Archivio degli autori admin

21 Marzo 2023 – Dalle stalle alle stelle

…”…

Avevano fatto terra bruciata intorno a me!

Andavo avanti ancora con i risparmi da parte, cercando di non entrare in depressione, stavo valutando di andarmene all’estero, ma non trovavo il coraggio di farlo, amavo la mia città, nonostante tutto.

Avevo trentacinque anni,  ma ne sentivo il doppio!

Dovevo distrarmi e non pensare sempre alla stessa cosa.

Guardavo fuori al finestrino il paesaggio era diverso dal nostro, niente più colline, ne boschi, ma solo grandi distese di terra e fattorie distanti tra loro, ogni tanto una città e poi arrivato a Padova, seguendo le istruzioni di Franco, presi un’auto a noleggio e mi avviai verso Ala nel trentino, era la città natale di Laura, avevano deciso di sposarsi li.

Frequenti furono le telefonate di Franco, il quale non vedeva l’ora che arrivassi, lui meridionale come me, si sentiva un estraneo in questa terra, emozionante fu il nostro incontro, io mingherlino e lui robusto, conobbi Laura, una bella ragazza, sprizzava gioia da tutti i pori, ci definì Davide e Golia.

– Finalmente ti conosco!

Era Laura, una bella ragazza, occhi scuri come la pece, una massa di capelli biondi che l’incorniciavano il viso e sincera come l’acqua di una fonte.

Ero contento, la loro gioia mi faceva bene, mi lasciai trasportare, gli occhi di Franco luccicavano

– Ero certo che avresti preso il primo treno, ti abbiamo prenotato una stanza nell’albergo dove faremo il rinfresco, ora andiamo al ristorante.

Erano preoccupati per me, lo sapevo, ma mi travolsero raccontando i preparativi per le nozze, li ascoltavo ma non rispondevo, mi lasciavo trasportare e così ci ritrovammo a tavola.

– Allora fratello, mi hai fatto una bella sorpresa!

– Ero certo, non mi avresti detto di no, abbiamo programmato tutto e Laura continuava a dirmi, ma quando lo chiami? Ed io , non ti preoccupare, all’ultimo momento, e così è stato.

– Hai rischiato, ma sono contento.

Laura mi studiava, poi

– Che progetti hai Rino?

Bella domanda

– Non lo so?

Franco si fece serio

– Non ti lasciare andare, sei provato, ma sei in gamba.

Non mi piaceva come andava la discussione, cercai di evitare la risposta

– Allora, la festa di addio alla vostra posizione di single?

Si guardarono e risero

– Abbiamo deciso di non farla, viviamo insieme da due anni e siamo più che contenti di sposarci.

– E tu?

Era Laura

– Hai qualcuna?

Sempre più imbarazzato

– No, e da tempo, oramai!

E lei subito

– Mai dire mai!

Meravigliato non dissi nulla….”…

http://www.isognidiaraldo.it

20 Marzo 2023 – La forza della verità.

Mi chiamo Rosario Adalberto Castelmonte, sono un giovane avvocato penalista, non so bene perché sento il desiderio di scrivere questa storia, ma mi ha cambiato la vita, forse sarà per non dimenticare, forse per dare coraggio a chi non ce l’ha o a chi l’ha perso, forse… chissà!

Sono in procinto di entrare in tribunale, sono l’avvocato difensore di una persona, fin qui tutto è normale, ma non per me, la persona in questione è stata accusata sette anni prima, di essere stato l’esecutore della morte dei miei genitori fatti saltare in aria con una carica di tritolo ed è stato condannato all’ergastolo.

Ma andiamo per ordine, così si potrà capire meglio come sono arrivato a questa decisione, in nome di chi o di cosa e perchè sono così emozionato, oggi!

Tutto è iniziato un anno prima, fui chiamato da un notaio di Reggio Calabria, i miei zii mi diedero la notizia della sua convocazione al ritorno dallo studio di un avvocato dove avevo percorso e terminato il periodo di praticantato e dove mi stavo preparando per l’Esame di Stato per l’abilitazione alla pratica forense, guardai la busta

– Cos’è?

Ero molto meravigliato, vedevo mia zia Anna titubante mentre mi porgeva la lettera aperta, sull’indirizzo, c’era il nome di mio zio e poi sottolineato a mano, per l’Avv. Rosario Adalberto Castelmonte

– E’ per te!

Solo due righe:

“La signoria vostra è attesa alle dieci del giorno 23 allo studio del notaio Persepoli alla via Avellino – Reggio Calabria”

Entrò zio Antonio, ostentava un’aria tranquilla, ma si vedeva, era agitato

– Lo conoscete zio?

Lui mi guardò strano

– No Rosario, ma penso sia importante, la lettera è stata portata a mano da un corriere venuto apposta da Reggio Calabria un’ora fa.

Era chiaro, quei due mi nascondevano qualcosa, ma feci finta di non averlo capito

– Ma come faccio, domani nel pomeriggio ho gli esami di stato per l’abilitazione.

Entrò Sara la governante di casa

– La cena è pronta!

Si alzarono contemporaneamente, poi mentre stavano per uscire dal salone

– Non vieni?

Erano sette anni che vivevo con loro, a Gioiosa Ionica, avevo venti anni  quando i miei genitori furono uccisi in un agguato sull’Aspromonte, mi accolsero a casa loro, non avevano figli e mia madre era l’unica sorella di zia Anna, mio zio era un avvocato penalista come mio nonno, mentre mio padre era un avvocato civilista.

Non avevo altri parenti oltre a loro e a mio nonno, ma anche lui mi lasciò presto,  sono passati sei mesi dalla sua morte e mi manca tanto, era un uomo molto attivo nonostante avesse all’epoca quasi settanta anni, si ammalò gravemente e gli ultimi due anni della sua vita, a settantasette anni, li aveva vissuti in una clinica specializzata a Milano nel vano tentativo di trovare una soluzione al suo tumore.

Spesso l’andavamo a trovare, ma per lui era terribile farsi trovare in quelle condizioni, quando era lucido chiacchieravamo molto, per vicende familiari non avevamo passato molto tempo insieme negli anni precedenti, l’ho  sempre trovato in clinica con il suo computer in funzione, poi verso la fine della sua vita, io parlavo e lui ascoltava, mi chiedeva degli studi e mi ascoltava, i suoi occhi erano le sue risposte, non aveva nemmeno più la forza di rispondermi!

Fu lui che mi diede la forza di continuare dopo la morte dei miei genitori, mi spronava con delle email e delle lettere, quando era ricoverato in clinica le lettere le scriveva un infermiere e con il suo aiuto e quello degli zii, riuscii a laurearmi e a fare il praticantato presso un compagno di studi di zio Antonio.

A tavola regnava il silenzio, continuavo a pensare a quella convocazione, esclamai mentre mangiavamo

– Cosa potrebbe essere?…

18 Marzo 2023 – Tutta colpa di un’anatra!

Ecco quello che pensavo sul traghetto per Messina, non smettevo mai di ringraziare lei e vinsi il successivo concorso nazionale proprio in quella provincia Ragusa, quindi avevo deciso di abitare quella casa, quella che lei mi aveva donato a Pozzallo.

Per tutti gli anni della mia lontananza fu Alfio ad amministrare quella casa per me e io gli volli riconoscere per il suo impegno il cinquanta per cento del fitto mensile durante i mesi estivi, lui non voleva, ma alla fine mi ringraziò, disse che quei soldi avevano contribuito all’acquisto della sua casa quando finalmente coronò il suo sogno di sposare, la sua compagna di università a Palermo, ora era padre di due bambini, un maschio e io fui la madrina al suo battesimo della femminuccia.

Nonostante la bella giornata primaverile, in mare aperto, iniziarono lentamente e poi sempre più forti gli ondeggiamenti, bastarono pochi minuti e il mare si ingrossò, il capitano consigliò a tutti i passeggeri di rimanere sotto coperta, anch’io fui travolta da quel cambio repentino del mare, cercai un posto dove ripararmi, poi l’adocchiai, era in fondo vicino alla scaletta che portava al garage, certo, non era la prima volta che mi succedeva, ma sarà stata la lontananza per tanti anni, non ero più resistente come prima, con difficoltà riuscii ad attraversare la sala, cercando di non pestare nessuno e stavo quasi per arrivare alla meta, quando, passando davanti al bancone del bar, vidi solo un ciuffo di capelli rossi e una voce che urlava

– Staiu pi moriri aiutatemi (sto per morire aiutatemi).

Mi bloccai all’improvviso, era un giovane con gli occhi chiusi che batteva con forza la mano destra sul legno, tanto da ferirsi

– Stia fermo e mi ascolti, deve fare quello che le dico io!

Si bloccò, guardandomi stralunato

– Si ‘na Maronna (sei una Madonna)

Nonostante gli ondeggiamenti, non riuscii a non sorridere mentre stavo lentamente cercando di farlo rialzare

– Magari!

Con qualche difficoltà, riuscimmo a staccarci dal bancone del bar, dopo averlo fatto sedere sul posto che avevo adocchiato

– Ora, fermo così, metti la testa in mezzo alle gambe e non muoverti!

Sarà stato il mio tono, sarà stato che oramai mi credeva una figura divina, fece esattamente quello che gli avevo detto, fu allora che notai le ferite alla mano, scendevano gocce di sangue, tornai al bancone agguantai una bottiglia di gin, poi in un cassetto, trovai un canovaccio bianco pulito

– Ora ti farò del male, ti brucerà, ma è necessario.

Stava per rialzare la testa

– Fermo!

E versai il gin sulle ferite, cacciò un urlo e avvolsi il canovaccio stretto, con l’altra mano cercava di fermarmi, ma riuscì solo a prendere il mio foulard

– E’ tutto passato, non muoverti!

Vedere un uomo in quello stato non è certo piacevole, ma era l’unico modo per aiutarlo, ma ora ero io che avevo bisogno di sedermi, si era liberato un posto su un divanetto distante, non ci pensai due volte e lo raggiunsi, finalmente chiusi gli occhi in attesa che tutto si calmasse.

Il traghetto per non andare incontro alla bufera, aveva dovuto fare una manovra più lunga e il capitano avvertì i passeggeri, era una prassi comune e nessuno protestò, non so come mi addormentai e quando mi svegliai cercavo con le mani il mio foulard, poi mi ricordai tutto, guardai verso quel posto dove avevo lasciato quel giovane, non c’era più nessuno, il mare si era calmato e il comandante ordinò di rientrare nelle auto in garage, eravamo prossimi all’arrivo, mi guardai intorno alla ricerca di quella persona, ma nulla, era scomparso, anche in garage feci la stessa cosa, ma non potetti scendere al primo livello e dovetti rientrare in auto, si ero dispiaciuta, quel foulard apparteneva a mia madre e sopra aveva a suo tempo ricamato il mio nome, pazienza, avevo aiutato una persona e questo mi faceva piacere, cos’altro potevo fare, nulla!…

17 Marzo 2023 – Tato – Sotto lo stesso tetto, ma non a letto.

Tato era il mio diminutivo, mia sorella me l’aveva affibbiato, era più piccola di me di cinque anni, non sapeva parlare, allora per chiamarmi, mi indicava con la manina e poi …Tato!

E dopo, anche in età adulta, invece di chiamarmi con il vero nome Antonio o con un diminutivo Nino, ero sempre per lei e per tutta la famiglia Tato e basta.

Non siamo stati molto fortunati, la nostra famiglia non navigava in buone acque, solo papà lavorava e mamma era casalinga, lui era quasi sempre lontano in viaggio e quindi abbiamo subito, si, subito, nostra madre, le sue ansie, le sue paure erano il miscuglio dei nostri caratteri.

Ancora oggi, il ricordo va a quell’estate, quando fui allontanato da casa, per il parto di mia madre e già all’epoca si partoriva in casa, non in ospedale o in una comoda clinica a pagamento, quindi fu l’occasione per inviarmi dai nonni, quando tornai dopo circa un mese, trovai questo fagotto che urlava e strepitava, faceva i suoi bisogni in continuazione, ma mai, mi fu data l’opportunità di familiarizzare, ero troppo piccolo dicevano e non si fidava di lasciarmela tenere in braccio da solo.

Passarono gli anni e tra noi nacque un tacito accordo, la lasciavo giocare con i miei trenini, ma sempre e solo quando ero presente, più d’una volta la trovai di nascosto con qualche autotreno giocattolo o altro, non amava molto le sue bambole, voleva imitarmi e io facevo finta di nulla.

Passarono gli anni, io alle medie e lei alle elementari, poi finito il ciclo dovevo passare alle superiori, avrei voluto fare il liceo classico, ma le condizioni economiche della famiglia non lo permettevano, dovevo fare qualcosa che mi avrebbe dato l’opportunità dopo cinque anni di lavorare e quindi fui iscritto contro la mia volontà ad un istituto tecnico, aspirazioni zero, non era adatta a me quella scuola, ma non avevo la possibilità di scegliere.

Lei iniziò le medie, poi il magistrale e io finalmente arrivai al diploma, e qui ci fu la svolta delle nostre vite, tragicamente, non avevamo un auto, mio padre per andare a trovare i suoi genitori utilizzava una macchina in affitto, si faceva trovare alla stazione per portarlo al paesello, quella volta complice un brutto raffreddore di mia sorella Evi, tra le nostre rimostranze, decisero di andare da soli, il guidatore prese una scivolata sul ghiaccio e i tre finirono in una scarpata molto profonda, persero la vita tutti.

E ci ritrovammo orfani, accolti a casa della nonna materna, donna energica e poco incline ai rapporti con due nipoti adolescenti, avevo intenzione di continuare a studiare, oramai con la maggiore età avrei potuto scegliere finalmente il mio corso di studi, ma nemmeno allora fu possibile, mia nonna era anziana, la sua pensione non bastava e quindi iniziai a lavorare, ovviamente in nero, nessuno ci diede una mano, lavoravo presso un cantiere edile, dove facevo di tutto, per la preparazione e la messa in opera dell’impianto elettrico degli appartamenti.

Non venivo pagato molto, ma alla fine della settimana consegnavo i soldi che mi venivano dati a mia nonna e lei provvedeva per il mangiare, il vestire e per lo studio di Evi e del sottoscritto.

Gli altri nonni erano ancora più indigenti e solo una volta all’anno, in prossimità del Natale, riuscivo ad organizzarmi per andarli a trovare, per il resto dei mesi, scrivevo delle lettere senza mai risposta, un loro vicino gliele leggevano, non sapevano ne scrivere, ne leggere.

Evi prima del diploma, iniziò ad avere dei dolori diffusi per tutto il corpo, era una donna oramai, non potendo scegliere si confidava con me, decisi che non poteva soffrire così e nonostante le proteste della nonna, la ricoverai nell’ospedale più vicino per delle indagini sul suo stato di salute, sei mesi durò, era affetta da una malattia incurabile e alla fine… mi ritrovai solo!

L’ultimo ricordo che ho di lei, fu il giorno della sua morte, ero nello stanzone dove era ricoverata

– Tato mi prometti una cosa?

Cercavo di non guardarla, stavo piangendo, mi feci forza

– Segui i tuoi sogni, me lo prometti?

Non volevo risponderle, avrei fatto di tutto per non vederla in quelle condizioni, ma lei imperterrita

– Me lo prometti Tato?

Feci cenno di si con la testa

– Non mi basta, devi dirmelo

Piangendo

– Si, te lo prometto!

E spirò!

Il dolore della sua perdita si impadronì di me, non riuscivo a connettere, ne a pensare, passai dei mesi totalmente assente, ma avevo promesso e ogni volta che mi recavo al cimitero, non potevo non pensare a quello.

16 Marzo 2023 – Da Vanni – “Soloprimi”

…”…

Erano quasi le dieci quando arrivai in città, alla norcineria presi un buon quantitativo di salame e l’auto si riempì di profumo di carne conciata, stavo per uscire dal cortile del negozio, quando mi bloccai con l’auto.

Cos’era successo?

Di fronte all’ingresso del cortile c’era una pensilina per gli autobus con una panchina, il riflesso del sole rimbalzando sulla vetroresina di copertura schermava la scena,ma riconobbi le valigie e notai la stessa ragazza del mattino, stava seduta, aveva un cartello tra le mani, non riuscivo a leggere da lontano, incuriosito scesi dall’auto e mi avviai per attraversare la strada, ero ancora sul marciapiedi opposto, quando riuscii a leggere

“Cerco lavoro”.

Ero senza parole!

Attraversai la strada, mi avvicinai, lei mi notò

– Buongiorno.

La guardai meglio, era forse più piccola dei venticinque anni che le avevo dato, aveva un’espressione seria ma lo sguardo era perso nel vuoto

– Buongiorno, scusi la mia domanda, ma non ha paura?

Stavolta alzò lo sguardo, aveva degli occhi celesti, come il mare

– No, al mio paese si fa così.

Vedendo il mio disappunto, esclamò

– Da voi no?

Immediatamente

– Da noi? No certo! Ma hai idea di quello che fai,  chiunque, in questo modo, potrebbe importunarti, prenderti in giro, fare qualsiasi cosa, dicendo delle bugie per poi farti del male? Da noi ci sono delle agenzie dove rivolgersi, dare i propri dati e attendere le risposte.

La ragazza, abbassò il cartello, poi quasi sottovoce

– Non ho tempo di attendere!

Fu così spontanea la risposta che non potetti fare a meno di sedermi

– Io mi chiamo Vanni

E lei stringendo la mano

– Io Sofia, sono arrivata oggi dall’Olanda.

Lei analizzava me ed io facevo altrettanto, già quando aveva detto il nome, mi ero meravigliato, pensavo a qualche nome straniero, ma poi quando disse la nazione fui ancora di più sorpreso

– Che tipo di lavoro stai cercando?

Mi sembrò più rilassata, forse avevo fatto buona impressione, non lo so

– Baby sitter, badante, cameriera… tutto quello che posso fare legalmente ma ad una condizione che sia previsto anche l’alloggio.

Sarà perché il sole stava iniziando a picchiare, sarà che la vedevo così indifesa, sarà che fondamentalmente non sono normale

– Potrebbe interessarti un lavoro in una trattoria come cameriera e tuttofare.

Finalmente vidi un accenno di sorriso

– Tuttofare si, ma niente sesso!

Saltai dalla panchina

– Certo che no!

Sorrise

– Certo, a chi mi devo rivolgere?

Mi stavo ancora riprendendo dalla battuta

– A me! Ho una piccola trattoria, se vuoi, ti faccio vedere.

Si alzò immediatamente

– Andiamo!

Non credevo a me stesso, ma come mi era venuto di fare quella proposta, per anni ho lavorato senza nessuno ed ora?

Ma come si dice “cosa fatta capo ha”.

Misi a posto le valigie con il suo aiuto, entrammo in auto

– Che buon odore!

Era il profumo del salame, sorrisi

– L’ho preso adesso, vuoi assaggiare?

– Si, grazie, sono ventiquattrore che non mangio nulla.

Non tagliai il salame

– Posso darti del tu?

Mi guardò, era contenta

– Certo!

– Bene, allora Sofia, ora facciamo colazione come si deve e poi andiamo alla trattoria.

– Va bene.

E così facemmo, divorò tutto nel bar dove ci fermammo e dopo un breve tragitto arrivammo alla trattoria, non mi capacitavo, eppure non mi sembra una persona che non aveva i soldi per mangiare, è vestita bene, le valigie sono di marca, quale mistero c’è sotto?

– Ecco, siamo arrivati!

Scendemmo le valigie, poi il salame, aprii la trattoria e annusò l’aria

– Anche qui c’è un buon profumo!

Ero contento…”…

15 Marzo 2023 – Aurora.

Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

14 Marzo 2023 – Una seconda opportunità.

Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.

Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!

Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.

Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.

Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.

Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono

– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!

Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino

– Per cosa?

– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!

Ero meravigliato, un provino? A noi?

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?

Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina

– Ma dove vai a quest’ora?

Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…

…suonò il campanello, erano loro!

E questo fu l’inizio della fine!

Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:

“The boys band”

I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti,  increduli …

…e così, ci perdemmo!

Imparai la lingua inglese, ma quando si dice che il successo da alla testa, non è un modo di dire, ma verità assoluta!

Oltre ai soldi, alle ragazze che ci saltavano addosso, arrivarono anche le droghe, prima leggere, poi sempre più pesanti, eravamo sottoposti a stress incalzante, dormivamo poco e male, fui l’unico a rimanere con i piedi ben piantati a terra, anche perché dopo due anni circa di quella vita, persi mio padre per un tumore che raggiunse mia madre, morta dandomi alla luce.

Fu il suo ultimo triste regalo!

Con un aereo dall’Inghilterra, messo a disposizione dalla produzione, lo raggiunsi prima di morire in ospedale tra le mie lacrime e con un filo di voce mi disse

“Ricordati quello che eri prima e cerca di non perderti!”

Mai parole furono più profetiche!

Quella frase rimase così impressa nella mia mente che da allora tutto cambiò, ma per Ludo e Dino purtroppo non andò così, nell’ultimo periodo Dino dovette essere ricoverato più volte per disintossicarsi dalla droga e Ludo subì la sua stessa sorte, non solo per la droga ma si aggiunse anche l’alcol.

La nostra avventura durò otto anni e poi?

Ci perdemmo di vista!

Passarono altri cinque anni da allora e quando mi informai su di loro, venni a conoscenza che Dino lavorava in Inghilterra come Chef in un ristorante di Plymouth e Ludo a Berlino oramai era parte integrante di una comunità di gay, queste furono le ultime notizie dei miei amici.

Quando il complesso si sciolse, cinque anni prima, mi ritrovai da solo, impiegai molto tempo per disintossicarmi da quell’incredibile successo improvviso e decisi di iscrivermi ad una scuola alberghiera, diventai Chef di partita addetto alla griglia e alle fritture, ero taciturno, mi stavo rinchiudendo sempre di più.

Di quell’incredibile avventura mi rimase solo un anello, era in oro con una placchetta nera in superficie con le nostre iniziali a forma di cuore incrociate, fu un regalo che ci facemmo il primo anno, pezzi unici forgiati da un artigiano olandese, promettendoci di non toglierlo e non cederlo mai a nessuno.

Ed eccomi oggi, quasi trent’enne, con un camper come casa e la mia attività al seguito, un food truck, grande come una roulotte per sei persone, modificato e acquistato a Parma.

Prima mi ero trasferito a Lecco, avevo lavorato in diversi ristoranti a Novara, Varese e Como, mi volevano bene tutti, ma non mi sentivo soddisfatto, mi piaceva far parte di una brigata, ma non mi piaceva essere un sottoposto, troppe pressioni in cucina e poi non sopportavo l’arroganza degli Chef, avevo messo da parte i soldi guadagnati con la musica e furono quelli che mi salvarono e mi diedero l’opportunità di finire gli studi e…altro!

Una sera uscendo dal ristorante di Como, una folata di vento a mulinello mi travolse,  riuscii a mettermi al riparo e mi ritrovai tra le mani un volantino, era la pubblicità di una Fiera a Parma dove venivano presentati modelli di automezzi adatti per la ristorazione mobile, nuovi e usati, quella notte non riuscii a dormire, ero alla ricerca di trovare la mia strada, poteva essere quella giusta, decisi di visitare la fiera.

E il giorno dopo…

…fu la giornata che cambiò tutta la mia vita!

– Come va oggi?

Ero in ospedale, pregavo e la guardavo, com’era bella, nonostante le ecchimosi sul viso fossero diventate viola, chiudendo gli occhi per un attimo, la rivedevo come la prima volta che l’avevo incontrata, una ragazza bella,  solare e piena di vita.

13 Marzo 2023 – Una vita a metà.

(Anteprima di lettura di tre pagine su settantacinque pagine)

Il treno correva veloce, vedevo scorrere le immagini senza che riuscissi a focalizzarle, i miei pensieri erano altrove ed anch’io correvo veloce con i miei pensieri!

Per distrarmi sfogliavo un giornale del mattino e sorridevo, c’era un titolo a carattere cubitali nella pagina dedicata alla cultura e arte:

“Il Falco è scomparso!”

poi su due colonne, veniva raccontata parte della vita del Falco, la sua scoperta e il suo successo e sempre la stessa domanda

“Chi era il Falco?”

Già!

Chiusi gli occhi e come in un film iniziarono a passare le immagini di quello che era realmente successo nei miei primi trent’anni della mia vita, fotogrammi di attimi vissuti intensamente e pieni di contrasti.

Amavo l’odore dei colori e fin da piccolo disegnavo tutto quello che mi colpiva realmente imbrattando quello che potevo per la disperazione di mia madre, dalle pareti domestiche alle tovaglie della tavola.

Già, mia madre…

… sopportava tutto quello che facevo e nonostante la perdita precoce del marito, con solo le sue forze, riuscì ad inculcarmi i valori reali della vita, l’amore per la bellezza e il giusto rispetto per i soldi, era fiera dei miei progressi a scuola, ma nonostante ciò, quando terminai il liceo classico e le dissi che volevo iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti, si rifiutò di ascoltarmi.

E così mi ritrovai iscritto alla Laurea di Giurisprudenza!

Otto anni sono passati dal giorno della mia laurea, ricordo ancora oggi quel giorno…

– Signore biglietto.

E l’incanto svanì all’improvviso!

Mi risvegliai e persi i ricordi di allora, avevo la fronte madida si goccioline che scendevano silenziose.

Ma cosa stavo facendo?

Ero a Milano solo pochi giorni prima, si stava inaugurando una Mostra dei miei quadri, c’era tanta bella gente e io mi crogiolavo nell’ascoltare i loro commenti.

Nessuno sapeva che ero lì accanto a loro ed ero l’autore di quei quadri, solo una persona ne era a conoscenza, Loly la mia super agente, come se l’avessi evocata per telepatia, sentii un sussurro all’orecchio

  • Ti stai divertendo?

Non la risposi, spostandomi lateralmente, intercettai un cameriere con un vassoio con dei bicchieri di spumante, presi due flute dal vassoio al volo e mi girai

  • Si e no!

Aveva l’aria così meravigliata,  non potetti fare a meno di sorridere, ma lei senza perdere il suo self control

– Che diavolo vuoi dire ? Sai bene che qui tutti vorrebbero conoscere l’autore di questi quadri, nella prima ora della Mostra sono stati venduti già tre tuoi quadri e sono certa che basterebbe che dicessi che l’autore è tra di noi si scatenerebbe il putiferio per accaparrarsi una tua opera e avere una dedica sul retro del quadro….

Accigliato

  • Non ti permettere…

Stavolta sorrise

-Non lo farò, stai tranquillo, non voglio perdere il mio autore preferito!

Tranquillizzato

-Si, sono contento di tutte queste persone, no, perché sono certo che quello che sto per dirti non ti piacerà.

-Cosa?

La presi sottobraccio e ci spostammo sulla terrazza, mentre il banditore dell’asta urlava

– Venduto!

In quel momento il treno ad alta velocità entrò in stazione, ero a metà viaggio, era arrivato a Roma Termini, presi i miei bagagli, era la mia fermata, mentre guidavo l’auto a noleggio, ricordavo quei momenti

– Tu sei pazzo!

Loly aveva gli occhi fuori dalle orbite, non riusciva a calmarsi, alla fine mi diede le spalle imbronciata e preoccupata dalle mie parole

– Non fare così, ne ho bisogno per davvero…

Passai davanti a lei in modo che mi potesse guardare negli occhi

-…devi capirmi, sono stanco di vivere la mia vita a metà…

Se avesse potuto mi avrebbe fulminato con quello sguardo

– Che significa?

Le presi la mano e la guidai verso un tavolino della terrazza, lei mi seguì senza dire nulla, ci accomodammo

– Non ti sto abbandonando, so quello che hai fatto per me in questi anni, ti voglio un bene dell’anima per questo ma…

Si svegliò dal torpore

– Ma?…

…segue…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
Se interessato/a e vorresti continuare a leggere questo romanzo su qualsiasi supporto tecnologico, puoi richiederlo aggiungendolo al carrello.
Il costo? Irrisorio!
Solo 15 euro, è il costo di un aperitivo al bar per una persona, in cambio, tanta emozione, tanta avventura, amore e passione!
Per contatti e/o informazioni
www.isognidiaraldo.it
caparco.g@tiscali.it

12 Marzo 2023 – Amore

Sai qual’è la cosa?
Non è vero che l’amore è l’impossibilità di vivere senza qualcuno, diciamoci la verità, non succede mai, si sopravvive sempre, ci si adatta benissimo. Io, andrei avanti, troverei altre ragioni.
Il fatto è che saprei tranquillamente vivere senza di te… Solo che non voglio.
Questo è l’amore!
(cit.)

Sabato 11 Marzo 2023 – Un Sogno per una…settimana! -La finzione diventa realtà. – Sesto capitolo

Sesto capitolo

da pag.51 a pag,60

…”…

– Non ti avrebbe fatto piacere che restassi muta?

Lui finalmente rilassato:

– No, per niente, stai ferma e non girarti, prima che viene Andrea.

Nel suo lettino, al rifugio, ora mi ricordavo tutto.

Entrò Sofia:

– Come ti senti?

Com’era bella, la gravidanza allora fa bene!

– Ho un forte mal di testa e fame.

– Rodolfo è stato tutta la notte qui! Ti vado a preparare qualcosa, poi dopo la visita medica fai colazione.

– Sofia.

– Dimmi.

– Grazie, scusami per ieri, non so cosa mi abbia preso.

– Tutto passato. Ora ti devi rimettere.

Entrò Antonio:

– Tutto bene?

Sorrisi, era ottimista l’avevo capito dal primo momento:

– O quasi, certo questa non è la posizione migliore per dialogare.

– Hai ragione, ci vediamo dopo.

– L’ho chiamato, sarà qui a momenti, mi ha detto di non farti fare colazione, che deve farti un prelievo di sangue.

A chi? A me? Ma non voglio? E perché?

– Ma, non voglio!

Dissi imbronciata, ma evidentemente la posizione e la bocca non prese il giusto verso, che Rodolfo scoppiò in una risata:

– Stupido, vai via!

Mi venne vicino e senza che potessi fare opposizione mi bacio sulla fronte.

Le labbra erano morbide, lo fece con leggerezza, mi colpi, non volevo che si staccasse più. Che bella sensazione! Mai avevo provato una cosa simile, girai la testa dall’altra parte e iniziai a lacrimare.

Mi venne vicino:

– Scusami, non volevo farti quest’effetto.

Stava con una faccia appesa in attesa che parlassi, mi asciugò le lacrime:

– Non è per questo?

– E allora?

– Mi è piaciuto!

Me ne diede un altro, più lungo, poi sentimmo tossire:

– Sei tu Andrea?

– Si, scusami forse ho fatto troppo presto a venire.

Sorrideva:

– Smettila, è tutta tua.

Ma dove va? Mi lascia sola?

– Rodolfo

Chiamai.

Tornò indietro

– Dimmi

– Rimani.

Gli brillavano gli occhi:

– Se vuoi così

– Si.

Era felice, Andrea stava per scoprirmi la testa:

– Dottore può ringraziare sua moglie, prima non potevo.

Si illuminò e con un ampio sorriso:

– Non ti preoccupare, glielo dirò io, ma ora tranquilla e facciamo la visita, prima vediamo la ferita.

– Perché mi fanno male le braccia?

– Perché ho fatto in modo che neanche nel sonno, potevi grattarti, la ferita porta prurito, ora le libero.

Ecco perché?

Mi sentivo meglio con le braccia libere, Rodolfo mi mantenne la mano, quel contatto, ora potevano farmi tutto, non mi importava.

Dopo un poco:

– Vieni aiutami a girarla.

Tutte e due, mi girarono e mi fece sedere con i cuscini dietro, mi girava la testa, ma che bello vedere davanti, Andrea era molto delicato, mi fece il prelievo, poi l’elettrocardiogramma, poi:

– Dovrei visitare le gambe, le scopri per piacere.

Guardai Rodolfo:

– Si.

Bisbigliai:

– Con te mi vergogno.

– Non ti preoccupare, faccio entrare Sofia.

Stava dietro la porta, entrò e venne vicino a me, dopo la visita fece entrare Rodolfo e Antonio:

– Tutto bene, per fortuna, allora adesso devi stare a riposo altre 72 ore, le prime 24 sono passate, ma per eliminare l’ipotesi di una commozione cerebrale, altre 24 ore a letto, poi potrai alzarti, ma senza affaticarti, verrò stasera con i risultati delle analisi e ti cambio la medicazione.

– Grazie Andrea, non so come ringraziarti.

Lui rise:

– Sei un testardo, l’avrei portata in ospedale stavo più sereno, ma tu non hai voluto, per fortuna tutto va meglio, ma se non le fai fare quello che ho detto non mi assumo la responsabilità e poi quando tutto sarà finito faremo una bella rimpatriata con le tue pietanze, che dici?

Era meravigliato:

– Non c’è problema, poi io sono qui, con Sara.

Lui e Antonio andarono ad accompagnare il medico, rimasi sola con Sofia:

– Scusami per ieri, non ti avevo vista.

Era Sofia

– Me ne sono accorta, mi hai fatto ingelosire lo sai.

Meravigliata:

– Chi io?

Disse sorridendo e mettendosi le mani sulla faccia.

– Si, quell’abbraccio, non finiva mai, era la prima volta che provavo questo sentimento negativo.

Ridemmo:

– Sciocca, si lo voglio bene, ma amo Antonio, e vederlo qui mi ha stupito, non so se ti ha raccontato.

– Si, ieri la fuori.

Si rattristò:

– Era da allora che non lo vedevamo, ci siamo sentiti per telefono spesso, ma qui, mai! Poi ho capito, quando ho visto te, ma non potevo credere che non vi conoscevate, ha portato una persona speciale nel suo posto speciale.

L’abbracciai, se sapesse che ieri non la pensavo proprio così.

Ora ti porto un cambio, poi prima di fare colazione ti aiuto per lavarti.

– Ma tu non puoi, il pancione.

– Sta tranquilla, so come fare.

Entrarono gli altri come i re magi a portarmi la colazione, Sofia li ricacciò fuori e da seduta mi lavai e cambiai, mi misi una sua tuta, mi andava bene e poi li fece entrare.

– Grazie, ma quanta bontà.

– Non è merito mio, l’hanno preparata loro per tutti e due.

Li ringraziai, poi loro uscirono e noi facemmo colazione, non mi sembrava vero:

– Accidenti

– Ch’è stato?

Allarmato:

– Devo chiamare il negozio, me ne ero completamente dimenticata.

– Hai ragione, vado a prenderti il cellulare.

E sparì per ricomparire poco dopo.

Chiamai Dario e gli spiegai quello che era accaduto, mi disse di riguardarmi e di non preoccuparmi, ovviamente se avevo bisogno di qualcosa loro erano disponibili ad aiutarmi, li ringraziai.

Dopo mandai un messaggio alle amiche, mi avevano subissato di telefonate, per avvertire che ci saremmo sentite più in la, senza dare altre spiegazioni, sarebbero impazzite.

Dopo, facemmo colazione.

Ma coma si fa? Non sta dicendo nulla, ma io so che sta aspettando? Me lo chiede con gli occhi, ma non con la bocca!

– Mi dispiace quello che ti è capitato.

Aveva rotto il mio silenzio:

– Sai che ti stavo per baciare ieri.

Si blocco con un boccone a mezz’aria, tossi e espulse l’altro che aveva in bocca:

– E perché non l’hai fatto?

Non volevo rispondere:

– Non mi sembrava il caso, dopo aver sentito il tuo racconto, mi sono fatta forza per evitare di baciarti, forse troppa forza e ho sbattuto.

Il suo viso si intristì un attimo, poi:

– Grazie.

Dovevo scrollarlo, non mi piaceva vederlo così:

– Ma tu non devi lavorare?

Alzò lo sguardo:

– Si, ma dopo, ho con me il computer e tutto l’occorrente, ma dopo.

Quel dopo era per me, era ora, toccava a me:

– I miei abitano a New York, non ho più mio padre, morì poco dopo la mia laurea in Informatica, ho una sorella maggiore laureata in lettere e due nipotini, lei e il marito gestiscono una libreria, e Sandra tiene dei corsi di italiano per stranieri, mia madre faceva la spola per aiutarla con i bimbi e dopo la mia decisione di rimanere in Italia, si trasferì definitivamente.

Era preso dal mio racconto e mi teneva stretta la mano destra:

– a 22 anni , dopo la laurea io ed un amica, fondammo una start up che trattava fotografia e marketing, avevamo un gruppo di aziende con cui lavoravamo, eravamo contente e giovani. Poi ci fu la crisi, e chiusero, nel frattempo stavo per decidere di andare anche io negli Stati Uniti, trovai lavoro in quel negozio che tu conosci, come responsabile della gestione e sviluppo dell’informatica da sette anni. Ho conosciuto altri uomini, ma nessuno ha provocato l’emozione che provo con te.

Non disse nulla, ma le mie ultime parole, lo avevano colpito, si alzò lentamente per baciarmi sulla fronte.

Come mi piaceva!

– Grazie. Sei riuscita ad entrare nei miei pensieri, volevo sapere di te, grazie.

Stavolta fui io, che inaspettatamente per lui, lo attirai a me e lo baciai sulla bocca, dolcemente!

Fu lungo, molto lungo, e bello!

Ci staccammo visibilmente emozionati, lui era rosso papavero ed io altrettanto, più delle parole parlavano i nostri occhi, erano uno di quei momenti che si vivono in silenzio.

Molto imbarazzato dalla mia azione, dopo avermi accarezzato i capelli:

– Ora riposa, ci vediamo tra poco.

No non volevo che se ne andasse!

Ma era giusto, dovevamo guardarci dentro e capire, vivendo il momento, si allontanò e mi assopii.

Mi addormentai così profondamente, le ore passarono, ad un certo punto sentii un rumore infernale e mi svegliai di soprassalto, era strano mi sembrava un elicottero, lentamente mi alzai dal letto, la testa mi girava ancora, mi portai verso la finestra, effettivamente c’era un elicottero che si era fermato, ma le pale rimanevano in lento movimento, poi vidi che si apriva la portiera, e, ma che fa?

Era Rodolfo, stava salendo, com’è possibile? Stava andando via? E io?

Dopo un attimo, l’elicottero iniziò a rombare, le pale a volteggiare sempre più forte, si alzò in volo.

Dopo un attimo si aprì la porta:

– Sara ma non devi stare in piedi.

Era Sofia.

– Rodolfo?

E mi girai, stavo piangendo

Mi venne vicino, era spaventata:

– Tornerà, è successo tutto in pochi minuti, lo hanno telefonato che il padre ha avuto un infarto e stava in ospedale, lo avvertivano anche che stava per arrivare l’elicottero della compagnia per prelevarlo

Per la miseria! Il padre!Un infarto!

– dopo il primo spavento, voleva venire ad avvertirti, poi ha detto “se l’avverto non mi lascerà andare da solo, lei deve stare a riposo, se le succede qualcosa non me lo perdonerai mai”, poi rivolta a me, appena sono partito glielo spieghi tu, vi farò sapere, ed è andato.

Ecco perché non era venuto a dirmelo!

Certo che non l’avrei lasciato solo, Sofia fece appena in tempo a prendermi in braccio, stavo svenendo.

Urlò

– Antonio.

E fu il  buio!

Quando mi ripresi, c’era Andrea:

– Sei stata avventata, poteva capitarti qualsiasi cosa alzandoti, ma ora a letto e ci rimani fino a domani, le analisi sono buone.

Mi guardai di lato c’era Sofia:

– Rodolfo?

Fece di non con la testa.

– Vedrai che ci farà sapere, speriamo bene.

Era Antonio

Andrea mi disse che mi avrebbe fatto una flebo, per farmi riprendere, Sofia sapeva staccarla, sarebbe durata un paio d’ore, perché era un medicinale che doveva entrare a piccole dosi nell’organismo, quindi era molto lenta.

Mi misero il cellulare vicino e rimasi da sola, con la flebo che lentamente scorreva, sentivo il vociare nella sala, c’erano delle persone che stavano cenando, non mi dava fastidio sentirli, mi facevano compagnia, il mio pensiero era fisso, cosa sta succedendo al padre di Rodolfo? E lui come sta?

Perché non chiama? Vorrei farlo io, ma ho il timore di avere brutte notizie. E non lo feci.

Sofia, venne mi staccò la flebo, poi mi fece sorseggiare un brodino leggero caldo e mi disse che sarebbero rimasti con me stanotte, erano venuti Abramo e Greta ed avevano allestito un’altra stanza da letto al di la del salone, mi porto una campanella, che avrei potuto usare se avessi avuto bisogno di loro, la mancanza di notizie ci aveva ammutoliti, mi diede la buonanotte e se ne andò:

E fu la solitudine!

Cos’è, la solitudine?

E’ una tenaglia che si stringe sempre di più, ecco cos’è la solitudine, non l’avevo mai provata, mi soffocava!

Poi un messaggio:

“Scusami, mio padre è in sala operatoria in fin di vita, ci sentiamo dopo”

Suonai il campanello, in un attimo arrivarono e feci leggere il messaggio:

– Speriamo bene!

Sofia era attaccata ad Antonio, mi ringraziarono e tornarono nella stanza.

Andrea aveva detto che se fossi stata a letto, la mattina successiva potevo fare dei piccoli passi e uscire fuori.

E così feci, all’alba, con qualche piccolo problema nel camminare, mi alzai e lentamente senza far rumore uscii fuori dal rifugio, ero affaticata, trovai sollievo su una panchina che dava sulla valle.

Guardai il panorama, era stupendo, la luce non ancora filtrava e quelle enormi cime che vedevo davanti sembravano giganti buoni che mi stavano proteggendo.

Per distrarmi, fece di nuovo lo stesso tragitto, andai nella stanza e presi la mia macchina fotografica e iniziai fuori a scattare delle foto, mi aiutava a non pensare.

Come è andata l’operazione? Come stava il padre di Rodolfo? E Rodolfo?

Non volevo dirlo nemmeno a me stessa, avevo paura, ma può sembrare assurdo, ma mi ero innamorata!

Colsi ogni momento, la luce che albeggiava, il sole che saliva, le ombre che si formavano, la vegetazione che si svegliava, la vita che iniziava la nuova giornata….”…

Buona lettura

Romanzo di

Araldo Gennaro Caparco