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16 Febbraio 2024 – Iole. – di Araldo Gennaro Caparco

Cosa faresti se trovassi all’improvviso,  una donna nel tuo letto,  non conosciuta?

Buona lettura delle prime pagine gratis

(In totale pagine, 113)

Araldo Gennaro Caparco

http://ebook.simpliweb.it/prodotto/iole/

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15 Febbraio 2024 – La pagina bianca. – di Araldo Gennaro Caparco

Cos’è una pagina bianca?

E’ come la nostra Vita, una pagina da riempire, dove riversare emozioni, sensazioni, passione…sappiamo quando inizia…ma non sappiamo come finirà…

…e tanto altro ancora!

Ma che cavolo sto scrivendo?

– Ci sei?

In un attimo chiusi il computer

– Si, ci sono!

Ed eccola lì, sempre sorridente e allegra, chi era?

Tedra

…si, era quella che ficcava il naso sempre dove non doveva, la mia vicina di casa e anche la mia migliore amica…

…intendiamoci…non era la mia ragazza…ma lei si comportava come se lo fosse…anche se sapeva bene che tra di noi non poteva mai accadere nulla…se non una grande amicizia…

…ci conoscevamo dalle elementari, insieme avevamo fatto tutte le scuole…dalle elementari alle superiori…tutti ci prendevano in giro, compresi i nostri genitori…ma lei…

…ebbene lei era un’altra cosa!

– Che stai facendo Dino?

E senza che io le dessi il permesso, mi strappò dalle mani il computer e dopo aver letto…

– Sei patetico!

La guardai

– Cosa vuoi dire?

Mi guardò strano, poi venne ad accoccolarsi sul divano vicino

– Sei un testone…

– Perché?

Sorridendo

– Cosa significa quello che hai scritto?

Stupito

– Non lo so ancora, ma avrà un senso prima o poi.

Mi scagliò uno dei cuscini

– Scemo!

– Perché?

– Perché? E me lo chiedi pure!…

Aspettavo

-…sei un bel ragazzo, hai quasi ventidue anni, ti sei diplomato con il massimo dei voti al liceo classico, ti sei iscritto a Giurisprudenza, volevi fare l’avvocato, poi…

Sapevo bene dove voleva arrivare

-..e poi per una ragazza, ti sei iscritto a Scienze Biologiche, ma lei non contenta, ti ha convinto che era meglio iscriversi alla Facoltà di Medicina…

– Smettila!

– E no caro mio, continuo e tu mi stai a sentire…

Capitolai

-…avevi già dato due esami importanti a Giurisprudenza, avevi ottenuto meritatamente trenta e lode a Scienze Biologiche avevi dato un esame che molti avevano ripetuto per undici volte e tu…

Sgranai gli occhi

-…l’hai superato alla prima volta…ti sei azzerato e iscritto a Medicina…e qui…

Aspettavo la stoccata finale

– E qui?

– Lo sai bene, hai capitolato…

Era tutto vero e solo una come lei, mi voleva bene come se fossi suo fratello poteva trattarmi in questo modo, mi resi subito conto che non faceva per me…ma per amore…mi iscrissi…e

– Cosa vuoi?

Lei si avvicinò e quasi toccandomi una guancia al livello dell’orecchio

– Sei stato uno stronzo…

Mi girai verso di lei, le nostre labbra erano vicinissime

– Io…

– Sei uno stronzo…e …non mi dire che non lo sai…hai sbagliato e lo sai, perché quando quella si è resa conto che tu non saresti andato oltre a medicina perché non era quello che desideravi…

Si fermò e si spostò di lato, senza guardarmi

– Ti ha mollato!

Era tutto vero e io lo sapevo, non potevo discutere con lei, capì di avermi ferito…

…e non poco

– Ascoltami, lo sai , ti voglio bene e mi sono stancata…

Meravigliato

-…non voglio che butti all’aria la tua vita per una che non ti voleva  ma anzi desiderava che tu fossi un burattino nelle sue mani…

Con una mano cercai di arginare le sue parole, ma lei dolcemente la prese e la mise sul cuore

-…lo so bene, tu non vuoi essere uno scrittore, scrivi adesso per altri che non lo sanno fare e che firmano a posto tuo gli articoli che loro pubblicano, lo so bene i tuoi ti stanno facendo pressione, vogliono vedere la strada che intraprenderai, ma è per il tuo bene…

– Allora?

– Devi decidere?

– Cosa?

Pausa lunga, poi massaggiando la mia mano

-…cosa vuoi fare veramente da grande nella Vita?…

…segue…
Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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14 Febbraio 2024 – Festa dell’Amore – di Araldo Gennaro Caparco

14 Febbraio 2024
San Valentino – Festa dell’ Amore
“L’amore? Toglietemi pure tutto, l’oscar, il denaro, la casa, ma l’amore no, non portatemelo via: l’amore è pioggia e vento, è sole e stella.L’amore è respiro e, lo so, lo so, è veleno. Certe sere mi dico: Anna apri l’occhio, questa è la cotta che ti manda al creatore. Perché, vedi, lo ammetto ho un carattere eccessivo e smodato. Non mi so frenare, ogni volta che amo mi impegolo fino ai capelli. Sapessi che strazio, poi uscirne vivi, che tragedia scappare! E una mattina ti svegli nel letto e non hai più sangue. Ma poi ricomincia ed è meraviglioso.”
Anna Magnani
…al via scatenate l’inferno!!….
….è quasi ora di prepararsi…c’è chi è al primo appuntamento e chi invece all’ultimo appuntamento…(dipende come andrà la serata)…l’aria è tesa…scatta l’ora X della scelta del vestito…
…che la fibrillazione abbia inizio!…
..per lui…la scelta del locale dove andare (almeno così si faceva una volta)…telefonata…prenotazione…è fatta!…non vi dimenticate i fiori…anche una rosa data con Amore…va bene!..
…per lei…la condivisione via cellulare con le amiche per la scelta del vestito…stanza in disordine “non ho nulla da mettermi”…vestiti che volano, pianto liberatorio…vestito scelto…amen!…
…i genitori?…
…chissà, una volta erano preoccupati, ma oggi, sono impegnati a fare altro…separati, divorziati, famiglia allargata, quanti pensieri!…teatro, cinema o sala da ballo…poi…si vedrà!!…
…e per i figli?…
…cento euro…e si sono puliti dalla…preoccupazione!…
…l’ora di ritirarsi?…non è più come una volta…”hanno sedici anni…sono grandi ormai…”…sigh….
…mi raccomando stasera…se avete scelto una pizzeria…non c’è storia…pizza, crocchè, patatine, arancine, scagliuozzi, calzoncini napoletani e fetta di dolce…perfetto…passeggiata e cornetto caldo a mezzanotte!!…
…ma se avete scelto un ristorante…beh qui è un’altra storia…
…non scegliete, lasagne o pasticci di maccheroni…o Cappello del prete…o sformato di tagliolini “incappucciati”…o…peggio ancora…pietanze gourmet da fare selfie e da rimanere digiuni… se non siete certi di conoscere come si mangia in quel locale…scegliete piatti semplici, piatti da preparare al momento…dovete attendere vi sarà detto…fregatevene…avrete maggior tempo da dedicarvi…ovviamente se non siete degli idiotiweb…spegnete i cellulari…questo è il vostro momento…da non condividere con gli altri!!…(almeno si spera)!…
…secondo e contorno…niente frittate ripiene, niente fagottini di San Valentino (non esistono)…una buona bistecca ai ferri con contorno di insalata mista e patatine…vi farà felici…e…eviterete piatti pre preparati da tempo!!…
…e a chi piace il pesce…mitili in abbondanza…(se non sono freschi ve ne accorgerete immediatamente) e poi…secondo una vecchia leggenda…hanno un potere afrodisiaco molto potente!!…
…frutta in abbondanza…(non può essere manipolata, quella è!)!…
…dolci…semplici…non le palle di Mozart…o…i profiterol…scongelati!!…”chiacchiere” a volontà e non solo in gusto…ma quelle vere…quelle per conoscersi…quelle necessarie per non sbagliare!!…
…parlate…parlate…e… non avete timore a farlo…e…se qualcuno/a si scoccia…meglio saperlo prima…non fa per voi!!…
Buon appetito e Buon San Valentino…da Araldo Gennaro Caparco

13 Febbraio 2024 – Il volo del cormorano. – di Araldo Gennaro Caparco

Valleamare è una cittadina sul mar Tirreno, con una popolazione di circa cinquecento abitanti, è isolata dai centri più urbanizzati delle città vicine ma è sede di due importanti presidii che servono il comprensorio, il presidio sanitario di pronto soccorso con l’appoggio di due elicotteri per le urgenze e l’altro presidio, la farmacia comunale.

Shimon era il farmacista di origine ebraica, autorevole con la sua “divisa”,  un elegante vestito nero con una rendigote così lunga, arrivava all’altezza delle ginocchia, incuteva timore solo a guardarlo, cosa che praticamente mi capitava tutti i giorni tornando da scuola, c’era una ragione per passare di la ogni giorno, abitavo all’esatto opposto dalla sua abitazione, ed era sua figlia Sara, si nonostante  la mia giovane età, dodicenne, mi ero perdutamente innamorato di lei.

A scuola eravamo nella stessa classe fin dalle elementari, ma praticamente per lei ero un perfetto sconosciuto, troppo bella e perfetta per me, un viso pieno di lentiggini, capelli biondi, alle medie i suoi capelli avevano raggiunto il suo fondo schiena tra l’invidia delle sue coetanee, vestiva sempre in modo accurato, ma mai, dico mai ero riuscito a parlare con lei, tranne per qualche saluto sporadico.

Il mio era un amore platonico, unidirezionale!

Alle superiori, la mia famiglia non potendo sostenere i costi per inviarmi al liceo nella città vicina, mi dovetti accontentare , giocoforza fui iscritto all’unica scuola presente a Valleamare, una succursale distaccata dell’istituto alberghiero.

Lei era e continuava ad essere presente nella mia immaginazione, quindi conoscendo gli orari dell’autista che l’accompagnava con l’auto all’uscita della scuola, facevo in modo di essere presente sulla sua strada, per poterla salutare.

– Leo vieni?

Si, mi chiamo Leo, diminutivo di Leopoldo, il nome del nonno, grande chef, ma non ho preso da lui purtroppo, mio padre fa il pescatore e mia madre invece cucina in un ristorante sul mare “Il volo del cormorano” in onore dei numerosi uccelli acquatici che nidificano nella zona, lei si ha preso del padre e ne sfrutta tutte le sue ricette, sono figlio unico, ma ho un’amica del cuore, Anna, abbiamo la stessa età e frequentiamo la stessa scuola superiore, a lei racconto tutti i miei segreti e lei fa altrettanto con me, almeno credevo

– Anna dimmi?

– Dobbiamo correre, scommetto che ti sei dimenticato che oggi inizia la prima lezione per il brevetto di pilota

Una mano in fronte, bugiardo matricolato

– Hai ragione, andiamo!

E ci mettemmo a correre, dovevamo arrivare alla capitaneria di porto per frequentare il corso per la navigazione come pilota, oltre le cinque miglia marine, fu una mia idea e coinvolsi pure lei

– Ma dove ce l’hai la testa?

Non volevo rispondere, pensai ad una bugia, ma poi, sapevo che mi sarei pentito, proprio con lei non potevo

– Sara!

Si fermò di botto

– Ancora, ma allora non hai capito che è meglio lasciare stare, lei non ti fila proprio e lo sai.

La guardai stupito, era la prima volta che si rivolgeva così

– Perché?

Arrabbiata

– Lascia stare!

E entrammo alla capitaneria, era iniziata già la lezione, ci sedemmo agli ultimi posti, la stanza era buia e stavano facendo vedere dei filmati, scrissi sul cellulare

– Sei cattiva?

Lei, dopo averlo letto, mi rispose

– Scusami, non so cosa mi sia preso.

– Scuse accettate!

Risposi, mi fece un bel sorriso.

Quando si accese la luce, il tenente di vascello fece l’appello e grande fu il mio stupore quando sentii il nome di Sara, sentii il “presente” ma avevo la vista offuscata dall’emozione e non riuscivo a capire da dove provenisse, Anna era più stupita di me, alla fine della lezione non mi mossi da quella sedia, eccola la vidi, mi passò accanto

– Ciao Leo, pure tu qui?

Come un ebete, feci solo si con la testa e lei scomparve, mi sentii scrollare, era Anna

– Sveglia, allora?

– E che…

– Allora ti ha parlato hai visto.

– Si, ma mi sono comportato come un imbecille.

Sottovoce disse qualcosa

– Che dici?

Rossa, non aggiunse parola e si avviò all’uscita seguito da me, fuori mi bloccai, stava parlando in inglese con uno dei partecipanti, non ero proprio una cima in quella lingua, Anna lo era, le chiesi di tradurmi quello che dicevano

– Ma tu guarda che mi fai fare!

– Ti prego sorella.

Stava per aggiungere qualcosa, ma poi decise di astenersi, si avvicinò a loro e poi

– Stanno parlando della festa di fine anno di stasera, da noi all’alberghiero, è  invitata e lui si è offerto di accompagnarla.

Ecco!

Ero sorpreso, non l’avevo mai visto a quello la, biondo, occhi azzurri, un fisico di un atleta, ben vestito, doveva avere la mia età, di certo l’avrei notato

– Ma sei sicura?

Per tutta risposta

– Perché non glielo chiedi!

E stava per avviarsi, la seguii, si io e lei ci eravamo conosciuti nello stesso istituto alberghiero, lei era più piccola di me di due anni, e io avendo perso un anno alle medie e un altro anno alle superiori, avevo ventitre anni e lei ventuno anni come Sara, lei seguiva il corso di chef ed io quella di commis di sala

– Anna, chi è quello?

Mi guardò

– Sei patetico!

– Dai, sei la mia mi amica del cuore, dai.

E così facendo la presi per le spalle dolcemente e la feci girare, sentii è vero un lieve tremore di lei ma non diedi importanza, ma quando mi guardò, era diversa, più dolce

– Ti prego!

E unii le mani in segno di preghiera, funzionava sempre con lei

– E va bene, viene da una delegazione di Londra, in visita intercollegiale con noi, si chiama James ed è anche ebreo come Sara.

Ecco perché, pensai e va bene allora si conoscono per questo, mi calmai un poco

– Grazie, sei…

Finì la frase

– Stupida

Sorrisi

– No, fantastica.

– Andiamo che è tardi.

Abbassando la testa, la presi sottobraccio e l’accompagnai a casa, poi mi avviai al ristorante dove lavorava mamma, quel giorno mio padre avrebbe fatto tardi, c’era la campagna della pesca dei tonni e quindi non sarebbe tornato se non a notte inoltrata, mamma mi stava aspettando e insieme pranzammo, dopo dovette ritornare in cucina, tra poco sarebbero arrivati i clienti e il padrone del locale, Giacobbe, pur sopportando che mangiassi con lei, non ammetteva ritardi nel servizio di cucina.

Già, stasera c’era la festa di fine anno, l’avrei rivista, inviai un messaggio ad Anna

“Vieni con me stasera”

“Perché?”

“Mi sento impacciato ad arrivare da solo”

“A  che ora?”

“Alle diciannove, va bene?”

“Si”

Avevamo la divisa ufficiale della scuola, ma quando la vidi sulla porta, restai meravigliato, in così poco tempo, aveva aggiustato i capelli alzandoli e come aggiunta alla divisa, aveva un sciarpa gialla che faceva il paio con i suo occhi castano chiaro

– Sei uno splendore!

– Finiscila, perché mi hai invitata?

– Mi faceva piacere e…mi devi aiutare devo parlarle, dai…

– Approfittatore.

Rispose arrabbiata

– Lo sai che sono anni che ci provo.

– Si, lo so e…

– Mi aiuterai?

No rispose, entrò in auto e in pochi minuti arrivammo, era una festa in grande, stasera ci saremmo salutati e sarebbe stato scelto uno solo per categoria che avrebbe ricevuto una borsa di studio per l’università e un viaggio premio, tutti eravamo in gara, anche noi due, cercavo nella folla Sara, ma non la vedevo, Anna si allontanò per salutare degli amici della sua classe ed io cercavo di curiosare per trovarla, messaggio sul cellulare

“L’hai trovata?”

Era Anna

“No”

“Ma allora ci fai o  lo sei, sta li sul banco della giuria con il padre”

Guardai meglio, era vero, mi meravigliai, poi lessi sullo striscione di benvenuto, sotto al palco

“Premio speciale offerto dalla Farmacia Shimon”

Ecco perché, c’era pure lei, stupenda e bellissima in un abito celeste che lasciava scoperto quasi il suo seno,  in quel momento i nostri occhi si incrociarono, lei alzò la mano per salutarmi e io goffamente risposi allo stesso modo, inutile dire, mi bloccai come una statua, mai mi aveva salutato così cordialmente.

Furono assegnati i premi, ma ne io ne Anna, eravamo tra i vincitori, non ero deluso, non mi importava nulla, volevo solo affiancarla e quando iniziarono le danze la stavo aspettando sotto al palco, ci sarei riuscito, volevo invitarla a ballare, ma…ad un certo punto, sentii la voce di Anna che stava urlando

– Ma come ti permetti?

Era si lontana, ma avevo sentito bene, mi girai e fu un tutt’uno per raggiungerla in mezzo a quelli scalmanati che ballavano, quando arrivai la vidi rossa in volto, con un gruppo di tre ragazzi che sghignazzavano e cercavano di alzarle la gonna, lei faceva di tutto per fermarli, ma loro imperterriti l’avevano circondata

– Ma si può sapere che state facendo?

E arrivai vicino a lei, mi risposero in inglese e uno dei tre cercò di darmi una bottigliata in testa, lo schivai, poi con un colpo ben assestato sulle palle lo feci rotolare a terra, fu un attimo, gli altri due si buttarono su di me, presi calci e pugni a non finire, erano più grossi di me, ma quando vidi uno dei due che cercò di baciare con violenza Anna, trovai il coraggio di rialzarmi e assestai un pugno al primo che faceva scudo all’amico che voleva approfittarsi di lei, gli ruppi il naso, poi di corsa, mi buttai a peso morto sull’ultimo, era di spalle, ma si girò e mi beccai un pugno sui denti, vedevo Anna atterrita, non mi fermai e con una testata stesi l’ultimo, presi Anna per mano

– Andiamo via!

E senza attendere la sua risposta, mi feci largo nel capannello di persone che si era formato, i quali invece di dare una mano, scattavano fotografie e filmati, sulla porta c’era Sara che aveva assistito a tutto.

Invece di andare in macchina, facemmo una corsa verso il mare

– Stai bene?

Era spaventata

– Tranquilla!

Per tutta risposta si mise a piangere, poi con un fazzoletto cercava di fermare il sangue sul mio viso

– Mi hanno preso alla sprovvista, poi uno dei tre ha cercato di mettere le mani sotto la gonna, aiutato dagli altri che si erano messi davanti per non farsi vedere da quelli che stavano ballando, ma tu stai perdendo sangue.

In effetti avevo il naso sanguinante

– Non ti preoccupare, ti ho sentito e sono accorso.

– Mi dispiace.

Eravamo vicino al mare, con il fazzoletto tamponai il sangue, la camicia era andata e pure la giacca, sentivo dolori in tutto il corpo, all’improvviso mi accasciai sulla sabbia

– Leo?

Urlò

– Chiamo qualcuno?

La fermai

– No lascia perdere, ora mi passa.

.-.-.-.-.–.–.-.-.-.-.-.

Mi svegliai, avevo la febbre molto alta, avevo solo un vago ricordo di quella sera, cioè,  quando tornai a casa avevo nascosto il vestito nell’armadio e mi ero buttato sul letto, per tutta la notte sentii un freddo addosso, ma adesso mi guardavo intorno ma non riconoscevo la mia stanza, poi la vidi, stava ai piedi del letto era Anna

– Che ci fai qui? Ma dove sono?

Lei alzò la testa, si illuminò

– Dio sia lodato ti sei svegliato.

Corse a bussare un campanello, cercai di alzarmi dal letto, ma non ci riuscivo, poi guardai meglio ero in una stanza con altre persone, quattro letti solo allora realizzai, ero in ospedale, Anna era venuta vicino alla testata del letto, incredula, senza parole

– Anna che ci faccio qui?

Finalmente

– Hai…

Arrivò un medico con un’infermiera e prima che potessi dire qualcosa

– Uscite tutti, dobbiamo portare fuori un malato.

La vidi, stava piangendo, fu l’ultima immagine di lei quel giorno!

Nonostante le mie proteste e le invocazioni per sapere cosa mi era successo, non mi risposero e con un gesto veloce mi trasportarono su una lettiga, poi un corridoio e alla fine, vidi in alto, Sala Operatoria.

.-.-.-.-.-.–.-.-.

Sono passati tre mesi d’inferno, in sala operatoria venni a conoscenza che mi dovevano operare per un ematoma al cranio, avevo tre costole incrinate, stavano quasi perforando il polmone e una frattura alla gamba destra ma non ebbi nemmeno il tempo di chiedere altro, dopo aver firmato il consenso informato mi fu fatta l’anestesia totale e operato.

Seguirono altri tre mesi ancora in ospedale, tra uscita dalla rianimazione e terapia intensiva, l’operazione aveva dato un buon esito, ma ora arrivava la fase più difficile, la riabilitazione.

In tutto questo, litigai di brutto con Anna, veniva spesso a trovarmi, fu lei che mi raccontò quello che era accaduto,  dopo quella notte, mi disse che la mattina successiva stava per venirmi a trovare, quando vide vicino casa l’autoambulanza, mia madre si era accorta che respiravo a fatica, avevo la febbre alta, mio padre era già andato a pescare all’alba, si vide persa e telefonò in ospedale, mandarono la guardia medica, ma la dottoressa dopo una visita veloce, chiamò il 118 per ricoverarmi in ospedale, lei e mia madre seguirono l’autoambulanza e dopo il ricovero scoprirono la verità sul mio stato di salute, mio padre era sconvolto, non sapeva nulla, furono i vicini che lo avvertirono al suo ritorno.

Avevo saputo da mia madre, che lei nei momenti liberi, rimaneva con me, ero contento, era la mia amica del cuore,  ma quel giorno le chiesi di Sara, lei non voleva rispondermi, poi dietro mie insistenze, venni a sapere che lei era andata alla direzione della scuola per denunciare quei tre che l’avevano molestata, ed era pronta ad andare dai carabinieri a raccontare tutto, raccontando anche come mi avevano conciato, ma trovò solo un muro di gomma e non avendo sufficienti prove per fare una denuncia per molestie, non trovò nessuno che la potesse aiutare.

Una sua amica ben informata, invece, la mise al corrente che il gruppo degli inglesi era partito dopo due giorni in  gran fretta e con loro era andata anche Sara, James era il suo fidanzato e il padre di lei per tacitare la scuola ed evitare le proteste in Inghilterra per il loro comportamento, aveva fatto una grossa donazione per sistemare la palestra della scuola.

– Leo mi senti?

Avevo chiusi gli occhi, tutto il mondo in quel momento mi era crollato addosso, tutte le mie aspettative, i miei sogni con lei ed ora me la ritrovavo fidanzata e in Inghilterra

– Leo, stai bene?

Ero arrabbiato con lei, quando aprii gli occhi

– Se quella sera l’avessi fermata, forse avrei avuto l’opportunità di parlarle, di esprimere quello che sentivo per lei, ma invece…

E la guardai, avevo gli occhi iniettati di rabbia!

Lei scoppiò a piangere e andò via e da allora non ritornò più in ospedale.

Avevo solo un chiodo fisso, rimettermi e poi…

…e poi sarei andato in cerca di lei in Inghilterra, mi mancava Anna la mia amica, cercai di telefonarle, chiesi a mi madre di contattarla volevo scusarmi, ma nulla, non venne più.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Impiegai due mesi per convincere i miei genitori, volevo andare in Inghilterra a cercare lavoro, era una scusa ma loro non lo sapevano, fu un Natale triste per me, non c’era più Sara, Anna era scomparsa e i miei non mi rispondevano, ovvero mamma mi disse che Giacobbe mi avrebbe voluto al ristorante, lui non ci sapeva fare con i clienti in sala e quindi aveva deciso di assumermi, ma non accettai e visto che loro tentennavano decisi da solo.

Tramite la cameriera del farmacista, una donna di una certa età che mi conosceva fin da bambino, venni a sapere che Sara non stava a Londra ma a Bristol e aveva trovato lavoro tramite il padre del fidanzato James, un banchiere molto facoltoso di quella città, come insegnante di italiano al liceo inglese.

Eravamo prossimi al Carnevale, acquistai il biglietto aereo e mi recai al ristorante in una fredda giornata di febbraio per farlo sapere a mia madre

– Ti sei deciso, vero?

Era Giacobbe sorridente

– Per cosa?

Si stupì

– Ad accettare la mia proposta di lavoro, cos’altro?

Non ci pensavo proprio e

– No grazie signor Giacobbe, ma non sono qui per questo.

Meravigliato

– E perché?

Stavo per dargli una rispostaccia, ma poi mi calmai, mia madre lavorava la e lui era stato sempre gentile

– Parto, vado all’estero, ho trovato lavoro a Bristol in Inghilterra.

Dissi sorridendo

– Ma bravo…

E poi si avviò verso la cucina, prima che potessi fermarlo

– Emma c’è tuo figlio, sta per partire per l’inghilterra, ha trovato lavoro.

Veramente non volevo che accadesse così, dopo pochi istanti vidi mia mamma uscire stravolta, stava per venire verso di me, poi un fracasso di piatti rotti in cucina, fece dietrofront all’improvviso

– Anna, ma che succede?

Anna, stava li?

Mi avviai subito, ma sentii solo una porta sbattuta, quella del retro e vidi mia madre, mi stava aspettando sulla porta della cucina

– Perché mi hai fatto questo? Perché sei venuto all’improvviso?

Era arrabbiata, ma in quel momento pensavo alla mia amica, cercavo di guardare dentro, lei si accorse

– E’ andata via!

A casa venni a sapere che due mesi prima, Giacobbe le aveva chiesto di trovare qualcuno in cucina per aiutarla, e lei aveva fatto la proposta ad Anna, aveva accettato ed erano due mesi che lavorava con lei, quando le dissi

– Perché non me l’hai detto?

Per tutta risposta

– Cambiava qualcosa?”…

…segue…
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12 Febbraio 2024 – Il coraggio e la paura. – Romanzo spontaneo di Araldo Gennaro Caparco

E con questo, è il terzo lavoro che perdo in sei mesi.

Ma si!

E’ mai possibile accettare sempre dei compromessi?

No, basta!

Negli altri due, non mi pagavano mai. Ma in questo?

Se l’è meritato, certo sono stato licenziato, ma non potevo, non dovevo, andare avanti, anzi, ho aspettato fin troppo, ma quella mattina non ne potevo più.

Stavo come sempre al lavoro di prima mattina, avevo già più volte espresso il mio rammarico, di non poter fare la spesa per il locale, ma niente, ottuso e braccino corto, mi rispondeva

– Quando hai accettato il lavoro, ti avevo avvertito, la spesa la faccio io e tu cucini.

Certo, cucino, ma non avveleno le persone!

L’avevo già avvertito, quel giorno del riposo del locale, lo avevo intravisto mentre facevo una passeggiata per il rione, acquistava della merce nei posti più disparati e a basso prezzo

– Se continui così, me ne vado!

Gli dissi, e lui,  quasi con un mezzo sorriso di sogghigno

– Si. E dove vai?

Era questo che mi frenava, non avendo casa, accettavo solo dei posti dove mi fornivano l’alloggio, ovviamente il fitto me lo defalcavano dallo stipendio.

Alloggio?

Se quello si poteva chiamare alloggio, una stanzetta con un letto e un comodino, senza finestre, ricavato dallo sgabuzzino.

Ero pieno di idee al servizio militare, si ci ho provato, ho fatto tre anni, ma poi alla fine, non mi hanno arruolato e così mi trovai in mezzo ad una strada all’improvviso.

La famiglia, manco a parlarne, era distante mille chilometri e già da soli avevano problemi finanziari, quando seppero che mi avevano bocciato all’esame per rimanere sotto le armi, mi dissero “e ora arrangiati!”.

Eh già, una sorellastra, ragazza madre con due bambini da due padri, un fratellastro, entrava ed usciva dai centri di tossicodipendenza,  mia madre in cielo da tre anni e poi un padre, anzi patrigno, che passava le sue giornate al bar sotto casa a bere birra e a giocare a carte.

No, grazie!

Meglio dimenticarseli! Era proprio inutile sperare in qualcosa da loro.

Quei tre anni, furono per me una palestra, perfetto sconosciuto senza una raccomandazione, finii in cucina, a lavare pentoloni maleodoranti e padelle incrostate, l’unica cosa positiva fu la conoscenza con uno dei cuochi anziani, quando era il suo turno, mi insegnava a cucinare.

Fu proprio lui che avendo notato una certa predisposizione per la cucina mi invogliò ad iscrivermi ad un Corso online, per conseguire il titolo di cuoco.

Non era certamente l’Accademia, ma le basi, si!

Lo conquistai!

Quando uscivo la sera, dopo aver terminato il servizio di cucina, invece di fare come gli altri, alla ricerca di ragazze da abbordare, me ne andavo per librerie, alla ricerca di libri di cucina usati e dopo averli letti e riletti, li rivendevo ad altre librerie in cambio di altri libri.

Ero stufo, quella mattina, il padrone della trattoria, decise che quel lunedì dovevamo fare la lasagna e mi buttò letteralmente sulla tavola, circa tre chili di carne macinata e un filoncino bianco che lui definiva fiordilatte, dieci scatole di pasta fresca per lasagne.

– Ecco, cucina, oggi lasagne e polpette per secondo.

E se ne andò, vidi la scadenza della pasta fresca, era di un mese prima, poi passai al filoncino, era duro come una pietra, congelato e poi alla carne e qui, dovetti turarmi il naso, puzzava.

I nostri avventori erano degli operai di una vicina fabbrica, quasi sempre mangiavano da noi un piatto caldo per poi la sera arrangiarsi con pane e qualcosa.

Non potevo fare loro questo!

Come un pazzo, uscii dalla cucina, arrivai alla cassa, dove si trovava il padrone

– Secondo te, dovrei cucinare quella merda?

Avevo gli occhi fuori dalle orbite.

E lui, come se fosse la cosa più placida del mondo

– Certo! Ci metti gli aromi, la passi al forno e vedrai che nessuno se ne accorgerà, le altre le friggi.

– Tu sei pazzo, io non intendo avvelenare le persone.

Rideva, quello stolto, rideva.

Mi guardai attorno, c’era uno scaffale con delle bottiglie di vino scadente, ne presi una e la lanciai.

Non rise più, l’avevo centrato all’altezza degli occhi!

– Ti faccio arrestare!

Esclamò

– No, ti faccio arrestare prima io, chiamali i carabinieri, così faccio vedere quello che hai acquistato.

Si manteneva la fronte, stava rovistando nel cassetto, ma prima che potesse prendere la pistola, con un calcio lo chiusi chiudendogli la mano destra dentro, lanciò un urlo

– Fuori da qui!

Il tempo di prendere la sacca e ed ero in strada.

Quel lurido straccione, non mi aveva nemmeno pagato quel mese, diceva domani, avevo 150 euro in tasca, ma se lo meritava.

E ora? Cosa faccio?

La città non era molto grande, avevo poche possibilità di trovare altro, delle due trattorie e quattro ristoranti, ne avevo frequentati tre e mi erano bastati.

Via, dovevo andare via e di corsa, prima che quello scellerato, mi denunciasse per qualcosa che non avevo fatto per vendetta.

Presi a piedi la strada che portava alla stazione, come sempre mal frequentata, guardai il tabellone, c’erano cinque treni dell’alta velocità in partenza da li a poco, due per la Francia, e tre per delle stazioni italiane, Verona, Bolzano e Parma, optai per Parma, feci il biglietto e dopo un quarto d’ora ero in treno, mentre viaggiavo cercai qualche ostello dove dormire, chiamai e c’era un posto con un coinquilino, a 19 euro per notte, prenotai per cinque notti e con questo i miei ultimi cento euro erano partiti.

Per fortuna quando arrivai,  dovetti pagare solo la prima notte, senza anticipo, avevo ancora un margine in tasca.

Invece di andare a dormire, lasciai la sacca, il mio coinquilino non c’era e mi diressi verso il centro città dove si trovavano i locali, alla ricerca di un lavoro, il metodo era sempre lo stesso, entravo andavo alla cassa e chiedevo se c’era opportunità di lavoro in cucina, prima mi dicevano di no e poi mi chiedevano il curriculum e le referenze.

Niente da fare, così  fu il primo giorno, così anche il secondo, non potevo continuare, saldai quello che dovevo all’ostello prima di rimanere senza soldi e riandai alla stazione ferroviaria, fino a quel giorno avevo mangiato un panino con qualcosa solo a pranzo.

Presi il treno per Bologna, tramite il mio coinquilino, seppi che c’era un centro d’ascolto molto attivo alla Basilica di San Petronio, con una mensa per i poveri, e fu li che mi presentai.

Di lato un ingresso, il freddo fuori era pungente, passai la doppia porta, un piccolo atrio, non c’era nessuno, mi guardai intorno, poi iniziai ad avvertire un buon odore, sarà stato il freddo o la fame, cercai di seguire quel profumo, ma non feci in tempo ad arrivare alla sala, svenni.

Non so quanto tempo rimasi svenuto, ma so che quando mi risvegliai ero in un ambulatorio medico, cercai di alzarmi, ma non ce la facevo, avevo un cerchio alla testa, forse avevo sbattuto contro qualcosa, mi toccai con la mano, e mi uscì un grido di dolore.

Entrò una suora

– Ma che fai benedetto figliolo!

Venne vicino e mi fece stendere

– Ha detto il dottore che non ti devi muovere.

E mi guardava per capire se l’avessi ascoltata, feci segno con la testa di si.

– Sei molto debole, chissà da quando non mangi, ora ti portano qualcosa, stai tranquillo.

Ecco cosa mi era capitato, ora ricordavo, dopo un poco rientrò la suora e alzando il lettino, mi fece mangiare un poco di carne nel brodo, mi imboccava, presi da solo il cucchiaio e la ringraziai con gli occhi, terminai tutto, mi sentivo meglio, solo mal di testa.

– Stasera potrai mangiare qualcosa di più solido, adesso solo questo.

– Grazie.

– Mi vuoi raccontare perché sei venuto da noi?

Onestamente non ne avevo voglia, ma non potevo stare li muto, su un lettino, con calma le raccontai quasi tutto e nel sentirlo notavo che il suo viso cambiava espressione.

Cosa le raccontai?

Che ero stato licenziato, che lavoravo in cucina, che non avevo ne casa ne parenti, con pochi soldi in tasca, avevo cercato lavoro prima a Parma e poi consigliato da un amico mi aveva detto che c’era un Centro d’ascolto, dove forse mi potevano aiutare a Bologna.

– Come ti chiami?

– Dino

Mi guardò amorevolmente

– Vorrei tanto aiutarti, ma abbiamo solo dodici posti letto e tutti occupati, stasera puoi riposare su uno di quei letti, ma domani devi andare, perché la persona che lo occupa verrà dimesso dall’ospedale, poi ti farò parlare con gli operatori del centro di ascolto.

– Grazie Madre

– Suor Agi

– Suor Agi, grazie, sono mortificato, non avrei mai immaginato di ridurmi in questo stato.

Era sorpresa

– Il Signore toglie, il Signore da, tranquillo, vieni che ti accompagno.

Così quella notte dormii nel letto di Antonio, un professore universitario che era ridotto sul lastrico dopo un divorzio con una donna senza scrupoli, i miei vicini di letto mi raccontarono che aveva tentato il suicidio.

Cercai di dormire, il dolore lentamente sparì, riuscii all’alba ad appoggiarmi sul cuscino e fui risvegliato dalla suora

– Dino, svegliati è tardi.

Ci vollero cinque minuti buoni per riprendermi, mi lavai e rasai, cambiando l’abito della sera prima con un altro jeans e una felpa di lana, faceva freddo, presi il giaccone e mi recai da Suor Agi

– Dove devo andare?

Notai che era favorevolmente colpita dal cambio d’abito, sintomo che non ero uno sbandato, mi accompagnò a fare colazione, poi mi indicò la porta del Centro di ascolto, mi disse di farle sapere.

La ringraziai, presi un numero, ero il diciottesimo e mi sedetti su una delle sedie disponibili, c’erano tante persone, di tutte le età, gocce di umanità allo sbaraglio, venne una mamma con un figlio piccolo attaccato al seno, guardai il suo numero, cinquantaquattro, non ci pensai due volte, le offersi il mio numero, l’accettò sbalordita

– Grazie.

Quando venne il suo turno, la vidi, il bimbo dormiva beato e lei era più tesa, poi all’uscita aveva un largo sorriso, venne vicino

– Grazie, se non fosse stato per lei non avrei avuto la possibilità di trovare lavoro, vado a fare la babysitter e porto mio figlio con me, Dio la benedica, grazie.

E mi abbracciò!

Eh già, qui chi prima arriva, forse trova lavoro, ma ero contento, il suo sorriso mi aveva emozionato, sia quello che sia!

Dopo tre ore eravamo al quarantaquattresimo numero, mi mancavano ancora dieci persone, poi sarebbe stato il mio turno, vidi avvicinarsi Suor Agi

– Vieni con me!

Ero stupito, volevo dirle che tra poco era il mio turno, ma non feci in tempo, mi prese per mano e la seguii, stavamo entrando nel convento, corridoi enormi, con stanze ai due lati, in fondo una vetrata artistica con il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, eravamo arrivati, mi guardò, mi aggiustò il giubbino

– Andiamo dalla Madre Superiora, lascia qui la sacca, nessuno la toccherà.

Dalla Madre Superiora, io? E perché?

Ma feci quello che mi era stato detto, entrammo in una stanza molto grande, era semplicemente arredata, in fondo una grande scrivania con un crocefisso e il telefono, poi la vidi, di spalle una donna molto alta, stava inginocchiata, stava pregando, attendemmo in piedi in silenzio.

Terminò e si girò, era una donna con un volto stupendo, nonostante l’età, sui settant’anni, mi guardò con aria severa, poi la sua bocca si allargò in un sorriso

– Ecco madre, questo è il giovane.

Non diceva una parola, mi fece segno di sedere, cosa che feci subito, poi lei passò dietro la scrivania

– Dimmi, perché hai cambiato la tua prenotazione?

Ero sorpreso, come faceva a sapere

– Mi è sembrata la cosa più giusta da fare, ho sbagliato?

Sorrise

– No, ma non potevi sapere che quella donna era qui da sei mesi, fin dalla nascita del bimbo e non avevamo trovato nessuna occupazione.

– L’ho vista preoccupata con quel bimbo attaccato al seno, per caso ho notato il suo numero e ho pensato che avrebbe avuto dei problemi ad attendere tutte quelle persone, io potevo darle una mano e le ho dato il mio numero.

– E’ venuta qui piangendo dalla gioia, dopo che aveva raccolto le sue cose,  mi ha raccontato tutto.

– Sono contento per lei.

Ero imbarazzato, cosa ci facevo io li, tra poco era il mio turno, stavo perdendo tempo, ma i suoi occhi erano fissi sui miei, ero inchiodato alla sedia.

– Vuoi raccontarmi quello che ti è accaduto?

E perché dovrei farlo? Cosa voleva da me?

Guardai Suor Agi, mi fece di si con la testa, stava seduta vicino a me.

Come se fossi stato in uno stato ipnotico raccontai tutto, ma proprio tutto, dalla mia infanzia ad oggi, per finire tra le lacrime senza ritegno, non avevo nemmeno il fazzoletto, fu Suor Agi che me ne diede uno, poi finalmente alzai gli occhi

– Scusatemi!

La vidi, era colpita, aveva nello sguardo l’amore di una mamma verso un figlio, si alzò lentamente e venne a sedersi vicino

– Come ti chiami?

– Dino.

Mi asciugò le ultime lacrime

– Tu oggi hai fatto una buona azione, quando è andata via con il bambino ho chiamato Suor Agi e le ho chiesto se conosceva un giovane sui 28 anni che si trovava al centro di ascolto, lei mi ha raccontato quello che è successo ieri sera e ho voluto conoscerti.

– Vi ringrazio, ma non credo che la mia storia possa interessarvi.

Ero sincero, veramente ero anche arrabbiato con me stesso, per aver detto tutte quelle cose ad una sconosciuta, ma oramai l’avevo fatto.

– Non è proprio così, ascolta ho un’idea, tu ti fermerai stanotte qui, dormirai nel locale di fianco alla cucina, poi domani alle dieci ci vediamo di nuovo qui, che dici?

La guardavo, ma era come se non la vedessi, ero ancora debole

– Va bene.

Mi congedò, Suor Agi mi accompagnò alla cucina,  mi fece vedere la stanzetta, mi disse che era per il cuoco che ora era in ferie, posai la sacca e andai a pranzo con gli altri.

Cosa mi aspettava domani? Perché mi aveva voluto far rimanere? Aveva un’idea, quale?

Non potevo stare con le mani in mano per tutto il pomeriggio, finito il pranzo aiutai gli altri a togliere i residui, poi mi misi un camice e aiutai in cucina a pulire, non mi fermai un attimo, li vedevo erano stupiti di vedere questo giovane che senza parlare, lavava, asciugava e aiutava a preparare la cena, finalmente stanco morto, ma finalmente in forze, andai a dormire.

La mattina successiva mi svegliai per tempo, andai in cucina e aiutai a preparare la colazione, poi verso le 9.30 venne Suor Agi per accompagnarmi

– Tutti mi hanno chiesto di te.

Sorpreso

– Chi?

– Quelli della cucina.

– Grazie.

Era orgogliosa, lo sentivo, arrivammo con dieci minuti di anticipo, lei scomparve dalla Madre Superiore ed io fuori ad attendere

– Vieni

Era sorridente

– Vieni Dino, accomodati

Stavo in attesa, ma la vedevo era contenta

– Suor Agi mi ha raccontato quello che hai fatto in cucina

– Non ho fatto nulla, ho solo aiutato

– Hai fatto molto invece, se avessi avuto qualche esitazione nell’aiutarti, si sarebbe dissolta e non ti nascondo che se avessi la possibilità di assumerti lo farei, ma non posso, tu hai bisogno di un luogo stabile e di avere una vita serena con uno stipendio.

Quelle parole erano balsamo per me, ma non capivo dove voleva arrivare

– Poco lontano da Bologna ho una sorella a Budrio

Ero attentissimo

– Ha un piccolo ristorante, l’ho contattata e le ho chiesto se avesse avuto bisogno di personale in cucina, mi ha chiesto il perché e ho raccontato qualcosa di te, ma non tutto, alla fine mi ha detto che era disponibile a farti fare un periodo di prova come aiuto chef, che ne dici?

La guardai, sorridente

– Quando posso partire?

Rise stavolta

– Anche adesso, c’è un autobus che passa davanti al convento tra dieci minuti, allora?

Mi alzai, prima abbracciai Suor Agi, poi mi avvia verso di lei con la mano stesa

– Non so come ringraziarvi.

Non volle rispondere alla mia mano, sorridente, mi volle abbracciare e mi diede un biglietto con l’indirizzo e il suo numero di cellulare

– Che il Signore ti accompagni, avverto mia sorella, vai.

E mi congedò

Ero al settimo cielo, in prova, in un ristorante, piccolo ma che importava, ero sull’autobus con il cellulare guardai delle notizie su questa cittadina, non era molto grande, meglio pensai, poi mi misi a guardare il paesaggio, da Bologna ci voleva meno di un’ora per arrivarci, l’autobus mi lasciò sulla piazza centrale, mi avviai ad un bar poco distante e chiesi indicazioni, furono gentili e mi indicarono la strada.

Ero nel centro storico, vidi l’insegna “Nuova ocarina”, era il giorno di chiusura, trovai l’ingresso dell’abitazione di lato sulla destra, strano, mi sentivo osservato, ma non vedevo nessuno, bussai

– Si

– Signora sono Dino

– Si accomodi

Si senti un click e la porta si aprì, era un ingresso piuttosto piccolo, c’era una scala, di lato una cremagliera che saliva, iniziai la salita e poi mi resi conto che alla fine c’era una di quelle sedie per persone di una certa età per salire e scendere

– Venga giovanotto, sono qui

La voce veniva dalla stanza sulla sinistra, lasciai il sacco ed entrai

– Permesso

Grande fu il mio stupore nel vedere la seconda Madre Superiora, erano identiche, solo che questa era su una sedia a rotelle, ma avevano lo stesso sguardo e lo stesso viso, notò il mio stupore

– Si, siamo gemelle, venga accomodati, ti do del tu potresti essere mio figlio.

Inebetito, cercai la sedia più vicina

– Grazie, scusatemi, ma sono rimasto interdetto.

Sorrise, aveva un volto buono, era ben vestita con uno scialle rosso e nero sulle spalle, vicino al camino acceso

– Sono abituata, tutti hanno questo effetto quando ci vedono, mi chiamo Maria, mia sorella mi ha chiamato poco fa per avvertirmi della tua venuta, allora?

Allora cosa? Ero ancora senza parole, ma cercai di darmi un tono

– Sono venuto come lei sa per lavorare.

– Si questo lo so, ma non mi vuoi chiedere altro, che so lo stipendio….”…

…segue…
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11 Febbraio 2024 – Il coraggio di resistere! – Romanzo spontaneo di Araldo Gennaro Caparco

Aeroporto di Milano

Cosa stavo pensando?

Un anno fa, mi trovavo nella stessa sala d’attesa, quella mattina dovevo partire per Madrid in Spagna, avevo vinto una borsa di studio di tre mesi per un approfondimento della Legge internazionale sulle adozioni, ma…

…già, ma…

…squillò all’improvviso il cellulare…

…e tutto cambiò!

La mia vita non era stata facile, orfana dei genitori a quattordici anni, io e mia sorella più grande di cinque anni ci trovammo all’improvviso catapultati in un’altra città, Caraglio in provincia di Torino, a casa della nonna materna, fu lei che da quel momento in poi ci accolse e ci guidò.

Poi, purtroppo mia sorella una sera tornando dal lavoro a soli trent’anni perse la vita per un maledetto tir che la travolse…e per me fu un colpo mortale, fui fortunata che la nonna, ormai oggi novantenne con uno spirito di una trent’enne, cercò di risollevarmi dal buio completo in cui ero caduta

– Figlia mia, lo so che ti manca, ma la vita deve andare avanti.

Piangevo, erano due settimane che non uscivo di casa

– Ma come faccio nonna, sono rimasta…

Lei mi accarezzò i capelli

– Non sei sola, siamo insieme!

E mi abbracciò!

Già, quella telefonata in aeroporto mi cambiò la vita e ancora non sapevo di quanto, guardai il display, era la clinica dove era ricoverata per un controllo mensile la nonna

– Pronto…

E tutto cambiò!

Raccolsi le mie cose, mi fiondai alla ricezione dei voli e mi feci rimborsare il biglietto, fui fortunata, non volevano, mancavano pochi minuti all’imbarco, ma c’era una ragazza più o meno della mia età, non era riuscita a trovare un biglietto per Madrid e quando sentì quello che stavo chiedendo

– Vendilo a me!

Non ci pensai due volte e glielo feci pagare la metà, non la finiva di ringraziarmi e poi, di corsa alla stazione dei tassì, entrai nel primo

– Clinica Nostra Signora di Guadalupe prego.

Tornai a casa a notte inoltrata, mi raggomitolai sul divano e piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste, in clinica

– Lei è la nipote Cloe?

Lo guardai, avevo un velo davanti agli occhi

– Si

– Mi dispiace averla turbata, sua nonna non voleva, sapeva che era in aeroporto…

Lo fermai, stropicciandomi gli occhi per scacciare il velo

– Mi dica!

Fu sorpreso

– Così giovane e così determinata!

– Grazie.

– Sua nonna ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, purtroppo non è in convenzione con l’ASL, dobbiamo intervenire sul cuore prima che sia troppo tardi, mi dispiace….

Le sentivo, le gocce di pianto, ma le ricacciai

– Quanto verrebbe a costare?

Era titubante

– Dottore?

– Tutto compreso…

Si fermò

-…diecimila euro! Cinquemila all’accettazione e gli altri al termine dell’operazione dopo la degenza.

Un colpo allo stomaco mi avrebbe fatto meno male…

…diecimila euro…un’enormità!

Con quest’animo l’indomani mattina mi recai a Torino, ero determinata a chiedere un prestito dando in garanzia il monolocale che avevo acquistato un anno prima con i soldi che mi avevano lasciato i miei genitori, il risarcimento dell’incidente di mia sorella e una quota parte dei soldi che mi aveva voluto donare mia nonna per evitare che facessi la spola tra Milano e Caraglio e la Facoltà di Giurisprudenza di Milano.

Ma nulla!

I soldi mi servivano in una settimana e tra banche e finanziarie, pur essendo notevolmente interessate ad acquisire la garanzia del monolocale, risposero che per istruire la pratica e portarla a termine ci voleva circa un mese.

Presi il treno ad alta velocità per Milano delle diciotto, ero stanca e delusa, non sapevo proprio a quale santo votarmi, ero a digiuno e mi avviai verso il distributore automatico per prendere qualcosa, lì vicino c’erano due ragazze che stavano parlottando concitatamente, pur non volendo

– Ma io lo denuncio…

Disse la più giovane sui ventitré anni…

E l’altra

– …ma perché non mi hai fatto entrare…

– Non ha voluto…

– Ma cosa è successo?

Lei diventando rossa dalla rabbia, guardandola diritto negli occhi

– …mi ha offerto del denaro per restare incinta…

Mi scappò il caffè dalle mani, si accorsero di me solo allora e disorientate immediatamente

– Andiamo via!

E lasciò cadere un biglietto in tanti pezzi a terra!

Giuro, non sapevo cosa fare, le guardai allontanarsi, ero sola nel vagone ristorante, quasi in uno stato ipnotico raccolsi quei quadratini, nascondendoli in tasca come se avessi rubato qualcosa.

Arrivai a Milano verso le diciannove, c’era un treno in partenza sul binario opposto, guardai, era diretto a Torino, non so cosa, saltai sul treno…

– Pronto?…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.–.–.-.-.-.-.-.-.

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10 Febbraio 2024 – Dalle stalle alle stelle. – Romanzo spontaneo di Araldo Gennaro Caparco

Non potrò mai dimenticare per tutta la vita, quella mattina!

La notte fu agitata, l’insonnia era diventata la compagna della mia vita, al massimo erano solo due le ore di sonno e poi … gli occhi sbarrati e il cielo della stanza a farmi compagnia fino alla luce dell’alba, verso le sette, all’improvviso squilla il cellulare, l’agguanto

– Pronto?

– Sei sveglio?

Riconobbi la voce, il mio migliore amico

– Franco, sei tu?

– Si, sono io, ho una notizia importante da darti.

– Dimmi?

Silenzio, pausa, grosso sospiro

– Mi sposo!

Saltai dal letto

– Ma come? Sei sicuro? E quando?

Risata dall’altro capo del filo

– Sorpreso amico mio?

– Certo!

Risata

– Ho trovato la donna che fa per me Laura e non me la lascio scappare. Ti chiamo per darti un’altra bella notizia.

Stupito già dalla prima

– Sono emozionato per te, dimmi.

– Domenica sarai il mio testimone di nozze!

In pochi secondi passarono per la mente le immagini di quando ci eravamo incontrati la prima volta, eravamo con i calzoncini corti, timidi entrambi, poi una palla fece il miracolo, iniziammo a giocare e da quel momento fummo inseparabili.

Lui ed io, due caratteri diversi, io magro come un’alice e lui robusto come un panzarotto, estrazioni familiari diverse economicamente, ma ciò non ci divise mai, anzi, lui studioso ed io un sognatore, lui si laureò in Economia e Commercio ed io mi fermai al diploma per lavorare.

Poi il lavoro ci divise, eravamo sempre comunque in contatto, io a Napoli e lui adesso a  Padova.

Sapevo della ragazza, l’aveva conosciuta in un Master fatto in Spagna, Laura, mi mandò le sue foto, erano splendidi insieme, sorridenti, ma adesso prossimi alle nozze, incredibile

– Rino, ci sei?

Ingollai le lacrime

– Si, ma perché io?

– Perché sei mio fratello, accetti?

Silenzio

– Rino?

Le parole non mi uscivano, ero emozionato

– Certo che si!

Un urlo, poi “Laura ha accettato, Rino sarà il mio testimone”

– Non avevo dubbi! Ti aspetto, quando vieni?

Non era una domanda, lo sapevo

– Arrivo, anche oggi.

Tranquillizzato, un urlo e poi

– Lo sapevo! Un abbraccio da noi due, a più tardi. Ti mando via email le indicazioni per venire qui da noi.

– Grazie.

E chiuse la telefonata.

Quasi contemporaneamente mi arrivano le indicazioni sul telefonino, e già, era certo, non mi sarei mai tirato indietro, mentre preparavo la valigia, il ricordo della nostra ultima telefonata alcuni mesi prima

“Sono dispiaciuto”

“Lo so”

“Ma quando è capitato?”

“Stanotte, mi hanno bruciato il locale”

“Tutto distrutto”

“Si”

“Tu come stai?”

“Uno schifo”

“Vorrei stare li per aiutarti, ma sono in Spagna”

“Tranquillo, mi riprenderò”

Non passava settimana che non mi chiamasse!

Mentre stavo in treno per Padova, ricordai quei momenti tristi e felici, dopo anni di gavetta, finalmente avevo il mio locale, la mia pizzeria, furono mesi difficili all’inizio, poi con un duro lavoro, iniziai ad avere fortuna, volli condividere con il quartiere il successo e decisi di mettere un “contapizze” devolvevo un euro per ogni pizza che sfornavo all’oratorio della chiesa per contribuire alle spese per i ragazzi disagiati.

Dopo tre anni, la pizzeria cresceva sempre di più.

Iniziarono a venire le prime “chiamate” dalla delinquenza, volevano darmi “protezione” in cambio di una somma settimanale, rifiutai.

Tenni duro per due anni.

Poi… fu la fine!

All’ennesima richiesta, con danni alla vetrina del locale, mi rivolsi alla polizia, concordammo un’azione per una finta “mazzetta” destinata a loro, e,  in quell’azione furono arrestati alcuni delinquenti, passarono tre giorni dall’arresto, l’incendio del locale e la fine del sottoscritto e della sua attività.

Dopo la prima rabbia, in attesa del risarcimento dell’assicurazione, tentai di farmi assumere in un ristorante, una pizzeria, ma nulla, si era sparsa la voce, ero da sei mesi senza lavoro.

Avevano fatto terra bruciata intorno a me!

Andavo avanti ancora con i risparmi da parte, cercando di non entrare in depressione, stavo valutando di andarmene all’estero, ma non trovavo il coraggio di farlo, amavo la mia città, nonostante tutto.

Avevo trentacinque anni,  ma ne sentivo il doppio!

Dovevo distrarmi e non pensare sempre alla stessa cosa.

Guardavo fuori al finestrino il paesaggio era diverso dal nostro, niente più colline, ne boschi, ma solo grandi distese di terra e fattorie distanti tra loro, ogni tanto una città e poi arrivato a Padova, seguendo le istruzioni di Franco, presi un’auto a noleggio e mi avviai verso Ala nel trentino, era la città natale di Laura, avevano deciso di sposarsi li.

Frequenti furono le telefonate di Franco, il quale non vedeva l’ora che arrivassi, lui meridionale come me, si sentiva un estraneo in questa terra, emozionante fu il nostro incontro, io mingherlino e lui robusto, conobbi Laura, una bella ragazza, sprizzava gioia da tutti i pori, ci definì Davide e Golia.

– Finalmente ti conosco!

Era Laura, una bella ragazza, occhi scuri come la pece, una massa di capelli biondi che l’incorniciavano il viso e sincera come l’acqua di una fonte.

Ero contento, la loro gioia mi faceva bene, mi lasciai trasportare, gli occhi di Franco luccicavano

– Ero certo che avresti preso il primo treno, ti abbiamo prenotato una stanza nell’albergo dove faremo il rinfresco, ora andiamo al ristorante.

Erano preoccupati per me, lo sapevo, ma mi travolsero raccontando i preparativi per le nozze, li ascoltavo ma non rispondevo, mi lasciavo trasportare e così ci ritrovammo a tavola.

– Allora fratello, mi hai fatto una bella sorpresa!

– Ero certo, non mi avresti detto di no, abbiamo programmato tutto e Laura continuava a dirmi, ma quando lo chiami? Ed io , non ti preoccupare, all’ultimo momento, e così è stato.

– Hai rischiato, ma sono contento.

Laura mi studiava, poi

– Che progetti hai Rino?

Bella domanda

– Non lo so?

Franco si fece serio

– Non ti lasciare andare, sei provato, ma sei in gamba.

Non mi piaceva come andava la discussione, cercai di evitare la risposta

– Allora, la festa di addio alla vostra posizione di single?

Si guardarono e risero

– Abbiamo deciso di non farla, viviamo insieme da due anni e siamo più che contenti di sposarci.

– E tu?

Era Laura

– Hai qualcuna?

Sempre più imbarazzato

– No, e da tempo, oramai!

E lei subito

– Mai dire mai!

Meravigliato non dissi nulla.

Dirottai l’attenzione su altro, mi parlarono del loro lavoro a Padova, avevano uno studio di architettura e andava talmente bene che avevano assunto tre collaboratori.

Terminata la cena mi avviai all’albergo dopo le indicazioni di Franco, dopo pochi minuti arrivai, la struttura era bella per quello che potevo distinguere di sera, la stanza era confortevole, scesi dopo aver disfatto la valigia e chiesi se potevano farmi la cortesia di far stirare il vestito

– Certo! Lei deve essere l’amico del Sig.Franco venuto per il matrimonio.

Sorpreso

– Si, sono io.

Si era accorto della sorpresa

– Scusatemi, qui ci conosciamo tutti, poi Laura è cresciuta qui, siamo contenti per lei. Scusatemi.

– Non vi preoccupate, capisco. Buonanotte.

Mi ringraziò con gli occhi, prese il vestito e finalmente tornai in camera per dormire.

Dormire?

Avrei voluto, ma non riuscivo a chiudere occhio, dopo aver fatto il giro del mondo in quel letto, troppo grande per me, mi alzai rivestendomi e scesi per fare una passeggiata.

L’aria era frizzante, eravamo prossimi alle vicine montagne, nonostante avessi cappello, giacca pesante e guanti, sentivo freddo.

In lontananza c’era rumore di acqua che scorreva, seguii il rumore e mi trovai nei pressi di un ponticello nel parco dell’albergo, sotto scorreva un torrente, la luce della luna mi faceva da guida e vedevo ogni tanto zampillare qualcosa nell’acqua, erano dei pesci.

Sarà stata la loro vista, l’aria frizzante, il silenzio, iniziai a sentire che l’ansia lentamente diminuiva, iniziavo a sentirmi in pace con me stesso, avevo fatto la cosa giusta, anche se questo aveva portato la fine del mio locale.

Tornai in camera e finalmente di addormentai.

Giuro la mattina successiva, non mi sarei svegliato, ma uno squillo sul cellulare, mi fece desistere, era un messaggio

“Scendi poltrone, facciamo colazione. Franco”

Guardai l’orologio, erano le dieci, mi vestii in fretta e aprendo la porta trovai il mio vestito pronto, lo riposi nell’armadio e scesi al ristorante dell’albergo

– Finalmente!

– Se non mi avessi inviato il messaggio avrei dormito fino a tardi.

Era allegro

– Ma tu sei o non sei il mio testimone?

Lo guardai divertito

– Si.

– E allora? Mi sono trasferito stamattina qui in albergo, sai ci tengo alle tradizioni, domani è il gran giorno e lei ci tiene alla cerimonia tradizionale, lo sposo non deve vedere la sposa se non in chiesa, quindi, oggi passeremo la giornata insieme.

– Bene, allora quali programmi hai?

– Ora facciamo colazione, poi andiamo a rimisurare il vestito e ti faccio conoscere un poco la città.

E così facemmo, tranne qualche piccolo particolare, il cellulare.

Non passavano cinque minuti che quei due non si sentissero.

La città mi piaceva e mentre lui parlava con l’amata, io osservavo e registravo tutto quello che vedevo.

C’erano alcuni ristoranti, ma nessuna pizzeria.

La chiesa era bella, mentre Franco verificava che le richieste di Laura erano state esaudite dal fioraio, il sagrista si avvicinò

– Domani molti verranno in chiesa per vedere il matrimonio.

Ero sorpreso e continuò

– Sa e da diversi anni che non ne viene celebrato uno, poi i due sposi sono conosciuti, Laura è una di noi.

Ero contento per i miei amici, ma quello che non aveva detto lo scoprii solo il giorno dopo.

La funzione era per le 11.00, alle 9.30 eravamo già pronti e dovevo trattenere Franco che voleva andare in chiesa già a quell’ora

– Andiamo a controllare la sala per il ricevimento, metti che hanno sbagliato a mettere i fiori che ha richiesto Laura.

Mi guardò di malavoglia, poi sentendo quel nome mi sorrise

– Andiamo!

Rimasi sbalordito, senza parole, era un salone rettangolare tutto in legno, con delle arcate al solaio alto più di cinque metri, i tavoli erano rettangolari tutti vestiti di bianco, su ogni tavolo dei portafiori con fiori verdi e bianchi, un colpo d’occhio che avrebbe sorpreso chiunque, poteva contenere duecento persone, poi al centro,  il tavolo tondo degli sposi con un enorme cuore sospeso in alto e le loro due iniziali, la F e la L.

Ero a bocca aperta, senza parole e non sentivo la voce del mio amico che continuava a chiamarmi

– Rino, Rino.

Finalmente mi strattonò e mi svegliai

– Rino ti presento…

E io come se non l’avessi sentito

– Ma è meraviglioso qui, che bello.

– Grazie.

Sentii una voce di donna, mi girai e la vidi, una signora suo sessanta anni, capelli corti ricci e biondi, vestita elegantemente con un pigiama palazzo azzurrino, che stava sorridendo

– Ti presento…

E lei

– Ivana

Mi allungò la mano, non so perché, ma mi venne d’istinto di baciarla, rimase stupita ma non la ritrasse

– Onorato, io sono Rino.

Franco

– La Signora Ivana è la proprietaria di questa bella struttura.

Ero rapito dai suoi occhi, erano chiari e non li staccava un attimo dai miei

– Complimenti!

– Grazie, è rimasto stupito?

– Certo, lei ha fatto fare un lavoro stupendo, i miei amici non potevano scegliere di meglio è la prima volta che vedo tanta bellezza, rispecchia la sua proprietaria

Arrossì

– Franco, non mi avevi detto che era anche un adulatore?

Rise, e Franco fece altrettanto

– Vedi Ivana lui è così, sincero fino alla fine. Sai aveva un locale a Napoli…

Lo fermai

– Non parliamo di me, per piacere, oggi è la vostra giornata, dobbiamo andare.

Poi rivolto a lei

– E’ stato un piacere, ma penso che ci vedremo in chiesa o sbaglio?

Civettuola

– No, non sbaglia, vi raggiungerò li, oggi per la nostra città e un bel giorno, ci sarà anche la televisione regionale all’evento.

Meravigliato, mi rivolsi a Franco

– Come?

– Si, il nonno di Laura è il Presidente della Camera di Commercio di Trento e la televisione regionale ha chiesto il permesso di fare un servizio sul nostro matrimonio e noi abbiamo accettato con piacere.

Ci avviammo, notavo la sua emozione, difatti esplose quando arrivammo finalmente in chiesa.

Era quasi al completo, non so quante persone mi furono presentate, arrivammo finalmente all’altare, Laura aveva voluto dei fiori semplici su ogni banco, alle 11.00 precise fece il sue ingresso, era stupenda.

Emozionatissimi, salimmo gli ultimi gradini, la testimone della sposa era la sorella più piccola di Laura, il sacerdote prima di iniziare esortò l’assemblea per un applauso agli sposi e così la tensione diminuì.

Cosa pensavo?

Per tutta la durata della cerimonia, non riuscivo a distogliere lo sguardo dai miei due amici, erano la felicità fatta persona, si tennero stretti per mano fino alla consegna degli anelli, entrambi avevano le lacrime agli occhi durante le frasi di rito, non riuscivano a leggerle,  il tutto fu suggellato da un bacio finale e un applauso scosse la chiesa.

Il ricevimento fu un’apoteosi di balli e canti, ogni tanto vedevo Ivana che discretamente sorvegliava la sala, i camerieri erano perfetti, le pietanze regionali e la troupe televisiva riprendeva i momenti salienti, fino a quando verso la fine,  mi avvicinò un cameriere

– Signore c’è una persona che vuole parlarle.

E mi fece segno di seguirlo.

Chi poteva essere, non conoscevo nessuno, se non Ivana, ed era difatti lei

– Una persona mi ha parlato di lei, la sua storia e volevo cogliere l’occasione per fargliela conoscere.

– Ma Signora.

– Sono Ivana per te.

Mi prese per mano e ci inoltrammo in una sala adiacente, c’era una ragazza con un microfono in mano, la guardai, era molto bella, rossa di capelli, un viso pieno di lentiggini e due occhi blu che mi fissavano, guardai Ivana

– Rino ti presento Eva.

Pasticciò con il microfono, poi si rese conto che era inutile tenerlo come una torcia lo passò nella sinistra abbassandolo,  porgendomi la mano destra

– Piacere, a cosa devo …

Aveva un vestito adatto per l’occasione, le poneva in risalto il seno prorompente, era titubante, quasi balbettando

– Signore volevo farle un’intervista, sono la direttrice del giornale radio online della televisione regionale.

Un’intervista? A me? E perché?

– Perché?

Guardai lei e Ivana

– Ci hanno informato su quello che le accaduto a Napoli e volevo…

Non la feci proseguire, guardai Ivana e lei,  ero sconvolto,  uscii dal salone a passo svelto, erano rimaste interdette, non andai in sala, presi la scala per la mia camera.

Continuavo a ripetermi, perché, perché, anche qui! Oggi è un giorno di festa. Perché?

Mi buttai sul letto e piansi.

Dopo un poco sentii bussare alla porta, cercai di asciugarmi sommariamente le lacrime

– Chi è?

Dissi alterato.

Silenzio, mi alzai e andai alla porta, l’aprii, era Eva…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

9 Febbraio 2024 – Da Vanni – “Soloprimi” – Romanzo spontaneo di Araldo Gennaro Caparco

Era d’ agosto,

il caldo era notevole, ma alle prime ore della mattina era piacevole trovarsi per strada in auto tra le campagne, nell’aria un fiorire di colori e di profumi, quella mattina mi stavo recando alla stazione ferroviaria, dovevo ritirare dei giunti meccanici in arrivo da Arezzo.

I finestrini erano abbassati, la musica a tutto volume della radio mi facendo compagnia per quei sei chilometri di distanza dalla mia cittadina Alleria alla staziona ferroviaria.

Alleria, bel nome, vero?

Chi sa qual è l’origine del nome, ma ci stavo bene!

Dopo anni di “schiavitù” da partita Iva, una laurea in ingegneria meccanica messa definitivamente in bacheca all’ultimo esborso/pirata dello stato, ho detto basta e iniziato una nuova vita da cinque anni.

Questi erano i miei pensieri di quella mattina, un lunedì d’agosto che cambiò la mia vita!

Arrivai alla stazione con qualche minuto d’anticipo sul treno, un mio amico mi stava inviando quello che sarebbe servito per terminare l’opera della Madonna della Grotta,  già,  ero uno dei sostenitori e organizzatori della Festività del 15 di agosto, giorno in cui si sarebbero riversati qui centinai di persone, turisti ed ex emigrati, per partecipare a quella festività di cui la storia sul ritrovamento della Madonnina in quella Grotta, risaliva al 1500.

Sta per arrivare il treno, devo muovermi e andare verso la prima carrozza, la fermata non dura a lungo e il treno deve proseguire per Terni

– Sei tu Osvaldo?

– E tu dovresti essere Vanni?

– Si, sono io.

Si sporge dal finestrino e mi consegna un pacco

– Grazie, salutami Lapo quando torni.

– Sarà fatto, buona giornata!

Il mio nome è Vanni, diminutivo di Giovanni, età 50 anni, ben portati, “sposato/separato in casa” con Luisa biologa dell’Ospedale di Arezzo, oggi dovrebbe essere il nostro anniversario di matrimonio, il ventesimo, ma ha poca importanza, sono già quindici anni che non lo festeggiamo più, dal momento della sua vincita al concorso nella Asl di Arezzo, ci vediamo solo qualche volta, quando viene a casa non dormiamo insieme ma in stanze separate,  la sua vita è ad Arezzo, la mia era dovunque in giro per il mondo per lavoro e adesso è qui.

Stiamo divorziando, dovrebbe arrivare presto la risposta definitiva!

Cosa faccio?

Dopo aver smesso di girare il mondo, rincorrendo gare e appalti per un’industria tedesca che produceva motori per auto per quindici anni, ho deciso nonostante le rimostranze della mia ex moglie/non moglie, di ristrutturare il piano terra e il seminterrato del mio casale,  aprendo  una trattoria “SoloPrimi” dove faccio il gestore, il cuoco e il cameriere.

Guadagni?

Pochi, ma quanto basta per me e pagare le fatture e gli ammennicoli vari dell’attività e del casale.

La libertà non ha prezzo!

Questo è il mio motto.

Prendo il pacco e mi avviò all’uscita, poi la noto, chi?

Una ragazza, sulla panchina fuori alla stazione, due valigie uguali, una piccola e una grande, avrà sui venticinque anni, ben vestita, una massa di capelli biondi, sta seduta tutta composta in attesa.

Cosa mi ha colpito?

Qualcosa di strano?

Guardandola di sfuggita,  sembra avere un’aria familiare e poi lo sguardo, sono passato a pochi centimetri di distanza e il suo sguardo è nel vuoto, perso!

Sto fantasticando!

Spesso mi capita, sarà di certo una turista o una persona in attesa di qualcuno, forse aspetta l’autobus, forse il fidanzato, il padre, la madre, forse…

Basta fantasticare!

Mi aspetta una giornataccia, ieri era il mio giorno di chiusura, ma oggi riapro la trattoria e non ho ancora preparato nulla, l’avrei potuto fare ieri, ma sono andato a lavorare alla Grotta dopo aver pulito e lavato i pavimenti della trattoria e tornato tardi, giusto il tempo di preparare una cena leggera e buttarmi sul letto stanco in un sonno profondo ristoratore.

L’aria esterna si sta riscaldando, non bastano i finestrini abbassati, aumentò la velocità, ecco va meglio, prima di preparare devo passare per la Grotta e lasciare i giunti che ho appena preso.

La Grotta si  trova distante quasi tre chilometri dal centro abitato, su una montagna che sovrasta la nostra valle, la strada è agevole e panoramica, tutti tornanti e poi lassù quasi in cima, la spianata, grande come un campo di calcio, da li un sentiero piuttosto largo ma impraticabile per le auto porta alla Grotta dopo cinquecento metri.

Nello spazio antistante, su un mio progetto, stanno lavorando degli operai ad una struttura sopraelevata li dove dovrà essere montato l’altare e il baldacchino per la statua della Madonnina, eccezionalmente e solo per il giorno di ferragosto viene spostata dalla sua sede a cura della Confraternita di cui faccio parte per poi ritornare a sera nella sua sede naturale, la Grotta.

Si narrano due leggende su quel luogo:

– la prima racconta che due giovani pastori, un uomo e una donna, mentre si trovavano ai loro pascoli sul monte, furono presi un giorno alla sprovvista da un furioso temporale, erano con i loro ovini e caprini, impauriti trovarono riparo con le loro bestie nella grotta. La leggenda vuole che rimasero per una settimana, in attesa che il tempo migliorasse. Nel frattempo i giovani nel consolarsi a vicenda si innamorarono ed erano prossimi a congiungersi, quando due capre in un combattimento per la sovranità sul branco, fecero crollare una parte della grotta e venne scoperta una statua alta due metri, miracolosamente intatta che aveva due simboli in mano, sulla destra una colomba e sulla sinistra un similcuore. Nel vederla, furono così colpiti che non completarono la congiunzione carnale, la tempesta terminò all’improvviso, il cielo si illuminò con un sole splendente e i due corsero al villaggio per raccontare del ritrovamento della statua. Dalla cronaca orale e poi scritta nei secoli, vengono raccontate le nascite miracolose, frutto delle preghiere di donne che si rivolgevano a Lei per concepire un figlio;

–  la seconda, invece, racconta che al tempo esisteva un uomo gigantesco che andava di villaggio in villaggio, alla ricerca delle vergini e con le maniere forti riusciva a deflorare quelle donne. Nel piccolo villaggio, solo una ragazza era in età da marito e quando seppe che l’uomo si stava dirigendo verso il villaggio, si nascose sulla grotta del monte. L’uomo riuscì con minacce e percosse a conoscere il suo rifugio e la trovò, stava per portare a termine il suo turpe desiderio dopo aver tramortito la giovane in una giornata di pioggia torrenziale, quando, un fulmine penetrò nella grotta colpendo una parte e mettendo in luce la statua. L’uomo fu colpito dalla luce e si fermò, fu talmente abbagliato dalla statua, diventò cieco e uscì urlando dalla grotta e nessuno più l’ha rivisto. Un pastore nelle vicinanze sentì le urla della giovane e corse soccorrendola e insieme portarono la notizia al villaggio della scoperta della Madonna.

Qualche secolo dopo,  facendo dei lavori di consolidamento della volta della cripta, nel spostarla si scoprì a metà agosto, una scritta in oro sotto al basamento “Madonna virgo fecunda” e da allora si festeggia con canti e balli nella giornata di Ferragosto.

Avevo studiato e progettato una struttura agile e aperta che voleva raffigurare un fulmine caduto sulla terra e i giunti mi servivano da congiunzione delle rette tubolari per completare la coreografia.

La Grotta era tappezzata di ex voto e di regali che le persone donavano alla Madonna, solo noi della confraternita avevamo le chiavi di accesso alla cripta.

– Finalmente sono arrivati!

Era il mio giovane amico Lorenzo, laureato da poco in Conservatoria dei beni culturali,  dirigeva gli operai al lavoro, lavorava ad Arezzo al Ministero dei Beni Culturali

– Si, sono appena arrivati, ora scappo che devo preparare per il pranzo.

Sorridendo

– Siamo in dodici come gli apostoli.

Mi misi in auto ridendo

– Anche ventiquattro, per me non fa differenza, per la nostra amata Vergine questo ed altro.

Per me che ero nato in quella valle, Lei era importante per tante ragioni, ed era sempre un’emozione ritornare nella Grotta.

In quei giorni di lavoro venivano a pranzo e a cena da me i confratelli e gli operai impegnati nella costruzione a cui si aggiungevano i miei clienti abituali, ma ero contento, non volevo essere pagato da loro, ma il presidente della confraternita non volle sentire ragioni “Per il tuo progetto e la direzione dei lavori non possiamo sostenere le spese, ma per il vitto e le strutture per realizzarlo,  siamo noi che ci siamo autotassati ed è giusto darti il dovuto”.

E così, io dichiaravo cinquanta e lui mi dava cento, poi sorridendo diceva “So che è meno di quello che hai speso, ma non è giusto che tu mi chieda la metà della metà! Conosco il tuo impegno, ma non dobbiamo approfittare della tua disponibilità”.

Non avevo un menu fisso settimanale, non c’erano dei secondi, nella mia trattoria servivo solo l’antipasto, il primo, la frutta e nei giorni di festa il dolce.

Mentalmente mentre scendevo decisi di fare un sugo semplice con la salsiccia da servire con le pappardelle, mentalmente mi ripassai le quantità degli ingredienti che avevo nella dispensa e mi ricordai di aver terminato il salame, feci una variazione sul tragitto verso casa per farne rifornimento

Erano quasi le dieci quando arrivai in città, alla norcineria presi un buon quantitativo di salame e l’auto si riempì di profumo di carne conciata, stavo per uscire dal cortile del negozio, quando mi bloccai con l’auto.

Cos’era successo?

Di fronte all’ingresso del cortile c’era una pensilina per gli autobus con una panchina, il riflesso del sole rimbalzando sulla vetroresina di copertura schermava la scena,ma riconobbi le valigie e notai la stessa ragazza del mattino, stava seduta, aveva un cartello tra le mani, non riuscivo a leggere da lontano, incuriosito scesi dall’auto e mi avviai per attraversare la strada, ero ancora sul marciapiedi opposto, quando riuscii a leggere

“Cerco lavoro”.

Ero senza parole!

Attraversai la strada, mi avvicinai, lei mi notò

– Buongiorno.

La guardai meglio, era forse più piccola dei venticinque anni che le avevo dato, aveva un’espressione seria ma lo sguardo era perso nel vuoto

– Buongiorno, scusi la mia domanda, ma non ha paura?

Stavolta alzò lo sguardo, aveva degli occhi celesti, come il mare

– No, al mio paese si fa così.

Vedendo il mio disappunto, esclamò

– Da voi no?

Immediatamente

– Da noi? No certo! Ma hai idea di quello che fai,  chiunque, in questo modo, potrebbe importunarti, prenderti in giro, fare qualsiasi cosa, dicendo delle bugie per poi farti del male? Da noi ci sono delle agenzie dove rivolgersi, dare i propri dati e attendere le risposte.

La ragazza, abbassò il cartello, poi quasi sottovoce

– Non ho tempo di attendere!

Fu così spontanea la risposta che non potetti fare a meno di sedermi

– Io mi chiamo Vanni

E lei stringendo la mano

– Io Sofia, sono arrivata oggi dall’Olanda.

Lei analizzava me ed io facevo altrettanto, già quando aveva detto il nome, mi ero meravigliato, pensavo a qualche nome straniero, ma poi quando disse la nazione fui ancora di più sorpreso

– Che tipo di lavoro stai cercando?

Mi sembrò più rilassata, forse avevo fatto buona impressione, non lo so

– Baby sitter, badante, cameriera… tutto quello che posso fare legalmente ma ad una condizione che sia previsto anche l’alloggio.

Sarà perché il sole stava iniziando a picchiare, sarà che la vedevo così indifesa, sarà che fondamentalmente non sono normale

– Potrebbe interessarti un lavoro in una trattoria come cameriera e tuttofare.

Finalmente vidi un accenno di sorriso

– Tuttofare si, ma niente sesso!

Saltai dalla panchina

– Certo che no!

Sorrise

– Certo, a chi mi devo rivolgere?

Mi stavo ancora riprendendo dalla battuta

– A me! Ho una piccola trattoria, se vuoi, ti faccio vedere.

Si alzò immediatamente

– Andiamo!

Non credevo a me stesso, ma come mi era venuto di fare quella proposta, per anni ho lavorato senza nessuno ed ora?

Ma come si dice “cosa fatta capo ha”.

Misi a posto le valigie con il suo aiuto, entrammo in auto

– Che buon odore!

Era il profumo del salame, sorrisi

– L’ho preso adesso, vuoi assaggiare?

– Si, grazie, sono ventiquattrore che non mangio nulla.

Non tagliai il salame

– Posso darti del tu?

Mi guardò, era contenta

– Certo!

– Bene, allora Sofia, ora facciamo colazione come si deve e poi andiamo alla trattoria.

– Va bene.

E così facemmo, divorò tutto nel bar dove ci fermammo e dopo un breve tragitto arrivammo alla trattoria, non mi capacitavo, eppure non mi sembra una persona che non aveva i soldi per mangiare, è vestita bene, le valigie sono di marca, quale mistero c’è sotto?

– Ecco, siamo arrivati!

Scendemmo le valigie, poi il salame, aprii la trattoria e annusò l’aria

– Anche qui c’è un buon profumo!

Ero contento

– Grazie, ho lavato e pulito da cima a fondo ieri, ora ti porto le valigie sopra, c’è una stanza con bagno, rinfrescati, poi scendi giù, inizio a cucinare. Non ti dimenticare, portami i documenti che devo registrarti.

Fece con la testa di si e mi fiondai in cucina.

Dopo aver riposto il salame nella dispensa, una generosa lavata di mani, inforcai i guanti e iniziai a sbriciolare la salsiccia, in una pentola capiente  misi a soffriggere dell’olio d’oliva con la cipolla, immersi la salsiccia sbriciolata senza budelli, del rosmarino tritato finemente, un poco di pepe  alzando la fiamma

– Ma sei uno Chef?

Trasalii, mi ero completamente dimenticato di lei, eccola stava sulla porta e mi guardava incuriosita

– Si e no.

Risposi sorridendo

– Che buon odore!

– Oggi prepariamo sugo di salsiccia con le pappardelle.

Rise

– Prepariamo?

– Certo, qui fino ad oggi ho fatto tutto io, gestore, cuoco e cameriere, ora ci sei tu.

– A ecco!

Si avvicinò e mi diede i documenti.

– Appoggiali su quella mensola, li vedrò dopo, ora vuoi fare qualche domanda?

– Che devo fare?

Mi piaceva, era pratica ed efficiente, si era cambiata, aveva dei jeans e una camicetta bianca, i capelli li aveva raccolti in un’unica treccia

– Se te la senti vai in sala, appena esci di qua c’è una credenza con il tovagliato e il resto per guarnire la tavola, abbiamo oggi una tavolata con dodici persone, ma metti quindici coperti e un tavolo per quattro persone.

Nemmeno il tempo di finire la frase, sparì, continuai a cucinare, inclinai leggermente la pentola per eliminare il grasso in eccesso e poi versai del vino bianco secco aspettando che evaporasse.

Presi i documenti:

Sofia Palmer

Residente ad Amsterdam

Età 23 anni

Riportai i dati sul modulo di registrazione per i dipendenti in prova ed inviai il fax alla caserma dei carabinieri.

Aggiunsi la passata di pomodoro, un poco di zucchero e coprii la pentola, mettendo il fuoco basso. Su di un altro fornello, misi una pentola capiente per le pappardelle e entrai nella sala con i documenti in mano.

– Sofia, ecco…

Mi caddero da mano, ma come diavolo aveva fatto?

La sala a piano terra aveva dieci tavoli, aveva accorpato dei tavoli per i quindici come avevo detto, poi non si era fermata a preparare un solo tavolo, ma tutti, tutti erano pronti con tutto quello che serviva, aveva aperto le imposte delle finestre, abbassate le tendine contro gli insetti, acceso la radio sul canale della filodiffusione e la televisione sul canale delle news senza audio solo con le scritte che scorrevano.

Raccolsi il passaporto a terra, ma lei non la vedevo, mi guardai intorno.

Verso le toilette, c’era un angolo con due poltrone, per le persone che erano in attesa di entrare, ed eccola, stava raggomitolata su una di queste, evidentemente si era rilassata, ero stato uno stupido, dovevo immaginare,  era stanca, riposava, chiusi la finestra da dove entrava un fascio di luce solare, le misi un plaid addosso, era bella, aveva il viso rilassato.

La lascia riposare e tornai in cucina, erano tempo di preparare gli antipasti.

Tagliai il pane, i salumi, il formaggio e preparai la frutta, ma il pensiero era fisso, cosa ci faceva qui? Solo le scarpe che portava, quelle di ginnastica adesso, costavano un occhio!

Mancava un’ora alle 13.00, ora di arrivo degli operai, stavo impiattando gli antipasti

– Scusami Vanni, mi sono addormentata, grazie per il plaid.

Continuando a riempire i piatti

– Sono io che mi devo scusare, sono un negriero, appena sei arrivata ti ho messo a lavorare.

Sorrise, si era rinfrescata e cambiata la camicia, aveva messo il grembiule della trattoria e si mise ad aiutarmi

– Non potevi sapere!

– Nel pomeriggio sei libera, puoi riposarti, poi stasera il servizio inizia alle 20.00.

– Grazie, la stanza è bella.

– Si, era quella di mia madre, voleva la sua privacy, tieni le chiavi del portoncino d’ingresso, non ho il doppione.

– Grazie, vado a posare i documenti, ma posso lasciare le chiavi anche qui in cucina se vuoi.

– No, Sofia, voglio che stai tranquilla, tienili tu, l’altra chiave è quella dell’ingresso della trattoria, così sei libera di muoverti a piacimento, abito di fronte al tuo portoncino sul pianerottolo di sopra.

Era contenta, lo vedevo, le brillavano gli occhi

– Grazie, sei troppo gentile.

– No, sono coerente, ho visto come hai preparato la sala, sei brava e responsabile ma tu non conosci me e io altrettanto, è meglio così! Quando scendi mangiamo qualcosa,  poi si parte per il servizio.

Sorrise e sparì.

Quando ritornò, avevo già i piatti pronti sul tavolo nella sala prima della cucina, mangiammo in silenzio, gradì tutto, fu allora che mi accorsi che non aveva un telefono cellulare, strano, mi venne spontaneo

– Ma i tuoi lo sanno dove sei?

Ebbe un fremito, ma poi fissandomi con calma

– Sanno che sono in Italia, mio padre domani parte per raggiungere Atene in Grecia, poi lo raggiungerò.

E non disse più una parola!

Ero stato stupido lo so, ma avrei voluto farle mille domande, ma mi astenni, lei capì ritornò allegra come prima, arrivarono gli operai, tutti si accorsero della novità, uno in particolare mi disse che non le staccava gli occhi da dosso, me lo descrisse, era Lorenzo.

Arrivarono pure i miei clienti fissi del pranzo, due coppie, li chiamavo i magnifici quattro, se avessi sommato gli anni di ciascuno arrivavo alla cifra iperbolica di 320 anni.

La prima coppia era composta da un generale in pensione con la terza moglie straniera, l’altra coppia amica della prima era il farmacista della città in pensione con la moglie, entrambi non avevano figli.

Erano due anni che frequentavano tutti i giorni la trattoria solo per il pranzo, avevano una certa confidenza con me, le due mogli appena fu possibile vennero a chiedermi chi era quella ragazza, sorrisi di buon gusto e senza raccontare nulla, dissi che era di passaggio, aveva bisogno di lavorare e di un posto per dormire e io glielo avevo offerto.

Appagata la loro curiosità, fecero i complimenti per l’educazione e la correttezza nel servire ai tavoli, lo stesso fece anche Lorenzo quando venne a salutare, lo vidi, voleva chiedere di più, ma si astenne.

Sofia mi disse che avevano gradito tutto e iniziò a sparecchiare, mi misi a pulire la cucina, dopo circa un’ora

– Finito! Vanni di chi è quell’auto la fuori?

Era un  regalo per mia moglie, cinque anni fa l’avevo acquistata, una 600 nuova di zecca, aveva fatto si e no tremila chilometri da allora, ogni tanto la mettevo in moto o la usavo per fare delle commissioni senza usare il furgone

– E’ mia, ovvero l’avevo regalato alla mia ex moglie, perché?

Era rimasta colpita, forse dal tono della mia voce

– Non volevo, scusami.

– No, non ti preoccupare, dimmi.

La tranquillizzai

– Volevo prenderla per a fare un giro e rendermi conto della città, posso.

Andai all’armadietto in cucina

– Ecco! Ma non volevi riposare?

Le prese, si era illuminato il viso

– Riposerò stanotte, grazie.

Guidava bene, lo vidi dalle manovre per uscire dalla tettoia, era sicura di se, chissà dove è diretta, pensai, continuavo a fantasticare, ma non era giusto, presto andrà via, ne sono certo, ha detto che il padre sta per andare ad Atene e deve raggiungerlo….”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

8 Febbraio 2024 – Aurora.

Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

Mi divertiva questo dialogo tra sconosciuti

– Ufficialmente sono un geometra, ma per diletto cucino.

Meravigliata, sorridendo

– E quale dei due lavori è impegnato in questo tuo viaggio?

– Entrambi!

Era incuriosita ed io ero disponibile a parlare, ma anche curioso di conoscere il perché del suo viaggio, fummo interrotti dagli stewart della compagnia ferroviaria ci offrirono uno snack e utilizzammo quei pochi minuti per analizzarci a vicenda

– E tu? Ho visto che hai due valigie corpose, ti stai trasferendo?

Divento rossa all’improvviso, poi abbasso gli occhi e quasi sottovoce

– Si, e per sempre!

E cadde il gelo, mi morsi quasi la lingua per aver fatto quella domanda inopportuna, per fortuna arrivammo a Roma Termini

– Sgranchisco le gambe e fumo una sigaretta, vuoi venire?

Sollevata

– Perché no?

Scendemmo!

C’erano molte persone in attesa di salire, mi misi da parte per fumare la sigaretta e lei mi seguiva, poi squillò il suo cellulare, mi allontanai senza perderla di vista, dai gesti intuii che era qualcosa di importante, era nervosa e gesticolava ma sempre senza alzare la voce e così facendo non si era resa conto che si stava allontanando dalla banchina e dal treno.

Spesso avevo fatto quella linea come tanti giovani e meno giovani alla ricerca di un lavoro, conoscevo a memoria i vari segnali per la ripresa del viaggio, mi allarmai quando sentii il secondo squillo della prova dei freni e senza pensarci due volte, mi avvicinai di corsa, stava oltre lo scompartimento e quasi prendendola in braccio la catapultai nello scompartimento, fui aiutato dai miei centoventi chili di peso e placcando rovinammo sul predellino, era sconvolta

– Ma che diamine?

Ansimavo, appena dentro si chiusero le porte

– Stavamo per perdere il treno, non te ne sei accorta?

Si guardò intorno, il cellulare le cadde da mano aprendosi

– No, non mi ero resa conto, scusami!

Senza accorgermene avevo quasi urlato

– Quando ti ho visto presa al telefono, ho pensato di fare la cosa giusta, scusami.

Presi con calma il cellulare, rimisi la batteria a posto e glielo diedi, qualcosa era cambiato in lei, stava lacrimando, mi preoccupai, pensai di essere stato inopportuno

– Non l’ho fatto apposta, anche se non ti nascondo è stato un  piacere prenderti in braccio.

Le strappai un sorriso e arrossì

– Vieni, andiamo a sederci.

La presi per mano e ritornammo ai nostri posti, mi sedetti

– Vado un attimo in bagno.

Lasciò la borsa e il cellulare

– Aurora, la borsa.

Stavolta sorrise

– Con te sono tranquilla!