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29 Febbraio 2024 – Sognando per vivere. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Il cielo come ogni mattina era plumbeo, così diverso da quel cielo della mia terra, sempre azzurro e limpido, da casa mia potevo vedere le isole, con lo sguardo le accarezzavo, immaginandomi di fare un salto e trovarmi li,  in mezzo al mare o su una montagna a respirare aria limpida e salubre a pieni polmoni.

Invece!

Invece, eccomi qui, in una città, non la mia,  a mille chilometri di distanza, sono qui da un anno, lavori saltuari di ogni tipo, ma i miei risparmi si stanno assottigliando, la pensione dove abito non costa molto, ma per me, si!

Sono alla ricerca di un lavoro, certo ho trovato anche qualcosa, sono sopravvissuto, ma quel qualcosa non mi accontentava, avevo dei sogni e volevo realizzarli.

Come tutte le mattine, scendo al bar sotto casa e faccio colazione e pranzo, un cappuccino e un cornetto, la titolare è cinese Liu Jang, esperta sommelier così come attestato in numerosi quadretti alle pareti.

C’era molta gente quella mattina,  e già, le persone vanno di fretta di mattina per andare a lavorare, beati loro!

Lei e la sua aiutante sfornano in continuazione, caffè e cappuccini, non ho fretta, attendo, prendo il giornale e inizio a sfogliarlo.

Cosa sto cercando?

Un luogo per dormire! Leggevo gli annunci, non mi ero reso conto di Liu si era materializzata all’improvviso davanti a me

  • Ti ho visto sai, ecco il solito!

Mi risveglio dal torpore

  • Grazie Liu, sei un angelo.

Mi sorride con quella espressione buffa di tutti o quasi gli orientali, apre la bocca, sorriso a tutto denti, si arriccia il naso e gli occhi si socchiudono.

Mi piace guardarla così, lei lo sa

  • Cosa stai cercando? Lavoro?

Si, per la mia consuetudine giornaliera, conosce bene il mio problema

  • No, cerco casa a poco prezzo!

Si fa seria

  • Ti hanno cacciato?
  • No, per il momento, ma manca poco.

Con aria dispiaciuta si avvia al bancone Teresa la sta chiamando per la cassa, lascio raffreddare un poco il cappuccino e cerco di non perdermi neanche una briciola del cornetto, scorro gli annunci ma sono troppo cari per me, mentre sorseggio a piccoli sorsi il cappuccino, vedo arrivare Teresa

  • Liu ti vuole, vai al banco.

Sorpreso, con il cucchiaino prendo l’ultima nuvola d’aria di latte e mi alzo

  • Ascolta Mino, se non fossimo già in otto a casa, con mio marito i tre bambini e i genitori ti ospiterei, ma hai mai preso in considerazione di andare presso una famiglia che affitta una stanza?

Conoscevo questa coabitazione, ne avevo sentito parlare

  • Si, ma non saprei a chi domandare!

Si illuminò

  • Conosco una famiglia, posso parlarci io e se non è tardi troverai una sistemazione, due mesi fa tramite loro ho aiutato due ragazze, so che hanno un’altra stanzetta, il bimbo è piccolo e quindi potrebbe essere libera.
  • Grazie, ma se chiedono garanzie, io non ne ho per il momento.
  • Garantisco io, ora va, cerca un lavoro e io penso al resto.

Le ero riconoscente, avevo voglia di abbracciarla, ma non sapevo se potevo farlo, allora sorrisi come faceva lei imitandola, capì si fece una bella risata.

Mi aveva dato la carica, mi ero ripreso dal grigiore del mattino!

Avevo diviso la città in quattro rettangoli, il modo di operare era sempre lo stesso, cercavo lavoro nella ristorazione, era l’unica cosa che sapessi fare, ma quella mattina, decisi di fermarmi in ogni negozio, era l’ultimo rettangolo, dovevo trovare  assolutamente qualcosa.

Ero determinato, quelle porte sbattute in faccia non mi demoralizzarono, all’ora di pranzo, iniziai con i ristoranti, kebabberie, osterie, trattorie, pizzerie e fui fortunato!

“Osteria  da Davide” trattoria tipica.

Entrai nel locale gremito di persone, ne contai una cinquantina e vidi questo giovane con i capelli racchiusi in una coda di cavallo che si faceva largo tra i tavoli, carrozzine e sedie, portando dei piatti fumanti, chi lo chiamava, chi chiedeva dell’acqua, invece di stare ad aspettare alla cassa come facevo di solito con il mio foglio e il curriculum, mi avvicinai appena fu ad un passo da me

  • Ti serve una mano?

Non ci pensò due volte, mi squadrò

  • Certo!

Tanto mi bastava!

Mi tolsi giacca e cravatta, presi un grembiule di lato alla cassa e iniziai a ritirare dei piatti vuoti ad un tavolo, in tasca c’era un notes e presi l’ordinazione, così feci sistematicamente per altri tavoli vicini e senza dirci una parola ci dividemmo in due la sala e i tavoli e li servimmo in perfetta sintonia.

Una signora si affacciò quando depositai l’ennesimo biglietto

dell’ordinazione, stupita

  • E tu chi sei?

Di rimando, lo indicai

  • Aiuto lui!

Sorrise e continuammo.

Erano le 16.00, quando servimmo l’ultimo, continuai nello sparecchiare i tavoli, poi arrivò la signora , mi passò il tovagliato pulito e dopo aver pulito dei residui i tavoli, con il giovane iniziammo ad apparecchiare per la sera

  • Ciao io sono Davide.
  • Io Mino.

Il tutto sempre lavorando

  • Ci sai fare!
  • Grazie, cerco lavoro!

Si fermò

  • Di che tipo?
  • Di tutto, nella ristorazione.
  • Cameriere?
  • Certo!

Iniziai a pulire a terra.

Mi piaceva questa discussione, tra una tovaglia e le posate da mettere, Davide mi stava studiando lo vedevo, imperterrito continuavo, con un occhio al lavoro e l’altro in cucina dove era andato

  • Vieni Mino, ti presento mia madre.

Andammo in cucina, ordinatissima, fui presentato, c’era la signora Amelia e due indiani

  • Ti ho visto, mio figlio mi ha detto che cerci lavoro, avremmo pensato di tenerti da oggi in prova fino a sabato, servizio pranzo e cena, cinquanta euro al giorno compresi i contributi.

Non urlai in quel momento di gioia solo per non farmi internare, certo non era sicuro, ma era qualcosa, toccava a me farmi apprezzare

  • Accetto, grazie!
  • Ci vediamo alle 18.00.

Amelia mi diede un pacco

  • Ecco ti ho messo qualcosa da mangiare, certamente avresti voluto mangiare prima, ma poi ti sei messo a lavorare.
  • Grazie ma non dovevate.
  • Di nulla, a stasera.

Davide mi accompagnò

  • Se mamma è contenta come lo sono io, hai trovato lavoro.

Avevo le ali ai piedi, mi avviai di buon passo e volevo condividere con qualcuno, andai da Liu, fu contenta, mi misi in un tavolino in disparte e divorai tutto, mi stava aspettando disse, avevamo un appuntamento per la stanza.

Alla fine, ci avviammo, conobbi la famiglia erano delle brave persone, vidi la stanza, un letto a ponte, piccola era piccola, ma non mi interessava, chiesero trecento euro, ma chiudemmo a duecentocinquanta al mese, quando scendemmo non potetti fare a meno di abbracciarla, rimase meravigliata

  • Grazie, grazie, se tutto va bene sabato pago il primo mese in anticipo.
  • Non ho fatto nulla, ma mi ha fatto piacere il tuo abbraccio, benedetto ragazzo.

Avevo solo venticinque anni, i miei genitori erano saliti troppo presto in cielo, sette tra fratelli e sorelle tutti più grandi, sposati e con figli, perdendo i genitori, lentamente si persero pure i contatti, ero sballottato da uno e da un altro, non ce la facevo più, terminata la scuola alberghiera, misi tutto in un borsone, il primo treno ad alta velocità, ed eccomi qui a mille chilometri di distanza, mandai un messaggio, nessuno mi rispose.

Avranno tirato un sospiro di sollievo? Non lo so!

Andai alla pensione, raccolsi quelle poche cose che avevo, avevo la chiave dell’appartamento, prima della mia stanza c’era quella delle due ragazze, ma non c’era nessuno, poggiai al meglio la mia roba, mi rinfrescai e via al locale a lavorare.

Arrivai con un quarto d’ora di anticipo, già erano la, stavano cenando, saltai la cena ero gonfio ma ringraziai per l’invito, Amelia disse che avrebbe messo qualcosa da parte per la notte, mentre loro continuarono tolsi tutte le bottiglie dallo scaffale del bar e tolsi la polvere, rimettendo tutto a posto.

Ero guardato a vista, ma li vidi contenti.

Non avevo idea di quanto fosse difficile coabitare, ma mi abituai lentamente.

Erano passati due mesi da quel giorno, a casa qualche volta incontrai la famiglia, conobbi il piccolo Tommy, ma non incontrai mai le ragazze, i miei orari mi permisero di avere il bagno tutto per me la mattina, spesso facevo colazione con un bicchiere di latte, ma la maggior parte andavo da Liu, cappuccino e dolce, al mattino mi svegliavo tardi e di sera tornavo dopo la mezzanotte, quindi potevo considerarmi un ospite fantasma.

Dopo quella settimana, Davide e la mamma,  contenti, mi fecero un contratto regolare, lavoravamo sodo ma era il mio ambiente, ci stavo bene.

Davide dopo qualche mese si aprì con me, aveva un compagno Amos a Madrid, era gay dichiarato, ma la mamma non riusciva a farsene una ragione e cercava in tutti i modi di evitare di parlarne e con la scusa che da sola non poteva portare avanti il locale, l’aveva costretto a rinunciare a seguire il suo amore, ma due volte al mese prendeva l’aereo e volava da lui, a cavallo del giorno di chiusura del locale.

Avevo tante idee per la testa, ma non volli espormi, mi bastava sapere che avevo la possibilità di uno stipendio settimanale e un posto per dormire, non nascondo che più di una volta, al locale questa smania di migliorare le cose, mi prendeva, ma evitavo di parlare, aspettavo l’occasione giusta.

Eravamo agli inizi di novembre, fuori c’era il gelo, quindi ci anticipavamo a turno per far trovare accogliente il locale, così accadde quel giorno che mi avrebbe cambiato la vita!

Mi anticipai per il pranzo, Davide mi aveva dato da tempo  le chiavi del locale, ero contento, si fidavano di me, questo mi inorgogliva, dopo aver acceso il camino e le stufe a gas, aggiustato i tavoli andai in cucina, volevo fare qualcosa di sfizioso, avevo notato che gli ospiti nell’attesa di quello che avevano ordinato, diventavano qualche volta intolleranti.

Aprii la porta della dispensa e li vidi, due sacchi di polenta da un chilo, il pensiero corse immediatamente a mio nonno, aveva un mulino e il ricordo di quella piccole porzioni di polenta, calde, fumanti, mi riempiva di gioia.

Fu un tutt’uno, misi subito il pentolone, poi come mi aveva insegnato mia nonna la preparai dosando la giusta quantità d’acqua e di sale, nell’attesa che si raffreddasse dopo aver pulito e igienizzato, versai tutto su una lastra di marmo, accesi sotto l’olio della friggitrice.

Arrivò Amelia, ma non me accorsi, poi Davide e gli altri, fischiettavo e lavoravo, feci tanti tocchetti fritti, una montagna

  • Ma bravo!

Piccolo applauso, mi colsero alla sprovvista, mi girai e li vidi, stavano tutti li, diventai rosso, era Amelia che aveva parlato

  • Scusami Amelia, mi sono fatto prendere la mano.

Lei mi guardava e non diceva nulla, poi come i monaci iniziarono ad assaggiare

  • Buoni!

A quel punto spiegai il perché, finalmente Amelia

  • Proviamo, ma la prossima volta mi avverti prima, vero?

Disse sorridendo

  • Certo!

E andai in sala, imbarazzato.

Iniziarono ad arrivare gli ospiti, io e Davide iniziammo a prendere la comanda, oggi erano pappardelle al sugo di carne, cotolette alla milanese con patatine o insalata, dopo aver portato la comanda, trovai già pronti i piattini con la polenta fritta da servire nell’attesa, Amelia aveva aggiunto anche delle bustine di senape, pomodoro kectchup e maionese.

Iniziammo a servirle, sulle prime le persone erano stupite, poi

  • Questo l’offre la casa nell’attesa del primo.

Lessi la soddisfazione sui volti delle persone e anche Davide e la madre se ne accorsero, entrarono due ragazze e un ragazzo, si sedettero, erano infreddoliti, mi avvicinai

  • Allora a che punto sei con la tesi Teresa?
  • In alto mare, quella stupida mi sta facendo perdere un sacco di tempo, e tu?

Non fece in tempo a rispondere, ma io feci in tempo ad osservare l’altra ragazza, alta quanto me, magra da far paura, un viso molto bello, curato, occhi celesti e dei capelli lisci biondi, finalmente si accorsero di me

  • Prego, volete ordinare?

Per evitare il  suo sguardo, mi rivolsi al ragazzo

  • Allora, ragazze ordiniamo?
  • Aura tu che prendi?

Che bel nome pensai, poi notai che parlavano con me

  • Leo tu?
  • Pappardelle

La ragazza Teresa, chiese anche lei solo le pappardelle, non rimaneva che lei, non si decideva, mi chiamarono ad un altro tavolo

  • Posso consigliarla?

Si destò, mi guardava diritto negli occhi

  • Potrei consigliare la cotoletta alla milanese con contorno di patate e carboidrati per antipasto.

Mi guardò perplessa ma sorrise

  • Accetto!

Poi con mio dispiacere dovetti andare dall’altro lato della sala e quindi li persi di vista, Amelia incassò i complimenti per l’iniziativa e volle dirmelo di persona ringraziandomi, Davide non era del solito umore, una volta che lo incrociai

  • Non ti senti bene?
  • No, dopo ti dirò!

Passò del tempo, stavo sparecchiando, quando di spalle

  • Grazie, è stata un’ottima idea.

Mi girai, era lei sorridente

  • Erano anni che cercavo di trovare un posto dove assaggiare della polenta, sono ritornata al sapore alla mia infanzia, mi è piaciuta, grazie.

Non uscivano le parole, feci solo segno di si con la testa e scomparve, ma dietro di lei c’era il ragazzo

  • Ciao ci vediamo, mi chiamo Leo, ma tu chiamami Lea.

Con un cenno della mano, mi salutò, lasciandomi interdetto.

Quando terminammo a pranzo, Amelia si era già avviata a casa, rimanemmo io e Davide, era di venerdì, lo ricordo bene, perché avevamo già stilato un menu speciale per la giornata seguente festa del Santo patrono della città, San Onofrio, stava per dirmi qualcosa quando ricevette una telefonata, mi salutò e sparì.

La sera lo vedevo, era più agitato ma non ebbi modo di parlare con lui, quando terminammo il servizio, nell’aggiustare i tavoli per il giorno successivo, più d’una volta stava per far cadere qualche bicchiere, lo fermai, lo feci sedere

  • Che succede?
  • Amos mi vuole lasciare.

E si mise a piangere, ma non leggermente, ma a singhiozzi pieni, cercai di calmarlo, mi alzai e feci una camomilla, solo dopo un poco si tranquillizzò

  • Perché?
  • Dice che non può avere una relazione a distanza, mi vuole la, con lui, sempre.
  • Ma cosa fa nella vita?

Era la prima volta che lo chiedevo

  • Dirige un call center italiano in Spagna, mi ha dato l’ultimatum, ha prenotato un posto in aereo per domani mattina per Madrid e ha detto che se non mi trova in aeroporto è finita. Ne sono certa, ha trovato un altra, ma io non posso vivere senza di lui….”….
…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

28 Febbraio 2024 – La forza della verità. – di Araldo Gennaro Caparco

Mi chiamo Rosario Adalberto Castelmonte, sono un giovane avvocato penalista, non so bene perché sento il desiderio di scrivere questa storia, ma mi ha cambiato la vita, forse sarà per non dimenticare, forse per dare coraggio a chi non ce l’ha o a chi l’ha perso, forse… chissà!

Sono in procinto di entrare in tribunale, sono l’avvocato difensore di una persona, fin qui tutto è normale, ma non per me, la persona in questione è stata accusata sette anni prima, di essere stato l’esecutore della morte dei miei genitori fatti saltare in aria con una carica di tritolo ed è stato condannato all’ergastolo.

Ma andiamo per ordine, così si potrà capire meglio come sono arrivato a questa decisione, in nome di chi o di cosa e perchè sono così emozionato, oggi!

Tutto è iniziato un anno prima, fui chiamato da un notaio di Reggio Calabria, i miei zii mi diedero la notizia della sua convocazione al ritorno dallo studio di un avvocato dove avevo percorso e terminato il periodo di praticantato e dove mi stavo preparando per l’Esame di Stato per l’abilitazione alla pratica forense, guardai la busta

– Cos’è?

Ero molto meravigliato, vedevo mia zia Anna titubante mentre mi porgeva la lettera aperta, sull’indirizzo, c’era il nome di mio zio e poi sottolineato a mano, per l’Avv. Rosario Adalberto Castelmonte

– E’ per te!

Solo due righe:

“La signoria vostra è attesa alle dieci del giorno 23 allo studio del notaio Persepoli alla via Avellino – Reggio Calabria”

Entrò zio Antonio, ostentava un’aria tranquilla, ma si vedeva, era agitato

– Lo conoscete zio?

Lui mi guardò strano

– No Rosario, ma penso sia importante, la lettera è stata portata a mano da un corriere venuto apposta da Reggio Calabria un’ora fa.

Era chiaro, quei due mi nascondevano qualcosa, ma feci finta di non averlo capito

– Ma come faccio, domani nel pomeriggio ho gli esami di stato per l’abilitazione.

Entrò Sara la governante di casa

– La cena è pronta!

Si alzarono contemporaneamente, poi mentre stavano per uscire dal salone

– Non vieni?

Erano sette anni che vivevo con loro, a Gioiosa Ionica, avevo venti anni  quando i miei genitori furono uccisi in un agguato sull’Aspromonte, mi accolsero a casa loro, non avevano figli e mia madre era l’unica sorella di zia Anna, mio zio era un avvocato penalista come mio nonno, mentre mio padre era un avvocato civilista.

Non avevo altri parenti oltre a loro e a mio nonno, ma anche lui mi lasciò presto,  sono passati sei mesi dalla sua morte e mi manca tanto, era un uomo molto attivo nonostante avesse all’epoca quasi settanta anni, si ammalò gravemente e gli ultimi due anni della sua vita, a settantasette anni, li aveva vissuti in una clinica specializzata a Milano nel vano tentativo di trovare una soluzione al suo tumore.

Spesso l’andavamo a trovare, ma per lui era terribile farsi trovare in quelle condizioni, quando era lucido chiacchieravamo molto, per vicende familiari non avevamo passato molto tempo insieme negli anni precedenti, l’ho  sempre trovato in clinica con il suo computer in funzione, poi verso la fine della sua vita, io parlavo e lui ascoltava, mi chiedeva degli studi e mi ascoltava, i suoi occhi erano le sue risposte, non aveva nemmeno più la forza di rispondermi!

Fu lui che mi diede la forza di continuare dopo la morte dei miei genitori, mi spronava con delle email e delle lettere, quando era ricoverato in clinica le lettere le scriveva un infermiere e con il suo aiuto e quello degli zii, riuscii a laurearmi e a fare il praticantato presso un compagno di studi di zio Antonio.

A tavola regnava il silenzio, continuavo a pensare a quella convocazione, esclamai mentre mangiavamo

– Cosa potrebbe essere?

Rimasero con il cucchiaio a mezza aria

– Non ti arrovellare Rosario, domani sapremo, io e zio Antonio abbiamo deciso di accompagnarti con la macchina e poi rientrare per tempo per gli esami di stato, che dici?

Risposi annuendo, solo con un cenno della testa.

.-.-.-.-.-.-.-.-..-.-.-

Sono senza parole, siamo di ritorno dal notaio, nessuno parla in auto, ho la cartellina in mano, mai e poi mai me lo sarei aspettato, si è vero, sono contento mio nonno ha avuto un grande pensiero per me, non me ne aveva mai parlato, solo una volta mi ricordo, eravamo a casa nostra a Palermo, era il compleanno di mamma, venne all’improvviso facendola contenta, poi nel pomeriggio dopo pranzo, eravamo seduti fuori al terrazzino del nostro appartamento e anche studio di mio padre, con la vista sul mare

– Appena posso ti vengo a prendere, devo portarti in un posto speciale.

Mi disse

– Dove nonno?

– Lo vedrai!

Fu l’unica volta e anche l’ultima, certamente si riferiva a quello che adesso mi aveva donato, poi la tragedia dei miei genitori, lui si ammalò dopo qualche anno e non se ne parlò più.

Ero più che emozionato

– Perché?

Dissi ad alta voce, mi rispose zia Anna, zio Antonio non si distrasse dalla guida

– Ti mentiremmo se non ti dicessimo che non ne eravamo a conoscenza, un anno fa, mentre tu scendesti a comprargli quel libro che ti aveva richiesto, espresse questo desiderio

“So che non devo chiedere nessun permesso, ma voglio anticiparvi che desidero lasciare la casa dei miei genitori di Sanbruno a Rosario, li ho iniziato la mia carriera di avvocato ed è li che lui dovrà iniziare a praticarla, questa sarà l’unica condizione per accettarla”

– E voi?

Zio Antonio

– Abbiamo protestato, questa richiesta per noi era assurda e poi ti avrebbe portato lontano da noi, ma fu irremovibile, disse: “Certo sarà un sacrificio, ma lui è forte, mi somiglia e poi deve portare a termine una cosa”,  chiedemmo cosa, ma non ci volle dire nulla e non ne parlò più.

Ecco con quest’animo mi presentai agli esami di stato, inutile dire che avevo accettato e dopo la firma dal notaio, ricevetti una busta formato A3 e riconobbi immediatamente la sua scrittura :

“Da aprire solo a Sanbruno. Tuo nonno, un abbraccio.”

Aspettammo i risultati dell’esame, qualche giorno,  ma non riuscii nemmeno a godere dell’esito positivo, dovevo partire, il tempo di preparare le mie cose e con gli zii e con la loro auto arrivammo a Sanbruno, sembrava una caccia al tesoro, mio nonno aveva previsto tutto, il notaio tramite corriere in ventiquattro ore mi fece avere tutti i documenti che attestavano il passaggio di proprietà e i relativi contratti delle utenze a nome mio e con grande sorpresa notai anche la presenza di un vano negozio che mi aveva donato e un terreno poco lontano dal paese di circa un ettaro.

La notte prima di partire non riuscivo a dormire, si è vero, avevo da parte i soldi dell’assicurazione sulla vita di mio padre, i miei zii non vollero che toccassi mai quei soldi, era una bella cifra, ma era altrettanto vero che ero all’inizio della mia carriera e per di più adesso mi stavo spostando dove non conoscevo nessuno, era una sfida quella che mi aveva proposto mio nonno ed io ne ero nel contempo ero orgoglioso e preoccupato.

Mi zia era la più emozionata, sia perché prendevo il volo da solo e sia perché ritornava a Sanbruno dopo molti anni, mi raccontò,  mentre eravamo in viaggio in auto che mancava dalla morte della madre e aggiunse che il nonno non aveva mai lasciato lo studio inattivo e una volta al mese arrivava da Reggio Calabria a Sanbruno,  per continuare l’attività di suo padre fino all’inizio della sua malattia e nonostante tutto, anche dopo era sempre rimasto in contatto tramite il computer con un suo collaboratore residente in quella città.

L’ascoltavo, ma le sorprese non finirono qui, quando arrivammo, immaginavo di trovare un appartamento, invece mio zio continuava a salire dei tornanti e da lontano vidi la croce di una chiesa, una piazza e un edificio poi un piccolo borgo, si fermò, non era un appartamento, ma l’edificio sulla piazza era una casa padronale su due piani, scesi meravigliato dall’auto

– Ma zia?

Sorridente ed emozionata

– Si Rosario questa è la nostra casa paterna, qui io e tua madre abbiamo vissuto da bambine, poi papà decise di ingrandirsi e ci trasferimmo a Reggio Calabria.

Entrammo nel portone, c’era un cortile non molto grande ma capiente, un’auto parcheggiata e  in fondo un giardino con degli alberi da frutta, non c’erano i frutti, ma fui stupito dalla pulizia e da quel manto verde così curato a terra, poi mi sentii chiamare

– Vieni che ti faccio visitare casa, quella e l’auto di papà.

Era zia Anna che mi indicava una mercedes bianca nel cortile

Nel corridoio dopo il portone, c’erano due ingressi laterali, uno di fronte all’altro, sulla destra vidi in alto una targa

“Avv. Adalberto e figli”

Provai un’emozione unica entrando, era lo studio del mio bisnonno, una sala d’attesa, poi un corridoio, a destra uno studiolo, poi successivamente il suo studio, sgranai gli occhi, tutto in radica di noce e fino al soffitto, tanti faldoni e tanti libri, non volendo strinsi la mano di mia zia

– E’ impressionante!

Lei sorrise, poi capii il perché, l’ultima stanza era grande come un appartamento, era la sala riunione, rimasi senza parole, due bagni stile anni ottocento e un’altra porta che portava sul cortile.

Uscimmo da li e passammo di nuovo per l’ingresso, stavolta sulla sinistra

– Questo era il suo doppio appartamento.

– Come doppio?

– Fu sdoppiato dal nonno, con una scala interna, furono fatti dei lavori quando mamma si ammalò e volle venire qui, lei era nata qui e qui voleva morire e mio padre acconsentì e quindi l’appartamento a piano terra fu ristrutturato con la cucina, una sala da pranzo, una da letto e i servizi, perché lei non poteva fare le scale, originariamente era solo una sala da pranzo con cucina e sopra invece c’è l’altra parte dell’appartamento con tre stanze da letto, servizi e la mansarda, rifece fare tutto il riscaldamento, ma in ogni stanza c’è ancora il camino originale.

Troppe sorprese, mio zio fece appena in tempo a sorreggermi, mi sentivo mancare

– Rosario?

Zia corse a prendere un bicchiere d’acqua e mio zio mi fece sedere su una sedia della sala da pranzo

– Ti senti bene?

Ero pallido

– No, è tutto troppo per me!

Presero delle sedie e vennero vicino, mia zia mi teneva la mano, balbettai

– Come farò, è tutto troppo, mi aspettavo un appartamento e mi ritrovo una casa enorme solo per me, non posso chiedervi di venire qui e allontanarvi da Gioiosa, ho paura, perché nonno non me ne ha mai parlato, perché adesso vuole che mi sistemo qui, ho tanti perché nella testa, e nessuna risposta, ecco!

Zio Antonio

– Vedi Rosario, ti ha voluto premiare, sei stato in gamba, spesso mi diceva “farà grandi cose”, tuo padre non andava molto d’accordo con lui e non ha mai voluto avere un aiuto e lui voleva aiutare tua madre, non sopportava che vivesse in una casa in affitto a Palermo, le voleva donare un appartamento, ma lei non volle, chiamò anche Anna per convincerla , ma non volle per non far dispiacere tuo padre, ecco, adesso con questo gesto ha voluto aiutarti ad iniziare, è un dono e lui sa che ne sarai fiero accettandolo, come lui ha fatto con suo padre.

Avevo chiusi gli occhi e me lo immaginai, vedevo il suo viso, sentivo le parole di zio, mentre zia mi accarezzava i capelli e lo vidi finalmente sorridente, quando li riaprii tutto mi sembrava più chiaro

– Avete ragione, sarà lui che mi aiuterà con i miei dall’alto.

Li vidi finalmente rasserenati.

Mentre mia zia preparava qualcosa da mangiare, visitai tutta la casa, tutto era in ordine, era stupenda, ma quando mi affacciai al balcone superiore, quello sull’ingresso, la notai, proprio alla fine della piazza c’era una bellissima chiesa, chiesi notizie  a zia e mi disse che era il Santuario della Madonna della Montagna.

Dopo aver pranzato e aver sistemato la mia roba nella stanza da letto a piano terra, volli visitarlo, quando entrammo avvertii una strana sensazione, ma non dissi nulla, ero certo c’ero già stato o almeno l’avevo sognato, quando uscimmo mi sentivo diverso, prima che si facesse sera, i miei zii si avviarono per ritornare a casa, non volevano, li tranquillizzai e piangendo con abbracci e baci partirono.

No, non ero solo, quell’immagine della statua della Madonna era impressa nella mia mente, accesi il camino,  qui ad oltre ottocento metri d’altezza, faceva freddo e iniziai a fare delle ricerche sul computer  sul Santuario, guardavo la busta che mi aveva dato il notaio, dovevo aprirla, ma non ce la facevo, avevo già avuto diverse emozioni quel giorno, avevo paura di aprirla, poi finalmente stanco mi addormentai così vestito sul divano di fronte al camino e lo scoppiettio della legna mi diede la buonanotte.

Mi svegliai all’alba, stentai a riprendermi del tutto, poi realizzai dove ero, tutto era silenzioso, il camino aveva ancora dei residui accessi, misi dell’altra legna e rimandavo ancora l’apertura della busta, la presi e l’appoggiai sul tavolo in cucina, preparai il caffè e dopo finalmente trovai il coraggio di aprire quella busta, c’era una lettera indirizzata a me

“Caro Rosario, sei spaventato, lo capisco, ma se stai leggendo questa lettera,  sono contento, significa che hai accettato, da Antonio ho saputo che preferisci il penale al civile e questo mi rende ancora di più orgoglioso di te, continuerai la tradizione di famiglia. In questa casa hai vissuto fino ai sei anni d’età, poi tuo padre scelse di trasferirsi a Palermo, i nostri rapporti non sono stati più sereni e tranne qualche mia incursione a casa da te a Palermo, non ho più avuto modo di tenerti qui con me, per quattordici lunghissimi anni…”

Ecco perché mi ricordavo della Madonna.

“…Tuo padre scelse il ramo civile, era il più semplice ed anche il più lungo, non volle ascoltarmi, volevo lasciare le redini qui dello studio a lui, ma tranne che per la Festa della Madonna, dove veniva sempre da solo, i nostri rapporti si erano deteriorati, erano solo discussioni e basta.

Dopo, accadde la tragedia e mai sono riuscito a superare la perdita di mia figlia, vedi nello studio, sotto la scrivania, c’è uno scatolo con tutti gli atti del processo dell’attentato alla tua famiglia, studialo attentamente, ti farà male, lo so, ma ti aiuterà nel futuro nella tua carriera da avvocato penalista.

Ci saranno altre sorprese ma non voglio anticipartele, sappi che ho provveduto dalla tua nascita ad accantonare qualcosa per te. Ho aggiunto quello che non ho potuto dare a mia figlia, tua madre.

Non sarai solo nello studio, conoscerai il mio collaboratore e da lui avrai pieno sostegno e consigli.

Ho una sola richiesta da farti, di concludere una cosa che non ho avuto il tempo di portare a termine, lo capirai da solo quando leggerai gli atti che ti ho descritto.

Ti abbraccio, tuo nonno.”

Sentii il campanello d’ingresso, guardai l’ora, erano le nove, andai al citofono

– Chi è?

– Sono Salvo.

E chi era questo Salvo?

– Sono il collaboratore di vostro nonno.

Dopo una stretta di mano molto vigorosa, restammo alcuni minuti ad analizzarci a vicenda, era un uomo molto robusto, sui sessanta anni, aveva degli occhi luminosi, portava un completo nero da ufficio, impeccabile

– Come siete giovane?

Disse, mi piaceva, sorrisi

– E’ vero, ma mio nonno mi ha lasciato scritto che voi mi aiuterete.

Lui, dopo un guizzo di tristezza, strofinandosi gli occhi

– Era come un padre per me, mi ha tolto dalla strada venti anni fa e mi propose di affiancarlo, mi fece studiare. Mi sono laureato e da allora non l’ho mai lasciato, mi aveva anticipato la vostra venuta, ma vi prego non datemi del voi, io sono Salvo.

Ero meravigliato, aveva detto tutto in una sola frase, non potetti fare altro che ristendere la mano

– Io sono Rosario!

Ci dirigemmo verso lo studio, da Salvo venni a conoscenza che non aveva mai smesso di seguire lo studio, nonostante la malattia e c’erano ancora delle pratiche aperte e non concluse, iniziai a sudare freddo e insieme a lui a studiarle e lentamente iniziai a prendere coscienza del lavoro, passarono le prime tre settimane, interrotte solo la domenica con la venuta dei miei cari zii, felici di vedermi integrato e contento.

Avevo si notato lo scatolo, ma non mi decidevo ad aprirlo, più d’una volta fui tentato, ma solo il pensiero di leggere quelle note, i verbali sulla morte dei miei genitori, mi facevano stare male.

Conobbi la famiglia di Salvo e scoprii che la moglie, una volta a settimana veniva per fare le pulizie a casa e nello studio, non era il suo lavoro ma aveva accettato per amore di mio nonno, lei aveva curato i due figli ed era casalinga a tempo pieno, ora con i figli lontani, avrebbe continuato a farlo per me, presi lo scatolo sotto la scrivania e la portai nel mio appartamento, feci solo un accenno a Salvo del contenuto della lettera del nonno ma mi rispose che ne avremmo parlato dopo la lettura degli atti, così aveva voluto lui.

Mi sembrò strano, ma accettai la risposta, non ero ancora pronto per leggere, ma il destino trova sempre una strada da farti percorrere indipendentemente dalla nostra volontà!

Il mercoledì era il giorno di ricevimento delle persone nello studio, iniziai a guadagnare con le consulenze, lo studio stranamente iniziò ad affollarsi, poi riuscii a capire il perché, era stato Salvo, mi aveva fatto pubblicità, la sera arrivavo distrutto nel mio appartamento, ero ancora troppo giovane e sentivo prepotente il peso e la responsabilità del mio lavoro.

Tutto accadde quella sera, erano le ventidue quando finalmente ci liberammo dallo studio, stavo salutando Salvo, ma complice il buio, inciampai chiudendo il portone, lanciai un urlo di dolore

Salvo ritornò indietro

– Rosario?

Non riuscivo a rispondere, avevo un dolore lancinante alla caviglia del piede destro, lui capì e come se fossi stato un fuscello, mi prese in braccio e mi portò nel mio appartamento, sul divano, dal freezer prese una borsa di ghiaccio sintetico e l’appoggiò sulla caviglia,  finalmente sentii un sollievo

– Vediamo se c’è qualche frattura!

Lo vidi, con mani esperte, piegò il piede, lo potevo muovere ma avevo dolori lancinanti

– No, non c’è frattura!

Il ghiaccio aveva addormentato il punto della caviglia, cercai di rimettermi in piedi, ma per fortuna fui preso al volo da lui

– Non riesco a mettere il piede a terra, forse è meglio andare in ospedale.

– Se vuoi prendo la macchina e ti accompagno, ma ti posso assicurare che non è una frattura è solo una forte distorsione, lo so bene per aver curato i miei figli quando giocando cadevano in malo modo.

Lo guardai interrogativamente

– Allora?

Era pensieroso, riprovò ancora fino al collo del piede, stavo aspettando

– Salvo?

– Posso provare a chiamare una persona.

Era buio pesto

– A quest’ora?

– Si, non abita lontano da qui.

– Ma per fare cosa?

Invece di rispondermi andò verso il frigorifero

– Hai delle uova in casa?

Stavo per ridere, ma poi lo guardai era serio

– Certo!

– Bene, allora non ti muovere, invece di telefonare vado di persona, se vedo la luce accesa, la chiamo, in caso contrario andiamo in ospedale.

Non sapevo cosa intendesse fare

– Va bene!

Cercai di trovare una posizione sul divano per alleviare il dolore, passarono una decina di minuti, sentii aprire la porta

– Rosario sono io.

Stavo per rispondere, quando ammutolii, con lui c’era un’altra persona, vedevo solo il cappuccio sulla testa e qualche ricciolo biondo lungo che fuoriusciva sulle spalle

– Buonasera

Dissi, quasi sottovoce

– Buonasera.

Quando mi rispose, mi accorsi che era una ragazza ma non si girò mai, la sua voce era ferma e giovanile, senza dire altro posizionò una lampada sul mio piede e con delicatezza, iniziò ad esplorarlo, era esperta, il contatto di quelle dita mi procurarono una certa emozione che si tradusse immediatamente  in un fremito per tutto il mio corpo, quasi vergognoso di questa sensazione, mi imposi di stare calmo, cercavo di vederla, ma lei faceva di tutto per evitarmi.

Salvo nel frattempo aveva portato le uova e un piatto con una ciotola sul tavolino alla fine del divano, lei estrasse dalla borsa una garza lunga, bianca e immacolata, prima di posizionarla sulla caviglia, con un canovaccio bagnato dolcemente tamponò la caviglia, strano, non sentivo nessun dolore, stavo…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

27 Febbraio 2024 – Suma è il bacio rubato! – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

“Quella notte non riuscivo a dormire, ero in un albergo di prima classe a Rynek Starego Miasta di Varsavia, avevamo raggiunto il nostro scopo, c’erano voluti tre mesi di pedinamenti, appostamenti, ma la squadra aveva funzionato, invece di essere contento e soddisfatto, pensavo a  lei a quella stronza di Nadia, è vero, era passato un anno ma mi bruciava ancora, tornai da una missione in Cina e non la trovai più, solo un biglietto:

“In questa busta ci sono i documenti da firmare per il divorzio, non ho mai smesso di amare il mio ex e da due anni abbiamo una relazione, stiamo partendo per un nuovo lavoro in Australia, ti ho preso in giro, pensavo che i soldi mi avrebbero fatta felice, ma non mi sono bastati, amo un altro, addio!”

Non c’è cosa peggiore per un astemio, di attaccarsi ad una bottiglia di liquore per lenire la rabbia e il dolore… una sbornia colossale, una sola fortuna… i miei collaboratori!

Mi risvegliai completamente nudo nella vasca da bagno, l’acqua era gelida, il tempo di realizzare, da solo non potevo esserci caduto dentro, si aprì la porta

– Finalmente sei sveglio!

Era Cizia la mia collaboratrice e senza attendere risposta verso un secchio di ghiaccio nell’acqua

– Ma, sono nudo!

Sorrise

– Sai che sorpresa!

E uscì ridendo.

Cizia era una componente del mio team, trent’anni ben portati, esperta in armi e in arti marziali, maga nei travestimenti, collaborava con me da cinque anni, elemento prezioso e insostituibile, single per scelta, una volta uno sceicco si innamorò perdutamente di lei, ma lei lo snobbò lasciandolo a bocca asciutta, alta un metro e ottanta, capelli biondi fino alla schiena, due occhi celesti come il mare e un corpo da amazzone da far girare la testa.

Mi chiamo Lio, soprannominato la tigre, trentacinque anni, esperto investigatore nell’ambito bancario e finanziario, risolviamo casi di truffe d’alta finanza, pochi sono quelli che conoscono la nostra squadra, oltre a Cizia c’è un altro collaboratore esperto informatico Teo, esperto anche lui con le armi e peso massimo, quaranta anni ma ne dimostra trenta ed è la nostra guardia del corpo quando siamo in azione, il suo peso è ininfluente, nei cinque continenti molte persone sono andate in ospedale con prognosi da trenta giorni in su, per essersi scontrati con lui.

Ed  eccolo la, sta cucinando

– Allora capo come va?

– Anche tu qui?

Risero a crepapelle

– Quando Cizia mi ha chiamato, non riuscivo a crederci, tu, sbronzo…

– Poi, però quando gli ho mandato la foto dei documenti per il tuo divorzio…

– In cinque minuti, sono arrivato e ti ho trovato già svestito e nella vasca da bagno, ora non pensarci abbiamo un lavoro che ci aspetta, sto cucinando e vedrai che dopo questa colazione all’inglese ti sentirai più in forma che mai.

Mi ricordai tutto e già aveva ragione, senza parlare mi avviai verso il bagno

– E brava Cizia, faccio una doccia calda.

Non dissero nulla!

Il mio tono era eloquente, mi ripresi e li ringraziai e mi ricordai di tutto, la sera prima avevamo cenato con un nostro cliente, contento di aver risolto il suo problema, era da poco passata l’una di notte quando mi ero appoggiato sul letto sperando di poter riposare prima di partire per Roma il giorno successivo, ma notai sul cellulare un messaggio nella segreteria, lo lessi

“Tigre so che siete a Varsavia, un amico comune mi ha detto come rintracciarvi, vi aspetto domani nella mia sede di Amburgo per mezzogiorno o dove volete in quella città, ho un incarico per voi, ho versato sul vostro conto il dieci per cento dell’ammontare dell’incarico, quale acconto, aspetto conferma, Wrote – President of Bank of America”

Saltai dal letto, presi il mio computer e controllai il conto corrente e il nominativo, chiamai i miei collaboratori e li misi al corrente dell’incarico.

E questo è tutto!

Eravamo in auto, direzione Amburgo.

– Lio, non mi sono ancora svegliata, ma mi hai detto che l’acconto…

Teo era alla guida, sorrisi

– Centomila euro…

Un fischio da parte di Teo

– Quindi, l’incarico è di…

Cizia

– Un milione di euro!

Ecco perché eravamo in auto alle due e trenta della notte, avevamo sette ore e mezzo di viaggio per arrivare ad Amburgo, dovevamo essere puntuali, non era un cliente qualunque

– Cizia?

Silenzio

– Cizia?

– Sto già lavorando Lio, non mi distrarre!

Questa era lei, silenziosa e efficiente come non mai, arrivammo alle undici precise, alloggiammo in un albergo vicino alla sede della Banca d’America, presi una suite per noi tre, qui avremmo montato l’ufficio portatile, quando eravamo in giro, portavamo lo stretto necessario, tre computer, registratori da indossare, microfoni direzionali d’alta qualità e ancora altri supporti tecnologici comandati da Teo, mentre Cizia era addetta alle registrazioni

– Trovato qualcosa Cizia?

– Si, forse, vediamo cosa chiedono.

Mi stavo avviando all’appuntamento

– Spogliati!

Era Cizia

– Che intenzioni hai?

Sorrise

– Lo sai quello che dobbiamo fare.

– Ma è necessario?

– Certo!

Dopo avermi nastrato con registratore e auricolare, mandai un messaggio, eravamo di fronte alla Banca d’America

“Ristorante albergo Park Hyatt Hamburg, ore dodici-Tigre”

Erano le undici e quarantacinque, immediatamente

“Perfetto”

  • Teo andiamo!…”

——————————

Splash!

——————————

E’ in attimo, mi ritrovai, bagnato con una spugna maleodorante impregnata di detersivo all’aceto

– Lio, ma sei tonto, tra un quarto d’ora arriva la brigata di cucina!

Oddio, era tutto un sogno, ecco la verità, avevo sognato ancora una volta ad occhi aperti!

– Arrivo, arrivo, ho finito.

– Se continui così ti licenzio!

Chi ha parlato è il mio capo squadra, e già, faccio le pulizie in un ristorante la mattina e il pomeriggio curo l’archivio di un agenzia di investigazioni.

Mi chiamo Lio, età venticinque anni, nato in Sicilia, a Palermo per l’esattezza, nella mia infanzia ho incontrato persone di ogni tipo, ma la maggior parte erano figli di portuali come mio padre, avevo avuto da loro un’istruzione di strada, non per scrivere e leggere, quegli anni mi maturarono più della mia età anagrafica, ero curioso per natura, ma mi insegnarono la scaltrezza e la furbizia e il coraggio della paura, imparai a sopravvivere ed ero in gamba, dopo anni di insuccessi guadagnai il rispetto di tutti a suon di scazzottate, poi…sono emigrato a Milano dopo la morte dei miei genitori in un incidente stradale, diplomato in ragioneria, ramo internazionale, disoccupato cronico, conosco bene l’inglese, mia madre era di Bristol.

Lavoricchiavo in nero, ovviamente!

Ho provato diversi concorsi, ma nulla, dopo aver passato un anno a registrare fatture sul computer di un commercialista, con la promessa di essere assunto in pianta stabile come impiegato, rimborso cento euro a settimana lavorando dalle otto alle diciotto, tutti i giorno compreso il sabato, decisi di abbandonarlo, e ora?

La mattina lavoro e faccio le pulizie in un ristorante, in sala e cucina, così mi guadagno il pranzo e la cena, il pomeriggio in un’agenzia di investigazioni e guadagno venti euro al giorno e pago il fitto di un letto.

Aspirazioni:

–  tante, dopo il diploma, ho partecipato anche ad un corso per investigatore, vorrei mettere su una mia agenzia specifica per le truffe bancarie, ma ad oggi i gestori dell’agenzia dove faccio le pulizie, mi hanno utilizzato qualche volta nei pedinamenti e appostamenti o come guardia personale di qualche cliente, li ho aiutati anche nella gestione amministrativa, sono soddisfatti, ma non mi avevano ancora assunto stabilmente, ero uno dei quattro avventizi a chiamata presenti in agenzia.

Il sabato lavoravo mezza giornata in agenzia, così è accaduto anche quel famoso sabato che ha cambiato la mia vita… dopo aver messo tutto in ordine, stavo per chiudere la porta e andarmene quando sentii gracchiare il fax, era in arrivo qualcosa, feci il pari e dispari, poi decisi di attendere, mi avvicinai e lentamente uscì un foglio intestato

“Bank D’Arabia

Si richiede un incontro urgente oggi, ore 15.00 aeroporto di Milano, area scalo tecnico, ripartiamo alle 15.30, chiediamo conferma appuntamento.

Firmato Il Presidente Abdul Azeem.”

Rilessi più volte il messaggio, telefonai alla titolare, al figlio, agli impiegati, ma niente, nessuno dei cellulari o dei numeri fissi rispondeva, non sapevo cosa fare, poi un’idea pazzesca si fece largo nella mente…

… ci sarei andato io!

Non presi un foglio intestato, ma totalmente in bianco e lo rispedii al numero del fax di partenza, solo con un “Si”, non avevo infranto nessuna legge, avevo solo dato conferma.

Erano le 14, dovevo muovermi in fretta, chiesi alla signora Maria, l’affittacamere dove dormivo di stirarmi l’unico vestito che avevo, era di colore grigio scuro, dal mio coinquilino mi feci prestare una cravatta, l’unica che avevo era nera, l’ultima volta era stata usata per il funerale dei miei genitori, periti in un incidente stradale in Sicilia, il colpevole era fuggito dopo aver travolto la nostra utilitaria e uccisi i miei genitori.

Misi l’unica cosa preziosa che avevo al momento, oltre il documento d’identità, il tesserino di investigatore, me l’ero guadagnato e ne ero fiero, sentivo che le gambe mi tremavano, ma oramai ero in ballo, avrei trovato forse il modo di dire la verità alla titolare o se fossi stato scoperto e questo mi dava la forza di continuare.

Presi un tassì per arrivare all’aeroporto di Milano Linate, portavo con me una valigetta 24ore, praticamente vuota, c’erano solo dei fogli bianchi e una penna, ma faceva scena, mentre stavo per arrivare, fui preso dal panico e se avessero controllato e se avessero contattato la titolare, se…, se…, tanti se!

Ero arrivato, pagai e in un attimo mi passò davanti tutta la mia vita, quella che avevo vissuto fino ad oggi, no, non potevo tornare indietro, no, non l’avrei fatto, aspirai una quantità d’aria che avrebbe gonfiato un palloncino con un solo soffio, ed entrai.

All’ingresso in sala d’aspetto, mi bloccarono due persone, ovvero due guardie del corpo, mi chiesero i documenti e mentre stavano registrando e chiedendo l’autorizzazione per farmi entrare, mi sentii osservato, mi girai e la vidi, era una ragazza molto giovane, con un pantalone di lino bianco  una camicetta multicolore, alta quasi quanto il sottoscritto, un metro e ottanta, era con due donne, i nostri sguardi si incontrarono, fu un attimo, ma mi bastò, ero ipnotizzato, sorrise una spallina lasciò intravedere parte della spalla e notai una testa di tigre tatuata, piccola, non invasiva e mi ricordai del sogno ad occhi aperti di una settimana prima, e sparì

– Signore prego è atteso!

C’è qualcuno?

Non sentivo niente, mi sentii toccare sulla spalla, mi girai

– E’ atteso!

E mi indicò una saletta alla sua sinistra, una terza persona mi aprì la porta e mi trovai di fronte, un uomo sulla cinquantina, vestito in modo elegante, era di spalle, guardava giù nella hall dell’aeroporto, seguii il suo sguardo, guardava lei che stava andando via, chissà chi era, tossii, l’uomo si girò e la sua espressione fu di stupore e meraviglia, in inglese

– Lei è dell’agenzia investigativa?

Giuro che parlavo prima, ma i suoi occhi erano fissi sui miei, per radiografarmi dalla testa ai piedi

– Si signore per servirla.

Sempre più stupito

– Perfetto il suo inglese.

Arrossi

– Grazie, mia madre era inglese.

– Di dove?

– Di Bristol signore!

Mi fece segno di accomodarmi

– Non pensavo che la vostra agenzia avesse delle persone così giovani!

Primo problema

– La nostra titolare è un’illuminata, crede nelle nostre potenzialità.

Era soddisfatto

– La conosco bene, quindi non mi meraviglia affatto, il tuo nome?

E ora?

– Lio

– In azione?

Cosa vuole dire?

Poi in un decimo di secondo realizzai, un nome in codice, mi ricordai della ragazza e il sogno

– Tigre!

Sorrise colpito

– Perfetto, vorrei continuare questa discussione e sapere altro su di te Tigre, sono curioso, ma mi hanno anticipato il volo, ho una riunione urgente a Londra, questa cartellina racchiude il mio incarico, ci risentiamo tramite skype martedì mattina alle nove, domande?

E che vuoi domandare?

Anche dire la verità in quel momento era inutile, presi la cartellina e con una sicurezza che era data dalla paura che avevo dentro di essere scoperto

– A martedì!

Un ordine secco, in una lingua che non conoscevo, vidi entrare uno degli armadi umani che mi aveva accolto all’ingresso e mi indicò con delicatezza l’uscita.

Mi sentivo svuotato, di certo qualche chilo l’avevo perso per la tensione, ma mantenni un contegno, sicuro di essere osservato, appoggiai la mia valigetta, misi con calma la cartellina dentro, poi salutai cordialmente e con passo tranquillo uscii dall’aeroporto, solo nel tassì ebbi un mancamento, ma riuscii a mantenermi fino a casa, ma arrivato sotto casa… avevo deciso…

…no,  non potevo continuare, diedi l’indirizzo della signora, la titolare dell’agenzia e iniziai a pregare.

Bussai ripetutamente, ma nessuno mi apriva, poi finalmente si aprì la porta e vidi Federica, la nipote della signora Maregillo, viveva con loro da alcuni anni dopo la perdita dei genitori a distanza di sei mesi l’uno dall’altro per il male del nostro secolo, un tumore maligno

– Lio, come hai saputo?

La guardai strano

– Cosa?

– Della caduta?

Stavolta entrando meravigliato

– Quale caduta?

Arrivò la signora,  aveva un braccio al collo e un turbante che le fasciava la testa, mi cadde la valigetta per terra

– Signora?

Era stupita

– Anche tu qui? Ma chi ti ha avvertito?

Non dissi nulla, con l’altra mano mi prese e mi portò nella stanza di Gaetano, suo figlio, c’era un’infermiera che stava praticando una flebo

– Gaetano? Ma che è successo?

Senza accorgermene avevo quasi urlato

– Zitto, vieni!

E ritornammo nel salone… li mi raccontò tutto, la notte l’avevano passata in ospedale, dopo una caduta accidentale di Gaetano dalla scala su di lei, la sera prima era salito per dare una mano alla madre per prendere degli scatoloni per il cambio di stagione, lei era al di sotto alla scala, si era sbilanciato ed era caduto su di lei, ma purtroppo lui si era fratturate entrambe le gambe  e un braccio e lei solo un braccio e varie escoriazioni sulla testa, ascoltavo sgranando gli occhi

– Mi dispiace, non sapevo nulla!

Federica, mi guardava strano, poi

– Come sei elegante, come mai?

Era sorridente, ci piacevamo, è vero, avevamo avuto una storia due anni prima, ma poi, avevamo concluso che non c’era nulla tra di noi, tranne una grande amicizia, nulla di più, io la consideravo una sorella, quella che non avevo mai avuto e lei nei miei confronti era dolce come se fossi stato suo fratello

 

– Grazie Federica.

 

Dissi diventando rosso come il pomodoro, fu solo allora che la signora, attenta investigatrice

 

– E’ vero, allora, come mai sei qui?

 

Ecco, e ora, come me la cavavo, avevo la valigetta che avevo ripreso sulle ginocchia, lei fece una smorfia di dolore

– Signora non adesso, vi vedo dolorante.

Si riprese immediatamente

– Lio cosa mi nascondi?

Era arrivato il momento!

Capitolai e raccontai tutto, sotto lo sguardo stupito delle due donne, alla fine, aprii la valigetta e le diedi la cartellina, la vedevo, il suo viso si fece di mille colori, la tenne in mano, ma non l’aprì con fare severo

– Sai che hai fatto una cosa che non avresti dovuto fare?

– Si

– Sai che adesso ti dovrei cacciare fuori?

– Si

Federica

– Ma zia…

– Zitta!

Urlò!

Non aspettai la sentenza, mi alzai e mi stavo avviando verso l’uscita con Federica

– Fermati!

Mi bloccai, sempre di spalle

– Perché l’hai fatto?

Mi girai, abbassandomi all’altezza dei suoi occhi, cosa avevo da perdere e

– Signora sono cinque anni che lavoro e collaboro con voi, ho un sogno, aprire un’agenzia e voi lo sapete bene, conoscete i sacrifici per diplomarmi al vostro corso, per sdebitarmi ho fatto tempo fa anche le pulizie nel vostro ufficio e continuo tuttora collaborando con voi, non conosco il contenuto di quella cartellina, si per un attimo ho pensato di continuare da solo, ho venticinque anni, devo trovare la mia strada, ma non a queste condizioni. Quando ho letto il fax, sapevo di chi si trattava, il vostro miglior cliente, potete controllare, ho chiamato tutti voi, non avendo risposta, sono andato, non mi sono spacciato per un altro, ho detto che ero un vostro collaboratore e che voi eravate un imprenditrice illuminata che scommetteva sui giovani, controllate, se volete, ma alla fine non potevo ripagarvi in questo modo e sono venuto qui per raccontarvi tutto. Mi dispiace per quello che vi è accaduto, non sapevo, ma ora che sapete tutto, posso andarmene più sereno, ho la coscienza a posto, arrivederci.

E così dicendo, mi alzai, diedi un bacio sulla guancia a Federica e stavo per uscire dal salone

– Fermati!

Mi girai sbigottito

– Perché?

– Perché hai detto la verità, ecco perché! Vieni siediti e controlliamo insieme il contenuto della cartellina, tu sei un aiuto nell’agenzia e da oggi sei assunto a tempo pieno a quaranta ore settimanali con un contratto regolare, che ne dici?

Non dissi nulla, felice e meravigliato com’ero, ma l’abbracciai stando attento a non farle male, ero emozionato e anche loro due, Federica si sedette vicino a me

– Sono orgogliosa di te!

Finalmente sorrisi

– Grazie sorella.

.-.-.-.-..-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Siamo su un aereo di linea Milano – Roma, si siamo, io e Federica, ma andiamo per ordine.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

La signora era impedita ad aprire la cartellina, l’aprì Federica, c’era una lettera scritta a mano, una foto e una busta, me la diede per leggerla ad alta voce…

…continua…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

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Araldo Gennaro Caparco

26 Febbraio 2024 – Mistero ad Olbia – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Mi chiamo Luzio, sono in attesa su una panchina all’esterno dell’aeroporto di Napoli in scalo da Amsterdam e in partenza per Olbia, ho già imbarcato le valigie, con me ho solo una valigetta 24ore e ancora non riesco ancora a crederci, sarei ritornato ad Olbia dopo vent’anni!

A dieci anni mi ero trasferito con la mia famiglia, non avevo nessun parente in quella bellissima città, cinque anni fa i miei genitori, si diedero appuntamento in cielo a sei mesi di distanza, l’uno dall’altra, quando finì mia madre, mi disse “Non angustiarti, raggiungo solo tuo padre!” e così la mia famiglia era formato da un solo componente, il sottoscritto.

Mio padre e mia madre, erano originari di Pescocostanzo in Abruzzo, si dovettero trasferire in Sardegna per lavoro, passammo dieci anni in quella bellissima terra.

Sono sardo, si e amo quella terra, ma solo per nascita!

A ventidue anni, diplomato e poi laureato in marketing aziendale, alla Luiss di Milano, a venticinque in pista per una Grande Compagnia Olandese nel campo della Grande Distribuzione Organizzata, dopo per cinque anni, formatore e Responsabile del Controllo di Gestione per l’apertura di nuovi punti vendita, ho girato l’Europa, ero fidanzato con una hostess olandese, era statuaria, un metro e ottanta, capelli biondi, occhi celesti, ma nessuna voglia di formarsi una famiglia, solo sesso, sesso e sesso, non eravamo conviventi, nessuno dei due poteva permettersi di rimanere più di un certo periodo in un luogo, vista la possibilità economica di entrambi, quando passavamo dei giorni insieme, Gran Hotel e via con le danze.

Poi se ne accorse, volevo qualcosa di più, cercavo una stabilità, avevo trent’anni, fiutò il “problema” e con un sms, troncò la relazione.

Ci rimasi male, molto male!

Mi dedicai al lavoro, anima e corpo, non avevo orari, pochi riuscivano a tenermi testa, ma mai ho chiesto ad alcuno di tenere i miei ritmi, ma questo stato di cose, fu la mia rovina, i piani alti dei vertici aziendali ne erano a conoscenza.

Un giorno, sette giorni dopo la fine della mia relazione, fui convocato in Olanda dal Direttore Generale, ovvero, dall’unico proprietario della Compagnia, il mio animo mediterraneo mi consigliò di non utilizzare la compagnia aerea della mia ex, onde evitare aggressioni in volo con relativa denuncia alle autorità aeroportuali nei miei confronti, arrivai ad Amsterdam di prima mattina, in un albergo già prenotato da loro, ebbi l’intuizione che mi stesse per accadere qualcosa di importante, avevo una suite tutta per me, riposai senza disfare le valigie, già altre volte era capitato di ripartire dopo qualche ora, alle dieci venne un’auto della Compagnia a prendermi, dopo venti minuti ero al cospetto, dell’arci milionario Ernest

– Allora, com’è andato il viaggio?

– Bene, non mi posso lamentare, sono stato trattato nel migliore dei modi, non poteva essere altrimenti, vista la prenotazione fatta dalla Compagnia in prima classe da Roma per Amsterdam.

Sorrise, mi conosceva da cinque anni, era stato lui che mi aveva assunto, non rientrava nei suoi compiti, ovviamente delegava altri, ma quel giorno, quando mi sedetti davanti all’esaminatore, in risposta ad un loro annuncio sul Giornale delle GDO, fece spostare l’esaminatore e iniziò a valutarmi, una raffica di domande senza tregua, non sapevo minimamente chi era, ma l’ho capii alla fine, mentre per gli altri c’era un laconico “Vi faremo sapere”, con lui, fu totalmente diverso “Domani alle otto nel mio ufficio, al diciottesimo piano, sei assunto!”.

Mi alzai, intontito e meravigliato, gli altri erano più stupiti di me, compreso il capo del personale , il quale mi fece accomodare nel suo ufficio, per farmi firmare il contratto, quando lessi il frontespizio,”A tempo indeterminato” lo guardai stupito e lui “Questi sono gli ordini del proprietario”.

– Sono contento Luzio!

La cosa non mi convinceva, poche volte mi aveva chiamato così, sempre e solo di cognome, nei rapporti era impersonale e quelle poche volte che l’aveva fatto  erano incarichi speciali o difficili, quindi fui attentissimo, si alzò e accarezzò la fotografia della sua famiglia, in quella foto c’era la moglie e le sue quattro figlie, ci  teneva moltissimo e mi ricordo una volta che dovevo partire per il Portogallo mi disse “Sei fidanzato” – “No” – mi stupì – “Che aspetti? Di diventare vecchio senza famiglia?” risposi  “Aspetto il momento giusto e la persona giusta!”,  gli piacque e fece cadere il discorso.

– L’ultimo ipermercato in Inghilterra a Bristol funziona alla grande, la percentuale delle presenze, in soli tre mesi, è triplicata.

Aspettava

– Certo, avere un bacino di utenza superiore alle cinquecentomila persone mi ha aiutato molto.

– Vero! Ma con te alla guida è stata importante, per questo ti ho inviato lì dopo il misero fallimento dell’inaugurazione.

Qui gatta ci cova, pensai!

– Orbene, so che tra tre giorni inizi il prossimo corso per dieci neo-direttori, ma avrei una opportunità da proporti.

Ecco, ora arriva, in quale parte del mondo, sarò inviato, già sapevo da voci di corridoio e da notizie lette tra le righe dal Giornale delle GDO, il Gruppo voleva espandersi oltre manica.

– Il tuo stipendio attuale?

Aveva la mia cartellina davanti, l’avevo intravista

– Cinquemila euro netti escluso gli straordinari, al mese.

– Con?

– L’alloggio e niente spese per contratti delle utenze.

– Bene, da oggi e se dovessi accettare l’incarico, il tuo stipendio, sarà raddoppiato con tutti i benefici di cui già godi in più l’auto aziendale ti verrà regalata senza ulteriori oneri da parte tua  – così dicendo prese qualcosa dal suo cassetto – e mise le chiavi davanti a me,  era una chiave elettronica per auto, c’era lo stemma della mercedes.

Notizie simili, avrebbero stordito chiunque senza toccarlo, immaginate il sottoscritto in quel momento, ma il pensiero fisso era solo uno, cosa giustificava tutto questo ben di Dio?

Ma il mio self control, tenne, anche se dentro di me c’era tempesta forza nove.

Incassò, non aveva dubbi in proposito, mi conosceva piuttosto bene, quindi sapeva perfettamente a cosa stavo pensando, iniziò

– Tu sei sardo di origine?

Oddio e questo che c’entra?

-Si.

– Di dove?

– Olbia.

Inutile chiedere il perché, attendeva una mia domanda,  ma non gli diedi questa possibilità, volevo sapere dove voleva arrivare, lui capì, cambio strategia

– Circa dieci anni fa, acquistai un centinaio di ettari di terreno per dieci milioni di euro, alla periferia di Olbia lato mare, erano degli investimenti da portare in detrazione in bilancio, per mancati guadagni e inserire le perdite in sottrazione dagli utili.  Cinque anni fa, quella zona è stata dichiarata edificabile, come tutto il circondario e negli anni, sono sorti edifici e uffici pubblici dove prima c’era il nulla, quindi  decisi di iniziare un programma di investimenti nella zona e di far nascere un Centro Commerciale di tutto rispetto.

Girò una tavola e mi fece vedere il Centro Commerciale, qualcosa di mastodontico, grande come quello di Bristol, lo osservai con molta calma, lessi i numeri laterali in legenda, 120 negozi, 52 esercizi commerciali bevande, food, caffè, dieci pizzerie, personale diretto e indiretto della Compagnia 120 persone, Ufficio di direzione cinque persone.

Questa fu la nota stonata, stavolta lo guardai, in altri nostri Centri di grandezza minore, la direzione contava ben venticinque persone

– Notevole, un grande investimento per poco più di centocinquantamila persone tra Olbia e province.

Non sorrideva più, era molto serio

– Forse!

Poi sorridendo

– Giusta osservazione, non avevo dubbi! Bene, in questo nostro prodotto, stiamo testando una Gestione completamente rinnovata, tutta automatizzata a livello informatico e con l’aiuto della robotica.

Conoscevo il progetto, ma dalle ultime rilevazioni si era conclusa in una riunione di non considerare “maturi” i tempi di immissione sul mercato, in effetti era avveniristica, ma di fatto, ancora utopica, di certo molti non conoscevano questa nuova nascita e nemmeno io ero stato messo al corrente, ma questo era ininfluente, non ero certo io a capo di una Compagnia, con 250 ipermercati e circa diecimila dipendenti in busta paga, numeri che da soli fanno rabbrividire.

Aspettavo la stoccata finale

– La proposta ti meraviglierà, ma vorrei che diventassi il nuovo Direttore Responsabile di questo Centro Commerciale!

Eccola la, secca e precisa! E ora?

Se fosse capitata in altro momento, forse avrei avuto certamente delle remore ad accettare, se solo quella stronza non mi avesse trattato solo come un toy boy, avrei chiesto anche il perché, spostare una risorsa come me su un GDO di tutto rispetto, ma dove minimamente  la mia persona era indispensabile, non aveva senso farmi una proposta del genere, proprio adesso quando la Compagnia si stava preparando per entrare in campo negli Stati Uniti d’America, dove per poter sfondare ci volevano persone preparate e con gli attributi sotto e allora?

Ernest, stava sondandomi per capire, ma stavolta dovette desistere

– Cosa ne pensi?

Fui diretto quanto lo era stato con me

– I negozi non pagano?

– No

– Problemi con i dipendenti?

– No

– Con le società in sub appalto?

– No

– Allora non capisco!

Se l’aspettava, mi conosceva troppo bene dal punto di vista lavorativo, sapeva a cosa si riferiva la mia risposta e tutto il ragionamento che avevo fatto.

– Mi servi ad Olbia, in un anno di gestione ho perso due direttori dell’ipermercato.

Stavolta ero si stupito

– Licenziati?

– No, si sono suicidati!

E mi piantò i suoi occhi in attesa di risposta, non potevo fare altro e lui lo sapeva, nonostante la cattiva notizia della morte dei miei colleghi

– Accetto!

Non si mosse un muscolo facciale, mi girò il contratto per farlo firmare e solo dopo si accese il suo sigaro un avana invecchiato, sintomo della sua grande soddisfazione, prima di salutarmi, mi diede una valigetta, me la fece aprire, c’era una cartellina, conteneva dei documenti del Centro Commerciale, il contratto per l’abitazione, i documenti della macchina e il biglietto aereo di sola andata intestato a mio nome, per la sera stessa per Olbia, non potetti fare a meno

– Come sapevate?

– Ne ero certo, non te ne pentirai!

E così frastornato, tornai all’albergo, controllai il mio numero di conto corrente, mi erano stati depositati tre mesi di stipendio, cinque minuti prima, non acconti, ma a fondo perduto.

Tanta grazia!

Ecco quello che stavo pensando su quella panchina in aeroporto, quando per un caso, mentre fumavo una sigaretta all’esterno, vidi al di la del vetro, una ragazza, un flash, era particolare, aveva dei lineamenti vagamente familiari, pensai di essermi sbagliato, lei uscì fuori, era vestita in modo casual, scarpette di ginnastica, pantaloni larghi neri, una camicetta bianca e sopra un giubbino di jeans, borsetta tipo borsello a tracolla, si sedette su una panchina a circa dieci metri da me, non riuscivo a vederla in volto e dopo essersi preparata una sigaretta, iniziò a giocare con un gattino randagio, lo chiamò e lo accarezzò, lui faceva le fusa, ma i capelli a cascata non mi davano l’opportunità di vederla bene, solo quando alzò la testa e il gattino scomparve alla vista, si scostò i capelli, fu solo allora che mi ricordai, era lei, ma non feci in tempo ad alzarmi.

Ricevette una telefonata, spense immediatamente la sigaretta, si guardò intorno e si diresse dentro, ero ancora imbambolato, la vedevo, era corsa agli arrivi un uomo alzò la mano, lei corse e lo agganciò come sanno fare solo le donne innamorate,   saltandogli addosso in un attimo, cingendo tutte e due le gambe all’altezza del suo torace, abbassai lo sguardo ma era forte la mia curiosità,  volli vedere ancora, l’uomo automaticamente lasciò il borsone e la sorresse per le natiche e… in un attimo si trovò a terra con una pistola puntata sulla fronte all’altezza degli occhi, in pochi secondi arrivarono di tutto, polizia, carabinieri, fu ammanettato e scomparvero,  ed anche lei scomparve.

Non mi ero ancora ripreso da quella scena vissuta in diretta, ascoltai l’altoparlante stavano chiudendo il mio imbarco, mi avviai velocemente, guardandomi intorno cercandola, ma non c’era più, sull’aereo comodamente in prima classe mi apprestai a passare quell’ora di distanza tra la mia vecchia routine e il nuovo incarico, avevo portato con me un libro, per ingannare l’attesa, ma non lo presi, stavo pensando a lei, mi ricordava una ragazzina che avevo conosciuto in oratorio tanti anni prima, eravamo a messa con tutti gli altri oratoriani, al momento della preghiera dei fedeli, ero emozionato, era la prima volta, ero stato scelto per un brano da leggere ed ero leggermente intimorito dalla platea della chiesa, fu lei, con un fermacapelli buffo nei capelli neri come la pece a farmi forza, mi diede la manina “Ce la faremo, andiamo!” e così,  forte di quella sicurezza dovuto a quel contatto, andai alla grande,

Pianse tanto quando le comunicai che partivo vent’anni fa, da allora non l’avevo più vista e sentita!

L’appartamento era molto bello, mi piaceva, aveva due stanze da letto, un salone ampio, una cucina due servizi e un grande ripostiglio, ultimo piano, direi attico, con un terrazzo di circa cento metri intorno all’appartamento, posai i bagagli, l’auto, secondo le istruzioni la trovai al parcheggio dell’aeroporto ed avevo un garage molto spazioso, c’era posto per due auto, mi affacciai avevo una vista sulla città, sul mare  e sentii i suoni di un luna park.

Erano ricordi di un ragazzino, ma i miei genitori mi portavano sempre a visitarlo e li mi inebriavo di quelle luci, dei colori, delle attrazioni, sentii il bisogno di evadere per quella sera e così scesi a piedi e dopo cinquecento metri in una villa molto grande piena di verde, vidi al centro i carrozzoni illuminati con tante persone intorno, adulti, anziani, bambini, famiglie intere, l’odore dello zucchero filato, la pesca dei pesciolini rossi, la bancarella che vendeva giocattoli, ad un certo punto mi sentii alle spalle, un piccolo colpo come se fossi stato colpito da una piccola pietra, mi girai, ma a terra vidi un turacciolo, lo presi, cercavo di capire chi mai l’avesse gettato, poi poco distante vidi una signora ben vestita che cercava di calmare un bambino

– Ma non, non l’hai perso Dario, ora lo cerchiamo.

E il bambino, piangeva più forte, lo vidi aveva un fucile giocattolo, di quelli che avevano un turacciolo alla fine legato con una cordicella, mi avvicinai

– Per caso è questo?

Mi guardò, non pianse più e sorrise, strappandolo dalle mani

– Ma si fa così? Lo scusi, hai visto l’ha trovato il signore…

Sorrisi

– Lo lasci stare, mi hai anche colpito lo sai?

Stavolta si nascose dietro la  gonna

– Scusatelo è il mio nipotino, evidentemente non era stato messo bene il turacciolo ed è scappato, lo scusi!

Sorrisi, nel frattempo lo stavo rilegando alla cordicella

– Ma è un bambino signora, non si preoccupi, solo che la prossima volta non sparare se davanti c’è qualcuno.

E gli accarezzai la testa, uscì da dietro la gonna, disse di si e rispose

– Grazie signore.

Anche la donna sulla sessantina mi ringraziò sorridente e andarono via.

Sentii una stretta al cuore, poteva avere sei anni, anch’io avrei potuto avere una famiglia e un figlio come lui, ma non mi era stato ancora destinato.

La mattina successiva di buon’ora mi avviai al Centro Commerciale, presi l’auto perché era distante dal centro città, una decina di chilometri, era deserto a quell’ora, mi feci riconoscere dalla vigilanza, avevo il cartellino a banda magnetica per entrare nei locali e passeggiai per tutto il periplo del Centro.

Non c’è che dire, era proprio bello, già lo immaginavo con tante persone e mi recai presso la sede della vigilanza interna, li dalle telecamere potevo osservare tutto il Centro e il personale di servizio mi avvisò che venivano trasmesse tutte le immagini anche nel mio ufficio, per ultimo mi avviai in direzione, non c’era ancora nessuno, quattro scrivanie all’ingresso e poi una scrivania prima della mia stanza, era un ufficio notevole, iper accessoriato, il quadro delle telecamere erano a vista, poi tutti gli altri accessori per poter comunicare con l’intero centro e la sala, sentii bussare

– Avanti.

Un giovane sui trent’anni, come me

– Buongiorno Direttore, se vuole possiamo venire a presentarci.

Ero contento, rispecchiavano i protocolli che avevo insegnato nei corsi

– Certo!

E così si presentarono, ma grande fu la meraviglia, quando vidi l’unica donna del gruppo, era lei, la nonna della sera prima, anche lei era stupita, dopo aver stretto le mani agli altri, arrivai a lei

– Allora, ci rivediamo!

Diventò rossa, gli altri la guardavano interdetti

– Grazie, il mio nipotino l’ha raccontato a mia figlia ieri sera, era dispiaciuto.

– Vedrà, non  gli accadrà più.

Almeno una persona la conoscevo, tenni il discorsetto, breve di inizio e poi tutti al lavoro, Elide così si chiamava la nonna, era il mio assistente personale, ne era fiera, lo vidi quando ci salutammo e iniziammo a lavorare.

Solo per rispetto, degli altri due predecessori, non chiesi nulla sulla loro morte, ma dovevo conoscere le azioni che avevano intrapreso e Elide, prima ancora che glielo chiedessi, mi portò le cartelline, era tutto codificato nei nostri GDO e lei  era la più anziana di certo lo sapeva perfettamente, la ringraziai e continuai, mettendo le due cartelline nella mia valigetta.

La prima settimana volò, non ebbi il tempo di leggere le cartelline personali, ma lessi le loro direttive, poi si presentarono tutte le persone a capo dei vari dipartimenti, dalla manutenzione, alla pulizia dei locali, i responsabili della sicurezza esterna e delle videocamere e così di seguito, mi mancava solo il dipartimento della sicurezza interna, ma non ci feci caso, fu Elide a farmelo notare, telefonai e mi dissero che erano in attesa del loro nuovo comandante e si sarebbe presentato non appena fosse arrivato.

Elide non lasciava mai il lavoro, fino a quando c’ero io, glielo feci notare, e lei

– Non si preoccupi, fin che posso, l’aiuto volentieri.

La ringraziai e ci avviammo a casa, prima di salire, non avendo voglia di cucinare quella sera o di mangiare pre cotti, mi fermai in una bar-pizzeria, vicino casa, era la prima volta mi sedetti ad un tavolo, portavo con me la valigetta, presi le cartelline e diedi un’occhiata ai miei predecessori, avevano tutte le carte in regola, non ero io che li avevo formati, ma Enrico un mio collega, lo chiamai

– Enrico sono Luzio.

Sorpreso, vista l’ora

– Scusami, tu sai i nostri orari.

– Non ti preoccupare, dimmi?

– Sai che sono ad Olbia?

– E chi non lo sa, in un’indagine prima di essere chiamati dal Gran Capo, il capo del personale alla fine di una sua ricognizione sul personale dirigenziale concluse che ad Olbia non ci sarebbe andato nessuno.

Incuriosito

– Come? E perché?

– Luzio, non fare l’ingenuo, sai che ci sono stati dei morti.

– Si

– Suicidati?

– Si

– E non è strano?

– Non lo so, potrebbero aver avuto problemi personali, sai io non sono superstizioso.

Risata

– Ecco! Il Gran capo ti conosce bene, ma alla fine te l’ha proposto e tu accettato, sicuramente ben retribuito.

Azz! Sapevano tutto!

– Si, come certamente ben saprai, volevo chiederti qualche notizia, visto che sono stati tuoi corsisti, ho letto le loro cartelle personali e nulla fa evincere qualche problema serio, mi puoi dare una mano a farmene una ragione dei loro suicidi.

– Questo proprio no, quello che hai letto, lo so bene, perché l’ho scritto io,  posso dirti che erano entrambi sposati, il primo Luca a Lecco e il secondo Remo  a Roma, lo so perche facevano la spola quasi tutte le settimane non avendo portato le famiglie con se, giovani, forse troppo giovani per quell’incarico, ma dai loro curriculum e dai colloqui, ho notato una certa presunzione che rasentava l’arroganza, in poche parole, volevano emergere, una sola cosa li accumunava, erano entrambi superstiziosi.

Capii che non c’era null’altro da aggiungere

– Grazie, a buon rendere.

E ci salutammo!

Mangiai una pizza, era passabile, dissi che sarei ritornato, se fossi stato più attento, mi sarei accorto di qualcosa, ma ero immerso nei miei pensieri, sentivo la mancanza di quella stronza, purtroppo, era ancora viva la ferita.

La mattina successiva mi avvertirono che nel pomeriggio, sarebbe venuto il comandante della vigilanza interna del Centro e chiedevano se ero disponibile ad incontrarlo, Elide mi riferì ed io accettai per fine lavoro, alle diciannove ma aggiunse che lei non poteva esserci per il nipotino, le risposi di non preoccuparsi.

Puntuale alle diciannove, sentii bussare alla porta, per poco non mi veniva un infarto, davanti a me, mi ritrovai il vice comandante, tale Aldo e poi lei, quella ragazza l’avevo riconosciuta era quella dell’aeroporto di Napoli, ero così stupito che non vidi la sua mano in attesa della mia…”….

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

23 Febbraio 2024 – La forza e la disperazione. – di Araldo Gennaro Caparco

Vari riconoscimenti in dieci anni nella carriera di ufficiale non hanno impedito che mi comminassero una sanzione disciplinare grave per un’azione condotta male e con madornali errori non dipendenti dalla mia volontà, ed è per questo che sono stato spostato dall’ufficio operativo della narcotici dei carabinieri ad un reparto amministrativo in un’altra caserma da sei mesi.

Ma quello che è peggio, mi tengono inattivo, sono in questa stanzetta da sei mesi senza avere un incarico amministrativo, semplicemente mi ignorano!

Rispetto ai non orari che avevo prima, fare dalle 8 alle 14.00, mi pesa più di tutte le notti che sono stato operativo in pedinamento o appostamenti.

E la centesima volta che apro quest’armadio e lo rimetto a posto, pratiche dell’anno 2016, nessuno mi ha dato l’incarico di farlo, ma qualcosa dovrò pur fare, passo il tempo mortificandomi sempre giorno per giorno.

E’ un braccio di ferro tra me e loro.

Chi sono loro?

Sono i miei colleghi i topi da scrivania che non hanno mai fatto parte di un’azione operativa, sono “ dei senza pistola”, pure quella mi hanno ritirato, quando il capo ufficio mi ricevette, disse che ero stato fortunato che non mi avessero sbattuto fuori dall’arma dei carabinieri.

Non devo dare soddisfazione!

Certo mi macero dentro,  molto, ma no, la soddisfazione di urlare e sbattere i pugni o chiedere un incarico, non la devo dare, prima o poi si arrenderanno, ma non ho nessuna intenzione di farlo io per il momento.

Eravamo ai principi di dicembre, mi recai al bar della caserma, tutti sapevano e tutti mi evitavano, nessuno voleva parlare con me, ero un operativo messo a dimora, a trentacinque anni.

So quello che si aspettano: che dia le dimissioni, ma non lo farò!

Ordino il solito cappuccino, mentre aspetto, cerco i giornali per passare del tempo, stavo per avviarmi alla bacheca

– Allora come ti trattano?

Riconoscerei quella voce tra mille, è quella del mio ex capo

Sottovoce per non farmi sentire

– Buongiorno signore.

E lui sorridendo

– Il Signore è in cielo, lo sai.

– Ma io sono su questa terra all’inferno, a pagare per errori fatti da altri!

Vedo che la fronte si rabbuia

– Hai ragione, ma non ho potuto fare nulla per evitarlo.

– Voi no, lo so, ma i miei documenti, in dieci anni di attività, avrebbero potuto se fossero stati consultati!

Mi prende sottobraccio, vedo da lontano alcuni scribacchini che sorridono tra i denti

– Sono iene, mi tengono isolato.

Si guarda intorno

– Si ricrederanno!

Sono sorpreso, mi ha dato ragione senza dire nulla

– Vedi, c’è una ragione perché sono qui.

Mi fermo

– Quale?

– Andiamo nella tua cella.

Aveva usato la giusta espressione, ma tanti vedendomi in compagnia di un colonnello si meravigliarono, compreso il mio capo ufficio, che avvertito per tempo, si fece trovare sulla porta per omaggiare il suo superiore.

Lui, non lo guardò nemmeno, rispose solo al saluto ed entrammo nella mia “cella”.

– Eccoci!

Si guardò intorno, disgustato, presi una sedia, la mia e lo feci accomodare, già avevo solo una sedia, io mi misi su un gruppo di faldoni che stavano a terra

– Tutti possiamo sbagliare, ma vederti qui mi fa veramente male, so quello che hai fatto in questi dieci anni, non ti ho mai raccomandato e hai fatto tutto da solo, acquistando la stima dei tuoi colleghi, tu non lo sai ma loro hanno scritto una lettera di protesta al comandante generale, dopo che ti avevano escluso dall’operatività.

Ero contento, ma non sorpreso, li conoscevo tutti uno per uno.

– Ho lasciato che la commissione di indagini terminasse il lavoro e poi ho chiesto l’incontro con il Generale Orsola, l’avevo promesso a tuo padre dopo l’attentato cinque anni fa, dove perì anche tua madre, rea di essere solo insieme al marito in una domenica d’estate.

Quel ricordo, mi fece tremare, ero ancora in uno stato di shock

– Lui, mi chiese di tenerti d’occhio, ma non di aiutarti, sul letto d’ospedale prima che finisse. E così ho fatto! Quando è arrivata la cartellina dei documenti, che palesemente riportava che si c’era stato un errore, ma per un difetto di informazione, tu non potevi immaginare che l’uomo che hai arrestato all’aeroporto con la valigetta piena di droga era un ufficiale della guardia di finanza che era stato infiltrato.  Ho parlato con Francesco, il generale, che come sai era mio compagno di corso come tuo padre, poi lui con la laurea ha fatto carriera ed io no, facendo presente il tutto e lui che ben conosceva il caso, mi ha risposto che aveva ricevuto il verbale di chiusura e avevo ragione ma che comunque prima di un anno non avrebbe potuto reintegrarti.

Un anno? Oh mio Dio! Ancora sei mesi in questo tugurio, come farò?

Mi vide che mi ero distratto, mi richiamò all’ordine

– Ascolta, ci sarebbe una possibilità!

Ero attentissimo

– Mentre stavo contestando tale decisione, fu annunciato e fatto entrare un ufficiale della guardia di finanza, vedendomi non voleva parlare, ma fu sollecitato da Francesco “Dica? Il colonnello Piero qui presente è venuto in veste d’amico di vecchia data” lui non voleva, si vedeva, ma sollecitato obbedì “Onde evitare che possa ripresentarsi il problema di qualche mese fa, sono venuto per chiedervi una mano in un caso molto delicato”, mi accomodai poco distante e rimasi in ascolto “ Sappiamo che c’è un grosso carico di droga che sta per arrivare in città, sappiamo chi lo manda ma non chi lo riceverà, il nostro Capo di stato maggiore, vuole scoprire come fanno a smerciarlo nella nostra città per poi arrestare tutta la banda e chi l’ha ricevuto, stroncando il traffico illegale” il generale Orsola era molto attento e gli fece cenno di proseguire “Mi ha mandato qui per chiedervi di infiltrare qualcuno”.

Il discorso si faceva interessante

– “E questo qualcuno valido dove lo trovo adesso sotto le feste di Natale, i nostri agenti sono tutti impegnati, mi chiedete l’impossibile” a quel punto intervenni “ Francesco posso proporti qualcuno?” mi guardò strano, ma intuì subito “Se non accettasse?” ed io “Lo reintegri subito, se accetta?” ci pensò mentre il finanziare ci guardava interdetto “Si!” – “Bene allora, entro domani ti farò sapere, va bene?” il generale guardò il finanziere che disse subito di si, ed eccomi qua!

Mi stava scrutando, cercavo di non incontrare i suoi occhi, ma li sentivo che mi guardava, non lo feci attendere troppo

– Accetto!

Saltò dalla sedia, si alzò e sorridendo

– Lo sapevo!

Così dicendo, dalla borsa che aveva con se, prese la mia pistola e il mio tesserino e li mise sulla scrivania

– Ma come?

– Ne ero certo!

Mentre lui prese il cellulare e fece delle telefonate, guardavo la mia 38 special, quante volte mi aveva salvato, c’era il mio cinturino, automaticamente la incollai al mio piede destro, quello era il suo posto, riposi il tesserino in tasca e dal mio borsello ripresi la catenina con il mio numero di matricola 3828 e la misi al collo, finite le telefonate, sorridente

– Andiamo!

Non volevo chiedere nulla, era la mia unica carta da giocare per uscire da quel tugurio e tanto mi bastava!

Presi quelle poche cose che avevo nell’unico cassetto della scrivania, diedi un ultimo sguardo alla stanza e uscimmo, dal piantone fece chiamare il capo ufficio e presentatosi immediatamente, lo avvertì che da quel momento non facevo più parte del suo ufficio, rimase con la bocca aperta, salutò e fu ricambiato, senza alcun cenno di giustificazione

Solo nel cortile, dissi

– Dove andiamo?

– A pranzo!

Altro non seppi, ma lo stupore era stampato sul viso, l’attendente con l’auto stava fuori alla caserma, evidentemente sapeva dove dovevamo andare o era stato avvertito,  perché non chiese nulla e si avviò.

Dopo circa un’ora entrammo in un ristorante, l’addetto all’ingresso ci guidò verso un tavolo, dove era già seduta una persona, era di spalle, poi si girò

– No, non è possibile?

Feci un salto all’indietro

– Tu?

Il generale

– Vi conoscete?

Eravamo entrambi senza parole, c’erano altre persone, ma cercammo di non farci notare, ci accomodammo

– Certo, è quello che mi ha arrestato!

Di tutte le persone lui era l’unico che avevo sperato di non incontrare più sul mio cammino, ed era invece li, davanti a me, avevamo la stessa età o quasi, non dicemmo nulla per qualche minuto, poi stesi la mano

– Nino

Lui era titubante, poi la strinse

– Visto che dobbiamo lavorare insieme, Andrea.

Il colonnello non commentò, tentò di sdrammatizzare

– Bene, bene, vedo che siete leali, si è trattato di un malinteso e lui ha già pagato caro, ora nel frattempo che ci portano il pranzo, visto che avete un piano e non avete voluto che venisse da voi in caserma, saremmo curiosi di conoscerlo.

Il finanziere si risvegliò e divenne più formale

– L’operazione è troppo importante e non possiamo correre il rischio che qualche talpa la mandi a monte, si è vero sono sorpreso, ma conoscendo il tuo curriculum penso anche che sei la persona giusta per questa operazione.

Sentirlo mi fece piacere e la tensione si allentò!

– In una località a due ore da qui, c’è un distributore di benzina con annesso un piccolo centro commerciale formato da un market, un bar, una pescheria e un ristorante, si trova sull’autostrada. Sappiamo dalle nostre fonti,  che dovrebbe arrivare a giorni un carico di droga, destinato alla capitale, ma non sappiamo quando e a chi dovrà essere consegnato.

Lo guardavo con attenzione

– Abbiamo tentato di infiltrarci, più volte ma è come se qualcuno anticipasse le nostre mosse, abbiamo dovuto fare marcia indietro e in attesa di scoprire la nostra talpa abbiamo chiesto una mano a voi, vista l’urgenza. Nino te la senti di trasformarti in un senza casa per questo mese.

Che vuol dire senza casa? Non mi interessava! Immediatamente

– Si.

Lo avevo sorpreso

– E’ inutile dire che noi due saremo sempre in contatto. Alla fine di questa strada c’è un camper, piuttosto malandato nell’aspetto, ma è solo una parvenza, dentro troverai tutto il necessario, in una busta nell’armadio riceverai altre istruzioni, abbiamo fretta il carico potrebbe arrivare da un momento all’altro e quindi non appena abbiamo ricevuto la telefonata del Generale Orsola, abbiamo pianificato la logistica, te la senti?

Per la miseria, l’azione partiva subito, meglio così

– Certo, una sola domanda, posso restare in contatto con i miei uomini della squadra narcotici?

E lui

– Sono persone fidate?

– Certo li conosco perfettamente!

Vista la perplessità di Andrea, intervenne il colonnello

– Sarò il tramite da Nino per loro.

Dopo qualche minuto di riflessione

– Va bene.

Pranzammo piuttosto velocemente in silenzio, ci stavamo analizzando a vicenda, Andrea mi diede le chiavi del camper e dopo aver salutato uscii da solo.

Alla fine della strada vidi il camper, sembrava un catorcio, c’era ruggine dovunque, ma dentro era tutta un’altra cosa, quando lo misi in moto per allontanarmi dal ristorante, mi resi conto che il motore era come un orologio, veloce e scattante, perfetto!

Dopo qualche chilometro, mi fermai in una piazzola d’emergenza sulla strada statale, presi la busta che mi aveva indicato Andrea, conteneva dei fogli e una somma di denaro, lessi tutti avidamente, ero stato troppo fermo ed ora avevo l’eccitazione dell’azione.

Come era scritto in quei fogli, dopo averli letto li bruciai e mi cambiai d’abito, avevo solo delle tute di diverse taglie e delle scarpe da ginnastica.

La località era sull’autostrada e confinava con una strada che la collegava ad un paese vicino, prima di partire aprii l’armadio piccolo e trovai una stazione radio ricetrasmittente collegata alla Guardia di Finanza e un cellulare, inserii in memoria anche il numero del colonnello e riposi la mia pistola in una piccola  cassaforte, sotto la radio.

Da quel momento, i miei dati anagrafici erano:

Tano………, nato a Siracusa, avevo un passaporto con annulli vari di viaggi effettuati in paesi europei, i documenti erano perfetti e non mi sorpresi dalla velocità con cui erano stati preparati, perché era stato il mio comandante a farli fare, era certo che avrei accettato, presi solo la carta d’identità tipo bancomat e la carta di credito, e partii.

Dopo due ore ero sull’obiettivo, secondo le indicazioni mi posizionai nel parcheggio dei camion, a metà strada tra il distributore di benzina e il centro commerciale, abbassai i piedini di sosta del camper.

Uscii per dare un’occhiata all’esterno e familiarizzare con i luoghi, entrai nel bar, c’era una persona sui cinquanta anni al bancone, chiesi un caffè, nell’attesa mi guardai intorno, pochi avventori, la maggior parte dei camionisti che stavano facendo sosta per mangiare qualcosa, ero così assorto che non mi resi conto che la signora mi chiamava

– Il caffè è pronto!

Mi girai e ringraziando iniziai a sorbire il caffè

– Viene da lontano?

Era classico, mi aveva visto uscire dal camper

– Si, ho fatto un viaggio lungo.

Sempre più curiosa

– Da dove?

Senza infastidirmi

– Dalla Sicilia!

Contenta della risposta, continuai a guardarmi intorno.

Facendo finta di leggere qualche messaggio sul cellulare, fotografavo quello che poteva interessarmi, vidi una ragazza piuttosto rotondetta ma carina seduta ad un tavolo, sembrava in attesa di qualcosa o qualcuno e notai che  metteva in mostra le sue grazie per poi appartarsi con qualcuno che l’abbordava, foto, barista, foto, da li passai al market adiacente, alla cassa un signore attempato, foto, poi feci un giro per i reparti acquistando qualcosa, commessa, jeans e camicetta a quadri, capelli raccolti in una coda di cavallo, foto.

Tornai al camper, scaricai le foto e le inviai ad Andrea

“Mi servono informazioni su queste persone”

Sul cellulare, immediatamente venne visualizzato un ok.

Scesi dal camper, trafficai nel vano posteriore e presi una tanica vuota e con questa in mano mi diressi direttamente al distributore di benzina

– Le dispiace?

Un signore piuttosto alto e robusto era di spalle, intento a fare il pieno di una macchina, si gira e vede il mio gesto rivolto alla fontana per l’acqua

– Prego!

Perdo tempo a riempire la tanica, poi con il cellulare scatto la foto, alla fine

– Grazie.

Faccio per andarmene

– Si ferma molto?

Si dice che la curiosità sia appannaggio delle donne, ma non è proprio così

– Si, per qualche giorno!

Per nulla sorpreso, era abituato evidentemente e mi aveva visto appena arrivato

– Allora le consiglio di spostarsi verso la pescheria, li vicino può approvvigionarsi d’acqua e c’è anche il bocchettone per collegarlo allo scarico del camper e alla luce elettrica, se mi da il documento di identità, attivo la postazione n.1, poi pagherà quello che ha consumato quando andrà via

Stavolta ero io sorpreso da tanta gentilezza

– Grazie, io mi chiamo Tano

E lui stendendo la mano

– Augusto

Prendo il mio documento, lui fa una copia in un bugigattolo di fianco alla pompa di benzina e attiva la postazione.

Con un sorriso, mi consegna il documento

– E’ stato un piacere conoscerla, mi sposto subito, prima che faccia sera.

Aveva voglia di parlare, certo deve essere monotono stare tutta la giornata in attesa dei clienti

– Fa bene, stanotte si prevede burrasca, acqua e vento e forse neve, comunque io abito sopra il bar, se le dovesse servire qualcosa, può chiamarmi.

– Grazie Augusto, prima di posizionarmi è meglio che faccia il pieno, così non avrò problemi.

Con la testa annuisce e ritorno al camper, dopo poco sono al distributore per fare il pieno

– Viene da lontano?

– Si da Siracusa.

– E’ un bel viaggio!

– Si è vero, ma l’ho fatto a tappe, ora mi fermo qualche giorno.

– Fa bene, questa settimana l’autostrada sarà pericolosa per il ghiaccio.

Finisce di fare il pieno, pago, ringrazio e posiziono il camper dove mi aveva consigliato, sono di lato alla pescheria, si sente odore di pesce, ma date le temperature l’odore viene diminuito dal venticello che sta per aumentare, siamo alle 19.00 e visto che è ancora aperta, decido di andarci.

– Buonasera.

Entro, non vedo nessuno, i banchi sono stati puliti per la chiusura, odorano invece di puzzare, alzo la voce

– C’è nessuno?

– Vengo, vengo.

Vedo un ombra che arriva da una stanza del retro, una persona anziana, di certo ha superato i settanta

– Dica, in cosa posso esserle utile?

Prima di rispondere faccio finta di rispondere ad un messaggio e fotografo

– Volevo dirle che mi sono appoggiato col camper qui di fianco a voi, vi do disturbo?

Mi guarda scrutandomi

– No, assolutamente, ma se siete venuto per acquistare qualcosa, ho passato quello che mi era rimasto al ristorante, qui vicino, se vuole può provare a trovare qualcosa anche di già cucinato.

Ringrazio, esco e entro nel ristorante, stranamente e non so perché, pensavo che fosse vuoto, invece ci sono diverse persone che stanno già cenando, non vedo nessun cameriere quindi mi avvio verso la cassa, da li posso dare uno sguardo panoramico, quattro coppie anziane, cinque giovani ad un tavolo, una famiglia all’altro tavolo, l’ambiente è rustico ma carino.

Finalmente intravedo una ragazza che porta un vassoio, no, anzi due vassoi in mano, con qualcosa e corre trafelata verso il tavolo dei giovani, mi passa vicino, faccio appena in tempo a scansarla, uno sguardo e corre via, mi incrocia sulla mia strada al ritorno, hai i capelli attaccati all’occhio destro, è bella e buffa, mi viene da sorridere, mi guarda e mi fulmina con uno sguardo

– Hai bisogno di qualcosa?

La risata mi rimane in gola, mi ha fulminato con due occhi verdi smeraldo, quasi balbettando

– Hai bisogno di aiuto?

L’ho sorpresa, non avrei dovuto ma con la mano destra le sposto i capelli dall’occhio, ha apprezzato il gesto, mi fissa come se fossi un alieno

– Proprio oggi che era la giornata del baccalà, quello stupido di cameriere mi ha mollato, non ti conosco, ma se vuoi…

Non me lo faccio ripetere due volte, tolgo il giubbino e lo sistemo dietro alla cassa seguendola nel retro del locale, ovviamente nel riporre il cellulare, foto. La cucina è perfetta, c’è solo lei, passa ai fornelli e mi chiede di preparare dei…”….

…segue…
Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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Araldo Gennaro Caparco

22 Febbraio 2024 – Tesla – di Araldo Gennaro Caparco

Dati anagrafici:

Nome Lino, Età 40 anni compiuti da poco,Celibe,Lavoro – Investigatore, Città – Napoli. Bello vero, mica tanto!

Dopo aver avuto un’esperienza in campo lavorativo per dieci anni in una multinazionale, una mattina ti svegli e sei disoccupato!

Smarrimento, farmaci, depressione e chi più ne ha più ne metta, 11 anni di convivenza, stessa modalità, stesso destino, neanche un biglietto, neanche a guardarsi negli occhi ed essere sincera, un sms sul cellulare, il giorno del mio licenziamento “Non ce la faccio più, vado via, parto con un amico in Australia. Addio”.

Ma si può essere così aridi, non dico che la nostra relazione fosse tutta rose e fiori, stavamo bene insieme, almeno credevo, più volte le avevo chiesto di regolarizzare la nostra posizione, e lei niente, “Stiamo bene così!”, figli? Nemmeno a parlarne, dovevamo rifuggire tutte le occasioni che si presentavano, con i nostri amici, che nel frattempo, avevano prolificato.

Avevo accettato tutto, per lei, e ora? Uno sms e si chiude la partita!

Dopo la fase di analisi, coadiuvato da un amico psicologo, durata 24 mesi, alla fine ho concluso, che era una stronza, una grande stronza!

Ed io… un coglione!

Ed eccomi qui, fresco di diploma.

E già a quaranta anni!

Non avendo altre  possibilità nel mio campo lavorativo, oramai sempre più tecnologico dove internet fa il lavoro di dieci uomini o donne in strada a vendere, incontrai per caso alla villa comunale, una domenica, un mio compagno di scuola Pietro. Non mi aveva riconosciuto, lo chiamai io, ci sedemmo su una panchina e dopo cinque minuti, il tempo di raccontare la sua vita, mi interroga sulla mia.

Dopo trenta secondi, avevo finito, tra lo sbalordimento e tre mosche che erano entrate per esplorare la sua bocca, per poi uscirne senza che se ne accorgesse, era solo per stupore, le sue prime parole, anzi la sua unica parola, “Cazzo!” e terminò la conversazione. Seguì un imbarazzante silenzio, che durò diversi minuti, mi offri una sigaretta e accettai di accenderla, poi “Devi rifarti una vita”, lo guardai senza rispondere “Sei stato sempre il più studioso e curioso della nostra classe, tutti, ma proprio tutti, ti avevano come  “confessore”, uomini e donne, perché sapevano che quello che ti rivelavano era come se fosse chiuso in una cassaforte, la tua!”, lo ascoltavo e non capivo, ma mi nascondevo dietro la nuvola del fumo della sigaretta.

– Ascolta, io lavoro da tempo per un’agenzia interinale, l’altro giorno è venuta una nostra cliente a portarci dei volantini, ha un’agenzia investigativa e sta promuovendo un corso, il primo nella Regione Campania.

– E io che c’entro?

– Devi muoverti,  cambiare, scrollarti la negatività che hai addosso, si vede da lontano che sei uno straccio, che ti costa? Vacci a parlare, dammi in tuo numero di cellulare che quando vado a casa ti invio tutto tramite sms, l’indirizzo e il numero telefonico.

Lo feci contento, ma giusto per non farlo dispiacere, ci salutammo e rimasi su quella panchina.

Mi guardavo intorno, famiglie con bambini, nonni con nipoti, badanti con anziani, l’immancabile uomo dei palloncini, le urla di un neonato, nulla mi dava fastidio!

Ero solo immerso nei miei pensieri, nel pomeriggio, Pietro mi inviò quello che avevo promesso, ringraziai e… me ne dimenticai!

Era passata una settimana, la mia giornata era divisa in questo modo, la mattina all’ufficio di collocamento, due fette di pane in cassetta con una sottiletta, era il mio pranzo, poi letto e televisione, televisione e letto. Nel fare lo zapping tra i canali, mi capitò di vedere una pubblicità con una bella signora che invogliava le persone ad iscriversi al primo corso per informatore commerciale.

Fu un lampo, mi ricordai tutto, l’incontro con Pietro e il resto, presi il cellulare e chiamai!

Fu un periodo bellissimo e stancante, non avevo i soldi per pagarmi il corso, e quindi raggiunsi un accordo commerciale con la titolare dell’agenzia, la mattina lavoravo per lei gratis all’archivio e il pomeriggio frequentavo il corso, mille ore, tutti i pomeriggi, escluso la domenica.

Il corso era cofinanziato dalla Regione, era di alto livello, i vertici regionali avevano affidato questo corso a una persona che aveva l’agenzia da moltissimi anni, erano tre generazioni di investigatori. I docenti provenivano da diverse località italiane, studiavamo diverse materie, tra cui oltre la criminologia, il codice penale, le tattiche investigative, lo studio delle armi convenzionali e tecnologiche,  anche un corso di autodifesa personale con “incontri” tra noi studenti.

Ero il più anziano, partimmo in 20 alunni, rimanemmo alla fine in cinque, gli esami furono rigorosi e durarono tre giorni, ma alla fine fui tra i primi tre a conquistare il diploma.

Una stanza della mia abitazione, la trasformai in ufficio e con l’aiuto della titolare, iniziarono a venire i primi casi da risolvere, era già un anno che facevo questa attività e i riconoscimenti si alternavano agli (per fortuna) insuccessi.

Non potrò mai dimenticare quel giorno, era il primo aprile, avevo da poco finito di preparare una fattura per un caso di “tradimento familiare” lavoro molto impegnativo che mi aveva tenuto occupato per tre mesi tra pedinamenti e appostamenti, arrivò una raccomandata, portata da un pony express.

Era una busta gialla, di quelle commerciali, a sacchetto, strano pensai, mandarla per raccomandata, nessun mittente, solo il mio indirizzo, ancora più strano il contenuto, c’era un biglietto aereo per le 14.00 da Napoli per Catania e un altro già pagato per il ritorno senza data, una chiave e un bigliettino con un numero di cellulare.

Li per li, pensai onestamente ad un pesce d’aprile, ma tutte le mie impressioni scomparvero nel momento della mia telefonata all’aeroporto e alla compagnia di volo, ero stato prenotato per quel pomeriggio, la cosa mi intrigava, ma chi mai poteva essere l’autore di questa richiesta di avermi a Catania?

Non mi restava che chiamare il numero di cellulare, per avere spiegazioni, ma fu del tutto inutile, perché dopo aver fatto il numero, la persona che mi rispose dopo aver chiesto chi ero, mi disse solo “cassetta di sicurezza dell’aeroporto n. 38” e riagganciò!

Delle due, l’una o era un tranello di qualche marito che avevo scoperto o di una donna, perché no! Oppure era un nuovo caso! Il lavoro che avevo intrapreso, mi aveva già dato delle opportunità strane in quest’ultimo anno, volli pensare in positivo, preparai la valigia, dovevo essere due ore prima in aeroporto e cosi fu!

Mi guardavo con naturalezza intorno, ma sentivo di essere osservato, ma era inutile cercare di capire da chi, l’aeroporto era un brulicare di persone, appena arrivato mi avviai alle cassette di sicurezza, ero in anticipo di un quarto d’ora sull’orario previsto, apro la cassetta n.38, c’era una busta.

Mi allontano all’area di imbarco, prima di entrare, vedo il contenuto, un foglio e mille euro in biglietti da 20 euro, sul foglio “1 aprile, stanza n.238 dell’albergo Garibaldi al centro città, sarete contattato in giornata” firmato Tesla.

Sempre più strano, tramite il cellulare chiamo l’albergo, mi danno conferma della stanza a mio nome, in attesa per le 15.30, orario d’arrivo dell’aereo.

Il viaggio, fu tranquillo, ma quella sensazione di essere sotto controllo non si allontanava, ed ebbi la conferma quando ero in attesa del bagaglio che avevo imbarcato, oltre al sottoscritto, c’era una coppia giovane, poi due persone ben vestite, uno dei due si avvicinò

– Queste sono le chiavi della macchina per lei, parcheggio n.15, sosta 34.

Non mi ero ancora ripreso dallo stupore, i due scomparvero dalla mia vista, avevo solo notato un neo sull’occhio destro di quella persona, la mia sensazione era esatta, avevano fatto il volo con me, quindi sapevano chi ero.

Presi l’auto, una mercedes pluri accessoriata, tramite il navigatore già posizionato all’indirizzo dell’albergo, in pochi minuti raggiunsi la meta e fui nella stanza.

E ora? E ora era tempo di attendere, la macchina era nuova, l’avevo ispezionata per vedere se c’era qualcosa che mi potesse interessare, ma nulla, il libretto era intestato ad una rivendita del luogo, come auto di prova, scesi nella hall a prendere un caffè, controllai il cellulare fosse carico e feci una passeggiata nel parco adiacente, non c’è che dire, era un albergo di lusso con una vista meravigliosa sulla città, appena trovai un tavolino libero, il tempo di sedermi, si avvicinò un cameriere

– Gradisce qualcosa?

Lo guardai interdetto, non l’avevo sentito arrivare

– Si, grazie un aperitivo.

– Subito.

Scomparve per riapparire con dei salatini e un coppa di gelato con un aperitivo, nemmeno il tempo di ringraziare, era già scomparso, intorno non vedevo nessuno, ma memore di quello che era accaduto all’aeroporto, ero certo che qualcuno mi stesse osservando.

C’erano dei giornali sopra al tavolino, erano locali, iniziai a sfogliarli per fare qualcosa, ma nel frattempo mi guardavo intorno, nulla, il cellulare muto, non mi restava che andare nella mia stanza per cambiarmi per la cena.

Sul comodino trovai questo biglietto, tavolo 15, ore 19.00.

Iniziavo a fantasticare, chi era? perché? Stanco del viaggio e del lavorio mentale, mi appoggiai sul letto e mi addormentai, alle 18.30 squilla il cellulare, nessuno risponde, ma mi rendo conto che sono controllato, era una sveglia evidentemente, mi preparo e scendo.

Al tavolo 15 era apparecchiato per due persone, il cameriere mi porta il menu, inutile dire, faccio finta di vedere il menu, ma mi guardo intorno per vedere chi è il mio commensale, alle 19.15 arriva il cameriere

– Mi dispiace, ma ha telefonato la persona che aspettavate, mi ha detto di riferirle che non è potuta venire, quindi le augura una buona cena.

E così mi ha dato buca!

Non mi rimane altro da fare che cenare, inutile dire che la cena fu favolosa, i prodotti siciliani sono tra i migliori della nostra penisola e mi avviai nella stanza.

Non avevo sonno, accesi il televisore e mi misi sulla sponda del letto, ma rimasi sbigottito, qualcuno aveva anticipato le mie mosse, il televisore non stava trasmettendo delle immagini delle televisioni nazionali o regionali, ma c’era un avviso

“Legga bene prima di rispondere”

guardai meglio, c’era una videocassetta collegata al televisore nascosta che si era attivata, dopo pochi secondi altro messaggio

“Benvenuto nella nostra terra Lino, abbiamo un incarico per lei”

oramai muto dallo stupore vedevo scorrere delle immagini, erano delle montagne, poi un gregge con un uomo e un bambino, bello, riccioluto poteva avere sei anni, con un bastone cercava di mantenere ordine nel gregge, poi una casa, modesta con giardino, un uomo abbastanza anziano che stava intagliando qualcosa, poi più nulla.

Attesi, dopo qualche minuto si materializzò una cartina geografica dell’Albania, il porto di Durazzo e cerchiata in rosso la zona detta Klos del Distretto di Croia, non potetti fare a meno

– E che cazzo!

Esclamai, la mia voce era rimbombata nella stanza, mi parve di sentire qualcuno che ridacchiava, ma di certo era una mia impressione, non c’era nessuno tranne il sottoscritto.

Messaggio con in sottofondo l’immagine del ragazzo, nitida per farla memorizzare

“Nel cassetto del suo comodino, troverà cinquemila euro, un passaporto e biglietti per il traghetto con partenza da Bari. Questo è il suo incarico, riportare in Italia il ragazzo, si chiama Andrea. Ad operazione conclusa riceverà altro diecimila euro per la sua prestazione. Tesla”

Quell’immagine, non la dimenticherò mai, un volto di donna nascosto in un cappuccio nero, si vedeva solo il naso e abbozzato una parte della viso!

Ero ammutolito, non esclamai nulla, ma feci riavvolgere il nastro e lo rividi per due volte, iniziavano le domande ad affollare il cervello, perché mai io? chi erano queste persone? chi era il ragazzo, l’uomo, l’anziano? e poi sempre più forte, perché tanto mistero?

Domande senza risposta!

Aprii il comodino e trovai quello che mi era stato detto, presi il passaporto, era datato tre anni prima, aveva una foto di un bimbo piccolo, Andrea Zyca, nato a Catania il 19 settembre di due anni prima dall’emissione del passaporto, c’era solo un nome come tutore Tesla………….e poi non era chiaro il cognome (era troppo lungo) , erano presenti solo due annulli, uno per Durazzo e un altro per Bari e null’altro.

Lo tenevo in mano e lo guardavo, ma che storia è questa?

No, non era possibile, dovevo andar via, chiamai la reception e chiesi il collegamento con l’aeroporto di Catania, il primo aereo per tornare a Napoli era alle 24.00, ora erano le 22.00. Non persi tempo raccattai tutto quello che avevo tolto dal bagaglio, presi i soldi che mi erano stati inviati nella busta gialla e li aggiunsi ai soldi del cassetto e con il passaporto li lasciai dentro al comodino, nella busta gialla.

Scesi, mi feci chiamare un tassi, lasciai le chiavi della mercedes alla banconista dell’albergo, dicendo che qualcuno sarebbe venuto a prendere l’auto e mi feci portare all’aeroporto.

Non ci potevo credere, ma perché proprio io, certo conoscevo quei luoghi, avevo lavorato al commercio estero nella multinazionale prima che mi licenziassero per cinque anni, la ditta aveva collegamenti con l’Albania, avevo imparato quello che mi serviva parlando con loro con la loro lingua, ma chi era il ragazzo? E poi, un particolare da non trascurare, non avevo nessun mandato per iscritto, avrei dovuto avere altre informazioni e poi valutare e decidere, ma così no e certo che no!

Qualcuno si stava facendo beffa di me, cosa ci avevo guadagnato, nulla, una cena, forse, ma per il resto, nulla, solo pensieri e preoccupazioni, non vedevo l’ora di essere in volo, per Napoli.

Speravo che nessuno mi contattasse, tenevo il cellulare acceso, poi all’imbarco lo spensi e finalmente sul volo, arrivai a Napoli e tornai a casa, con poche certezze e mille dubbi, cercai di pensare ad altro, domani era domenica, avevo appuntamento nella Basilica di San Gennaro, con mia madre, era l’anniversario della morte di mio padre e come ogni anno ascoltavamo la messa insieme e dopo andavamo a pranzare con la pizza da Donna Sofia.

La mattina successiva mi svegliai molto tardi, mi preparai in fretta, resettando il cervello su quello che mi era accaduto, la notte alternativamente avevo sognato il ragazzo e la donna, poi finalmente mi ero addormentato profondamente.

Arrivai alla basilica con un certo anticipo, stavo salendo i gradini, quando arriva un messaggio sul cellulare

“Amore mio, questa volta non posso venire, ho un brutto raffreddore ma non ho febbre, Irina la badante e con me, vai tu a messa per tutte e due”

Mi dispiacque, era una delle poche volte, dopo che ci eravamo riappacificati che ci vedevamo, scattai una fotografia dell’ingresso del Duomo, e la inviai, immediatamente “Grazie” e entrai.

Se avessi immaginato!

Se solo quella mattina non mi fossi alzato!

Ma andiamo per ordine.

Il rito era sempre lo stesso, prima facevo una vista alla Cappella di San Gennaro, poi ascoltavo la messa e infine, prendevo un biglietto per scendere al Tesoro di San Gennaro, lo conoscevo a memoria, ma ero sempre contento di rivederlo, stranamente quel giorno c’erano poche persone, forse il caldo aveva dirottato molti per la prima vista al mare, meglio così, pensai, me lo godrò ancora meglio.

Ero nei pressi della teca con la mitra tempestata di pietre preziose del Santo, erano enormi,  frutto della devozione di tanti potenti della terra, che avevano voluto donargli qualcosa di prezioso, alle mie spalle, ad un tratto

– Non girarti!

Era una voce di donna, bassa ma imperiosa, mi bloccai

– Cosa vuole?

– Sono Tesla!

Appena sentii quel nome, feci un movimento con la testa per girarmi, ma mi bloccai, tra la scapola destra e il torace, avvertii qualcosa di duro metallico, sembrava una pistola, immediatamente ritornai nella posizione originale

– Ma è pazza?

– No!

– Cosa vuole?

Silenzio

– Incontrarti!

Dovevo assecondare, non ero in condizione di fare altro

– Dove?

Sentii che metteva una mano nella tasca destra, poi più nulla, attesi qualche minuto, mi girai, non c’era più nessuno!

Avevo urgentemente bisogno di trovare un toilette, salii sulle scale, mi ritrovai nella cappella, di lato a sinistra c’era una porta che portava alle toilette, mi liberai e dopo lavato e asciugato le mani, presi quel biglietto nella tasca

“Primo piano, alle Clarisse, chiedi di Suor Maria”.

Avevo due possibilità, sparire o andare all’appuntamento, sparire era inutile, visto che era riuscita a trovarmi e poi il mio istinto mi consigliava di incontrarla, avrei avuto maggiori informazioni e se non fosse stato il caso di accettare, rifiutare il lavoro e tornarmene finalmente a casa tra storie di tradimenti, cornuti e donne tradite.

Usci dal Duomo e mi diressi lateralmente a sinistra, c’era il portinaio del Convento, chiesi di Suor Maria e dissi il mio nome, mi fece entrare, con l’ascensore arrivai al piano e fuori c’era in attesa una suora di una certa età

– Lino?

– Si

– Venga.

Ci infilammo in un lungo corridoio, poi alla fine mi fece entrare in una stanzetta divisa da una grata, l’altra metà era al buio, potevo solo intravedere, passarono qualche minuto, poi

– Sono contenta che sia venuto.

Mi gelai, stava già li, mi aveva solo fatto attendere per vedere le mie reazioni, quasi con rabbia

– Cosa vuole da me?

La sua voce era tranquilla

– Stanotte abbiamo fatto il viaggio insieme.

Per la miseria, ero talmente stravolto, non avevo notato nulla

– Come? Cosa?

– Avrei potuto fermarti ieri sera in albergo, ma poi ho pensato che era meglio così, ti ho visto

Ma come ha fatto?

– Dall’espressione del tuo viso ho capito tutto, non hai toccato un euro di quello che ti avevo lasciato e questo mi ha convinto sulla tua onestà e mi ha invogliato a seguirti per poterti parlare da vicino.

La curiosità ebbe il sopravvento

– Perché stai nascosta? Cos’è questa storia? Il ragazzo, chi è? E il resto?

Silenzio, poi prese con una mano qualcosa e mi passò la busta gialla nella finestrina, la lasciai li, in attesa

– Non sono una suora, mi appoggio qui quando sono a Napoli,  mi chiamo Tesla dei Santarosa di Palermo, sono la madre di quel ragazzo Andrea, il padre l’ha rapito tre anni fa raccontandogli che ero morta, ho cercato tutte le strade legali per poter riavere mio figlio, ma ho fallito, nonostante le ingenti somme che ho elargito a destra e a manca.

Lei parlava, a bassa voce e io trasalivo

– Questo è l’estratto di nascita di Andrea e questa è la mia carta d’identità

Ovviamente la fotografia era stata coperta

– Il mese scorso, ho partecipato ad un Master qui a Napoli e ho conosciuto il Prof.Acava

Ecco, perché!

– Ho chiesto e ottenuto un incontro privato, ho raccontato tutto e lui mi ha assicurato che si sarebbe informato per poi darmi un consiglio. La settimana scorsa mi ha chiamata e mi ha parlato di te, sue testuali parole “Il vostro caso non è usuale, come non dovrà essere usuale il conferimento del mandato, ma in base alle mie informazioni, solo una persona può aiutarvi, ma non so se accetterà, solo in caso estremo faccia il mio nome, lui capirà. E’ bravo e non ha paura di nulla è l’uomo che può fare al caso vostro”

Ero orgoglioso, il mio professore, nonché il Presidente dell’Associazione degli investigatori privati, veniva da Roma a farci lezione tre volte a settimana, ma non dissi nulla, rimasi in ascolto

– Noto che lo conoscete bene?

Ma come ha fatto? Certo ha visto le mie espressioni

– Si, è stato troppo buono!

Non disse nulla, la sua voce mi piaceva ascoltarla, cercavo di vederla ma non ci riuscivo, aveva un cappuccio in testa, vedevo solo il naso e la bocca

– Presi le mie informazioni e decisi di convocarti, ma dopo la tua reazione ho pensato opportuno incontrarti per spiegare le mie ragioni, quello che voglio è avere il bambino con me, fargli sapere che non sono morta e riportarlo in Italia, te la senti? Il padre è un violento, sono in attesa della risposta per il divorzio dopo la mia denuncia per sottrazione di minore. Non ho voluto che si intromettesse  la mia famiglia in questa faccenda, l’avrei risolta in breve tempo, ma ci sarebbero stati dei morti sicuramente, ed io non voglio. Il compenso se è inadeguato sono disposta a raddoppiarlo o triplicarlo, non ho problemi, ma ora aspetto una tua risposta, non ora, lo capisco, ma aspetterò altre ventiquattro ore con ansia.

Così dicendo, si alzò prima che potessi dire una parola, lasciando la busta gialla e i documenti e una cassetta per il videoregistratore, il messaggio era chiaro, sono tuoi, se poi dovessi decidere di no, so che ritorneranno indietro.

Lasciò nell’aria un profumo dolcissimo di zagara e scomparve!

Mi alzai imbambolato, misi tutto nella tasca interna della giacca e mi rintanai in una pizzeria, poco distante, dove andavo sempre con mia madre, ordinai la mia preferita, la pizza marinara e nel frattempo, nonostante la folla, mi misi a pensare al caso, ero talmente assorto che non mi ero accorto di Ivan che mi stava chiamando

– Signor Lino, è pronta!

Mi risvegliai ,

– E tu, che ci fai qui?…”….

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

21 Febbraio 2024 – La Vita un “contratto temporaneo” – di Araldo Gennaro Caparco

Ognuno di noi,  per me,  ha un “contratto temporaneo” con la Vita, purtroppo la nota negativa è che noi non ne sappiamo la durata, ma la viviamo comunque  intensamente:

  • esiste un “Contratto breve a termine”
  • esiste un “Contratto a medio termine”
  • esiste un “Contratto a lungo termine”

Il Contratto a “breve termine” lo si riconosce per quello che accade nella nostra infanzia, nel mio caso è stato perdere mio fratello Domenico, all’età di sei mesi.

Il Contratto a “medio termine” lo si riconosce per quello che ci accade nella nostra gioventù, nl mio caso la perdita di un caro amico Franco, all’età di ventidue anni.

Poi esiste il Contratto ” a lungo termine” ed è quello che si vive in tarda età, forse il più doloroso, perché poco alla volta, ma inesorabilmente, si perdono tanti familiari, tanti, ma tanti parenti, tanti amici e conoscenti che nel bilancio della vita non sono spesso equilibrati dai momenti di gioia!

Quindi da qui nascono le domande senza risposte che ognuno di noi si fa sulla Vita, noi non possiamo scegliere a quale tipo di “contratto” siamo destinati, possiamo solo cercare di vivere al meglio e viverla bene.

Diverse filosofie narrano di come si dovrebbe vivere la Vita e una di queste mi ha colpito più delle altre:

“Se l’acqua riesce a passare tra gli ostacoli trovando la via più semplice possiamo muoverci pure noi nella Vita…basta fare come l’acqua…agisci come l’acqua…

…lascia che la Vita vada avanti e segui la tua…corrente”

Araldo Gennaro Caparco

19 Febbraio 2024 – La vita è strana! – Favola moderna di Araldo Gennaro Caparco

Quando arrivai, fui sorpreso, era una villetta non molto grande con palazzi in cemento armato di lato, palazzine degli anni cinquanta con una miriade di panni stesi, all’ingresso c’era una targa
“R/S – Ricerca e Sviluppo di Joy”
E chi era questo Ioy?
Non avendo le chiavi bussai e…
…era un vulcano, appena aprì la porta mi resi conto con chi avevo a che fare, poteva avere la mia stessa età, ma un gridolino uscì da quella bocca più femminile in un corpo di un uomo
– Caro cugino, entra, entra, la mia casa è la tua casa.
Disse ad alta voce e si guardava intorno per vedere se c’era qualcuno che ci vedesse, mi fece segno di entrare e io stupito lo seguivo nel corridoio, l’arredamento al piano terra era lo specchio della sua vita, aveva movenze femminili in un corpo di un uomo, pantaloni attillati e camicetta floreale con un giacca di lana che scendeva fino alle ginocchia, mi aiutò a riporre le valigie all’ingresso e stavolta con una voce quasi normale
– Scusatemi, ma dovevo farlo per raggiungere tutti del vicinato…
Lo guardai stralunato
– Perché?
Stese la mano
-…vedete…
Lo fermai
– Potremmo di certo avere la stessa età, dammi del tu, io sono Dino.
E gliela strinsi, un sorriso a tutti denti mi gratificò
– Grazie, io sono Joy e nonostante le apparenze…
Si fermò
-…ci siamo laureati nella stessa disciplina, solo che io non sono così famoso come te…
Diventai rosso, mentre mi accompagnava presso un divanetto vicino al camino acceso
– Mi vuoi mettere a disagio, io famoso, ma…
Mi guardò diritto negli occhi
– Ascoltami, so tutto, so perché sei qui e so anche chi ha fatto il mio nome per farti da assistente, sono contenta….
E sottolineò l’ultima parola
-…ho lasciato l’università da un anno, ma abbiamo studiato anche le tue pubblicazioni e ne sono stata rapita.
Qui le cose si mettono male…pensai… ma evidentemente la mia risposta facciale ebbe il suo risultato
– So bene, che non sei uguale a me…
Così dicendo, raccolse il suo maglione tra le gambe e si aggiustò i capelli lunghi in una coda da cavallo
– …mi hanno avvertita…
E abbassò la testa, non potevo rimanere senza parlare, la cosa stava diventando imbarazzante
– Non ho nessuna remora per chi è diverso da me, sono contento che abbiano scelto te, non capisco solo quale attinenza ci sia.
Si illuminò
– Vedi, io ho fondato questa agenzia appena uscito dall’università e la persona che mi ha proposto di tenerti sotto copertura per non dare nell’occhio mi ha convinta e incuriosita, conoscevo il tuo lavoro ed ero contenta di aiutarti.
Seguirono qualche minuto di imbarazzo
– Mi stai facendo troppi complimenti!
– Te li meriti tutti e spero di darti una mano concreta per sbrogliare questa matassa che nessuno vuole sbrogliare, ma ora, vieni ti faccio da guida….

segue…

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