Archivio degli autori admin

12 Novembre 2023 – Una seconda opportunità. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Erano le quattro e mezza del mattino e a quell’ora le strade erano deserte, il vento soffiava forte e la temperatura era intorno ai due gradi, ma noi tre, liberi dal lavoro, eravamo spensierati e tra una battuta e un’altra mi accompagnavano a casa perche ero il più giovane del gruppo, poi loro due raggiungevano le loro abitazioni poco distanti dalla mia.

Eravamo tre amici inseparabili e avevamo solo due passioni all’epoca, la musica e la cucina!

Mi chiamo Rino e i miei due amici Dino e Ludo, già Ludo, nome criptico, un dono dei suoi genitori, convinti della nascita di una femminuccia per tutta la durata della gravidanza avevano illusa la nonna paterna promettendo la continuità del suo nome, Ludovica, quindi quando tra lo stupore di tutti, nacque un bel maschietto, per non deluderla lo vollero chiamare Ludo, un nome da lui mai accettato e lo marchiò per tutta la vita.

Ci eravamo esibiti in un pub, Dino era compositore, voce solista e suonava la chitarra, Ludo si alternava al basso e al pianoforte ed infine io ero il batterista e alle volte sassofonista, suonavamo canzoni degli anni ’70/80, arrangiate a modo nostro.

Durante la settimana studiavamo e la sera lavoravamo in un ristorante, io e Ludo come lavapiatti e Dino invece alle fritture, ci pagavano a giornate e con quella paghetta io e Dino riuscivamo a comprarci qualcosa di vestiario, Ludo non ne aveva bisogno, ma volentieri, incurante delle discussioni con la sua famiglia ci accompagnava, all’epoca io ero sedicenne, mentre Ludo era diciottenne e Dino ventenne.

Il nostro momento fortunato capitò un sabato sera e non ne eravamo a conoscenza ma tra il pubblico era presente una persona in cerca di talenti e il giorno successivo, lo ricordo molto bene, come se fosse oggi, Dino mi chiamò al telefono

– Rino, ti passiamo a prendere tra poco!

Ancora assonnato, guardai la sveglia sul comodino, erano le dieci del mattino

– Per cosa?

– Dobbiamo andare al locale, vogliono farci un provino, passo al garage di Ludo, prendo la nostra attrezzatura e ti passiamo a prendere tra un’ora, vestiti!

Ero meravigliato, un provino? A noi?

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere riattaccò, e io?

Ancora assonnato corsi come una meteora in bagno, mio padre notò tutto dalla cucina

– Ma dove vai a quest’ora?

Non risposi, il tempo di farmi una doccia, vestirmi, raccontare della telefonata a mio padre…

…suonò il campanello, erano loro!

E questo fu l’inizio della fine!

Con una velocità impressionante, fummo travolti dal successo, quella persona in questione, il talent scout era proprietario di un’etichetta musicale la SingSong, ci scritturò e con le canzoni scritte da Dino fummo lanciati nel mondo della musica, il nostro complesso in pochi mesi raggiunse un successo insperato, il nostro nome:

“The boys band”

I soldi, tanti soldi, arrivarono in breve tempo, i nostri dischi andavano a ruba ed anche la nostra vita cambiò in un amen, nel bene e nel male, furono cinque anni di continui tour, presenza nelle radio principali e poi anche in televisione, eravamo giovani, incoscienti,  increduli …

…e così, ci perdemmo!

Imparai la lingua inglese, ma quando si dice che il successo da alla testa, non è un modo di dire, ma verità assoluta!

Oltre ai soldi, alle ragazze che ci saltavano addosso, arrivarono anche le droghe, prima leggere, poi sempre più pesanti, eravamo sottoposti a stress incalzante, dormivamo poco e male, fui l’unico a rimanere con i piedi ben piantati a terra, anche perché dopo due anni circa di quella vita, persi mio padre per un tumore che raggiunse mia madre, morta dandomi alla luce.

Fu il suo ultimo triste regalo!

Con un aereo dall’Inghilterra, messo a disposizione dalla produzione, lo raggiunsi prima di morire in ospedale tra le mie lacrime e con un filo di voce mi disse

“Ricordati quello che eri prima e cerca di non perderti!”

Mai parole furono più profetiche!

Quella frase rimase così impressa nella mia mente che da allora tutto cambiò, ma per Ludo e Dino purtroppo non andò così, nell’ultimo periodo Dino dovette essere ricoverato più volte per disintossicarsi dalla droga e Ludo subì la sua stessa sorte, non solo per la droga ma si aggiunse anche l’alcol.

La nostra avventura durò otto anni e poi?

Ci perdemmo di vista!

Passarono altri cinque anni da allora e quando mi informai su di loro, venni a conoscenza che Dino lavorava in Inghilterra come Chef in un ristorante di Plymouth e Ludo a Berlino oramai era parte integrante di una comunità di gay, queste furono le ultime notizie dei miei amici.

Quando il complesso si sciolse, cinque anni prima, mi ritrovai da solo, impiegai molto tempo per disintossicarmi da quell’incredibile successo improvviso e decisi di iscrivermi ad una scuola alberghiera, diventai Chef di partita addetto alla griglia e alle fritture, ero taciturno, mi stavo rinchiudendo sempre di più.

Di quell’incredibile avventura mi rimase solo un anello, era in oro con una placchetta nera in superficie con le nostre iniziali a forma di cuore incrociate, fu un regalo che ci facemmo il primo anno, pezzi unici forgiati da un artigiano olandese, promettendoci di non toglierlo e non cederlo mai a nessuno.

Ed eccomi oggi, quasi trent’enne, con un camper come casa e la mia attività al seguito, un food truck, grande come una roulotte per sei persone, modificato e acquistato a Parma.

Prima mi ero trasferito a Lecco, avevo lavorato in diversi ristoranti a Novara, Varese e Como, mi volevano bene tutti, ma non mi sentivo soddisfatto, mi piaceva far parte di una brigata, ma non mi piaceva essere un sottoposto, troppe pressioni in cucina e poi non sopportavo l’arroganza degli Chef, avevo messo da parte i soldi guadagnati con la musica e furono quelli che mi salvarono e mi diedero l’opportunità di finire gli studi e…altro!

Una sera uscendo dal ristorante di Como, una folata di vento a mulinello mi travolse,  riuscii a mettermi al riparo e mi ritrovai tra le mani un volantino, era la pubblicità di una Fiera a Parma dove venivano presentati modelli di automezzi adatti per la ristorazione mobile, nuovi e usati, quella notte non riuscii a dormire, ero alla ricerca di trovare la mia strada, poteva essere quella giusta, decisi di visitare la fiera.

E il giorno dopo…

…fu la giornata che cambiò tutta la mia vita!

– Come va oggi?

Ero in ospedale, pregavo e la guardavo, com’era bella, nonostante le ecchimosi sul viso fossero diventate viola, chiudendo gli occhi per un attimo, la rivedevo come la prima volta che l’avevo incontrata, una ragazza bella,  solare e piena di vita.

Adesso i suoi capelli biondi lunghi scendevano sulla copertina del letto d’ospedale inerti, gli occhi erano chiusi, ma conoscevo bene il loro colore, celesti come il mare, dai documenti della cartella clinica, ero venuto a conoscenza della sua età, trentuno anni, la mia stessa età, era in coma, respira solo con una mascherina e il suo corpo era avvolto in un vestaglia bianca come la neve attaccato a delle macchine che controllavano il suo stato di salute, avevo gli occhi velati dalle lacrime, sentii dei passi, alzai lo sguardo, era Nico il suo datore di lavoro, aveva un’agenzia pubblicitaria e lei aveva accettato di fare da promoter per un food truck di una compagnia inglese, era un brav’uomo, sui sessanta anni, venne alle mie spalle

– Non è stata colpa tua!

Era già passato un mese da allora, ma non riuscivo ancora a capacitarmi!

Quel giorno mi ero avvicinato a quel padiglione, l’ultimo della fiera…

… c’era tanta gente, bambini urlanti, venditori di ogni cosa, dai food truck fuoriuscivano profumi deliziosi, panini, patatine, sfogliatine, frittelle a ripetizione, fino a quel momento nulla mi aveva colpito, anche perché confesso non ero pienamente cosciente del perché fossi venuto, la giornata era fredda e nonostante i numerosi pannelli radianti accesi per emanare calore sia in basso che in alto appesi al soffitto, non si poteva passeggiare senza essere ben protetti tra i padiglioni.

Nulla mi aveva attratto veramente, la giornata era passata senza nessuna emozione, ero in procinto di allontanarmi dalla fiera, verso una delle uscite, notai un padiglione con i colori inglesi e una doppia bandiera enorme, quella inglese e quella americana, mi era di strada, mi incuriosì e quando mi avvicinai, la prima cosa che mi colpì, fu una ragazza, disinvoltamente vestita solo con una gonna e una camicetta invogliava le persone a visitare lo stand, la vidi batteva i denti, ma nonostante tutto elargiva un sorriso per tutti quelli che passavano vicini, anche per quelli che non rispondevano al suo invito, non so proprio perché lo feci, ma poco distante, c’era un piccolo bar montato su un automezzo, presi due cioccolate bollenti e

– Posso?

Era di spalle, si girò meravigliata

– Cosa?

Poi vide il boccale bollente, colmo di cioccolata con panna che le stavo offrendo

– Ma?

Le sorrisi

– Scusami, ti ho visto che battevi i denti…

Rispose al sorriso, prendendo il boccale

– Grazie, ma ci conosciamo?

– No, ma se è solo per questo, io mi chiamo Rino e tu?

Mi persi nei suoi occhi celesti, mi guardava incuriosita, mi stava analizzando

– Solitamente non sono mai così diretto, ma mi è venuto spontaneo, io qui coperto con cappotto, sciarpa e cappello come tutti qui dentro e tu…

Diventò rossa all’improvviso

– Spogliata?

Abbassai la testa, mi vergognavo, si è vero, l’avevo immaginata così

– …disinvolta!

Risposi…

…e sorridemmo, seguirono dei minuti imbarazzanti, sorseggiammo la bibita calda, mi ringraziò e ci sedemmo nei pressi dell’automezzo

– Mi chiamo Ivvy.

Un perfetto italiano con una inflessione straniera, spontaneamente

– Non sei italiana?

– No, sono irlandese e studio a Londra, il mese scorso ho risposto ad un annuncio di un’agenzia italiana per questo lavoro, il colloquio l’ho fatto a Londra, cercavano una ragazza inglese che conoscesse bene l’italiano, sai, questa Fiera è internazionale e la società produttrice di questi automezzi, voleva essere certa di raggiungere il maggior numero di persone di tutte le nazionalità, amo l’Italia e quindi ho colto l’occasione, mi veniva pagato alloggio e vitto per due settimane da trascorrere in Italia, oltre la Fiera, e tu?

Preso alla sprovvista con un grumo di cioccolata alla gola bollente

– Cosa?

Ero goffo, rosso dallo sforzo di ingollare quel grumo bollente

– Come mai sei qui?

Riacquistato un minimo di normalità mi resi conto che aspettava che parlassi, ma non avevo la risposta e così sinceramente

– Non lo so!

Non dimenticherò mai la sua espressione, era sbigottita, ma non aggiunse nulla, fummo distolti da una sirena

– La fiera sta per chiudere, riapre domani, devo andare, mettere in ordine, scusami, grazie per la cioccolata.

E si alzò, feci appena in tempo

– Ci vediamo domani?

Si girò contenta

– Se vuoi, io sarò qui!

Sorrisi

– A domani allora!

Quella ragazza mi aveva colpito, non riuscivo a chiudere gli occhi senza immaginarla, dormii pochissimo in attesa dell’alba ma il giorno dopo non potetti andare di mattina, fui chiamato da un avvocato per chiudere il rapporto di lavoro con l’ultimo ristorante, non potevo non andare, dovevano liquidarmi e quei soldi mi servivano  e solo nel pomeriggio inoltrato riuscii dopo aver definito la pratica con il mio ex datore di lavoro, accettai pur di andarmene via una somma lievemente inferiore a quella che mi doveva.

Presi l’auto e dopo due ore d’auto finalmente entrai in fiera, mi recai direttamente al suo padiglione, eccola, era la, stava parlando con una persona, mi vide, sorrise e i suoi occhi si illuminarono, aspettai poco distante e poi quando si allontanarono

– Pensavo che non saresti più venuto!

Fu sincera e io stupito e contento, aveva una sciarpa bianca al collo

– Scusami, sono stato impegnato, ma ce l’ho fatta!

Ero contento, mi stava aspettando, stranamente in questo secondo incontro ebbi l’impressione di un’aria familiare ma mi ripresi immediatamente pensando ad una sciocchezza, poi  fui distratto dall’avvicinarsi di una persona alle sue spalle, lei seguì il mio sguardo e lo vide, mi prese immediatamente per mano

– Venga le faccio vedere il food truck.

E mi trascinò verso l’automezzo, l’uomo

– Ivvy, non è possibile, tra poco suona la sirena di chiusura della fiera e dobbiamo andare.

Ma lei incurante delle sue parole

– Venga, le faccio vedere!

E così entrammo nell’automezzo

– Scusami, ma non potevo fare in altro modo, oggi è l’ultimo giorno della fiera, almeno qui non entrerà nessuno.

Non ascoltavo nulla, guardavo solo la sua bocca, era bella e a forma di cuore, rimasi incantato, mi venne un’idea

– Se vuoi ti aspetto fuori, nulla di impegnativo, mi farebbe piacere, andiamo a mangiare una pizza come due amici, conosco un posticino poco distante, è carino, è confortevole….

Mi fermò, con la sua mano appoggiandola sulla bocca, chiusi gli occhi per un attimo, mi piaceva quel contatto, poi li riaprii immediatamente, era meravigliata ma annuì contenta e uscimmo, mi feci da parte per farla uscire per prima e…

…tutto accadde in un attimo, un pannello radiante si staccò dalla cupola e la colpì di striscio, feci appena in tempo a rientrare nell’automezzo e poi la vidi lì per terra con il sangue che le usciva dalla testa, urlai e non si capì più nulla, dopo poco si sentì la sirena dell’autoambulanza!

Mentii spudoratamente in ospedale, con la mia auto seguivo l’autoambulanza in modo spericolato, entrò nel pronto soccorso era in codice rosso in sala operatoria, volevo seguirla, ma mi fermarono

– Lei è?

Immediatamente

– Il suo… fidanzato, fatemi andare, voglio vederla…

11 Novembre 2023 – Mistero ad Olbia. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Mi chiamo Luzio, sono in attesa su una panchina all’esterno dell’aeroporto di Napoli in scalo da Amsterdam e in partenza per Olbia, ho già imbarcato le valigie, con me ho solo una valigetta 24ore e ancora non riesco ancora a crederci, sarei ritornato ad Olbia dopo vent’anni!

A dieci anni mi ero trasferito con la mia famiglia, non avevo nessun parente in quella bellissima città, cinque anni fa i miei genitori, si diedero appuntamento in cielo a sei mesi di distanza, l’uno dall’altra, quando finì mia madre, mi disse “Non angustiarti, raggiungo solo tuo padre!” e così la mia famiglia era formato da un solo componente, il sottoscritto.

Mio padre e mia madre, erano originari di Pescocostanzo in Abruzzo, si dovettero trasferire in Sardegna per lavoro, passammo dieci anni in quella bellissima terra.

Sono sardo, si e amo quella terra, ma solo per nascita!

A ventidue anni, diplomato e poi laureato in marketing aziendale, alla Luiss di Milano, a venticinque in pista per una Grande Compagnia Olandese nel campo della Grande Distribuzione Organizzata, dopo per cinque anni, formatore e Responsabile del Controllo di Gestione per l’apertura di nuovi punti vendita, ho girato l’Europa, ero fidanzato con una hostess olandese, era statuaria, un metro e ottanta, capelli biondi, occhi celesti, ma nessuna voglia di formarsi una famiglia, solo sesso, sesso e sesso, non eravamo conviventi, nessuno dei due poteva permettersi di rimanere più di un certo periodo in un luogo, vista la possibilità economica di entrambi, quando passavamo dei giorni insieme, Gran Hotel e via con le danze.

Poi se ne accorse, volevo qualcosa di più, cercavo una stabilità, avevo trent’anni, fiutò il “problema” e con un sms, troncò la relazione.

Ci rimasi male, molto male!

Mi dedicai al lavoro, anima e corpo, non avevo orari, pochi riuscivano a tenermi testa, ma mai ho chiesto ad alcuno di tenere i miei ritmi, ma questo stato di cose, fu la mia rovina, i piani alti dei vertici aziendali ne erano a conoscenza.

Un giorno, sette giorni dopo la fine della mia relazione, fui convocato in Olanda dal Direttore Generale, ovvero, dall’unico proprietario della Compagnia, il mio animo mediterraneo mi consigliò di non utilizzare la compagnia aerea della mia ex, onde evitare aggressioni in volo con relativa denuncia alle autorità aeroportuali nei miei confronti, arrivai ad Amsterdam di prima mattina, in un albergo già prenotato da loro, ebbi l’intuizione che mi stesse per accadere qualcosa di importante, avevo una suite tutta per me, riposai senza disfare le valigie, già altre volte era capitato di ripartire dopo qualche ora, alle dieci venne un’auto della Compagnia a prendermi, dopo venti minuti ero al cospetto, dell’arci milionario Ernest

– Allora, com’è andato il viaggio?

– Bene, non mi posso lamentare, sono stato trattato nel migliore dei modi, non poteva essere altrimenti, vista la prenotazione fatta dalla Compagnia in prima classe da Roma per Amsterdam.

Sorrise, mi conosceva da cinque anni, era stato lui che mi aveva assunto, non rientrava nei suoi compiti, ovviamente delegava altri, ma quel giorno, quando mi sedetti davanti all’esaminatore, in risposta ad un loro annuncio sul Giornale delle GDO, fece spostare l’esaminatore e iniziò a valutarmi, una raffica di domande senza tregua, non sapevo minimamente chi era, ma l’ho capii alla fine, mentre per gli altri c’era un laconico “Vi faremo sapere”, con lui, fu totalmente diverso “Domani alle otto nel mio ufficio, al diciottesimo piano, sei assunto!”.

Mi alzai, intontito e meravigliato, gli altri erano più stupiti di me, compreso il capo del personale , il quale mi fece accomodare nel suo ufficio, per farmi firmare il contratto, quando lessi il frontespizio,”A tempo indeterminato” lo guardai stupito e lui “Questi sono gli ordini del proprietario”.

– Sono contento Luzio!

La cosa non mi convinceva, poche volte mi aveva chiamato così, sempre e solo di cognome, nei rapporti era impersonale e quelle poche volte che l’aveva fatto  erano incarichi speciali o difficili, quindi fui attentissimo, si alzò e accarezzò la fotografia della sua famiglia, in quella foto c’era la moglie e le sue quattro figlie, ci  teneva moltissimo e mi ricordo una volta che dovevo partire per il Portogallo mi disse “Sei fidanzato” – “No” – mi stupì – “Che aspetti? Di diventare vecchio senza famiglia?” risposi  “Aspetto il momento giusto e la persona giusta!”,  gli piacque e fece cadere il discorso.

– L’ultimo ipermercato in Inghilterra a Bristol funziona alla grande, la percentuale delle presenze, in soli tre mesi, è triplicata.

Aspettava

– Certo, avere un bacino di utenza superiore alle cinquecentomila persone mi ha aiutato molto.

– Vero! Ma con te alla guida è stata importante, per questo ti ho inviato lì dopo il misero fallimento dell’inaugurazione.

Qui gatta ci cova, pensai!

– Orbene, so che tra tre giorni inizi il prossimo corso per dieci neo-direttori, ma avrei una opportunità da proporti.

Ecco, ora arriva, in quale parte del mondo, sarò inviato, già sapevo da voci di corridoio e da notizie lette tra le righe dal Giornale delle GDO, il Gruppo voleva espandersi oltre manica.

– Il tuo stipendio attuale?

Aveva la mia cartellina davanti, l’avevo intravista

– Cinquemila euro netti escluso gli straordinari, al mese.

– Con?

– L’alloggio e niente spese per contratti delle utenze.

– Bene, da oggi e se dovessi accettare l’incarico, il tuo stipendio, sarà raddoppiato con tutti i benefici di cui già godi in più l’auto aziendale ti verrà regalata senza ulteriori oneri da parte tua  – così dicendo prese qualcosa dal suo cassetto – e mise le chiavi davanti a me,  era una chiave elettronica per auto, c’era lo stemma della mercedes.

Notizie simili, avrebbero stordito chiunque senza toccarlo, immaginate il sottoscritto in quel momento, ma il pensiero fisso era solo uno, cosa giustificava tutto questo ben di Dio?

Ma il mio self control, tenne, anche se dentro di me c’era tempesta forza nove.

Incassò, non aveva dubbi in proposito, mi conosceva piuttosto bene, quindi sapeva perfettamente a cosa stavo pensando, iniziò

– Tu sei sardo di origine?

Oddio e questo che c’entra?

-Si.

– Di dove?

– Olbia.

Inutile chiedere il perché, attendeva una mia domanda,  ma non gli diedi questa possibilità, volevo sapere dove voleva arrivare, lui capì, cambio strategia

– Circa dieci anni fa, acquistai un centinaio di ettari di terreno per dieci milioni di euro, alla periferia di Olbia lato mare, erano degli investimenti da portare in detrazione in bilancio, per mancati guadagni e inserire le perdite in sottrazione dagli utili.  Cinque anni fa, quella zona è stata dichiarata edificabile, come tutto il circondario e negli anni, sono sorti edifici e uffici pubblici dove prima c’era il nulla, quindi  decisi di iniziare un programma di investimenti nella zona e di far nascere un Centro Commerciale di tutto rispetto.

Girò una tavola e mi fece vedere il Centro Commerciale, qualcosa di mastodontico, grande come quello di Bristol, lo osservai con molta calma, lessi i numeri laterali in legenda, 120 negozi, 52 esercizi commerciali bevande, food, caffè, dieci pizzerie, personale diretto e indiretto della Compagnia 120 persone, Ufficio di direzione cinque persone.

Questa fu la nota stonata, stavolta lo guardai, in altri nostri Centri di grandezza minore, la direzione contava ben venticinque persone

– Notevole, un grande investimento per poco più di centocinquantamila persone tra Olbia e province.

Non sorrideva più, era molto serio

– Forse!

Poi sorridendo

– Giusta osservazione, non avevo dubbi! Bene, in questo nostro prodotto, stiamo testando una Gestione completamente rinnovata, tutta automatizzata a livello informatico e con l’aiuto della robotica.

Conoscevo il progetto, ma dalle ultime rilevazioni si era conclusa in una riunione di non considerare “maturi” i tempi di immissione sul mercato, in effetti era avveniristica, ma di fatto, ancora utopica, di certo molti non conoscevano questa nuova nascita e nemmeno io ero stato messo al corrente, ma questo era ininfluente, non ero certo io a capo di una Compagnia, con 250 ipermercati e circa diecimila dipendenti in busta paga, numeri che da soli fanno rabbrividire.

Aspettavo la stoccata finale

– La proposta ti meraviglierà, ma vorrei che diventassi il nuovo Direttore Responsabile di questo Centro Commerciale!

Eccola la, secca e precisa! E ora?

Se fosse capitata in altro momento, forse avrei avuto certamente delle remore ad accettare, se solo quella stronza non mi avesse trattato solo come un toy boy, avrei chiesto anche il perché, spostare una risorsa come me su un GDO di tutto rispetto, ma dove minimamente  la mia persona era indispensabile, non aveva senso farmi una proposta del genere, proprio adesso quando la Compagnia si stava preparando per entrare in campo negli Stati Uniti d’America, dove per poter sfondare ci volevano persone preparate e con gli attributi sotto e allora?

Ernest, stava sondandomi per capire, ma stavolta dovette desistere

– Cosa ne pensi?

Fui diretto quanto lo era stato con me

– I negozi non pagano?

– No

– Problemi con i dipendenti?

– No

– Con le società in sub appalto?

– No

– Allora non capisco!

Se l’aspettava, mi conosceva troppo bene dal punto di vista lavorativo, sapeva a cosa si riferiva la mia risposta e tutto il ragionamento che avevo fatto.

– Mi servi ad Olbia, in un anno di gestione ho perso due direttori dell’ipermercato.

Stavolta ero si stupito

– Licenziati?

– No, si sono suicidati!

10 Novembre 2023 – A.G.M. – Affetto Geneticamente Modificato. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

2022, otto anni dopo.

Sono all’aeroporto di Capodichino, devo fare solo due fermate, il tempo di passare a via Posillipo dal Notaio e al Cimitero Monumentale di Poggioreale.

Chi l’avrebbe mai detto?

Tornare a Napoli dopo otto anni passati negli Stati Uniti, mai avrei immaginato di trovarmi qui adesso, esco e l’afa del mese di giugno mi coglie impreparato…

già…

… oramai sono abituato a vivere in ambienti con l’aria condizionata a palla e tra un trasferimento e un altro in aerei dove bisogna indossare il golfino anche d’estate per le temperature basse nell’abitacolo.

Mi avvio verso la postazione dei tassì e dopo un attimo mi trovo a guardare con occhi diversi la mia città, già quella da cui mi sono allontanato dopo la morte della mamma, il cuore si stringe al suo ricordo, era una mattina di fine giugno, prossimo alla fine dell’anno scolastico e lei professoressa nel Liceo più conosciuto e invidiato di Napoli, la mattina mi aveva salutato dicendo

– Allora, nel fine settimana andiamo a Sorrento, sei con noi?

Disse rivolta verso mio padre, immerso nella lettura del giornale

– Alfio, mi hai sentito?

Spostò la pagina degli esteri

– Ma certo cara, andiamo a Sorrento!

Soddisfatta si rivolse verso di me

– E tu?

L’adoravo e nonostante la mia età, quasi ventidue anni, ero innamorato di quella donna, forte e energica quando ci voleva, dolce e mamma sempre

– Si mamma!

Venne per darmi un bacio sulla fronte

– Oggi…

– Vado a ritirare la tesi rilegata a Portici e la deposito in segreteria per la seduta di laurea, la prossima settimana.

Mi abbracciò

– Non posso crederci, hai bruciato tutte le tappe, e poi…

La guardai contento e riposi

-…si vedrà!

Solo allora mio padre spostò il giornale

– Lo sai che potrei darti una mano, vero!

Già, mio padre lavorava presso l’Ambasciata Americana a Napoli come addetto stampa, più volte mi aveva esortato a fare domanda per uno stage all’estero ed io gli avevo sempre risposto

“ Dopo la laurea.”

Ma adesso era il momento, ero prossima alla seduta di laurea, non potevo rimandare oltre

– Farò domanda papà!

Soddisfatto, si alzò e si diresse verso la sua scrivania, prese un foglio e me lo portò

– Se vuoi firma qui.

Lo guardai sorpreso e lui

– Ero certo che avresti accettato!

Vidi la mia richiesta già pronta e senza tentennamenti firmai.

Lui soddisfatto

– Verrà registrata oggi, auguri figlio mio.

Guardai mamma interrogativamente

– Sapevo già tutto!

Mi alzai per abbracciarli e poi come i grani del rosario uscimmo di casa in tre…

…non sapevo quella mattina che a fine della giornata…

… saremmo rimasti in due!

Nascosi il viso, le lacrime scendevano senza che io potessi fermarle, il tassista se ne accorse

– E’ da tanto tempo che manca da Napoli?

Era l’anima dei napoletani, il loto istinto, il desiderio di confortare una persona che sta piangendo seppur sconosciuta, annuii e lui soddisfatto

– E’ bella la nostra città, unica al mondo.

Non poteva sapere cosa mi stesse passando per la testa, ma era contento delle sue parole, lo lasciai fare, la prima fermata fu dal Notaio, chiesi di attendermi al tassista, il tempo di salire e ritirare delle chiavi e scesi, appena entrato

– Al Cimitero di Poggioreale per favore.

La sua faccia lasciva trasparire tutto il suo stupore, ma poi riprendendosi con una certa riverenza

– Subito, signore!

Quando arrivammo, guardai l’orologio non appena uscii dall’auto, avevo solo mezzora prima di prendere il prossimo aereo

– Potrebbe attendermi, ho un volo tra poco.

Stupito

– Già riparte?

Era leggermente deluso

– Si, mi attendono a Bari stamattina.

Aveva gli occhi stralunati

– Certo!

Volevo pagare in anticipo la corsa già effettuata, ma lui

– Mi offendete signore, ci vediamo dopo.

E mi aprì il cofano.

Presi una sacca delle due che avevo con me e non potetti fare a meno di guardarlo

– Posso aiutarla?

– No grazie, devo depositare una cosa e torno.

Quando arrivai alla Cappella della mia famiglia, non avevo più saliva, aprii con le chiavi e tolsi dalla sacca l’ulna con le ceneri di mio padre depositandole nella cripta di fianco a quella di mia madre, tutto era già stato scritto sulla lapide, cercavo di non guardare la tomba di lato, avevo paura di sentirmi male, poi mi feci coraggio e ad alta voce

– Ecco, era quello che avevi desiderato, riposare in pace vicino a lei!

Baciai le due lapidi, e

– Mi raccomando da lassù proteggetemi, adesso sono proprio solo!

Il ritorno verso l’aeroporto fu silenzioso e il tassista nulla mi chiese, ma quando fu il momento di pagare

– Dottore, pagatemi solo la prima corsa…

Rimasi stupito

-…quell’andata al Cimitero la offro io.

9 Novembre 2023 – Il “Principe” – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Roma stazione Termini.

Mai mi sarei aspettata quella raccomandata, ero certa che sarebbe stata solo una prova il partecipare al concorso in magistratura, che cavolo mi dicevo, ho solo venticinque anni e di certo ci saranno molti altri partecipanti più preparati di me.

Era un maxi concorso per 250 posti in tutta Italia, mio padre mi convinse e …

…dopo due mesi dal concorso mentre ero nel locale di mio padre a dare una mano, arrivò il postino e mi diede quella busta gialla indirizzata all’Avvocatessa Anna ……..

…mi tremavano le mani, aveva di sfuggita visto l’intestazione della busta

“Ministero di Grazie e Giustizia”

…mi trovai piegata in due per terra

– Anna che ti succede?

Non riuscivo a parlare, alzai solo la mano destra e mio padre prese il foglio, dopo poco

– Bambina mia, ce l’hai fatta!

Esclamò prima di abbracciarmi per terra, stavamo piangendo, ma fu solo un attimo, i miei occhi si rivolsero sulla mensola sopra la cassa, c’era una foto, era della mia mamma…

…guardai meglio…

…sembrava che sorridesse, strinsi ancora più forte mio padre

E lui

– Tua madre sarebbe orgogliosa di te, ma sono certo che da lassù sta esultando con noi.

Ecco!

Questo era quello che pensavo mentre ero in treno da Milano per Roma, ero stata convocata dal Ministero per conoscere la nostra destinazione di lavoro, dal documento si evinceva che ero la duecentoquarantaseiesima vincitrice…ma non mi importava nulla…avevo bruciato tutte le tappe della mia università e a solo ventitre anni mi ero laureata, partecipai l’anno successivo all’esame di stato e riuscii a vincerlo…

…e tutto questo perché mia madre era affetta da un male terribile e non volevo che lei non partecipasse alla gioia con me…

…e c’ero riuscita!

Ma…

… dopo la sua morte caddi in depressione, furono sei mesi terribili e mio padre tentò tutte le strade per farmi riprendere, lui non avrebbe voluto che l’aiutassi nel locale di mia madre, ma io ero  irremovibile, avrebbe voluto che aprissi uno studio legale, ma non volli e allora accettò solo dopo che avevo promesso di partecipare al concorso in magistratura.

Avevo promesso e non potevo non mantenere, anche se questo mi costava molto, di giorno lavoravo con lui al ristorante e di notte studiavo per il concorso…

…ma alla fine aveva avuto ragione lui, c’ero riuscita e a soli venticinque anni!

Avevo prenotato una camera nell’albergo più vicino, mi rinfrescai e scesi, quando arrivai al Ministero mi tremavano le gambe, all’ingresso c’erano i controlli della sicurezza, versai quelle poche cose che avevo dalla mia borsa e nelle tasche

– Signorina perché è venuta al Ministero?

Ero così assorta che non avevo sentito, poi

– Signorina?

Mi girai e c’era un signore sui cinquant’anni che aveva un foglio in mano

– Mi scusi?

– Di nulla, dovrebbe rispondermi…

5 Novembre 2023 – Iole. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

– Non se ne parla proprio…
Pausa
-…ma siete impazziti, cinquemila euro…ma è una miseria…
Pausa
– …ma che vuol dire che è piccolo…è un monolocale…si capisce che
è piccolo…o no…lo dice la parola…incredibile…
Pausa
-…basta!…la mia richiesta era di quindicimila euro, più che onesta,
ma visto che fate così i simpatici, se trovo qualcuno, mi
accontenterò anche di diecimila euro subito, addio.
Non avrei dovuto ascoltare, ma non potevo evitarlo, ero entrato in
quel bar solo perché avevo freddo, un bar molto grazioso, un
bancone pieno di dolciumi sulla destra entrando, poi subito dopo la
cassa e di fronte cinque piccoli separé con due sedie e un tavolino,
erano quasi tutti occupati e prima che qualcuno potesse
guadagnare il quinto separé mi fiondai, il tempo di sedermi un
cameriere sorridente
– Siete stato fortunato!
Lo guardai stupito, ma il suo sorriso mi disarmò, in un altro
momento mi sarei arrabbiato, invece
– Grazie.
La mia espressione stupita diceva altro, capì di essere stato
inopportuno e con aria professionale
– Gradisce qualcosa?
Mi rilassai
– Si, per cortesia una cioccolata calda e una cialda, grazie.
– Subito!

 

Con un perfetto dietrofront sparì!
Ero di pessimo umore, sradicato dalla mia città in ventiquattro ore,
nemmeno l’auto mi avevano fatto prendere “E’ la tua occasione,
vedrai”, solo una valigia con il necessario e poi imbarcato su un
aereo, destinazione “Aeroporto Orio al Serio di Bergamo”, quasi
svenivo, ero a millecinquecento chilometri da casa!
Ma chi me l’aveva fatto fare?
Figlio di un siciliano e di una toscana, mio padre era il proprietario
di un ristorante a Ragusa, mia madre una giornalista e fu proprio lei
ad inculcarmi le prime nozioni per il giornalismo e mio padre quello
della ristorazione, mia madre ci tenne particolarmente che non
prendesi l’accento siciliano d’accordo con mio padre, solo con gli
amici parlavo il siciliano che conoscevo molto bene, ma con gli altri
parlavo un perfetto italiano.
Da poco avevo festeggiato i miei trenta anni, ero un giornalista
investigativo e usavo uno pseudonimo “Lince”, con quello firmavo
gli articoli, ma uno di questi fu la causa del mio allontanamento
precoce dalla mia amata isola, alla ricerca di uno scoop, tanto
desiderato e voluto dal mio Direttore del giornale, era euforico, per
la prima volta avevano dovuto far ristampare le copie del giornale
perché terminato in tutte le edicole dell’isola.
La ragione?
Avevo scoperto un bidone di immondizia, una commistione, tra
politici e mafia con ramificazioni in tutto il territorio italiano, ed era
proprio per questo che mi trovavo all’altro capo della nazione,
dovevo ricercare, trovare e raccontare, il ramo sporco dei colletti
bianchi sul continente con l’aiuto dei servizi segreti italiani, solo loro
conoscevano la mia vera identità..
Come da istruzioni prima della partenza, all’arrivo seguii le persone
verso l’uscita, non eravamo in molti quella sera, una decina forse,
mi avevano detto che all’arrivo mi attendeva un auto e guardando

 

all’uscita vidi una persona con un cartello con solo un nome ”Alfio”,
mi avvicinai
– Sono io!
Mi squadrò, prese un tablet e dopo essersi rassicurato che ero
proprio io quella persona in fotografia
– Mi segua!
In auto, lui davanti e io dietro
– Sul sedile troverà una valigetta, dentro ci sono le istruzioni per la
sua permanenza qui, alloggerà per il momento in un appartamento
residence “La corte dell’angelo”, poi verrà contattato da un nostro
agente, buona permanenza.
Fine comunicazioni!
La sera dopo vennero, uno dei due era l’autista del giorno prima, mi
diedero nuovi documenti, mi chiamavo Vieri, nato a Firenze, era un
diminutivo di Oliviero “colui che possiede uliveti”, avevo un lavoro
presso la Gazzetta di………., come giornalista gastronomico e
trentamila euro in contanti, potevo utilizzarli come volevo, un tablet
per il resoconto giornaliero e due numeri di telefono cellulare per i
contatti con loro con un nuovo cellulare certamente intercettato da
loro, ci tennero a precisare che avevo carta bianca per le mie
ricerche, ma volevano essere messi al corrente di tutto quello che
poteva essere importante per l’indagini.
Erano di poche parole e nella mia mente li battezzai Flick e Flock!
Dai documenti nella valigetta venni a conoscenza che il soggetto
che stavamo cercando, per molto tempo era stato localizzato nei
paraggi di un quartiere della Bergamo alta ed era proprio lì che mi
diressi quella mattina ed entrai in quel bar.
Ero alla ricerca di un alloggio nelle vicinanze, ad onor del vero lo
cercavo in locazione, ma non mi sembrò vero ascoltare quella
telefonata, detto e fatto, con il giornale in mano mi affacciai al
separé e vidi una signora sulla sessantina che stava sbuffando….

(Totale 113 pagine)

(Ogni riferimento a persone, luoghi è frutto solo di fantasia)

…segue…
Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
Se interessato/a e vorresti continuare a leggere questo romanzo su qualsiasi supporto tecnologico, puoi richiederlo aggiungendolo al carrello.
Il costo? Irrisorio!
Solo 15 euro, è il costo di un aperitivo al bar per una persona, in cambio, tanta emozione, tanta avventura, amore e passione!
Per contatti e/o informazioni
www.isognidiaraldo.it
caparco.g@tiscali.it

4 Novembre 2023 – Tato – Sotto lo stesso tetto, ma non a letto. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Tato era il mio diminutivo, mia sorella me l’aveva affibbiato, era più piccola di me di cinque anni, non sapeva parlare, allora per chiamarmi, mi indicava con la manina e poi …Tato!

E dopo, anche in età adulta, invece di chiamarmi con il vero nome Antonio o con un diminutivo Nino, ero sempre per lei e per tutta la famiglia Tato e basta.

Non siamo stati molto fortunati, la nostra famiglia non navigava in buone acque, solo papà lavorava e mamma era casalinga, lui era quasi sempre lontano in viaggio e quindi abbiamo subito, si, subito, nostra madre, le sue ansie, le sue paure erano il miscuglio dei nostri caratteri.

Ancora oggi, il ricordo va a quell’estate, quando fui allontanato da casa, per il parto di mia madre e già all’epoca si partoriva in casa, non in ospedale o in una comoda clinica a pagamento, quindi fu l’occasione per inviarmi dai nonni, quando tornai dopo circa un mese, trovai questo fagotto che urlava e strepitava, faceva i suoi bisogni in continuazione, ma mai, mi fu data l’opportunità di familiarizzare, ero troppo piccolo dicevano e non si fidava di lasciarmela tenere in braccio da solo.

Passarono gli anni e tra noi nacque un tacito accordo, la lasciavo giocare con i miei trenini, ma sempre e solo quando ero presente, più d’una volta la trovai di nascosto con qualche autotreno giocattolo o altro, non amava molto le sue bambole, voleva imitarmi e io facevo finta di nulla.

Passarono gli anni, io alle medie e lei alle elementari, poi finito il ciclo dovevo passare alle superiori, avrei voluto fare il liceo classico, ma le condizioni economiche della famiglia non lo permettevano, dovevo fare qualcosa che mi avrebbe dato l’opportunità dopo cinque anni di lavorare e quindi fui iscritto contro la mia volontà ad un istituto tecnico, aspirazioni zero, non era adatta a me quella scuola, ma non avevo la possibilità di scegliere.

Lei iniziò le medie, poi il magistrale e io finalmente arrivai al diploma, e qui ci fu la svolta delle nostre vite, tragicamente, non avevamo un auto, mio padre per andare a trovare i suoi genitori utilizzava una macchina in affitto, si faceva trovare alla stazione per portarlo al paesello, quella volta complice un brutto raffreddore di mia sorella Evi, tra le nostre rimostranze, decisero di andare da soli, il guidatore prese una scivolata sul ghiaccio e i tre finirono in una scarpata molto profonda, persero la vita tutti.

E ci ritrovammo orfani, accolti a casa della nonna materna, donna energica e poco incline ai rapporti con due nipoti adolescenti, avevo intenzione di continuare a studiare, oramai con la maggiore età avrei potuto scegliere finalmente il mio corso di studi, ma nemmeno allora fu possibile, mia nonna era anziana, la sua pensione non bastava e quindi iniziai a lavorare, ovviamente in nero, nessuno ci diede una mano, lavoravo presso un cantiere edile, dove facevo di tutto, per la preparazione e la messa in opera dell’impianto elettrico degli appartamenti.

Non venivo pagato molto, ma alla fine della settimana consegnavo i soldi che mi venivano dati a mia nonna e lei provvedeva per il mangiare, il vestire e per lo studio di Evi e del sottoscritto.

Gli altri nonni erano ancora più indigenti e solo una volta all’anno, in prossimità del Natale, riuscivo ad organizzarmi per andarli a trovare, per il resto dei mesi, scrivevo delle lettere senza mai risposta, un loro vicino gliele leggevano, non sapevano ne scrivere, ne leggere.

Evi prima del diploma, iniziò ad avere dei dolori diffusi per tutto il corpo, era una donna oramai, non potendo scegliere si confidava con me, decisi che non poteva soffrire così e nonostante le proteste della nonna, la ricoverai nell’ospedale più vicino per delle indagini sul suo stato di salute, sei mesi durò, era affetta da una malattia incurabile e alla fine… mi ritrovai solo!

L’ultimo ricordo che ho di lei, fu il giorno della sua morte, ero nello stanzone dove era ricoverata

– Tato mi prometti una cosa?

Cercavo di non guardarla, stavo piangendo, mi feci forza

– Segui i tuoi sogni, me lo prometti?

Non volevo risponderle, avrei fatto di tutto per non vederla in quelle condizioni, ma lei imperterrita

– Me lo prometti Tato?

Feci cenno di si con la testa

– Non mi basta, devi dirmelo

Piangendo

– Si, te lo prometto!

E spirò!

Il dolore della sua perdita si impadronì di me, non riuscivo a connettere, ne a pensare, passai dei mesi totalmente assente, ma avevo promesso e ogni volta che mi recavo al cimitero, non potevo non pensare a quello.

Un pomeriggio d’estate mi ritrovai nei pressi di un fiume, l’acqua era alta e rumorosa, stavo accarezzando l’idea di lasciarmi andare, sarebbe stato tutto più semplice, ero tormentato e tentato, passai la notte sul riva, la mattina il sonno mi colse e fu liberatorio, sognai:

“Ero in una valle, vicino ad un fiume: “Signore, signore” dobbiamo andare, mi girai verso la voce e sorrisi alla bimba che avevo in braccio, due fari neri i suoi occhi mi stavano guardando e con la manina cercava di raggiungere la barba, poteva avere un anno o quasi, aveva sentito l’altra voce e cercava di girarsi, ma il sonno era più forte, mi sorrise e si abbandonò con gli occhi chiusi, con l’altra mano con l’indice sul mio naso feci segno a quella persona di non continuare, stavo ammirando un Angelo, il mio “Amore la prendo io”, due braccia si allungarono, non volevo lasciarla, vidi solo le braccia, una voglia di cioccolato sul braccio destro, le due mani a forma di conca e depositai il mio bene, alzai gli occhi per vederla.”

Mi svegliai!

Avevo freddo, si la tentazione era ancora forte, ma il sogno mi aveva distratto, inaspettatamente si alzò un venticello, un foglio di giornale volò per l’aria, chissà da dove proveniva, impattò le mie gambe, quel tocco inaspettato fu la mia fortuna, lessi il titolo, “Arruolamento volontario…”, la promessa, il sogno, il giornale.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.-.

Erano gli anni ’70 “Peace and Love”, tutti o quasi tutti i giovani, si sentivano impegnati in questa missione, c’erano due fronti giovanili nettamente distinti, quello violento e i non violenti, Dina faceva parte del primo fronte, laureata giovanissima, senza genitori, aveva deciso di operare la sua missione d’amore in Africa, era specializzata in medicina d’urgenza, chiese e ottenne di entrare a far parte di un’organizzazione umanitaria che seguiva i conflitti nel Corno d’Africa.

Non aveva orari, erano tre medici, pochi paramedici e una folla di persone da accudire, nonostante la sua giovane età, aveva visto di tutto, la notte aveva gli incubi, spesso non riusciva a dimenticare, quei volti, i loro corpi straziati e la loro fine certa la morte, poi aveva un segreto che la sconvolgeva ogni notte.

Venne chiamata dal primario, corse già vestita

– Dove devo andare?

Il primario, non rispose, si alzò e gentilmente l’accompagnò ad una sedia da campo vicino alla scrivania

– Non devi andare da nessuna parte!

Stupita

– Ma allora, perché mi avete fatta chiamare, ho dei pazienti a cui devo fare la terapia?

Era stanca, rispose con una certa rabbia in corpo, ma quando alzò gli occhi, non vide più il burbero primario, ma un padre, le stava porgendo una lettera chiusa

– Che cos’è?

E lui dolcemente

– Di tuo nonno!

…segue…

su

www.isognidiaraldo.it

 

3 Novembre 2023 – Il segreto di Adelmo. – Romanzo inedito di Araldo Gennaro Caparco

Quella settimana, al comune di Roccapinna, fu molto estenuante per me, finalmente arrivò il sabato e non vedevo l’ora di uscire dal lavoro

– Ragioniere, allora ci vediamo domani mattina?

Alzai la testa, ero distratto

– Si, certo! A domani mattina.

Invece di sorridere mi uscì una smorfia, per fortuna era già uscito dalla porta prima di notarla.

Chi aveva parlato?

Il mio capo era il ragioniere generale del Comune!

Roccapinna è un comune che se lo si cerca sulle cartine geografiche, spesso non si riesce a localizzarlo e non tutte le cartine lo riportano sulle colline marchigiane è un comune di duemilacinquecento abitanti, diviso in due frazioni,  sopralmonte e sottoalmonte, secoli fa il paese era solo sul monte, poi con l’industrializzazione, il dopo guerra, molti decisero di costruire in pianura e ora dopo decenni di migrazioni di famiglie, sopralmonte era abitato da trecento e due abitanti, anzi trecento e tre adesso, l’ultimo a risalire sono stato io, non per scelta ma per lavoro.

Prima abitavo con mia madre in pianura, lei viveva con la pensione di mio padre di reversibilità morto anni prima, ex operaio edile in tutta Italia, in effetti non avevo mai avuto una sede stabile, io e mia madre seguivamo lui e i cantieri dove andava a lavorare, quand’era in attività era molto ricercato, uno dei migliori nelle verifiche  e il coordinamento delle squadre di operai per la messa in opera del calcestruzzo, era salito al cielo troppo presto all’età di sessantasei anni, nemmeno il tempo di godersi qualche anno di pensione, sette infarti in una notte lo portarono via.

Mi chiamo Adelmo, nome troppo impegnativo per me ma era il nome del nonno paterno, ma tutti mi chiamano Dado, quando morì mio padre eravamo a Palermo da due anni, all’epoca mi ero diplomato in ragioneria e dopo ero sotto le armi a Cagliari in rafferma prolungata di tre anni, qualche anno dopo mia madre decise di tornare nella casa materna e quindi quando fui congedato tornai anch’io a Roccapinna.

Durante l’ultimo anno di militare partecipai ad un concorso in quel comune ed ora eccomi qui da due anni inquadrato come ragioniere addetto alle cartelle esattoriali inevase, ero sulla soglia dei trent’anni e visto che la sede del comune si era trasferita sottoalmonte, lasciarono gli uffici finanziari a sopralmonte, quindi per evitare di fare la spola decisi che era arrivato il momento di andare a vivere da solo e presi in locazione una casetta singola su tre piani, piccola ma confortevole.

Mi piaceva quel posto, non c’era la vita frenetica della cittadina, il silenzio era notevole ma i paesaggi colmavano quella tristezza che pervade quando si vive da soli, facevo lunghe passeggiate quando ero libero dal lavoro e covavo una passione segreta, portavo con me un notes e disegnavo quello che più mi colpiva.

L’invito del mio capo per la mattina successiva per mezzogiorno era dettato da una piccola competizione alla bocciofila locale, non erano molte le persone che conoscevo, ma avevo accettato lo stesso, non arrivai mai al palazzetto quella domenica!

Mi stavo preparando quando sentii il campanello della porta e…

…era mia madre con un grosso bustone giallo nelle mani!

– Ciao Dado, è arrivata questa busta per te.

Sorpreso

– Vieni mamma, ma che piacere, entra.

– No, non posso, ho la macchina fuori posto e poi mi aspettano in chiesa per il coro.

Stranamente, senza attendere nessuna risposta, sorridendo, girò le spalle e corse via, la seguii con gli occhi mentre entrava in auto e partì di corsa, quasi scappando, appoggiai la busta sul tavolo della cucina meravigliato dal suo comportamento  ma ancora di più curioso di vederne il suo contenuto, ma non so perché evitai di dare subito importanza, terminai di vestirmi, faceva freddo, eravamo ai primi di novembre e dalla televisione avevo saputo che erano in arrivo delle nevicate, non alle nostre altezze, ma nelle vicinanze, ero in procinto di mettermi la sciarpa, quando mi feci coraggio e aprii quella busta…

…c’erano delle cartine geografiche con delle parti colorate in rosso i bordi, poi alcuni documenti risalenti ad almeno una cinquantina di anni prima della mia nascita e alla fine un cartoncino con su scritto

“Al mio pronipote Adelmo con tutto il mio affetto e ricorda che: “La tradizione è memoria!”. Tuo prozio Adelmo”

Annesso al cartoncino con una graffetta un bigliettino

“Notaio Di Rinaldo – Pristina. Via Oleandri 12”

e a penna…

“L’aspetto lunedì 5 novembre 2020 alle ore 10.00 nel mio studio”

Firmato con sigillo rosso.

Ero a bocca aperta, poi tentai di capirci di più, ma per me quelle cartine geografiche non avevano nessun senso, telefonai a mia madre, ma il cellulare era spento, mi ricordai della messa, presi l’auto e l’aspettai fuori la chiesa  a sottoilmonte, eccola in uscita

– Mamma!

Si girò per nulla stupita dal vedermi, era in compagnia di un uomo, capelli brizzolati, ben vestito, si avvicinarono

– Ciao Dado, dimmi?

Guardai lei, poi l’uomo

– Sono Aldo un amico della mamma, finalmente ci conosciamo

E stese la mano.

Titubante risposi all’invito

– Dovrei parlarti!

Le dissi e lei

– Scusami Aldo ti raggiungo al ristorante…

E poi verso di me

– …andiamo a casa.

E fu così che venni a conoscenza, della sua amicizia con Aldo da oltre due anni era un  vedovo con una figlia sposata e due nipotini, quando ne parlava le si illuminarono gli occhi, poi mi parlò del mio prozio Adelmo, con la moglie aveva fatto ristorazione fino a pochi anni prima di ammalarsi, era un intenditore di vini ed era conosciuto per i suoi frequenti viaggi all’estero, cinque anni prima aveva perso la moglie e lei l’aveva accudito da quando era ritornata nella sua città natale.

Solo una settimana prima di partire per gli Stati Uniti aveva detto

“Ci vediamo al mio ritorno dopo l’operazione al cuore, ho un regalo …”…..

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.–.–.–.-.-.-.-.-.-.

Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
Se interessato/a e vorresti continuare a leggere questo romanzo su qualsiasi supporto tecnologico, puoi richiederlo aggiungendolo al carrello.
Il costo? Irrisorio!
Solo 15 euro, è il costo di un aperitivo al bar per una persona, in cambio, tanta emozione, tanta avventura, amore e passione!
Per contatti e/o informazioni
www.isognidiaraldo.it
caparco.g@tiscali.it