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9 Ottobre 2023 – Trilogia – Se devi sognare, esagera! – Secondo capitolo “Il Castello”

Eravamo quasi arrivati, la strada era quella ne ero certo, alla fine della discesa dalla collina, il Maestro mi fece notare, degli uomini armati.

Già che ci facevano li in mezzo al nulla?

La mercedes, filò veloce e la macchina di scorta a ruota, terminammo la discesa, ci portammo sulla statale, dopo il capanno di vimini, c’era una stradina seminascosta, con una sbarra, si alzò immediatamente per poi richiudersi velocemente.

Tenevo la mano di Isa stretta nella mia, era completamente rapita dal panorama, ma non diceva nulla, la maternità dei gemelli, l’aveva resa ancora più bella, i lineamenti si erano rassodati un poco, ma lentamente stava ritornando come prima.

Aveva un completo bianco di pantaloni e camicetta, mettevano ancora più in risalto i capelli biondi che scherzavano sul suo petto ad ogni fruscio d’aria.

.-  Ohhhhhh

Era Isa:

– Ma è uno splendore!

Eravamo quasi alla fine della strada e si intravedeva il Castello in fondo, anche il Maestro era incuriosito, l’unico non tranquillo ero io.

Non mi chiedete il perché, non c’era nessuna ragione apparente, ma non ero sereno.

Scendemmo tutti dalle auto, i quattro della scorta si posizionarono all’ingresso del Parco, n attesa c’era un signore dall’età direi sui settant’anni, ci aspettava:

– Benvenuti, lo Sceicco vi sta aspettando.

Ecco chi era uno sceicco!

Ma come ho fatto a non pensarci, il porto, la squadra a disposizione, la strada sulla collina, gli uomini armati.

Mentre venivamo accompagnati, verso l’ingresso del Castello, la persona ci illustrava le culture del corridoio centrale del viale:

– Qui alla mia destra c’è un limoneto, protetto dalla rupe di sopra e dai canneti, a sinistra, il giardino delle spezie, diviso in grandi rettangoli, protetti dalle piante mediterranea, fanno ombra quando il sole è alto, di seguito il roseto voluto dalla Signora dello Sceicco e di lato l’agrumeto con vari tipi di piante.

Era un posto da favola, non c’è che dire, colori a profusione, profumi inebrianti, tutto curato e ordinato, Isa si fermò ad ammirare dalla terrazza, vicino all’agrumeto, il mare sottostante, cristallino, da sopra si vedevano le rocce sommerse dall’acqua, poco distante c’era un grosso yacht, ormeggiato, segno del fondale molto alto.

Non so quanti di voi hanno letto David Copperfield di Charles John Huffam Dickens , ma quel signore mi aveva dato una brutta impressione, da quando l’avevo visto l’ho paragonato a Uriah Heep, il cattivo, il subdolo di quel bellissimo racconto, il modo di comportarsi, il parlare sommesso, la schiena incurvata in segno di umile servilismo, mi aveva dato fastidio.

Poi un’altra cosa mia aveva colpito, il Parco era stupendo, ma era come se non avesse un’anima, era come una cartolina che si acquista per mandare i saluti, l’una vale l’altra, non c’erano segni di utilizzo, era vuoto!

Un senso di smarrimento, ecco quello che sentivo!

Arrivammo all’ingresso, entrammo in un salone ampio e ricco di vasi, quadri, poltrone e divani, luminosissimo, il Fattore, perché così si definì quando terminammo la nostra passeggiata, fece un segno a dei camerieri di portarci delle bibite e fece segno di accomodarci.

Il Maestro aveva con se il cofanetto, in una borsa di pelle, l’appoggiò vicino e stava parlottando con Isa, nel frattempo la mia innata curiosità e quel senso di malessere, invece di sedermi con loro, mi portai verso una finestra dalla parte posteriore del salone, e vidi, anche li era presidiato da alcuni uomini armati.

Ero così preso, non mi accorsi di nulla, Isa con un colpo di tosse mi richiamò.

Era lo Sceicco, nel suo abito bianco immacolato, una cintura alla vita, portava uno stiletto di cui si vedeva l’elsa luccicante, con un turbante di vari colori, entrò con due persone, stavano ad un passo dietro, aveva si e no cinquant’anni:

-Benvenuti

Un sorriso ampio, sciolse la tensione di quel momento.

Il Maestro si alzò in segno di riverenza:

– Mi dispiace dell’increscioso errore.

E lui:

– Mi dispiace, di non potervi ospitare come dovrei, ma quando sono stato avvertito, ho sentito il desiderio di ringraziare la persona che così velocemente aveva rasserenato la mia esistenza.

Ci accomodammo dopo le presentazioni e ci fu servito del te, in un servizio di porcellana di una ricchezza incredibile.

Dopo questo rito, in perfetto silenzio, lo Sceicco fece un gesto e si avvicinò uno dei due entrati con lui, porgendo il plico al Maestro, lui fece lo stesso e consegno quello in suo possesso:

– Non guarda?

Era lo Sceicco.

-Perché dovrei?

Rispose il Maestro, riponendo il plico nella borsa di pelle così come l’aveva ricevuto.

Si vide lo stupore sul viso dello sceicco, poi come se stesse seguendo il corso dei suoi pensieri, iniziò a parlare:

– Mancavo da qui da tre anni, devo ringraziarla non solo di avermi riportato il regalo che domani farò a mia moglie per il 28° anniversario di matrimonio, ma perché mi ha dato l’opportunità di ritornare qui.

Il Maestro, ascoltava rapito il suo perfetto italiano, fece cenno di non capire quello che voleva dire, ma lui:

– Alle volte ci sono luoghi dove non si vorrebbe più ritornare, ero a Capri ieri e per evitare di farle fare un viaggio lungo, ho deciso di venire qui. Sono sceso dalla barca, solo quando i miei uomini mi hanno avvertito via radio che eravate arrivati.

Non potevo, forse non dovevo!

Ma il suo tono si andava abbassando sempre di più, era quasi rotto in gola mi aveva colpito:

– Sono molto colpito dalle sue parole, forse sarò indiscreto, ma posso farle una domanda?

Mi guardò come se mi avesse visto per la prima volta, i suoi occhi si fissarono sui miei, poi quasi come un senso di liberazione:

– Mi dica giovane signore!

Non devo balbettare,  Isa mi guardava incredula, il Maestro era accigliato segno di preoccupazione, ed io:

– Ho ammirato il suo Parco, esplosione di colori e aromi, segno di gioia e di cura continua, ma nell’aria non ho sentito la stessa sensazione, è stata solo una mia impressione?

Lo Sceicco si alzò, imponente faceva quasi paura, ad un suo gesto, fece allontanare tutti dalla sala, poi si voltò verso il Parco e disse:

-Sono meravigliato della sua sensibilità, ammiro le persone che cercano di darsi delle risposte e hanno il coraggio di chiedere.

Mi aspettavo una stoccata, mi avrebbe di sicuro tramortito, ma così non fu:

– Lei ha ragione, quello che ha detto risponde a verità, non so come abbia fatto ma ha colto in pieno il mio pensiero. Si, è vero, non c’è anima, qui tre anni fa ho perso l’unica figlia che avevo…

Volevo morire!

Non era mia intenzione ferire nessuno, ma oramai la frittata l’avevo fatta:

– Signore…

Dissi io.

Lui si girò verso di me, non era arrabbiato, ma quasi sollevato:

– La mattina facemmo colazione in questa sala, eravamo una trentina di persone, erano quasi le 10.00, Yahra espresse il desiderio di fare un bagno prima dell’ora di pranzo, io è la madre acconsentimmo, insieme con le amiche, presero un motoscafo ormeggiato e si allontanarono verso il largo, aveva 21 anni. Stavo ancora guardandola dalla terrazza, quando dopo pochi minuti, ci fu l’esplosione.

Si accasciò sulla poltrona, Isa si alzò e verso dell’acqua in un bicchiere, la ringraziò con gli occhi.

– Giuro io non volevo, sono mortificato!

8 Ottobre 2023 – Il “Principe”. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Roma stazione Termini.

Mai mi sarei aspettata quella raccomandata, ero certa che sarebbe stata solo una prova il partecipare al concorso in magistratura, che cavolo mi dicevo, ho solo venticinque anni e di certo ci saranno molti altri partecipanti più preparati di me.

Era un maxi concorso per 250 posti in tutta Italia, mio padre mi convinse e …

…dopo due mesi dal concorso mentre ero nel locale di mio padre a dare una mano, arrivò il postino e mi diede quella busta gialla indirizzata all’Avvocatessa Anna ……..

…mi tremavano le mani, aveva di sfuggita visto l’intestazione della busta

“Ministero di Grazie e Giustizia”

…mi trovai piegata in due per terra

– Anna che ti succede?

Non riuscivo a parlare, alzai solo la mano destra e mio padre prese il foglio, dopo poco

– Bambina mia, ce l’hai fatta!

Esclamò prima di abbracciarmi per terra, stavamo piangendo, ma fu solo un attimo, i miei occhi si rivolsero sulla mensola sopra la cassa, c’era una foto, era della mia mamma…

…guardai meglio…

…sembrava che sorridesse, strinsi ancora più forte mio padre

E lui

– Tua madre sarebbe orgogliosa di te, ma sono certo che da lassù sta esultando con noi.

Ecco!

Questo era quello che pensavo mentre ero in treno da Milano per Roma, ero stata convocata dal Ministero per conoscere la nostra destinazione di lavoro, dal documento si evinceva che ero la duecentoquarantaseiesima vincitrice…ma non mi importava nulla…avevo bruciato tutte le tappe della mia università e a solo ventitre anni mi ero laureata, partecipai l’anno successivo all’esame di stato e riuscii a vincerlo…

…e tutto questo perché mia madre era affetta da un male terribile e non volevo che lei non partecipasse alla gioia con me…

…e c’ero riuscita!

Ma…

… dopo la sua morte caddi in depressione, furono sei mesi terribili e mio padre tentò tutte le strade per farmi riprendere, lui non avrebbe voluto che l’aiutassi nel locale di mia madre, ma io ero  irremovibile, avrebbe voluto che aprissi uno studio legale, ma non volli e allora accettò solo dopo che avevo promesso di partecipare al concorso in magistratura.

Avevo promesso e non potevo non mantenere, anche se questo mi costava molto, di giorno lavoravo con lui al ristorante e di notte studiavo per il concorso…

…ma alla fine aveva avuto ragione lui, c’ero riuscita e a soli venticinque anni!

Avevo prenotato una camera nell’albergo più vicino, mi rinfrescai e scesi, quando arrivai al Ministero mi tremavano le gambe, all’ingresso c’erano i controlli della sicurezza, versai quelle poche cose che avevo dalla mia borsa e nelle tasche

– Signorina perché è venuta al Ministero?

Ero così assorta che non avevo sentito, poi

– Signorina?

Mi girai e c’era un signore sui cinquant’anni che aveva un foglio in mano

– Mi scusi?

– Di nulla, dovrebbe rispondermi…

Era sorpresa

– …ho qui l’elenco dei visitatori ammessi alla Cerimonia di insediamento dei nuovi magistrati della repubblica e lei non è nell’elenco…

Disse continuando a guardare il foglio, la mano mi tremava, ma cercai di non farlo notare, dalla tasca della giacca presi la preziosa raccomandata che avevo lasciato per ultima nel consegnarla per i controlli e…

…fu un attimo, come vide la busta gialla e cambiò espressione, con una velocità notevole lesse solo il nome

– Mi dispiace, non avevo capito, ma ora so chi e lei.

E con un cenno della testa ai vigilanti immediatamente mi ridiedero le mie cose e si avvicinò

– Venga con me, l’accompagno io!

Ero meravigliata da quell’uomo e lui capì

– Sono il capo dipartimento delle relazioni con il pubblico.

Ecco perche!

6 Ottobre 2023 – Il Maestro – Trilogia di Araldo Gennaro Caparco

Erano mesi che ogni fine settimana, affacciandomi dal balcone di casa mia, notavo un’auto alle 4 del mattino, in particolar modo il sabato o la domenica, stazionare sotto il palazzo di fronte alla mia abitazione.
Un giorno decisi di capire, cosa e chi aspettasse!!
Mi posizionai la sera prima e parcheggiai l’auto in modo che la mattina potessi agevolmente spostarmi. L’Indomani, pur non avendo la certezza, mi svegliai alle 3 e con un plaid entrai in un’auto gelida nel buio totale in attesa.
Certo di fare una cosa stupida, ma mi sentivo tonico per l’avventura che forse mi aspettavo, di certo poteva essere anche una delusione, ma era un’ipotesi che allontanavo, c’era qualcosa, mi intrigava e ciò mi bastava.
Puntualmente, alle 4 arrivò l’auto e si fermò in attesa.
Tolsi il plaid in fretta , misi le cintura e …alle 4.05 scese una persona, si intravedevano solo i capelli bianchi, era intabarrato con un grande mantello per proteggersi dal freddo ed aveva una valigetta in mano, strana forma, era un rettangolo abbastanza corposo, entrò in fretta in auto dal lato posteriore e in un attimo l’auto si mise in moto.
Feci altrettanto, dopo trenta secondi, complice il semaforo alla fine della strada, la raggiunsi…..

L’auto proseguiva lesta, la mia non era all’altezza, per fortuna avevo preso la più grande, mi tenevo a debita distanza, ma che bello vedere il cielo stellato, poche auto in giro, ma è meglio non divagare.

Le cose si mettono male, l’auto sta filando verso l’autostrada e ora? Vado.

Se si inizia una cosa si porta anche a termine.

Telepass a posto, benzina a posto, inserisco il navigatore, siamo in direzione Napoli. Onde evitare di fare il trenino, sorpasso e mi tengo sulla terza corsia, mi faccio superare, mi allontano, e ora? Che succede? L’auto mette la freccia e si avvicina ad un’area di sosta dove vedo stazionare un furgoncino. Non posso non superare, accidenti. Decido di fermarmi alla prossima area di sosta, a trovarla, eccola è prossima, metto la freccia e in  quell’istante con la coda dell’occhio intravedo l’auto, sta sopraggiungendo con il furgoncino al seguito, stavolta in velocità.

Elimino la freccia e mi metto sulla scia, loro aumentano e io arranco, ma sono fortunato la sagoma del furgone mi fa da segnalatore, usciamo dall’autostrada, direzione tangenziale, non c’è un’anima, qualche fornitore e trasportatore. Il navigatore mi da indicazione che siamo sulla via per il mare, ma alle 4.35 chi va al mare? Pensieri scomposti, mi concentro, siamo sulla strada di Pozzuoli, direzione porto e qui le cose diventano difficili, c’è un andirivieni di auto e camioncini, cerco di non perdere l’obiettivo, scendiamo per viuzze verso il mare, certo le scorciatoie sono ben conosciute all’autista dell’auto, ma a me no!

Prossimo incrocio alla fine della strada a T, esco, mi fermo, scomparsi!

Vediamo, ho due opzioni, la destra non mi piace nemmeno per le strade, decido di andare a sinistra, quando tutto manca riprendo la strada inversa e torno a casa. Complice la strada semideserta, cammino a passo di lumaca, sostando nei pressi delle traverse, nulla. Ma dove mai sono finiti? Quando ho quasi perso la speranza, in lontananza, quasi come si facesse l’occhiolino, una grande “ P” di parcheggio, si accende e si spegne mi guida.

Arrivo in uno spiazzo enorme con decine di auto in sosta, mi lascio guidare da una freccia a terra alla ricerca di un posto per fermarmi e che diavolo, almeno mi godo l’alba in riva al porto, male non sarebbe, ma di certo non era quello che volevo fare.

Ecco, vedo un posto, di fianco un’auto spegne i fanalini posteriori, passo vicino e…

Bingo!

Oggi deve essere la mia notte fortunata, riconosco l’auto e vedo “capelli bianchi” sta scendendo, prima un bastone e poi (ma il bastone non c’era quando è sceso da casa, evidentemente era nella sua auto), un fascio di luce improvviso lo illumina, strano, il bastone ha il pomo a forma d’uovo, ma non quello piccolo,  ma quelli di un’oca, certamente sarà d’avorio.

Giro e parcheggio, non mi muovo dall’auto, vedo le due figure a passi veloci si dirigono verso sinistra, scendo e faccio il loro stesso percorso, il furgone non c’è, l’avranno lasciato da qualche parte, oppure c’è un altro ingresso, chissà! Non mi devo distrarre e nemmeno farmi vedere, a debita distanza osservo, parlottano tra di loro, fa freddo mi guardo intorno e inizio a sentire un vociare in lontananza. “capelli bianchi” è senza valigetta, l’avrà dimenticata? O l’avrà lasciata di proposito in auto? Domande senza risposta!

Ci siamo, vedo le barche ormeggiate cullate dalle onde con le bandierine che si muovono a seconda del vento e dell’ondeggiamento, una serie di capannoni, tutti uguali e illuminati a giorno, sul lato opposto al mare, in fila, tanti furgoncini parcheggiati, si sentono delle voci, entro seguendo “capelli bianchi”.

Ora ho  capito! Siamo al Mercato del Pesce!

Se fuori, c’è silenzio, qui mi sembra la festa patronale.

Una cosa simile l’avevo vista solo in televisione, ai lati dei nastri trasportatori trasportano delle cassette ricolme di pesci, in fondo un poggio da dove una persone urla delle cose incomprensibili con un tabellone sulla testa che scandisce dei secondi e di lato un altro tabellone con dei nomi che cambiano (Gabbiano, Veloce, Serena, Zio Toni, Sguattera, Potente, Delfino) e  al centro un cerchio numeroso di persone, in silenzio. Nonostante lo stupore non perdo “capelli bianchi” il quale deve essere ben conosciuto da queste parti visto che il gruppo di persone si allarga per farlo arrivare al centro e lui con un cenno del capo saluta.

Mi concentro sulle parole del banditore, sta informando del contenuto delle prossime cassette sul nastro davanti alle persone, arrivano, si fermano e parte il contatore dei secondi, in un attimo non capisco perché, continuano il loro viaggio e il banditore urla, vendute. Ma a chi, nessuno ha parlato, ne ho sentito offerte?

Da dove mi trovo non posso capire è arrivato il momento di spostarmi, anche perché vorrei vedere il viso di “capelli bianchi”. L’unico modo è posizionarmi ad uno dei due lati del banditore, possibilmente senza farmi vedere. Ci riesco, non senza difficoltà, il pavimento è viscido e non vorrei finire all’ospedale. Ecco da qui vedo meglio, ma “capelli bianchi” è coperto. Il banditore urla un altro arrivo, non avevo notato che sotto il tabellone una striscia scorrevole porta il costo del carico di pesce, giro lo sguardo verso le persone e con impercettibili segni, il valore della merce aumenta, 5.000, 7.000, 9.000, poi lo vedo, il pomo del bastone si alza, l’offerta e di 11.000 euro e la sirena avverte che il tempo è scaduto.

Aggiudicato!!

Sono senza parole, un gesto e l’offerta è valida per tutti. Che freddo che fa qui dentro, ma dove è andato? Non lo vedo più….

In lontananza vedo una scritta “cassa” e quindi di sicuro sarà andato a saldare, l’unica cosa è ritornare all’auto, e attendere.

Detto e fatto, mi dirigo all’auto, la sua è ancora li, sono le 5.30 mi assale la stanchezza, mi porta un leggero annebbiamento, sarà stata la tensione, ma chi me l’ha fatto fare.

Pensieri scomposti, mi devo svegliare e finire quello che ho iniziato.

L’auto mi sembra una stufa, nonostante il freddo del mattino, l’alba è prossima vedo fondersi cielo e terra, i gabbiani sorvolano la zona evidentemente sanno che qualcosa per loro ci sarà, lo sento mi sto quasi addormentando con il plaid sulle gambe.

All’improvviso nel silenzio, sento delle voci distintamente, qualcuno parla ad un cellulare ed è in avvicinamento, trattengo il fiato, abbasso il finestrino, aria gelida e resto in ascolto: “allora il carico è arrivato?” –  “noi qui abbiamo terminato, fra un’ora saremo in sede, fatemi trovare tutto pronto che iniziamo!”.

Fine della telefonata, dallo specchietto retrovisore vedo “capelli bianchi” distintamente, la luce dell’alba mi aiuta  e come una macchina fotografica, registro i suoi dati: folta capigliatura fresca di doccia, il vento la scompiglia, mani ossute con dita molto lunghe aggiustano i capelli scomposti, il viso racconta la sua età, dai 70 agli 80 anni con rughe dolci sul volto, occhi penetranti e vividi, stop, null’altro, sparito dalla mia visuale sta per entrare in auto.

Si ricomincia!

Questa volta non ho il furgoncino a farmi da guida, quindi dovrò essere attento e seguire l’auto da lontano per quanto possibile,  lasciamo il parcheggio, ci  dirigiamo verso la tangenziale, no, la direzione è quella ma prendiamo la strada interna, stiamo andando verso Castel Volturno ed anche ad una velocità sostenuta.

Guardo l’indicatore del  serbatoio, è quasi a metà, speriamo di non rimanere senza benzina, le strade sono libere, non passa quasi nessuno, accendo la radio per farmi compagnia, ma dico? chissà dove sta andando, cosa deve fare, che carico?

Accidenti!

Lasciamo la marina e passiamo sull’asse mediano direzione Capua, ecco dove voleva arrivare al casello dell’autostrada, e ora? Quale direzione? Napoli o Roma, speriamo Napoli, qui rimango a secco. No, direzione Roma. E ora, non posso perdere tempo, devo fare rifornimento, quindi accelero e supero, gioco in casa, conosco bene la strada la prima stazione di servizio è Teano, mi fiondo e affondo il pedale dell’acceleratore.

Deve essere per forza una notte, ovvero un giorno, fortunato, esco dall’area di servizio dopo il rifornimento e lui è davanti a me in terza corsia, lo vedo oramai è la sua auto, ce l’ho fatta.

La prossima uscita è Cassino, posso rilassarmi un poco, allora dove uscirà? Uscirà? O andremo verso Roma? Mentre pensavo a questo, ecco che mi sorpassa il furgoncino lasciato a Pozzuoli, evidentemente avrà fatto il suo carico e ci ha raggiunti, ecco spiegato la velocità di crociera erano in attesa del furgone.

Difatti adesso si fila che è una meraviglia, corsia centrale, sorpasso, corsia centrale, sorpasso.

Freccia, siamo prossimi a Cassino, ecco la metà, forse!…

Ci inoltriamo verso la città, oramai siamo alle 07.30, le persone iniziano a muoversi, il traffico non mi aiuta, ma riesco comunque a non perdere di vista l’auto.

Stiamo andando verso la zona industriale, così recita un cartello appena oltrepassato, dedalo di vie tra capannoni, nudi e deserti.

Ecco la freccia, si svolta a sinistra, lungo rettilineo, in fondo vedo qualcosa, si è una struttura in cemento e vetro tutta illuminata, quasi come ad una festa, l’auto si dirige sul piazzale di ingresso dopo la sbarra, una guardia giurata ha aperto il varco e poi chiude, è finita!

Supero, è inutile cercare di entrare, non ho nessuna ragione per entrare, mi posiziono in modo da non essere visto dal vigilante, scendo.  In alto troneggia un enorme tabellone “La Mimosa” s.p.a., e che sarà? Mi affaccio al di la delle grate di protezione sulla strada, “capelli bianchi” sta scendendo, questa volta senza bastone ma con la sua strana valigetta, si avvia a passi veloci verso una delle entrate, di lato vedo due furgoni parcheggiati, li riconosco sono gli stessi del porto, l’altro certamente sarà per l’altro “carico”, quale carico?.

Non faccio altro che fare delle domande, se dovessi raccontare questa storia, mi rinchiuderebbero, ho pedinato un perfetto sconosciuto, un mio dirimpettaio di palazzo, a che pro?

E poi che ci faccio a Cassino? E a Pozzuoli?

Sto maturando l’idea di andare via, prima di fare altri danni a me stesso, è perfettamente inutile fermarmi, la struttura è enorme, se cerco di entrare entro a far parte di quelle persone da codice penale, vado via, sarà una frustrazione per non esserci riuscito, ma almeno sarò libero, me ne farò una ragione.

Nel frattempo accedo la seconda sigaretta della giornata, mi guardo intorno, decido di fare qualche passo intorno, alberi, alberi dovunque, uccellini che salutano il mattino, fregandosene del sottoscritto e dei suoi pensieri, sono arrivato all’angolo, ci sono diversi autotreni, in posizione di carico, strano, non hanno nessuna scritta pubblicitaria, bianchi come il latte.

Il silenzio dalla struttura, non ha eguali, non c’è un rumore, poco distante noto un gruppo di persone con camici bianchi che stanno entrando, sarà una struttura sanitaria? Poi ecco in un altro spiazzo alle spalle della struttura, decine di auto, segno di tante persone all’interno.

Il mistero si infittisce, basta, devo trovare un modo.

Ritorno all’auto, faccio delle ricerche sul telefonino, nulla non mi riporta nessun tipo di attività, l’azienda viene menzionato come “società si servizi”, strano per una s.p.a di quelle dimensioni.

Metto in moto, faccio tutto il perimetro dell’azienda, lo rifaccio per la seconda volta, ho deciso cosa fare!

Ho deciso farò la “pecorella smarrita”.

Mi avvicino al cancelli d’entrata, fermo l’auto e chiedo alla guardia giurata:

  • Buongiorno, vorrei un’informazione, mi sono perso per queste strade, non sono di qua, potrebbe indicarmi per l’autostrada?

Vedo che la guardia giurata mi guarda, come un ex terrestre, poi esce dalla guardiola e viene verso di me:

  • – Lei è distante dall’ingresso dell’autostrada, difficile dare delle indicazioni, noi siamo nella zona industriale a nord di Cassino e lei deve tornare indietro.
  • Grazie, ma se mi da qualche indicazione, evito di girare a vuoto, con il pericolo di rimanere senza benzina.

Pazientemente, rientra nella guardiola per uscirne poco dopo con una cartina:

  • Ora le faccio vedere, lei si trova qui, deve prendere questa strada proseguire per due chilometri, poi svoltare a destra, il primo incrocio a sinistra e si troverà a Cassino centro, da li può agevolmente chiedere ulteriori informazioni per l’autostrada.

Capisco che il mio tentativo sta vacillando:

  • La ringrazio, buona giornata.
  • Buona giornata.

Faccio finta di andare verso l’auto, nel frattempo arriva un auto a tutta velocità, la sbarra si è alzata prontamente e poi…torno indietro.

  • Quasi ci investiva!!

Dico sconsolato ad alta voce a il guardiano:

  • Evidentemente si sono dimenticati di qualcosa di molto importante.

Mi risponde, allora mi attacco alle ultime parole:

  • Di certo sarà così, ma come è grande questa struttura, è nuova?

Ho giocato sporco, lo so! Ma non potevo trovare di meglio, quel “ci investiva” ha gratificato la guardia ed io ho avuto l’appiglio che cercavo, non deve essere semplice passare otto ore in una guardiola senza poter parlare con qualcuno e ho stimolato a dirmi quattro parole.

La guardia riesce dal guardiola e:

  • È un anno domani, è una struttura polivalente e sofisticata.

Meglio non entrare in dettaglio, potrebbe insospettirsi, allora:

  • Per fortuna ci sono queste realtà per il lavoro, oggi è difficile trovare lavoro come lei ben sa, sono venuto a Cassino perché ho un colloquio di lavoro nel pomeriggio e mi sono avviato per tempo anche per conoscere il luogo che non conoscevo, vengo da Caserta.

Sono un bugiardo, lo riconosco, ma è la mia curiosità innata e voglio sapere al più presto,  senza fare danni dove “capelli bianchi” mi ha portato, evito di guardare la guardia, mi sta soppesando lo sento, mi sta squadrando e il mio vestire casual e pratico non mi aiuta, ci vuole un rinforzo e prima che lui parli:

  • Ho prenotato una camera nell’albergo dove devo avere questo colloquio di lavoro.

Bingo, ci ho azzeccato, la guardia sorride rilassato e:

 

  • Si è vero è difficile, ma non impossibile per quelli con una professionalità e passione da vendere, in questa struttura lavorano circa 60 persone, quando devono preparare un evento, vengono da tutte le parti e anche da fuori regione. Ma lo sa che una persona viene qui anche da Caserta?

Ci siamo!

E ora come me la gioco questa notizia, che dico? Cosa mi invento? Dimostrarmi molto interessato oppure no? Chiedere informazioni dirette o indirette? Sorvolare?

Ho poco tempo, davanti, non devo sbagliare, mi gioco tutto…

E’ strano, quando arrivi ad un traguardo, in qualunque ambito, resiste una certa ritrosia nel voler conoscere la verità, quasi un rifiuto, un desiderio di allontanare quel momento tanto agognato.

Cosa faccio? Cerco di non far capire il mio interesse senza tirare troppo la corda:

  • Per la miseria, 60 persone, sono tante. Avete parlato di eventi, preparano qualche Mostra?
  • No, assolutamente, sono qui al lavoro da stamattina nella preparazione degli ingredienti per un evento speciale che si svolgerà a Roma nel pomeriggio.
  • Ingredienti? (esprimo stupore, che faccia di bronzo che sono!?
  • Si, tutto deve essere pronto per quando arriva Il Maestro!

 

Vogliamo scommettere, vincerei facile forse:

 

  • Il Maestro?
  • Si, è lui che coordina il tutto, ora mi dispiace ma devo fare i controlli orari, tutto deve seguire un protocollo per l’ora della partenza.

Oh cavolo, mi sta sfuggendo la fine, cosa faccio? Domanda diretta a risposta diretta, è l’unica soluzione:

  • Ma quella persona che viene da Caserta, per caso è lui Il Maestro?

La guardia mi guarda sorridendo, ha captato, il campanilismo regionale mi ha colpito e sorridendo:

 

Mi saluta sorridendo e se ne va.

 

Ecco chi è, uno chef!

 

Capperi ora si spiega la valigetta rettangolare, di certo saranno i coltelli, uno chef di un certo livello, non si separa mai dai suoi “ attrezzi” del mestiere.

Ecco ho raggiunto la mia curiosità, un senso di gioia mista stupore mi pervade.

 

Uno Chef, e che Chef per avere uno stuolo di aiutanti di questa portata, l’auto personale, l’acquisto del pesce migliore, il secondo carico di certo sarà composto dagli altri ingredienti. Capperi, ho una storia fenomenale da raccontare, pensieri scomposti, chi mi crederebbe? Non ho uno straccio di prova se non la mia parola, e poi a chi raccontarla o farla conoscere?

 

Però!

 

Un nostro concittadino, Chef di una certa età, che si muove dalla sua città per andare in un’altra regione e coordinare 60 persone, deve avere una storia, deve essere speciale, sarebbe bello saperne di più.

 

Sarebbe bello farlo sapere, non è di tutti i giorni una storia così! Certo non fa una piega, ma cosa altro potrei fare?

La guardia giurata è rientrata al suo lavoro, prendo l’auto e metto in moto e non mi accorgo che sto rifacendo la strada di prima che corre per tutto il perimetro dell’azienda. Sono ancora assorto nei miei pensieri, oramai il sole è alto.

 

Non può finire così, continuo a ripetermi, non può finire così!

 

Niente non mi viene nessun piano da seguire, a malincuore prendo la strada verso Cassino.

 

Dopo cinque chilometri circa, vedo l’insegna di un bar, si meglio prendere qualcosa prima di tornare a casa, mi fermo, ci sono delle auto fuori , dei tavolini lindi e puliti sotto ad una veranda aperta, mi siedo e sono sempre assorto nei miei pensieri non mi accorgo di un cameriere, mi sta chiedendo qualcosa:

 

  • Posso portarle qualcosa?

Mi sveglio dal “letargo”, lo guardo come se fosse un alieno, e poi:

  • Avete qualcosa di caldo, che so panini alla piastra, una buona birra per accompagnarlo?
  • Certo, tra qualche minuto.

Mi accendo una sigaretta e seguo le nuvole di fumo, uno Chef ma tu pensa!

Tutto avevo immaginato, anche di poter correre dei rischi, ma uno Chef, mai!

Il bar all’interno è molto bello, strano, pensavo fosse più piccolo dall’esterno, il mio tavolo e di fianco all’ingresso nelle vicinanze della cassa, c’è una ragazza intenta a scrivere qualcosa su un tablet, al bancone due persone e una decina i clienti, sparsi per la sala. Una musica in sottofondo discreta fa compagnia, ecco la mia ordinazione:

Addendo il panino, caldo soffice, mi gratifica dopo tanto freddo che ho preso, sto assaporando, quando squilla il telefono alla cassa….

Guardo l’orologio, ecco perché sentivo un certo appetito , sono quasi le 11.00 e non me ne ero reso conto, il panino scivola giù, è una meraviglia, non è come quei soliti panini acquistati al bar, è soffice e secondo me è fatto in casa, stamattina artigianalmente, non ci avevo fatto caso, ma oltre ad essere un bar è anche una tavola calda, hanno indovinato il posto, zona industriale, passeggio di auto e camion, attività più che perfetta per questo luogo.

  • Ah Gianni, dimmi?

Mi ero distratto un attimo, la signorina alla cassa sta rispondendo al telefono:

  • Ora domando, aspetta.

Rivolto alla persona anziana dietro al bancone:

  • Papà c’è Gianni al telefono, dice che non può venire per pranzo e mi ha chiesto se gli avevi preparato la frittata di cipolle.
  • Ma chi, Gianni della guardianeria?
  • Si
  • Si l’ho fatta , come la voleva lui, e ora?

La signorina, risponde riportando le parole del padre, ed io mi faccio sempre più attento, il panino è volato, così anche la birra, mi sento ritemprato:

  • Dice se puoi mandare qualcuno con la frittata e un pezzo del nostro pane, ha solo mezzora di intervallo, poi non si potrà muovere fine allo smonto del turno, il suo collega non si è presentato.

E’ stato un caso? L’unica persona conosciuta e con cui ho parlato è stata la guardia giurata? E’ stato un caso fermarmi in questo bar? Ora vediamo che succede:

  • Papà, allora?
  • Digli che non è possibile ora, ma più tardi, lo sa, questa è l’ora in cui si prepara in cucina e in sala e siamo tutti impegnati. Più tardi, possiamo
  • .-.-.-.-.-.–.-.–.-.–.-.-.
  • …segue…
    Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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5 Ottobre 2023 – Tra sogno e realtà. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Come disse un amico, quando gli confessai di aver iniziato a scrivere, nell’aprile del 2017 “Certo che ne avevi di roba dentro!”, adesso ho quasi finito, l’orcio dei sogni si sta svuotando, le parole che erano racchiuse da oltre un trentennio sono uscite e sono diventate dei romanzi spontanei.

Cosa vuol dire? Nulla e tutto!

Erano li, in un angolo della mente, sopite, addirittura molte di esse, martoriate, non volevo che uscissero, era il mio scrigno segreto.

Ma poi, come un fiume in piena liberato dall’argine, hanno iniziato a scorrere, in un primo momento lentamente, poi le pietre che le tenevano ferme, si sono sgretolate, un flusso è diventata una esondazione.

Hanno straripato, non c’era un’azione giornaliera senza pensieri e come quando  un assetato nel trovare una fontanella, si imbeve,  ma tutto fa tranne che bere, per mesi, non ho aspettato altro, di rubare momenti e ore al sonno, per continuare a scrivere, soggiogato da quel male interiore, liberarmi.

E ora?

Il sogno continua!

Ho letto e riletto i commenti, delle varie persone che hanno letto e ascoltato i miei racconti e come dice qualcuno, mi sono fatto “persuaso” che ne valeva la pena, per qualcuno di essi, fare dei sacrifici e renderlo vivo, visibile.

E così iniziai a fare le pratiche per acquisire quel bene di cui avevo scritto, nel frattempo delle pastoie burocratiche, complice due bottiglie di cognac, invecchiate abbastanza da costarmi più di centocinquanta euro l’una, convinsi una persona a consigliarmi qualche sceneggiatore che potesse leggere e ascoltare il mio romanzo e trasformarlo in un film.

Certo ero cosciente, dei miei limiti, ma quando iniziai a contattare il primo dei tre, mi resi conto che non era importante, quello che avevo scritto, ma quanto ero disposto a spendere per il suo lavoro e per la restante esecuzione.

Così fu con il primo e anche con il secondo sceneggiatore.

Quasi al limite dell’abbandono, provai con il terzo, non mi volle incontrare, mi mando una mail di risposta alla mia richiesta

“Mi invia il romanzo”

“In cartaceo o in audiolibro?”

“Tutte e due!”

E feci così, passo un mese, ne passarono due, stavo per ricontattarlo, quando ricevo una mail

“Cinquemila euro per la sceneggiatura, ed è sua!”

Era un’enormità per me, ma almeno non mi aveva parlato della sua esecuzione, trattai

“Duemilacinquecento euro!”

“Tremila”

“Duemila euro”

Chiudemmo a duemilacinquecento euro, chiesi i tempi

“Trenta giorni, la metà in anticipo, se supero questa data null’altro mi è dovuto”

Mi mandò le coordinate della banca e versai la metà, era un rischio, certo, non sapevo chi era, sapevo solo che aveva fatto delle buone sceneggiature e poi, era l’ultimo della lista, dopo avrei dovuto abbandonare il progetto.

Non dissi nulla a nessuno, avevo dei risparmi e feci il bonifico.

Inutile dire che passarono i trenta giorni, anche i sessanta giorni!

Quando oramai avevo perso le speranze, dopo quattro mesi

“Questo è tutto!”

Guardavo il file che mi aveva inviato, non avevo il coraggio di aprirlo, mi ripetevo che avevo fatto una cavolata, avevo buttato soldi dalla finestra e lo sapeva solo Iddio che non me lo potevo permettere, la rabbia non mi faceva ragionare, decisi di non aprirlo ancora.

Lo scaricai e lo misi su una penna usb, la riposi nel borsello e andai dal notaio.

L’esborso per le tasse fu maggiorato dalle ultime norme per la compravendita, ma alla fine avevo raggiunto il mio obbiettivo, quella sera non festeggiai, ero stanco e quella notte finalmente, presi la penna con il file e iniziai a leggere.

Grande fu il mio stupore:

“Romanzo non modificabile per sceneggiature!

Sono cosciente che le ho praticamente “rubato” dei soldi, ma dopo averlo ascoltato, ho capito che era un peccato, tagliarle delle scene, eliminare dei commenti, stravolgere la storia.

Detto questo, ho apprezzato molto la sua fervida immaginazione, quindi le do delle tracce, sono degli abbozzi, ma lei farà il resto.

Lasci fare alla sua immaginazione!

In cambio, lei non si dovrà crearsi il problema di trovare gli attori e un regista, sarà compito mio farlo, gratis.

Quando avrà terminato una delle traccia delle cinque, potrà inviarla via email ed io le dirò se va bene o verrà da me modificata.

Se dovesse accettare questo mia proposta, potrà inviare uno sms al n.cell.350 1120…..con un SI.

1 traccia

Il locale

2 traccia

L’organizzazione

3 traccia

L’amore

4 traccia

La rivincita

5 e ultima traccia

La gioia

Aspetterò, abbia fiducia in me”

Alla fine della lettura, ero esterrefatto, darmi dello stupido era poco, ero e rimanevo un coglione, un sognatore che aveva mirato troppo in alto.

E poi chi era questa persona? Perché mi aveva trattato così?

Erano passati quattro mesi di attesa inutile!

Non dissi nulla a nessuno, ma quella notte e quella dopo e quella ancora dopo , non dormii bene, per nulla!

Mi sentivo beffato, illuso e stupido.

Poi!

Era una sfida, pensai, ha promesso qualcosa, la manterrà? Non lo so, ma quelle cinque tracce circolavano nei miei pensieri, sempre, decisi di provare, cosa mi costava?

Nulla!

Avevo già una storia in testa, si dovevo provarci.

Potevo sempre modificare, volevo arrivare alla fine e volevo proprio vedere se lo  “sceneggiatore sconosciuto” avesse mantenuto la sua parola.

.-.-.-.-.–..–.-.-.-.-.-.-.-.

1 traccia – Il locale

-.-.—.–.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Ero sotto le armi da sei anni, avevo conseguito il diploma ma il mondo del lavoro era cambiato, la figura professionale che avevo conquistato dopo cinque anni, era obsoleta.

L’unica cosa che mi rimaneva , era espatriare, ma non me la sentivo, cinque compagni del mio corso accettarono e il tre di agosto di quell’anno partirono con una nave, destinazione: Australia, il sesto sarei dovuto essere io.

E così, dopo aver deciso di non partire, mi rimanevano due strade o aspettare qualche concorso pubblico o entrare nell’esercito, erano anni in cui non molti desideravano passare da un caldo e comodo cantuccio chiamato “casa” ad una rude e forte esperienza, fatta di marce, brande, cubo letto al mattino e sera perfetto e vari sottufficiali e ufficiali non sempre corretti con la truppa.

Ma, davano una paga giornaliera, il sabato per essere precisi ed uno come me, senza arte e ne parte, quei soldi facevano comodo, mi presentai e mi arruolai, i primi sei mesi furono terribili, quante volte ho maledetto quel giorno, per la mia decisione.

Un anno di addestramento militare e poi entrai a far parte del SIE, il servizio informazioni dell’esercito, con uno stipendio regolare, mi piaceva, eravamo il servizio segreto dell’esercito, controllavamo migliaia di posizioni in Italia e all’estero, furono quattro anni di intenso lavoro, poi una buccia di banana e passai dalle stelle alle stalle, anzi alle cucine, declassato ufficialmente “per avvicendamento”, ufficiosamente perché avevo scoperto un figlio di un generale con la complicità di un ufficiale di picchetto, faceva festini in caserma con prostitute e droga ad alto livello una volta a settimana, con la presenza di vari ufficiali e sottoufficiali.

In famiglia? Erano stati tutti contrari al mio arruolamento.

Ma quello che proprio non aveva digerito questa mia scelta, era mio nonno Fernando.

In quegli anni, capitò di tutto e di più, ero a mille chilometri di distanza da casa, poche furono le opportunità di scendere e quasi tutte per funerali, tutto quello che avevo guadagnato l’avevo messo da parte.

La mia posizione lavorativa, in cucina,  iniziava ad essere pesante, ma per mia fortuna incontrai una persona, diede una svolta alla mia vita, era un maresciallo di vecchia guardia, chef e pizzaiolo prossimo alla pensione, non aveva famiglia, si affezionò e volle trasmettere le sue conoscenze.

Mi insegnò di tutto, mi fece partecipare ad un corso per diventare chef e poi alla ASL per avere il titolo sanitario per la somministrazione di alimenti.

Mi diceva spesso:

“Non hai ancora venticinque anni, hai una vita davanti, devi cambiare!”

E cosi fu!

Era un novembre molto freddo, nevicava da quindici giorni, quel mattino fui chiamato dal Colonnello Comandante, ero sorpreso

– Venga si accomodi.

Aveva un’aria di circostanza, la stessa di quando mi aveva comunicato la morte di mio padre con la seconda moglie in un incidente stradale, due anni prima

– Non sono molto bravo a dare cattive notizie, ma devi essere forte, questa è la tua domanda di rafferma, qui tutti sono contenti della tua presenza, sei giovane e potresti prendere il posto del maresciallo che sta per andare in pensione nelle nostre cucine,  ma stanotte è arrivato un telegramma dai carabinieri per te, hanno comunicato che tuo nonno è deceduto, so quanto ci tenevi, me l’ha detto il maresciallo.

Di tutto quello che aveva detto, mi ricordavo solo quattro parole “tuo nonno è deceduto”, fu un attimo, realizzai e svenni

Mi risvegliai in infermeria, vicino a me il maresciallo

– Che è successo?

Mi guardò e senza parlare, mi porse il telegramma, ricordai tutto, mi abbandonai sul cuscino senza una lacrima, era l’ultimo legame familiare e anch’esso si era spezzato

– Coraggio, ce la puoi fare!

Mi strinse la mano

– Ora te la senti di leggere una lettera è arrivata per fonogramma dal Sindaco con il telegramma.

Una lettera? Il Sindaco? Stupito

– Di chi è?

E lui

– Tuo nonno Fernando!

Mi alzai immediatamente, la presi, erano poche righe

“Caro nipote, ho letto e riletto le tue lettere in questi anni di lontananza, come ben sai non ero d’accordo sulla tua scelta, ma l’ho rispettata, ma sei in debito con me!

Sto per lasciare questa vita terrena, non avendo possibilità di telefonarti ho chiesto al Sindaco di venire con il Notaio, ti ho lasciato l’unica cosa importante per me e per te, la Masseria.

Tocca a te adesso! Devi scegliere, so che è ben poca cosa, ma è la sola che ho, puoi lasciarla così com’è o decidere altro o farla vivere per te, per noi.

Un abbraccio, ci sarò sempre.

Il Poeta”

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.-.-

Un mese dopo.

Passai per il cimitero, non c’era nessuno, non so quanto tempo rimasi a pregare, una voce mi risvegliò

– Dino, sei tu?

Mi girai, era un giovane come me, stentai a riconoscerlo, sembrava più vecchio

– Si.

Ci abbracciammo, si chiamava Diocrate, un mio amico d’infanzia

– Parlava sempre di te, mi raccontava quello che stavi facendo, ultimamente mi disse “Sai sta in cucina, è contento” vedendomi meravigliato “ Si, tutto ha una logica!”. Tutti lo amavano, il funerale l’ha organizzato il comune.

Non rispondevo, stavo piangendo, l’amico capì e mi lasciò da solo.

Lo salutai dopo poco e seppi che faceva il custode a tempo determinato al cimitero, ma stava per finire il suo mandato

– E dopo?

Gli dissi

– Nulla, andrò in campagna!

Passai per il comune per salutare il Sindaco, lo ringraziai, volevo pagare il funerale, non volle, poi dal Notaio, ritirai il testamento e il passaggio di proprietà, presi le chiavi e a piedi mi feci quei cinque chilometri fino alla Masseria.

Non avevo la forza, di aprire il cancello.

Stavo li, con il borsone e le due valigie, c’era un masso sulla destra, dove spesso ci sedevamo e mi ricordai delle parole di Angelo il maresciallo quando venne a sapere della mia scelta di andarmene

– Hai fatto la tua scelta, non martoriarti, hai paura? E’ giusto! Lasci il certo per l’incerto. Ma so che sei in gamba e quello che deciderai una volta che sarai giunto, la porterai a termine, costi quel che costi! Lui sarà sempre con te, ti guiderà e tu sarai felice.

Ci abbracciammo come un figlio fa per un padre, mi promise di venirmi a trovare.

Iniziò a nevicare, non potevo rimanere fuori, entrai nell’ampio cortile, il Notaio mi aveva avvertito, non avevano fatto staccare le utenze alla notizia della mia venuta, la neve cominciava a martellare copiosa, con le mani ghiacciate aprii la porta d’ingresso, tutto era in ordine e pulito, solo poche cose c’erano in quella stanza, un comò con delle foto, un frigorifero, un tavolo con quattro sedie, era gelida, dovevo riscaldarla, appoggiai le valigie e accesi il camino, l’emozione era troppo forte, c’era un lettino in quella stanza e così vestito mi buttai sopra piangendo, battendo i denti e mi addormentai.

Verso sera sentii bussare alla porta, pensavo ad un sogno, poi realizzai

– Vengo, vengo.

Mi avvicinai al vetro della porta, era Diocrate

– Che ci fai qui?

Aveva qualcosa in mano, lo feci entrare

– Che freddo fuori! Ho pensato di portarti qualcosa da mangiare.

Lo guardai riconoscente, si era spostato vicino al camino per trovare un poco di caldo.

– Grazie, ma non dovevi.

Sorrise

– Non sai quanto sono contento di rivederti, adesso mangiamo che si raffredda.

E così mangiammo, ricordando la nostra infanzia, era una zuppa di pane con della salsiccia nostrana, era quella preferita da mio nonno nelle serate invernali

– Hai pensato cosa fare?

– Non lo so ancora, sono appena arrivato.

– Ma qualche idea ce l’hai?

– Si qualcosina.

– Bene, allora adesso a dormire, ci vediamo domani.

Stava per mettersi il cappotto, quando sentimmo bussare alla porta, meravigliato andai ad aprire e vidi solo l’ombra nel buio

– Ciao Dino?

Era zia Nannina, la vicina del nonno, abitava all’altro lato della strada, ero contento

– Ma a quest’ora, che fate fuori di casa?

Sorrise, era una vecchina curva per colpa dell’età, ma i suoi occhi erano vividi, mi sbirciava

– Ho visto la luce e ho capito, chi poteva essere a quest’ora mi sono detta, solo una persona, Dino.

L’abbracciai e la feci entrare

– Non sapete quanto mi fa piacere vedervi

Si sedette vicino al fuoco dopo essersi tolto lo scialle, salutò Diocrate

– Ti aspettava tutti i giorni, lo sai?

Abbassai la testa

– Si.

– Mi diceva, vedrai oggi verrà e così sono passati i giorni, i mesi e gli anni.

Diocrate come me era emozionato, ma scelse la via di fuga, ci salutò e sparì nel buio, non dicevo nulla

– Poi una settimana del mese scorso, prima di morire,  è venuto da me…

Ero attento

– …strano pensai, poche volte era venuto, solo quando sapeva che non mi sentivo bene o non mi vedeva per qualche giorno, veniva a farsi una passeggiata con una scusa, ma sapevo il perché,  era preoccupato per me. Ma quella mattina, venne, teneva una busta in mano “Dimmi?” e lui impacciato “Non mi sento bene, so che tra poco salgo in cielo” – “Ma dai, smettila!” – “No, Nannina è così, dovresti fare un favore” – “Dimmi?” – “Sono certo, anzi certissimo che mio nipote verrà qui dopo la mia morte, dovresti dargli questa” e mi diede questa busta. Ecco perché sono qui!

Me la diede, era grande, le mani mi tremavano, ma cercai di non farlo vedere, con cautela la posai sul tavolo

– Grazie, però adesso vi riaccompagno.

– Si, forse è meglio, hai fatto la scelta giusta non te ne pentirai.

L’abbracciai , rispettò la mia decisione di non aprirla e si fece accompagnare, avevo una torcia, al ritorno la spensi e vidi il paradiso in terra, tutto era ammantato di bianco, la luna era piena e la luce illuminava la casa, il cielo era pieno di stelle, sembrava una cartolina, con il cellulare scattai una foto.

Ero tentato di aprire subito la busta, ma avevo paura, poi finalmente presi coraggio, c’era un foglio e una busta con dei soldi, riconobbi la scrittura di mio nonno

“Ero certo!

Non chiederti come facevo a saperlo, lo so! Ora, sei appena arrivato, sei disorientato, non sai cosa fare,anzi, per meglio dire, ti stai domandando cosa devi fare.

Questi sono tutti i miei risparmi, sono tuoi, fai quello che pensi sia giusto fare.

Riposati adesso, poi domani vai a fare colazione da Nannina, lei ti dirà!

Un abbraccio nipote mio.

Il poeta”

Li contai, erano venticinquemila euro, un’enormità per me, non me l’aspettavo e ringraziai il Cielo di aver avuto nella vita una guida come lui, mi aveva sempre spronato a fare meglio ed era per questo che non aveva approvato la mia scelta di arruolarmi, desiderava qualcosa di più per me.

Non vedevo l’ora che si facesse mattina, alle prime luci dell’alba, iniziai ad esplorare casa, il gelo era dovunque, le stanze da letto di sopra erano cristallizzate, ghiacciate, il bagno, uno e solo a piano terra quasi inservibile, la cucina minuscola annessa al salone dove avevo passato la notte, piccola e caotica.

Dopo quella visita interna, uscire fuori diventò indispensabile, avevo bisogno di aria, ed era qui tutta la bellezza di quel luogo a me caro dall’infanzia, eravamo su di un poggio, in lontananza vedevo i crateri spenti di antichi vulcani, guardavo a 360 gradi il circondario, il terreno intorno era di nostra proprietà, circa un ettaro, con pochi alberi da frutto, qualche olivo, una piccola vigna presente sul cortile e una cava abbandonata di tufo.

Zia Nannina, mi aspettava, aveva messo la tovaglia buona, entrando sentivo un buon odore, erano delle frittelle calde con del zucchero a velo sopra, mi fece accomodare e in silenzio facemmo colazione, al momento del caffè dopo il latte fresco che le portavano tutte le mattine dalla stalla poco lontano della nipote

– Sapevo che saresti venuto, tuo nonno ti conosceva troppo bene, quando gli chiesi “E se non venisse?” mi rispose piccato “Impossibile!”

Ero sbalordito, aveva anticipato tutte le mie mosse, e adesso?

Il mio sguardo interrogativo era eloquente

– Si sedette su quello sgabello vicino al camino, “Nannina, quando verrà, dovrai dirgli, adesso che hai avuto il coraggio di lasciare il certo per l’incerto, hai due possibilità o vendere la proprietà o trasformarla”

La interruppi

– Vendere?  E perché?

Sorrise

– Le mie stesse parole, mi disse “E’ solo un’ipotesi, ma la escludo, l’ho fatta valutare si potrebbe ricavare ventimila euro adesso”…”….

…segue…
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4 Ottobre 2023 – Una vita a metà. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

(Anteprima di lettura di tre pagine su settantacinque pagine)

Il treno correva veloce, vedevo scorrere le immagini senza che riuscissi a focalizzarle, i miei pensieri erano altrove ed anch’io correvo veloce con i miei pensieri!

Per distrarmi sfogliavo un giornale del mattino e sorridevo, c’era un titolo a carattere cubitali nella pagina dedicata alla cultura e arte:

“Il Falco è scomparso!”

poi su due colonne, veniva raccontata parte della vita del Falco, la sua scoperta e il suo successo e sempre la stessa domanda

“Chi era il Falco?”

Già!

Chiusi gli occhi e come in un film iniziarono a passare le immagini di quello che era realmente successo nei miei primi trent’anni della mia vita, fotogrammi di attimi vissuti intensamente e pieni di contrasti.

Amavo l’odore dei colori e fin da piccolo disegnavo tutto quello che mi colpiva realmente imbrattando quello che potevo per la disperazione di mia madre, dalle pareti domestiche alle tovaglie della tavola.

Già, mia madre…

… sopportava tutto quello che facevo e nonostante la perdita precoce del marito, con solo le sue forze, riuscì ad inculcarmi i valori reali della vita, l’amore per la bellezza e il giusto rispetto per i soldi, era fiera dei miei progressi a scuola, ma nonostante ciò, quando terminai il liceo classico e le dissi che volevo iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti, si rifiutò di ascoltarmi.

E così mi ritrovai iscritto alla Laurea di Giurisprudenza!

Otto anni sono passati dal giorno della mia laurea, ricordo ancora oggi quel giorno…

– Signore biglietto.

E l’incanto svanì all’improvviso!

Mi risvegliai e persi i ricordi di allora, avevo la fronte madida si goccioline che scendevano silenziose.

Ma cosa stavo facendo?

Ero a Milano solo pochi giorni prima, si stava inaugurando una Mostra dei miei quadri, c’era tanta bella gente e io mi crogiolavo nell’ascoltare i loro commenti.

Nessuno sapeva che ero lì accanto a loro ed ero l’autore di quei quadri, solo una persona ne era a conoscenza, Loly la mia super agente, come se l’avessi evocata per telepatia, sentii un sussurro all’orecchio

  • Ti stai divertendo?

Non la risposi, spostandomi lateralmente, intercettai un cameriere con un vassoio con dei bicchieri di spumante, presi due flute dal vassoio al volo e mi girai

  • Si e no!

Aveva l’aria così meravigliata,  non potetti fare a meno di sorridere, ma lei senza perdere il suo self control

– Che diavolo vuoi dire ? Sai bene che qui tutti vorrebbero conoscere l’autore di questi quadri, nella prima ora della Mostra sono stati venduti già tre tuoi quadri e sono certa che basterebbe che dicessi che l’autore è tra di noi si scatenerebbe il putiferio per accaparrarsi una tua opera e avere una dedica sul retro del quadro….

Accigliato

  • Non ti permettere…

Stavolta sorrise

-Non lo farò, stai tranquillo, non voglio perdere il mio autore preferito!

Tranquillizzato

-Si, sono contento di tutte queste persone, no, perché sono certo che quello che sto per dirti non ti piacerà.

-Cosa?

La presi sottobraccio e ci spostammo sulla terrazza, mentre il banditore dell’asta urlava

– Venduto!

In quel momento il treno ad alta velocità entrò in stazione, ero a metà viaggio, era arrivato a Roma Termini, presi i miei bagagli, era la mia fermata, mentre guidavo l’auto a noleggio, ricordavo quei momenti

– Tu sei pazzo!

Loly aveva gli occhi fuori dalle orbite, non riusciva a calmarsi, alla fine mi diede le spalle imbronciata e preoccupata dalle mie parole

– Non fare così, ne ho bisogno per davvero…

Passai davanti a lei in modo che mi potesse guardare negli occhi

-…devi capirmi, sono stanco di vivere la mia vita a metà…

Se avesse potuto mi avrebbe fulminato con quello sguardo

– Che significa?

Le presi la mano e la guidai verso un tavolino della terrazza, lei mi seguì senza dire nulla, ci accomodammo

– Non ti sto abbandonando, so quello che hai fatto per me in questi anni, ti voglio un bene dell’anima per questo ma…

Si svegliò dal torpore

– Ma?…

…segue…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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Ottobre 2023 – Un regalo per te – Iniziativa di Araldo Gennaro Caparco

La mia iniziativa per voi tutti!
Un regalo per te – E-Book/Sorpresa – Ottobre 2023
Ogni mese, uno dei romanzi, sarà in promozione/sorpresa!
Sarà un regalo per voi…non saprete quale dei romanzi sia… lo scoprite acquistandolo ad un costo inferiore di quello di copertina!…
Un regalo per voi, oppure, un regalo da fare a qualcuno, per il piacere di farlo!
E’ già presente il romanzo nella sezione “E-Book store” del mio sito
Buona lettura!

4 Ottobre 2023 – Sognando per vivere – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Il cielo come ogni mattina era plumbeo, così diverso da quel cielo della mia terra, sempre azzurro e limpido, da casa mia potevo vedere le isole, con lo sguardo le accarezzavo, immaginandomi di fare un salto e trovarmi li,  in mezzo al mare o su una montagna a respirare aria limpida e salubre a pieni polmoni.

Invece!

Invece, eccomi qui, in una città, non la mia,  a mille chilometri di distanza, sono qui da un anno, lavori saltuari di ogni tipo, ma i miei risparmi si stanno assottigliando, la pensione dove abito non costa molto, ma per me, si!

Sono alla ricerca di un lavoro, certo ho trovato anche qualcosa, sono sopravvissuto, ma quel qualcosa non mi accontentava, avevo dei sogni e volevo realizzarli.

Come tutte le mattine, scendo al bar sotto casa e faccio colazione e pranzo, un cappuccino e un cornetto, la titolare è cinese Liu Jang, esperta sommelier così come attestato in numerosi quadretti alle pareti.

C’era molta gente quella mattina,  e già, le persone vanno di fretta di mattina per andare a lavorare, beati loro!

Lei e la sua aiutante sfornano in continuazione, caffè e cappuccini, non ho fretta, attendo, prendo il giornale e inizio a sfogliarlo.

Cosa sto cercando?

Un luogo per dormire! Leggevo gli annunci, non mi ero reso conto di Liu si era materializzata all’improvviso davanti a me

  • Ti ho visto sai, ecco il solito!

Mi risveglio dal torpore

  • Grazie Liu, sei un angelo.

Mi sorride con quella espressione buffa di tutti o quasi gli orientali, apre la bocca, sorriso a tutto denti, si arriccia il naso e gli occhi si socchiudono.

Mi piace guardarla così, lei lo sa

  • Cosa stai cercando? Lavoro?

Si, per la mia consuetudine giornaliera, conosce bene il mio problema

  • No, cerco casa a poco prezzo!

Si fa seria

  • Ti hanno cacciato?
  • No, per il momento, ma manca poco.

Con aria dispiaciuta si avvia al bancone Teresa la sta chiamando per la cassa, lascio raffreddare un poco il cappuccino e cerco di non perdermi neanche una briciola del cornetto, scorro gli annunci ma sono troppo cari per me, mentre sorseggio a piccoli sorsi il cappuccino, vedo arrivare Teresa

  • Liu ti vuole, vai al banco.

Sorpreso, con il cucchiaino prendo l’ultima nuvola d’aria di latte e mi alzo

  • Ascolta Mino, se non fossimo già in otto a casa, con mio marito i tre bambini e i genitori ti ospiterei, ma hai mai preso in considerazione di andare presso una famiglia che affitta una stanza?

Conoscevo questa coabitazione, ne avevo sentito parlare

  • Si, ma non saprei a chi domandare!

Si illuminò

  • Conosco una famiglia, posso parlarci io e se non è tardi troverai una sistemazione, due mesi fa tramite loro ho aiutato due ragazze, so che hanno un’altra stanzetta, il bimbo è piccolo e quindi potrebbe essere libera.
  • Grazie, ma se chiedono garanzie, io non ne ho per il momento.
  • Garantisco io, ora va, cerca un lavoro e io penso al resto.

Le ero riconoscente, avevo voglia di abbracciarla, ma non sapevo se potevo farlo, allora sorrisi come faceva lei imitandola, capì si fece una bella risata.

Mi aveva dato la carica, mi ero ripreso dal grigiore del mattino!

Avevo diviso la città in quattro rettangoli, il modo di operare era sempre lo stesso, cercavo lavoro nella ristorazione, era l’unica cosa che sapessi fare, ma quella mattina, decisi di fermarmi in ogni negozio, era l’ultimo rettangolo, dovevo trovare  assolutamente qualcosa.

Ero determinato, quelle porte sbattute in faccia non mi demoralizzarono, all’ora di pranzo, iniziai con i ristoranti, kebabberie, osterie, trattorie, pizzerie e fui fortunato!

“Osteria  da Davide” trattoria tipica.

Entrai nel locale gremito di persone, ne contai una cinquantina e vidi questo giovane con i capelli racchiusi in una coda di cavallo che si faceva largo tra i tavoli, carrozzine e sedie, portando dei piatti fumanti, chi lo chiamava, chi chiedeva dell’acqua, invece di stare ad aspettare alla cassa come facevo di solito con il mio foglio e il curriculum, mi avvicinai appena fu ad un passo da me

  • Ti serve una mano?

Non ci pensò due volte, mi squadrò

  • Certo!

Tanto mi bastava!

Mi tolsi giacca e cravatta, presi un grembiule di lato alla cassa e iniziai a ritirare dei piatti vuoti ad un tavolo, in tasca c’era un notes e presi l’ordinazione, così feci sistematicamente per altri tavoli vicini e senza dirci una parola ci dividemmo in due la sala e i tavoli e li servimmo in perfetta sintonia.

Una signora si affacciò quando depositai l’ennesimo biglietto

dell’ordinazione, stupita

  • E tu chi sei?

Di rimando, lo indicai

  • Aiuto lui!

Sorrise e continuammo.

Erano le 16.00, quando servimmo l’ultimo, continuai nello sparecchiare i tavoli, poi arrivò la signora , mi passò il tovagliato pulito e dopo aver pulito dei residui i tavoli, con il giovane iniziammo ad apparecchiare per la sera

  • Ciao io sono Davide.
  • Io Mino.

Il tutto sempre lavorando

  • Ci sai fare!
  • Grazie, cerco lavoro!

Si fermò

  • Di che tipo?
  • Di tutto, nella ristorazione.
  • Cameriere?
  • Certo!

Iniziai a pulire a terra.

Mi piaceva questa discussione, tra una tovaglia e le posate da mettere, Davide mi stava studiando lo vedevo, imperterrito continuavo, con un occhio al lavoro e l’altro in cucina dove era andato

  • Vieni Mino, ti presento mia madre.

Andammo in cucina, ordinatissima, fui presentato, c’era la signora Amelia e due indiani

  • Ti ho visto, mio figlio mi ha detto che cerci lavoro, avremmo pensato di tenerti da oggi in prova fino a sabato, servizio pranzo e cena, cinquanta euro al giorno compresi i contributi.

Non urlai in quel momento di gioia solo per non farmi internare, certo non era sicuro, ma era qualcosa, toccava a me farmi apprezzare

  • Accetto, grazie!
  • Ci vediamo alle 18.00.

Amelia mi diede un pacco

  • Ecco ti ho messo qualcosa da mangiare, certamente avresti voluto mangiare prima, ma poi ti sei messo a lavorare.
  • Grazie ma non dovevate.
  • Di nulla, a stasera.

Davide mi accompagnò

  • Se mamma è contenta come lo sono io, hai trovato lavoro.

Avevo le ali ai piedi, mi avviai di buon passo e volevo condividere con qualcuno, andai da Liu, fu contenta, mi misi in un tavolino in disparte e divorai tutto, mi stava aspettando disse, avevamo un appuntamento per la stanza.

Alla fine, ci avviammo, conobbi la famiglia erano delle brave persone, vidi la stanza, un letto a ponte, piccola era piccola, ma non mi interessava, chiesero trecento euro, ma chiudemmo a duecentocinquanta al mese, quando scendemmo non potetti fare a meno di abbracciarla, rimase meravigliata

  • Grazie, grazie, se tutto va bene sabato pago il primo mese in anticipo.
  • Non ho fatto nulla, ma mi ha fatto piacere il tuo abbraccio, benedetto ragazzo.

2 Ottobre 2023 – Aurora. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

Mi divertiva questo dialogo tra sconosciuti

– Ufficialmente sono un geometra, ma per diletto cucino.

Meravigliata, sorridendo

– E quale dei due lavori è impegnato in questo tuo viaggio?

– Entrambi!

30 Settembre 2023 – Il faro di Ondina! – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

La mia vita scorreva e sbagliavo e continuavo a sbagliare, come tutti cercavo sempre la gratificazione negli altri, ma al momento, non sono riuscito ancora ad ottenerla!

Ma dico? E’ mai possibile che noi dobbiamo adeguarci e gli altri devono solo giudicare?

Ho trenta anni, non sono un adone, per cinque anni ho cercato di accontentare una donna, ma mai l’ho vista contenta, si, quei pochi minuti di attività sessuale che ogni tanto mi concedeva, si, mi concedeva, perché toglietevelo dalla testa la frase fatta “l’uomo comanda”… è una bugia, non ha mai comandato, punto!

E sempre lei che comandava, lei che ordinava e tu ad eseguire per farla contenta e lo fai con lei, lo fai con i tuoi genitori, lo fai con il tuo datore di lavoro, mai per te stesso!

Per oltre dieci anni ho lavorato nel campo informatico, sono diplomato, poi ho acquisito una mini laurea con un Master in tecnologie avanzate e nell’A.I., l’intelligenza artificiale, ed è stata proprio quest’ultima che mi ha portato alla rovina.

Costi esorbitanti per i programmi, commesse oltre manica con ritardati pagamenti, avevo una visone particolare, volevo “umanizzare” i robot, l’idea piacque a tutti, tranne nello scucire i soldi che servivano per sviluppare il software necessario, quello era il mio compito, sviluppatore, ma cosa mai avrei potuto sviluppare, se non avessi avuto quei programmi che mi servivano per mettere a punto una strategia da utilizzare poi nella programmazione del robot?

Quindi, convinto della mia idea, iniziai ad anticipare, indebitandomi fino al collo, forte però della promessa dei finanziatori esteri di coprire le spese a trenta, sessanta, novanta giorni.

Ma ciò non avvenne!

Ed io?

Mi trovai, in mutande!…

…segue…

Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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29 Settembre 2023 – Tato – Sotto lo stesso tetto, ma non a letto. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Tato era il mio diminutivo, mia sorella me l’aveva affibbiato, era più piccola di me di cinque anni, non sapeva parlare, allora per chiamarmi, mi indicava con la manina e poi …Tato!

E dopo, anche in età adulta, invece di chiamarmi con il vero nome Antonio o con un diminutivo Nino, ero sempre per lei e per tutta la famiglia Tato e basta.

Non siamo stati molto fortunati, la nostra famiglia non navigava in buone acque, solo papà lavorava e mamma era casalinga, lui era quasi sempre lontano in viaggio e quindi abbiamo subito, si, subito, nostra madre, le sue ansie, le sue paure erano il miscuglio dei nostri caratteri.

Ancora oggi, il ricordo va a quell’estate, quando fui allontanato da casa, per il parto di mia madre e già all’epoca si partoriva in casa, non in ospedale o in una comoda clinica a pagamento, quindi fu l’occasione per inviarmi dai nonni, quando tornai dopo circa un mese, trovai questo fagotto che urlava e strepitava, faceva i suoi bisogni in continuazione, ma mai, mi fu data l’opportunità di familiarizzare, ero troppo piccolo dicevano e non si fidava di lasciarmela tenere in braccio da solo.

Passarono gli anni e tra noi nacque un tacito accordo, la lasciavo giocare con i miei trenini, ma sempre e solo quando ero presente, più d’una volta la trovai di nascosto con qualche autotreno giocattolo o altro, non amava molto le sue bambole, voleva imitarmi e io facevo finta di nulla.

Passarono gli anni, io alle medie e lei alle elementari, poi finito il ciclo dovevo passare alle superiori, avrei voluto fare il liceo classico, ma le condizioni economiche della famiglia non lo permettevano, dovevo fare qualcosa che mi avrebbe dato l’opportunità dopo cinque anni di lavorare e quindi fui iscritto contro la mia volontà ad un istituto tecnico, aspirazioni zero, non era adatta a me quella scuola, ma non avevo la possibilità di scegliere.

Lei iniziò le medie, poi il magistrale e io finalmente arrivai al diploma, e qui ci fu la svolta delle nostre vite, tragicamente, non avevamo un auto, mio padre per andare a trovare i suoi genitori utilizzava una macchina in affitto, si faceva trovare alla stazione per portarlo al paesello, quella volta complice un brutto raffreddore di mia sorella Evi, tra le nostre rimostranze, decisero di andare da soli, il guidatore prese una scivolata sul ghiaccio e i tre finirono in una scarpata molto profonda, persero la vita tutti.

E ci ritrovammo orfani, accolti a casa della nonna materna, donna energica e poco incline ai rapporti con due nipoti adolescenti, avevo intenzione di continuare a studiare, oramai con la maggiore età avrei potuto scegliere finalmente il mio corso di studi, ma nemmeno allora fu possibile, mia nonna era anziana, la sua pensione non bastava e quindi iniziai a lavorare, ovviamente in nero, nessuno ci diede una mano, lavoravo presso un cantiere edile, dove facevo di tutto, per la preparazione e la messa in opera dell’impianto elettrico degli appartamenti.

Non venivo pagato molto, ma alla fine della settimana consegnavo i soldi che mi venivano dati a mia nonna e lei provvedeva per il mangiare, il vestire e per lo studio di Evi e del sottoscritto.

Gli altri nonni erano ancora più indigenti e solo una volta all’anno, in prossimità del Natale, riuscivo ad organizzarmi per andarli a trovare, per il resto dei mesi, scrivevo delle lettere senza mai risposta, un loro vicino gliele leggevano, non sapevano ne scrivere, ne leggere.

Evi prima del diploma, iniziò ad avere dei dolori diffusi per tutto il corpo, era una donna oramai, non potendo scegliere si confidava con me, decisi che non poteva soffrire così e nonostante le proteste della nonna, la ricoverai nell’ospedale più vicino per delle indagini sul suo stato di salute, sei mesi durò, era affetta da una malattia incurabile e alla fine… mi ritrovai solo!

L’ultimo ricordo che ho di lei, fu il giorno della sua morte, ero nello stanzone dove era ricoverata

– Tato mi prometti una cosa?

Cercavo di non guardarla, stavo piangendo, mi feci forza

– Segui i tuoi sogni, me lo prometti?

Non volevo risponderle, avrei fatto di tutto per non vederla in quelle condizioni, ma lei imperterrita

– Me lo prometti Tato?

Feci cenno di si con la testa

– Non mi basta, devi dirmelo

Piangendo

– Si, te lo prometto!

E spirò!

Il dolore della sua perdita si impadronì di me, non riuscivo a connettere, ne a pensare, passai dei mesi totalmente assente, ma avevo promesso e ogni volta che mi recavo al cimitero, non potevo non pensare a quello.

Un pomeriggio d’estate mi ritrovai nei pressi di un fiume, l’acqua era alta e rumorosa, stavo accarezzando l’idea di lasciarmi andare, sarebbe stato tutto più semplice, ero tormentato e tentato, passai la notte sul riva, la mattina il sonno mi colse e fu liberatorio, sognai:

“Ero in una valle, vicino ad un fiume: “Signore, signore” dobbiamo andare, mi girai verso la voce e sorrisi alla bimba che avevo in braccio, due fari neri i suoi occhi mi stavano guardando e con la manina cercava di raggiungere la barba, poteva avere un anno o quasi, aveva sentito l’altra voce e cercava di girarsi, ma il sonno era più forte, mi sorrise e si abbandonò con gli occhi chiusi, con l’altra mano con l’indice sul mio naso feci segno a quella persona di non continuare, stavo ammirando un Angelo, il mio “Amore la prendo io”, due braccia si allungarono, non volevo lasciarla, vidi solo le braccia, una voglia di cioccolato sul braccio destro, le due mani a forma di conca e depositai il mio bene, alzai gli occhi per vederla.”

Mi svegliai!

Avevo freddo, si la tentazione era ancora forte, ma il sogno mi aveva distratto, inaspettatamente si alzò un venticello, un foglio di giornale volò per l’aria, chissà da dove proveniva, impattò le mie gambe, quel tocco inaspettato fu la mia fortuna, lessi il titolo, “Arruolamento volontario…”, la promessa, il sogno, il giornale.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.-.

Erano gli anni ’70 “Peace and Love”, tutti o quasi tutti i giovani, si sentivano impegnati in questa missione, c’erano due fronti giovanili nettamente distinti, quello violento e i non violenti, Dina faceva parte del primo fronte, laureata giovanissima, senza genitori, aveva deciso di operare la sua missione d’amore in Africa, era specializzata in medicina d’urgenza, chiese e ottenne di entrare a far parte di un’organizzazione umanitaria che seguiva i conflitti nel Corno d’Africa.

Non aveva orari, erano tre medici, pochi paramedici e una folla di persone da accudire, nonostante la sua giovane età, aveva visto di tutto, la notte aveva gli incubi, spesso non riusciva a dimenticare, quei volti, i loro corpi straziati e la loro fine certa la morte, poi aveva un segreto che la sconvolgeva ogni notte.

Venne chiamata dal primario, corse già vestita

– Dove devo andare?

Il primario, non rispose, si alzò e gentilmente l’accompagnò ad una sedia da campo vicino alla scrivania

– Non devi andare da nessuna parte!

Stupita

– Ma allora, perché mi avete fatta chiamare, ho dei pazienti a cui devo fare la terapia?

Era stanca, rispose con una certa rabbia in corpo, ma quando alzò gli occhi, non vide più il burbero primario, ma un padre, le stava porgendo una lettera chiusa

– Che cos’è?

E lui dolcemente

– Di tuo nonno!

Di colpo un flash, due anni prima quando aveva detto a suo nonno e unico parente la decisione di entrare a far parte di un gruppo di medici in partenza per l’Africa, abbracciandola

– Fai bene bambina mia, potrai alleviare le pene di tante persone, metterai a disposizione il tuo sapere aiutando gli altri, sono fiero di te.

Lei meravigliata, si aspettava proteste, preghiere per dissuaderla, ma lui l’aveva spiazzata, poi aggiunse

– Dovrai avere molto coraggio, la tua non è una passeggiata nel paradiso, ma vai verso l’inferno, di sofferenze e di pianti, sii forte con te stessa, non perdere mai il tuo obbiettivo e il Signore ti darà la forza di andare avanti.

Rispose al’abbraccio, stringendolo forte, mai si sarebbe aspettata da un uomo rude come lui, tante belle parole, lo aveva visto sempre come una roccia, conduceva nella sua piccola fattoria, una vita semplice, dopo aver lavorato per anni, alla funivia di Lona 2000 metri, stava godendosi il meritato riposo e solo con il suo aiuto, dopo la morte dei genitori, era riuscita a laurearsi, da sola non ce l’avrebbe mai fatta

– Ti chiedo solo una cosa, quando la luna sarà piena, rivolgi una preghiera per me al Signore ed io farò altrettanto per te.

Stava piangendo, non riusciva a sciogliersi dall’abbraccio

– Te lo prometto nonno!

E partì!

La lettera era piegata, la prese con la mano tremolante

– Conoscete già il contenuto?

Fece di si con la testa e la lasciò da sola, prima ancora di aprirla guardò fuori, la luna era enorme e solo la sera prima quando divenne alta nel cielo, aveva pregato per il nonno

“Cara bambina,

sii forte, sono tre lune che non esco da casa, sono ammalato, pensavo di recuperare e non volevo farti preoccupare, ma oggi, lo specialista che mi tiene in cura domiciliare, su mia richiesta mi ha dato la diagnosi.

Sono in partenza, tra non molto raggiungerò tua nonna, non potevo non fartelo sapere…”

Si fermò non riusciva continuare, si fece forza

“…non ti devi preoccupare per me, sono assistito e con la terapia del dolore, alleviato nei momenti critici, sono stato sempre leale con te, ma il mio appuntamento con le lune è saltato e mi manca.

Continua la tua opera, volevo solo farti sapere che ti voglio un bene immenso, non piangere, un abbraccio.

Tuo nonno”

E avvenne il crollo, il corpo sussultava e le lacrime non bastarono più, la notizia l’aveva fatta realizzare che avrebbe perso l’unico suo grande affetto rimasto, piegò con meticolosità la lettera, la baciò e si girò, c’era il primario che stava dietro di lei

– So come ti senti, capisco il tuo dolore, tutti noi ti siamo grati per quello che hai fatto in questi due anni da giovane specializzata inesperta, oggi saresti in grado di dirigere un ospedale d’urgenza, sei combattuta, ne sono pienamente cosciente, sai quanto lavoro c’è qui da fare, siamo sott’organico e tu lo sai.

E lei timidamente

– E’ mio nonno, l’unico affetto, l’unico rimasto!

Le andò vicino

– Non sei in grado di decidere da sola, abbiamo deciso noi per te, c’è un aereo in partenza per l’Italia a venti minuti dal nostro campo base, ti riporterà a casa, noi siamo qui, ci dispiace, ma è il meno che possiamo fare per ringraziarti, i vertici si sono già messi in contatto approvando la nostra decisione è giusto così.

L’abbracciò

– Grazie, grazie.

E dopo poche ore scese all’aeroporto di Bergamo, dove trovò in attesa una jeep messa a disposizione dalla ONG per lei.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Da quel foglio di giornale sulla mia gamba ad oggi, sono passati cinque anni!

Il primo anno fu durissimo, ma non mi interessava, il duro allenamento, i compagni dispettosi di leva, i superiori arroganti e razzisti, non mi toccavano per nulla, era l’unico modo per non pensare a lei, alla mia adorata sorella e alla sua fine prematura, da giovane mediterraneo mi ritrovai in mezzo alla neve ed ai ghiacciai, dove il cielo non era sempre blu, dove il vento sferzava nella garitta quando ero di servizio di guardia e le pareti di due metri e mezzo di neve, facevano da protezione al camminamento nel servizio alla polveriera distante trenta chilometri dalla caserma.

Cercavo i turni più massacranti, presi il brevetto di pilota d’elicottero, quando gli altri non volevano fare dei servizi notturni e si auto procuravano dei forti mal di pancia mi rendevo sempre disponibile a sostituirli, mangiavo poco e male, eravamo una compagnia molto variegata, c’erano tra di noi pochi in ferma volontaria, giovani che avevano tentato di tutto per non fare il servizio militare, ex spacciatori, renitenti alla leva per studio, gocce di umanità varia, eravamo cento da tutte le regioni italiane.

Avevamo una paga giornaliera e il sabato era l’unico giorno che decidevo cosa mangiare e dove, mi ricordo bene la prima volta che entrai in quel ristorante, era distante dalla caserma, c’erano solo tre persone, avevo capito già da tempo che non eravamo i benvenuti e entrare con la divisa voleva dire avere subito tutti gli sguardi delle persone, ma avevo fame, erano due giorni che avevo saltato pranzo e cena, solo la colazione ero riuscito di mala voglia ad accettare, caffè annacquato, latte annacquato nella patria del latte in mezzo alle montagne ai confini tra l’Italia e l’ Austria.

Incurante degli sguardi, forte della paga in tasca, venne una signora che stranamente mi sorrise, era rarissimo

– Desidera?

– Vorrei quattro uova ad occhio di bue!

Il notes e la penna caddero dalle mani

– Forse non ho capito bene…

Sempre molto serio

– No, è proprio così, quattro uova ad occhio di bue, del pane e un quarto di vino rosso, grazie.

Inutile dire che feci la festa alle uova tra lo stupore di tutti, non mi interessavano i loro sguardi, quando alla fine dopo la frutta chiesi il conto, la signora venne con un fagotto in mano

– Non so chi sei, ne da dove vieni, ma ti ho osservato bene, nonostante la gran fame, hai gustato con tutta calma ed educazione, nulla ti ha distratto, ho visto il tuo sguardo quando ti ho portato le uova e lo conosco bene, oggi sei stato nostro ospite, tieni questo è per te.

Ero meravigliatissimo, mai mi sarei aspettato una cosa simile, qui, in quella città, la stessa dove solo la settimana prima, in un bar mi avevano negato un bicchiere d’acqua e un caffè, perché detto in italiano, ma non mi persi d’animo, i miei compagni, in particolare Romolo di Roma e Flavio di Udine “Lascia stare, ora traduco io” mi disse, lo fermai “Flavio tu non farai nulla di questo, ci provo per la terza volta” e dissi “per piacere, tre caffè e dell’acqua, grazie” ad alta voce, nulla! Allora dissi a Romolo di andare fuori alla cabina e di chiamare l’ufficiale di picchetto, mi guardò strano “Che hai detto?”, – “Fallo a nome mio, io aspetto qui, non mi muovo” – “Tu sei pazzo!” ma uscì dopo un quarto d’ora arrivò il picchetto un sottufficiale e due militari.

Appena entrarono, tutti zittirono, noi tre ci mettemmo sugli attenti con un perfetto colpo dei tacchi degli anfibi, spiegai il perché della chiamata, sapevo bene chi era l’ufficiale di picchetto, era di Napoli, con una tranquillità estrema e una rabbia repressa, si appoggiò al bancone “Per piacere sei caffè e dell’acqua, grazie” immediatamente il barman eseguì l’ordine, ma quando arrivarono i sei caffè “Perché non avete servito prima quello che vi era stato richiesto?”, lui diventò rosso e in tedesco rispose “Non ho sentito!”, lasciammo i caffè al banco senza consumare nulla, telefonò in caserma e dopo al proprietario che era accorso, senza alzare la voce “ Dite ai vostri avventori di uscire!”- voleva replicare ma non gli diede il tempo, il tempo dell’ultimo cliente, arrivò un auto della polizia con un ordinanza di chiusura per un mese del locale pubblico, firmato dal Prefetto da affiggere all’esterno del locale “Per comportamento scorretto nei confronti delle forze militari presenti in città”.

Ecco cosa era successo, è questa era l’aria che respiravamo ogni giorno all’esterno, quindi il suo gesto per me aveva una validità notevole, volli comunque pagare e da quel giorno era il mio appuntamento fisso del sabato.

Nei due anni successivi, accadde di tutto, tralicci che saltavano con cariche di esplosivi, attentati dinamitardi a treni delle ferrovie italiane e noi, che eravamo in prima linea, passavamo giornate intere, pronti a muoverci con i camion e raggiungere luoghi da perlustrare o da salvaguardare, nel frattempo mi ero iscritto all’università, volevo mantenere la promessa fatta a mia sorella e anche coronare un mio sogno, ma era dura, avevo scelto Legge, ero diventato prima caporal maggiore, poi sergente in ferma indeterminata, quando un giorno mi mandò a chiamare il colonnello comandante, sicuro di non aver commesso nessun reato, mi recai alla palazzina comando lo stesso, con una certa ansia

– Allora, l’ho fatta chiamare, perché devo porle una domanda.

Ero sugli attenti, sulla porta

– Comandi!

– Riposo.

Mi rispose, mentre si avvicinava, incuteva timore

– Lo sa che a fine anno lei potrebbe congedarsi.

– Si, signore.

– Lo sa che è nostra prerogativa, mantenerla in servizio comunque.

– Si, signore.

Iniziai a tremare, dove voleva arrivare

– Quando ho letto le sue note caratteristiche, sono rimasto meravigliato dai commenti dei suoi superiori…

Pausa

– …e quando ho dato la libertà di scelta ai comandanti di compagnia di fornirmi un nome, tutti, nessuno escluso hanno fatto il suo nome…

Aspettava, ma sapeva bene che conoscevo il regolamento, che vietava di rispondere se non comandato a farlo

– Ho avuto pressioni da ogni parte, raccomandazioni, politici, prelati, addirittura un cardinale, mi da una spiegazione del perché tutti hanno fatto il suo nome?

Non sapevo cosa dire, ma dovevo rispondere, mi venne spontanea la prima cosa che volevo sapere

– Per cosa?

Era la risposta giusta. Lo capii

– Giusto, volevo sapere se eravate a conoscenza e se avevate fatto pressioni per candidarvi, ma ora ho la certezza che è stata una scelta precisa senza il vostro intervento, ora faccio una domanda precisa e voglio una risposta precisa, o si o no.

Si piantò di fronte a me guardandomi negli occhi

– Il nostro reggimento ha avuto la facoltà di inviare al Corso per la Scuola Ufficiali a Modena, un solo elemento della nostra guarnigione per diventare ufficiale effettivo con il grado di tenente, lei se la sente di partecipare?

Non muoveva un muscolo, ma nel frattempo stavo per svenire, dovevo rispondere in fretta, lo sapevo, anche quello avrebbe influito sulla sua decisione, in pochi attimi, rividi la mia vita

– Si, signore!

Era soddisfatto, mi strinse la mano e mi consegno l’ordine da mostrare al mio diretto superiore del trasferimento alla Scuola per ufficiali e solo allora, mentre attraversavo il cortile per far ritorno alla mia compagnia, venni a conoscenza di qualche notizia in più, ero stato assegnato per il conseguimento della Laurea in Magistrale in Giurisprudenza per il posto di ruolo quale Commissario al mio ritorno.

Gioivo ed ero incredulo, era un anno che stavo già studiano le materie giuridiche e questo voleva dire che non mi sarei dovuto preoccupare di altro, dovevo dedicarmi solo a questo.

Il tempo necessario per salutare i comandanti delle cinque compagnie e dopo aver salutato i miei compagni, partii per Modena.

Fu un’esperienza esaltante e difficile, avevo delle lacune di greco e latino, e in quei due anni, chiesi e ottenni delle lezioni a parte per studiare queste due lingue.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Fu commovente l’incontro con il nonno, a mala pena la riconobbe, il medico che lo teneva in cura, spiegò la terapia che stava somministrando, era quella del protocollo, ma in aggiunta, aveva anche disposto dei sedativi e quindi passava il tempo a dormire, di concerto fu deciso di eliminare i sedativi e quando finalmente fu sveglio

– Bambina mia, che ci fai qui?

Inginocchiandosi al lato del letto

– Non appena ho saputo, sono rientrata, non ti avrei mai lasciato da solo.

Rimasero abbracciati per molto tempo, nelle settimane successive, il medico fu favorevolmente sorpreso della ripresa del suo paziente, Dina gongolava, lo vedeva meglio, certo il male non era diminuito ma le sue condizioni stavano migliorando anche nelle relazioni sociali con le altre persone, non aveva più quell’aria abbattuta e dimessa del suo arrivo.

Per tenersi impegnata, si iscrisse ad un corso online  per un master per specializzarsi in Rianimazione all’università di Modena e quando era libera si dedicava alle faccende di casa, amava quel posto, amava la campagna, spesso faceva delle lunghe passeggiate a cavallo, non era suo, ma il vicino del nonno glielo offerse e lei di buon grado accettò.

Passarono delle settimane, visto il suo curriculum, la direzione della Scuola di specializzazione le riconobbe un certo numero di esami, quindi speditamente si stava per avvicinare il giorno della discussione della tesi, da fare di persona a Modena.

Più d’una volta fu chiamata dalla vicina città in ospedale, si meravigliò, poi il Direttore dell’Azienda Ospedaliera volle incontrarla, lo disse al nonno

– E’ tua la scelta, lo so che sei qui per me e ti ringrazio, ma questa è la tua vita, non nascondiamoci dietro le parole, tra non molto ti lascerò, lo sappiamo, devi decidere tu cosa fare.

Confortata dal nonno si presentò in ospedale

– Bene dottoressa sono contento che abbia accettato il nostro invito, lei è stata segnalata dal primario del pronto soccorso, ha avuto parole di plauso per le sue consulenze, è vero noi siamo un piccolo ospedale e non abbiamo in organico un sanitario per la Rianimazione, vorrei proporle di accettare un Progetto per un anno e non posso prometterle nulla, quando terminerà potrebbe partecipare al Concorso per rimanere in pianta stabile.

Era combattuta, sapeva perfettamente che non avrebbe avuto orari, ma si sa nella vita non sempre coincidono la passione per il lavoro con il resto.

Ringraziò e si prese qualche giorno per dare la risposta, ma fu sempre il nonno che la esortò a terminare nel più breve tempo l’ultimo esame e accettare la proposta.

E cosi fu!…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco