accettare il mio nome, Emilia, quindi lo troncavano per fare prima.

Si mi chiamavo Emilia, come la mia nonna materna, mio padre mal sopportava sua madre, l’accusava di aver fatto delle preferenze nei confronti dei fratelli a suo discapito e quindi quando venne il momento, disse a mia madre di scegliere lei il mio nome e lei dopo aver tentato inutilmente di convincerlo che non era giusto nei confronti della suocera, restò irremovibile sulla sua decisione e lei volle donarmi il nome di mia nonna.

L’ho portato fin da piccola con fierezza, anche se non riuscivo a capire, perché l’altra nonna, non mi chiamasse mai per nome, poi venni a conoscenza della verità, avevo quindici anni, il giorno dopo all’uscita della scuola, non ritornai a casa mia, ma mi presentai da nonna Emilia

– Piccina, che ci fai qui a quest’ora?

Non le risposi, l’abbracciai

– Solo ieri sono venuta a conoscenza…

La guardai, aveva le lacrime agli occhi, con una mano sulle mie labbra

– Ne ero certa…

– Di cosa?

– Ieri sera mi ha telefonato tua madre raccontandomi tutto…

Ero meravigliata, volle farmi sedere sulle sue gambe

-…alla fine le ho detto di stare tranquilla, sapevo che saresti venuta da me oggi, ne ero certa, vedi Emilia, anche se non porti il mio nome, hai parte del mio sangue nelle tue vene e in questi anni ho notato anche parte del mio carattere, sono io che ho sbagliato, quindi…

Non la feci terminare

– Grazie nonna, che bello sentirmi chiamare da te per la prima volta con il mio nome.

Ci abbracciammo e rimasi a pranzo da lei, dopo aver avvertito mamma che non fu per nulla meravigliata, mia zia morì poco prima della laurea e mia nonna Emilia due anni prima e dopo circa un mese dalla laurea in veterinaria fui chiamata dal Notaio, mi accompagnò mio cugino Alfio, all’epoca già io e mio padre non ci parlavamo più, vivevo da sola a Palermo in una casa condivisa con altri studenti di veterinaria a Palermo, vicino all’Università fin da quando avevo iniziato il corso di laurea

– Alfio, ma che vuol dire questa raccomandata

Non mi rispondeva

– Alfio, sai qualcosa?

Eravamo sulle scale dal notaio, si fermò

– Si, ma non posso dirti nulla.

Sbigottita

– Perché?

E lui serio, avevamo la stessa età

– L’ho promesso a suo tempo a nonna Emilia e a mia madre.

Non chiesi più nulla, ma quando uscimmo, dovette sostenermi, piangevo a dirotto e cercava di calmarmi

– Non fare così, ti prego, farai piangere anche me, mamma mi aveva già avvertito del gesto di nonna Emilia, era stata lei a chiamarla per avvertirla “vorrei lasciare un mio ricordo ad Emilia, ma l’avrà dopo la laurea” e mi chiese di non dirti nulla.

Non disse altro, restammo abbracciati per lungo tempo, alla fine riuscii a dire solo

– Grazie, non me l’aspettavo.

E lui, stavolta piangendo

– Sono contento per te!

Ecco quello che pensavo sul traghetto per Messina, non smettevo mai di ringraziare lei e vinsi il successivo concorso nazionale proprio in quella provincia Ragusa, quindi avevo deciso di abitare quella casa, quella che lei mi aveva donato a Pozzallo.

Per tutti gli anni della mia lontananza fu Alfio ad amministrare quella casa per me e io gli volli riconoscere per il suo impegno il cinquanta per cento del fitto mensile durante i mesi estivi, lui non voleva, ma alla fine mi ringraziò, disse che quei soldi avevano contribuito all’acquisto della sua casa quando finalmente coronò il suo sogno di sposare, la sua compagna di università a Palermo, ora era padre di due bambini, un maschio e io fui la madrina al suo battesimo della femminuccia.

Nonostante la bella giornata primaverile, in mare aperto, iniziarono lentamente e poi sempre più forti gli ondeggiamenti, bastarono pochi minuti e il mare si ingrossò, il capitano consigliò a tutti i passeggeri di rimanere sotto coperta, anch’io fui travolta da quel cambio repentino del mare, cercai un posto dove ripararmi, poi l’adocchiai, era in fondo vicino alla scaletta che portava al garage, certo, non era la prima volta che mi succedeva, ma sarà stata la lontananza per tanti anni, non ero più resistente come prima, con difficoltà riuscii ad attraversare la sala, cercando di non pestare nessuno e stavo quasi per arrivare alla meta, quando, passando davanti al bancone del bar, vidi solo un ciuffo di capelli rossi e una voce che urlava

– Staiu pi moriri aiutatemi (sto per morire aiutatemi).

Mi bloccai all’improvviso, era un giovane con gli occhi chiusi che batteva con forza la mano destra sul legno, tanto da ferirsi

– Stia fermo e mi ascolti, deve fare quello che le dico io!

Si bloccò, guardandomi stralunato

– Si ‘na Maronna (sei una Madonna)

Nonostante gli ondeggiamenti, non riuscii a non sorridere mentre stavo lentamente cercando di farlo rialzare

– Magari!

Con qualche difficoltà, riuscimmo a staccarci dal bancone del bar, dopo averlo fatto sedere sul posto che avevo adocchiato

– Ora, fermo così, metti la testa in mezzo alle gambe e non muoverti!

Sarà stato il mio tono, sarà stato che oramai mi credeva una figura divina, fece esattamente quello che gli avevo detto, fu allora che notai le ferite alla mano, scendevano gocce di sangue, tornai al bancone agguantai una bottiglia di gin, poi in un cassetto, trovai un canovaccio bianco pulito

– Ora ti farò del male, ti brucerà, ma è necessario.

Stava per rialzare la testa

– Fermo!

E versai il gin sulle ferite, cacciò un urlo e avvolsi il canovaccio stretto, con l’altra mano cercava di fermarmi, ma riuscì solo a prendere il mio foulard

– E’ tutto passato, non muoverti!

Vedere un uomo in quello stato non è certo piacevole, ma era l’unico modo per aiutarlo, ma ora ero io che avevo bisogno di sedermi, si era liberato un posto su un divanetto distante, non ci pensai due volte e lo raggiunsi, finalmente chiusi gli occhi in attesa che tutto si calmasse.

Il traghetto per non andare incontro alla bufera, aveva dovuto fare una manovra più lunga e il capitano avvertì i passeggeri, era una prassi comune e nessuno protestò, non so come mi addormentai e quando mi svegliai cercavo con le mani il mio foulard, poi mi ricordai tutto, guardai verso quel posto dove avevo lasciato quel giovane, non c’era più nessuno, il mare si era calmato e il comandante ordinò di rientrare nelle auto in garage, eravamo prossimi all’arrivo, mi guardai intorno alla ricerca di quella persona, ma nulla, era scomparso, anche in garage feci la stessa cosa, ma non potetti scendere al primo livello e dovetti rientrare in auto, si ero dispiaciuta, quel foulard apparteneva a mia madre e sopra aveva a suo tempo ricamato il mio nome, pazienza, avevo aiutato una persona e questo mi faceva piacere, cos’altro potevo fare, nulla!

Alfio, mi aveva avvertito che l’appartamento era ammobiliato, mi disse

“Prima di far portare le tue cose, dai un’occhiata e vedi quello che non ti serve e quello che potresti acquistare, la casa ha tutto, puoi abitarla anche così, per adesso, mia moglie ha pulito tutto.”

Ascoltai il suo consiglio e una volta scesa a Messina, ancora scombussolata per la traversata, ingollai un caffè di corsa al bar della stazione portuale e mi avviai, mi aspettavano tre ore di macchina, ma la gioia di essere finalmente a casa, alleviava e non poco, la fatica dl viaggio.

Avevo l’appuntamento per l’accettazione della mia nomina al Dipartimento di Veterinaria, due giorni dopo, la strada non era del tutto agevole, ma la vista del mare, mi ripagò un poco, dopo circa due ore e mezzo, quasi alla meta, decisi che era il momento di fare una pausa, ero nei pressi di Avola, lo stomaco iniziava a borbottare, erano quasi le 13.00 e non me ne ero resa conto, c’era un’insegna che suggeriva un ristorante all’uscita di Avola LaPruaRestaurant, senza pensarci due volte, uscii e dopo un quarto d’ora, ero seduta a tavola.

Il menu era un invito a nozze per me, abituata a canederli e ravioli in tutte le salse, prometteva pesce freschissimo, il locale era arredato con gusto e modernità, nonostante la giornata feriale, c’erano cinque tavoli completi, mi piaceva, mi stavo guardando intorno e non mi accorsi di una cameriera che era in attesa, poi girando la testa

– Desidera qualcosa in particolare?

Era molto carina e giovane, parlava sorridendo

– Cosa mi propone?

– Stamattina abbiamo avuto un pescato freschissimo, se gradisce un piatto unico le posso consigliare, un antipasto a base di molluschi e poi delle tagliatelle con asparagi, scampi, gambero e ciliegine.

Lei parlava e l’osservavo, non aveva per nulla l’aria di una cameriera, ascoltai e poi immaginavo quei piatti che lei mi stava proponendo

– Perfetto!

– Le porto un prosecco e poi del vino bianco di nostra produzione ghiacciato?

Mi piaceva l’idea

– Certo, ma mi tolga una curiosità.

Lei stava per andarsene ma con calma fece marcia indietro

– Mi dica?

– Lei non è una cameriera, vero?

L’avevo stupita, meravigliata

– Com’è ha fatto a capirlo?

Sorrisi

– Sono stata via per tanto tempo e vivendo al nord e frequentando quasi quotidianamente dei ristoranti, ho imparato a conoscere tutti i diversi lati dei camerieri, lei non ha nessuno di quei caratteri, è gentile, disponibile e sento che quando parla dei piatti, una certa passione.

Si illuminò

– Sono la figlia del proprietario e mio marito e lo chef del ristorante…

– Avevo visto giusto e lei di cosa si occupa…

– Sono un’imprenditrice agricola e curo l’azienda di famiglia con mio fratello a Pozzallo.

Mi meravigliai, proprio dove ero diretta io, mi resi conto forse di essere stata troppo diretta e ficcanaso

– Grazie e scusatemi, ma noi donne siamo curiose per natura.

Sorrise

– Di nulla, comunque io mi chiamo Anna e ora vado se no rischio di non farla mangiare, mio marito non ha nulla di precotto e fa tutto al momento, questo è uno dei nostri punti di forza.

Mi sembrava giusto

– Io mi chiamo Emilia, grazie, aspetterò per gustare le sue prelibatezze.

Dopo poco ritornò con il prosecco e dei crostini di pane con una salsina, scomparve prima di poter chiedere cosa fosse, presi distrattamente il cellulare e controllai i messaggi, erano presenti dieci messaggi, cinque di colleghi che mi auguravano buona fortuna e due di mio padre e tre di Alfio, scartai quelli di mio padre e lessi gli altri, mi commossi nel leggere i messaggi dei colleghi, e verità assoluta, ci si accorge delle persone quando mancano e così era per loro, potevo asserire con nessuna probabilità di sbagliare che solo adesso si erano resi conto del lavoro che effettuavo, tant’è, che due dei miei ex colleghi, dopo avermi augurato ogni bene, mi chiedevano dei consigli su due problemi che stavano affrontando senza di me.

Sorrisi, compiaciuta e distrattamente, presi uno dei crostini e dopo lo bagnai con quella salsina portandolo alla bocca, stavo per leggere i messaggi di Alfio, quando fui piacevolmente colpita, un sapore inteso mi colse all’improvviso, le mie papille gustative erano tese ad assaporare ogni sfumatura, un sapore leggermente piccantino mi spinse a sorseggiare il prosecco e fu solo allora che riuscii a cogliere in pieno il gusto di quella salsina.

E in men che non si dica, dopo poco avevo terminato i crostini e dato fondo alla salsina, ero soddisfatta aveva stimolato il mio appetito, lessi i messaggi di Alfio, erano dei due bambini e la più piccola

“Zia verremo presto a trovarti, fammi trovare qualcosa di gustoso da assaggiare”

Chiusi gli occhi e me la vidi, aveva capelli biondi come la madre, un caschetto alla maschietto e tante lentiggini in volto come il padre a cui somigliava molto, era carina ed era affezionata moltissimo a me, come un lampo in quel momento mi resi conto che desideravo fortemente avere una famiglia, mi stavo intristendo, poi

– Ecco l’antipasto!

Aprii gli occhi, era Anna

– Qualcosa non va?

Forse era talmente evidente la mia espressione, ma mi ripresi subito

– No, anzi, ho appena finito di gustare questa salsina con i crostini, è favolosa!

Divenne rossa all’improvviso

– Grazie.

Mi meravigliai

– E’ la verità.

– Grazie, questo è un prodotto della nostra azienda, grazie.

Volevo chiedere di più, ma fu chiamata e dovette allontanarsi, gustai tutto, era tutto buono, le tagliatelle erano favolose e finalmente mi riconciliai con la mia terra, per ultimo lessi i messaggi di mio padre, si congratulava per il mio trasferimento e mi avvertiva che sarebbe venuto presto a trovarmi.

Fu l’unica nota negativa!

Quando riuscii a contattare Anna, chiesi il conto e dopo aver pagato, lei mi volle accompagnare alla porta

– Questo è per lei.

Mi disse porgendomi un piccolo vasetto, ero meravigliata

– Ma non mi dire, è….

Era contenta

– Si quella salsina e un piccolo omaggio per lei…

– Chiamami Emilia, ti prego.

Stupita, non ci riusciva, certo ero più grande di lei, ma non penso di molto, poi si fece coraggio

– Per te Emilia, bentornata nella nostra terra e quando vuoi vienici a trovare.

– Grazie Anna, penso di venire spesso, grazie.

Imbarazzate ci salutammo con un abbraccio e con quest’animo mi rimisi in marcia per andare a casa.

Era passato un mese, il mio appartamento era molto confortevole, non era piccolo, anzi aveva due camere da letto e un bel salone spazioso, la cucina era grande e intorno aveva una balconata, dava sul mare, era in un palazzo al terzo piano, mi piaceva, nei momenti liberi acquistai qualche mobile, come una scrivania e una libreria per mettere i miei libri e un porta computer, elemento indispensabile per il mio lavoro.

Già il mio lavoro, nota dolente!

Il mio ambiente di lavoro non era male, ma ero anche l’ultima arrivata e il Capo Dipartimento dopo la mia presa di servizio, mi destinò ai controlli delle aziende che avevano avuto dei provvedimenti disciplinari, non era certo il massimo per me, anche perché venivo da un luogo dove ero operativa e svolgevo la mia professione in diversi campi, ma in particolare alla cura dell’alimentazione degli animali, quindi visite periodiche degli allevamenti e controllo degli andamenti in caso di malattia.

Qui, invece, dovetti per forza fare buon viso a cattivo gioco, nessuno voleva prendersi questa rogna, anche perché se le aziende non ottemperavano ai provvedimenti, ero responsabile della loro definitiva chiusura, decisone da prendere dopo aver trasgredito per tre volte ai nostri provvedimenti e a nessuno faceva piacere prendersi questa responsabilità che portava malumore e relativi conseguenze giudiziarie, si poteva arrivare anche all’arresto dei titolari d’azienda.

Proprio per questo, mi furono assegnate due vigili sanitari che periodicamente svolgevano i controlli con me, ma spesso, almeno in quel mese, capitò più volte di non averli per sopraggiunte emergenze sanitarie, non era previsto dalla legge ma così mi capitò quel giorno, dovevo recarmi in località Granelli per visitare un allevamento di polli per un controllo a sorpresa, erano accusati di utilizzare antibiotici in forma massiccia nell’alimentazione dei volatili, sia per aumentare la produttività e per evitare possibili epidemie.

Fu un’esperienza da dimenticare, non appena arrivai con l’auto di servizio nel cortile, non feci nemmeno in tempo a scendere che fui accolta con degli spari di fucile, non ci pensai due volte, rimisi in marcia e dopo una certa distanza feci la segnalazione al Dipartimento, fu concordata un’azione con i vigili sanitari e i carabinieri da fare in altra data ma mi fu consigliata di depositare denuncia ai carabinieri per quello che mi era capitato, cosa che feci immediatamente, e che cavolo, ero pur sempre un pubblico ufficiale!

Ecco l’animo con cui ripresi la strada di ritorno, il Capo Dipartimento mi disse che per quella giornata ero esentata di ritornare in ufficio, ero scombussolata e lui sapeva bene di cosa si trattava, stavo rimuginando sull’accaduto quando dovetti frenare all’improvviso, davanti a me sulla strada si era posata un volatile, frenai per non investirlo, ma quando lo guardai attentamente, non riuscivo a crederci, era un anatra Kaki Campbell, spensi il motore, ma in un attimo riprese il volo, scesi dall’auto e la seguivo con lo sguardo.

Incredibile, solo una volta l’avevo vista in Inghilterra, quando fui inviata per un aggiornamento internazionale, in una delle visite guidate da parte dell’organizzazione veterinaria della Cornovaglia, ci fecero visitare un allevamento di tale razza, ne fui talmente colpita che alla fine dell’aggiornamento, come risultato finale, la mia tesina fu proprio su questo volatile e già allora, circa cinque anni fa, relazionando al mio ritorno, espressi l’auspicio che tale razza potesse essere allevata in Italia per le sue proprietà specifiche, sia per la carne che per le uova.

Non so nemmeno il perché, ma cercai di dirigermi dove l’avevo vista volare, ma nulla, non era possibile, rischiavo di perdermi, quindi dopo un poco ritornai all’auto, ma una volta a casa, dopo una doccia ristoratrice mi stavo accingendo al computer, volevo fare delle ricerche, suonò il citofono

– Pronto

– Un pacco per lei, bisogna firmare.

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

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