La forza della verità.

La forza della verità.

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Descrizione

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Mi chiamo Rosario Adalberto Castelmonte, sono un giovane avvocato penalista, non so bene perché sento il desiderio di scrivere questa storia, ma mi ha cambiato la vita, forse sarà per non dimenticare, forse per dare coraggio a chi non ce l’ha o a chi l’ha perso, forse… chissà!

Sono in procinto di entrare in tribunale, sono l’avvocato difensore di una persona, fin qui tutto è normale, ma non per me, la persona in questione è stata accusata sette anni prima, di essere stato l’esecutore della morte dei miei genitori fatti saltare in aria con una carica di tritolo ed è stato condannato all’ergastolo.

Ma andiamo per ordine, così si potrà capire meglio come sono arrivato a questa decisione, in nome di chi o di cosa e perchè sono così emozionato, oggi!

Tutto è iniziato un anno prima, fui chiamato da un notaio di Reggio Calabria, i miei zii mi diedero la notizia della sua convocazione al ritorno dallo studio di un avvocato dove avevo percorso e terminato il periodo di praticantato e dove mi stavo preparando per l’Esame di Stato per l’abilitazione alla pratica forense, guardai la busta

– Cos’è?

Ero molto meravigliato, vedevo mia zia Anna titubante mentre mi porgeva la lettera aperta, sull’indirizzo, c’era il nome di mio zio e poi sottolineato a mano, per l’Avv. Rosario Adalberto Castelmonte

– E’ per te!

Solo due righe:

“La signoria vostra è attesa alle dieci del giorno 23 allo studio del notaio Persepoli alla via Avellino – Reggio Calabria”

Entrò zio Antonio, ostentava un’aria tranquilla, ma si vedeva, era agitato

– Lo conoscete zio?

Lui mi guardò strano

– No Rosario, ma penso sia importante, la lettera è stata portata a mano da un corriere venuto apposta da Reggio Calabria un’ora fa.

Era chiaro, quei due mi nascondevano qualcosa, ma feci finta di non averlo capito

– Ma come faccio, domani nel pomeriggio ho gli esami di stato per l’abilitazione.

Entrò Sara la governante di casa

– La cena è pronta!

Si alzarono contemporaneamente, poi mentre stavano per uscire dal salone

– Non vieni?

Erano sette anni che vivevo con loro, a Gioiosa Ionica, avevo venti anni  quando i miei genitori furono uccisi in un agguato sull’Aspromonte, mi accolsero a casa loro, non avevano figli e mia madre era l’unica sorella di zia Anna, mio zio era un avvocato penalista come mio nonno, mentre mio padre era un avvocato civilista.

Non avevo altri parenti oltre a loro e a mio nonno, ma anche lui mi lasciò presto,  sono passati sei mesi dalla sua morte e mi manca tanto, era un uomo molto attivo nonostante avesse all’epoca quasi settanta anni, si ammalò gravemente e gli ultimi due anni della sua vita, a settantasette anni, li aveva vissuti in una clinica specializzata a Milano nel vano tentativo di trovare una soluzione al suo tumore.

Spesso l’andavamo a trovare, ma per lui era terribile farsi trovare in quelle condizioni, quando era lucido chiacchieravamo molto, per vicende familiari non avevamo passato molto tempo insieme negli anni precedenti, l’ho  sempre trovato in clinica con il suo computer in funzione, poi verso la fine della sua vita, io parlavo e lui ascoltava, mi chiedeva degli studi e mi ascoltava, i suoi occhi erano le sue risposte, non aveva nemmeno più la forza di rispondermi!

Fu lui che mi diede la forza di continuare dopo la morte dei miei genitori, mi spronava con delle email e delle lettere, quando era ricoverato in clinica le lettere le scriveva un infermiere e con il suo aiuto e quello degli zii, riuscii a laurearmi e a fare il praticantato presso un compagno di studi di zio Antonio.

A tavola regnava il silenzio, continuavo a pensare a quella convocazione, esclamai mentre mangiavamo

– Cosa potrebbe essere?

Rimasero con il cucchiaio a mezza aria

– Non ti arrovellare Rosario, domani sapremo, io e zio Antonio abbiamo deciso di accompagnarti con la macchina e poi rientrare per tempo per gli esami di stato, che dici?

Risposi annuendo, solo con un cenno della testa.

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Sono senza parole, siamo di ritorno dal notaio, nessuno parla in auto, ho la cartellina in mano, mai e poi mai me lo sarei aspettato, si è vero, sono contento mio nonno ha avuto un grande pensiero per me, non me ne aveva mai parlato, solo una volta mi ricordo, eravamo a casa nostra a Palermo, era il compleanno di mamma, venne all’improvviso facendola contenta, poi nel pomeriggio dopo pranzo, eravamo seduti fuori al terrazzino del nostro appartamento e anche studio di mio padre, con la vista sul mare

– Appena posso ti vengo a prendere, devo portarti in un posto speciale.

Mi disse

– Dove nonno?

– Lo vedrai!

Fu l’unica volta e anche l’ultima, certamente si riferiva a quello che adesso mi aveva donato, poi la tragedia dei miei genitori, lui si ammalò dopo qualche anno e non se ne parlò più.

Ero più che emozionato

– Perché?

Dissi ad alta voce, mi rispose zia Anna, zio Antonio non si distrasse dalla guida

– Ti mentiremmo se non ti dicessimo che non ne eravamo a conoscenza, un anno fa, mentre tu scendesti a comprargli quel libro che ti aveva richiesto, espresse questo desiderio

“So che non devo chiedere nessun permesso, ma voglio anticiparvi che desidero lasciare la casa dei miei genitori di Sanbruno a Rosario, li ho iniziato la mia carriera di avvocato ed è li che lui dovrà iniziare a praticarla, questa sarà l’unica condizione per accettarla”

– E voi?

Zio Antonio

– Abbiamo protestato, questa richiesta per noi era assurda e poi ti avrebbe portato lontano da noi, ma fu irremovibile, disse: “Certo sarà un sacrificio, ma lui è forte, mi somiglia e poi deve portare a termine una cosa”,  chiedemmo cosa, ma non ci volle dire nulla e non ne parlò più.

Ecco con quest’animo mi presentai agli esami di stato, inutile dire che avevo accettato e dopo la firma dal notaio, ricevetti una busta formato A3 e riconobbi immediatamente la sua scrittura :

“Da aprire solo a Sanbruno. Tuo nonno, un abbraccio.”

Aspettammo i risultati dell’esame, qualche giorno,  ma non riuscii nemmeno a godere dell’esito positivo, dovevo partire, il tempo di preparare le mie cose e con gli zii e con la loro auto arrivammo a Sanbruno, sembrava una caccia al tesoro, mio nonno aveva previsto tutto, il notaio tramite corriere in ventiquattro ore mi fece avere tutti i documenti che attestavano il passaggio di proprietà e i relativi contratti delle utenze a nome mio e con grande sorpresa notai anche la presenza di un vano negozio che mi aveva donato e un terreno poco lontano dal paese di circa un ettaro.

La notte prima di partire non riuscivo a dormire, si è vero, avevo da parte i soldi dell’assicurazione sulla vita di mio padre, i miei zii non vollero che toccassi mai quei soldi, era una bella cifra, ma era altrettanto vero che ero all’inizio della mia carriera e per di più adesso mi stavo spostando dove non conoscevo nessuno, era una sfida quella che mi aveva proposto mio nonno ed io ne ero nel contempo ero orgoglioso e preoccupato.

Mi zia era la più emozionata, sia perché prendevo il volo da solo e sia perché ritornava a Sanbruno dopo molti anni, mi raccontò,  mentre eravamo in viaggio in auto che mancava dalla morte della madre e aggiunse che il nonno non aveva mai lasciato lo studio inattivo e una volta al mese arrivava da Reggio Calabria a Sanbruno,  per continuare l’attività di suo padre fino all’inizio della sua malattia e nonostante tutto, anche dopo era sempre rimasto in contatto tramite il computer con un suo collaboratore residente in quella città.

L’ascoltavo, ma le sorprese non finirono qui, quando arrivammo, immaginavo di trovare un appartamento, invece mio zio continuava a salire dei tornanti e da lontano vidi la croce di una chiesa, una piazza e un edificio poi un piccolo borgo, si fermò, non era un appartamento, ma l’edificio sulla piazza era una casa padronale su due piani, scesi meravigliato dall’auto

– Ma zia?

Sorridente ed emozionata

– Si Rosario questa è la nostra casa paterna, qui io e tua madre abbiamo vissuto da bambine, poi papà decise di ingrandirsi e ci trasferimmo a Reggio Calabria.

Entrammo nel portone, c’era un cortile non molto grande ma capiente, un’auto parcheggiata e  in fondo un giardino con degli alberi da frutta, non c’erano i frutti, ma fui stupito dalla pulizia e da quel manto verde così curato a terra, poi mi sentii chiamare

– Vieni che ti faccio visitare casa, quella e l’auto di papà.

Era zia Anna che mi indicava una mercedes bianca nel cortile

Nel corridoio dopo il portone, c’erano due ingressi laterali, uno di fronte all’altro, sulla destra vidi in alto una targa

“Avv. Adalberto e figli”

Provai un’emozione unica entrando, era lo studio del mio bisnonno, una sala d’attesa, poi un corridoio, a destra uno studiolo, poi successivamente il suo studio, sgranai gli occhi, tutto in radica di noce e fino al soffitto, tanti faldoni e tanti libri, non volendo strinsi la mano di mia zia

– E’ impressionante!

Lei sorrise, poi capii il perché, l’ultima stanza era grande come un appartamento, era la sala riunione, rimasi senza parole, due bagni stile anni ottocento e un’altra porta che portava sul cortile.

Uscimmo da li e passammo di nuovo per l’ingresso, stavolta sulla sinistra

– Questo era il suo doppio appartamento.

– Come doppio?

– Fu sdoppiato dal nonno, con una scala interna, furono fatti dei lavori quando mamma si ammalò e volle venire qui, lei era nata qui e qui voleva morire e mio padre acconsentì e quindi l’appartamento a piano terra fu ristrutturato con la cucina, una sala da pranzo, una da letto e i servizi, perché lei non poteva fare le scale, originariamente era solo una sala da pranzo con cucina e sopra invece c’è l’altra parte dell’appartamento con tre stanze da letto, servizi e la mansarda, rifece fare tutto il riscaldamento, ma in ogni stanza c’è ancora il camino originale.

Troppe sorprese, mio zio fece appena in tempo a sorreggermi, mi sentivo mancare

– Rosario?

Zia corse a prendere un bicchiere d’acqua e mio zio mi fece sedere su una sedia della sala da pranzo

– Ti senti bene?

Ero pallido

– No, è tutto troppo per me!

Presero delle sedie e vennero vicino, mia zia mi teneva la mano, balbettai

– Come farò, è tutto troppo, mi aspettavo un appartamento e mi ritrovo una casa enorme solo per me, non posso chiedervi di venire qui e allontanarvi da Gioiosa, ho paura, perché nonno non me ne ha mai parlato, perché adesso vuole che mi sistemo qui, ho tanti perché nella testa, e nessuna risposta, ecco!

Zio Antonio

– Vedi Rosario, ti ha voluto premiare, sei stato in gamba, spesso mi diceva “farà grandi cose”, tuo padre non andava molto d’accordo con lui e non ha mai voluto avere un aiuto e lui voleva aiutare tua madre, non sopportava che vivesse in una casa in affitto a Palermo, le voleva donare un appartamento, ma lei non volle, chiamò anche Anna per convincerla , ma non volle per non far dispiacere tuo padre, ecco, adesso con questo gesto ha voluto aiutarti ad iniziare, è un dono e lui sa che ne sarai fiero accettandolo, come lui ha fatto con suo padre.

Avevo chiusi gli occhi e me lo immaginai, vedevo il suo viso, sentivo le parole di zio, mentre zia mi accarezzava i capelli e lo vidi finalmente sorridente, quando li riaprii tutto mi sembrava più chiaro

– Avete ragione, sarà lui che mi aiuterà con i miei dall’alto.

Li vidi finalmente rasserenati.

Mentre mia zia preparava qualcosa da mangiare, visitai tutta la casa, tutto era in ordine, era stupenda, ma quando mi affacciai al balcone superiore, quello sull’ingresso, la notai, proprio alla fine della piazza c’era una bellissima chiesa, chiesi notizie  a zia e mi disse che era il Santuario della Madonna della Montagna.

Dopo aver pranzato e aver sistemato la mia roba nella stanza da letto a piano terra, volli visitarlo, quando entrammo avvertii una strana sensazione, ma non dissi nulla, ero certo c’ero già stato o almeno l’avevo sognato, quando uscimmo mi sentivo diverso, prima che si facesse sera, i miei zii si avviarono per ritornare a casa, non volevano, li tranquillizzai e piangendo con abbracci e baci partirono.

No, non ero solo, quell’immagine della statua della Madonna era impressa nella mia mente, accesi il camino,  qui ad oltre ottocento metri d’altezza, faceva freddo e iniziai a fare delle ricerche sul computer  sul Santuario, guardavo la busta che mi aveva dato il notaio, dovevo aprirla, ma non ce la facevo, avevo già avuto diverse emozioni quel giorno, avevo paura di aprirla, poi finalmente stanco mi addormentai così vestito sul divano di fronte al camino e lo scoppiettio della legna mi diede la buonanotte.

Mi svegliai all’alba, stentai a riprendermi del tutto, poi realizzai dove ero, tutto era silenzioso, il camino aveva ancora dei residui accessi, misi dell’altra legna e rimandavo ancora l’apertura della busta, la presi e l’appoggiai sul tavolo in cucina, preparai il caffè e dopo finalmente trovai il coraggio di aprire quella busta, c’era una lettera indirizzata a me

“Caro Rosario, sei spaventato, lo capisco, ma se stai leggendo questa lettera,  sono contento, significa che hai accettato, da Antonio ho saputo che preferisci il penale al civile e questo mi rende ancora di più orgoglioso di te, continuerai la tradizione di famiglia. In questa casa hai vissuto fino ai sei anni d’età, poi tuo padre scelse di trasferirsi a Palermo, i nostri rapporti non sono stati più sereni e tranne qualche mia incursione a casa da te a Palermo, non ho più avuto modo di tenerti qui con me, per quattordici lunghissimi anni…”

Ecco perché mi ricordavo della Madonna.

“…Tuo padre scelse il ramo civile, era il più semplice ed anche il più lungo, non volle ascoltarmi, volevo lasciare le redini qui dello studio a lui, ma tranne che per la Festa della Madonna, dove veniva sempre da solo, i nostri rapporti si erano deteriorati, erano solo discussioni e basta.

Dopo, accadde la tragedia e mai sono riuscito a superare la perdita di mia figlia, vedi nello studio, sotto la scrivania, c’è uno scatolo con tutti gli atti del processo dell’attentato alla tua famiglia, studialo attentamente, ti farà male, lo so, ma ti aiuterà nel futuro nella tua carriera da avvocato penalista.

Ci saranno altre sorprese ma non voglio anticipartele, sappi che ho provveduto dalla tua nascita ad accantonare qualcosa per te. Ho aggiunto quello che non ho potuto dare a mia figlia, tua madre.

Non sarai solo nello studio, conoscerai il mio collaboratore e da lui avrai pieno sostegno e consigli.

Ho una sola richiesta da farti, di concludere una cosa che non ho avuto il tempo di portare a termine, lo capirai da solo quando leggerai gli atti che ti ho descritto.

Ti abbraccio, tuo nonno.”

Sentii il campanello d’ingresso, guardai l’ora, erano le nove, andai al citofono

– Chi è?

– Sono Salvo.

E chi era questo Salvo?

– Sono il collaboratore di vostro nonno.

Dopo una stretta di mano molto vigorosa, restammo alcuni minuti ad analizzarci a vicenda, era un uomo molto robusto, sui sessanta anni, aveva degli occhi luminosi, portava un completo nero da ufficio, impeccabile

– Come siete giovane?

Disse, mi piaceva, sorrisi

– E’ vero, ma mio nonno mi ha lasciato scritto che voi mi aiuterete.

Lui, dopo un guizzo di tristezza, strofinandosi gli occhi

– Era come un padre per me, mi ha tolto dalla strada venti anni fa e mi propose di affiancarlo, mi fece studiare. Mi sono laureato e da allora non l’ho mai lasciato, mi aveva anticipato la vostra venuta, ma vi prego non datemi del voi, io sono Salvo.

Ero meravigliato, aveva detto tutto in una sola frase, non potetti fare altro che ristendere la mano

– Io sono Rosario!

Ci dirigemmo verso lo studio, da Salvo venni a conoscenza che non aveva mai smesso di seguire lo studio, nonostante la malattia e c’erano ancora delle pratiche aperte e non concluse, iniziai a sudare freddo e insieme a lui a studiarle e lentamente iniziai a prendere coscienza del lavoro, passarono le prime tre settimane, interrotte solo la domenica con la venuta dei miei cari zii, felici di vedermi integrato e contento.

Avevo si notato lo scatolo, ma non mi decidevo ad aprirlo, più d’una volta fui tentato, ma solo il pensiero di leggere quelle note, i verbali sulla morte dei miei genitori, mi facevano stare male.

Conobbi la famiglia di Salvo e scoprii che la moglie, una volta a settimana veniva per fare le pulizie a casa e nello studio, non era il suo lavoro ma aveva accettato per amore di mio nonno, lei aveva curato i due figli ed era casalinga a tempo pieno, ora con i figli lontani, avrebbe continuato a farlo per me, presi lo scatolo sotto la scrivania e la portai nel mio appartamento, feci solo un accenno a Salvo del contenuto della lettera del nonno ma mi rispose che ne avremmo parlato dopo la lettura degli atti, così aveva voluto lui.

Mi sembrò strano, ma accettai la risposta, non ero ancora pronto per leggere, ma il destino trova sempre una strada da farti percorrere indipendentemente dalla nostra volontà!

Il mercoledì era il giorno di ricevimento delle persone nello studio, iniziai a guadagnare con le consulenze, lo studio stranamente iniziò ad affollarsi, poi riuscii a capire il perché, era stato Salvo, mi aveva fatto pubblicità, la sera arrivavo distrutto nel mio appartamento, ero ancora troppo giovane e sentivo prepotente il peso e la responsabilità del mio lavoro.

Tutto accadde quella sera, erano le ventidue quando finalmente ci liberammo dallo studio, stavo salutando Salvo, ma complice il buio, inciampai chiudendo il portone, lanciai un urlo di dolore

Salvo ritornò indietro

– Rosario?

Non riuscivo a rispondere, avevo un dolore lancinante alla caviglia del piede destro, lui capì e come se fossi stato un fuscello, mi prese in braccio e mi portò nel mio appartamento, sul divano, dal freezer prese una borsa di ghiaccio sintetico e l’appoggiò sulla caviglia,  finalmente sentii un sollievo

– Vediamo se c’è qualche frattura!

Lo vidi, con mani esperte, piegò il piede, lo potevo muovere ma avevo dolori lancinanti

– No, non c’è frattura!

Il ghiaccio aveva addormentato il punto della caviglia, cercai di rimettermi in piedi, ma per fortuna fui preso al volo da lui

– Non riesco a mettere il piede a terra, forse è meglio andare in ospedale.

– Se vuoi prendo la macchina e ti accompagno, ma ti posso assicurare che non è una frattura è solo una forte distorsione, lo so bene per aver curato i miei figli quando giocando cadevano in malo modo.

Lo guardai interrogativamente

– Allora?

Era pensieroso, riprovò ancora fino al collo del piede, stavo aspettando

– Salvo?

– Posso provare a chiamare una persona.

Era buio pesto

– A quest’ora?

– Si, non abita lontano da qui.

– Ma per fare cosa?

Invece di rispondermi andò verso il frigorifero

– Hai delle uova in casa?

Stavo per ridere, ma poi lo guardai era serio

– Certo!

– Bene, allora non ti muovere, invece di telefonare vado di persona, se vedo la luce accesa, la chiamo, in caso contrario andiamo in ospedale.

Non sapevo cosa intendesse fare

– Va bene!

Cercai di trovare una posizione sul divano per alleviare il dolore, passarono una decina di minuti, sentii aprire la porta

– Rosario sono io.

Stavo per rispondere, quando ammutolii, con lui c’era un’altra persona, vedevo solo il cappuccio sulla testa e qualche ricciolo biondo lungo che fuoriusciva sulle spalle

– Buonasera

Dissi, quasi sottovoce

– Buonasera.

Quando mi rispose, mi accorsi che era una ragazza ma non si girò mai, la sua voce era ferma e giovanile, senza dire altro posizionò una lampada sul mio piede e con delicatezza, iniziò ad esplorarlo, era esperta, il contatto di quelle dita mi procurarono una certa emozione che si tradusse immediatamente  in un fremito per tutto il mio corpo, quasi vergognoso di questa sensazione, mi imposi di stare calmo, cercavo di vederla, ma lei faceva di tutto per evitarmi.

Salvo nel frattempo aveva portato le uova e un piatto con una ciotola sul tavolino alla fine del divano, lei estrasse dalla borsa una garza lunga, bianca e immacolata, prima di posizionarla sulla caviglia, con un canovaccio bagnato dolcemente tamponò la caviglia, strano, non sentivo nessun dolore, stavo…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

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