Archivio annuale 2023

4 Ottobre 2023 – Sognando per vivere – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Il cielo come ogni mattina era plumbeo, così diverso da quel cielo della mia terra, sempre azzurro e limpido, da casa mia potevo vedere le isole, con lo sguardo le accarezzavo, immaginandomi di fare un salto e trovarmi li,  in mezzo al mare o su una montagna a respirare aria limpida e salubre a pieni polmoni.

Invece!

Invece, eccomi qui, in una città, non la mia,  a mille chilometri di distanza, sono qui da un anno, lavori saltuari di ogni tipo, ma i miei risparmi si stanno assottigliando, la pensione dove abito non costa molto, ma per me, si!

Sono alla ricerca di un lavoro, certo ho trovato anche qualcosa, sono sopravvissuto, ma quel qualcosa non mi accontentava, avevo dei sogni e volevo realizzarli.

Come tutte le mattine, scendo al bar sotto casa e faccio colazione e pranzo, un cappuccino e un cornetto, la titolare è cinese Liu Jang, esperta sommelier così come attestato in numerosi quadretti alle pareti.

C’era molta gente quella mattina,  e già, le persone vanno di fretta di mattina per andare a lavorare, beati loro!

Lei e la sua aiutante sfornano in continuazione, caffè e cappuccini, non ho fretta, attendo, prendo il giornale e inizio a sfogliarlo.

Cosa sto cercando?

Un luogo per dormire! Leggevo gli annunci, non mi ero reso conto di Liu si era materializzata all’improvviso davanti a me

  • Ti ho visto sai, ecco il solito!

Mi risveglio dal torpore

  • Grazie Liu, sei un angelo.

Mi sorride con quella espressione buffa di tutti o quasi gli orientali, apre la bocca, sorriso a tutto denti, si arriccia il naso e gli occhi si socchiudono.

Mi piace guardarla così, lei lo sa

  • Cosa stai cercando? Lavoro?

Si, per la mia consuetudine giornaliera, conosce bene il mio problema

  • No, cerco casa a poco prezzo!

Si fa seria

  • Ti hanno cacciato?
  • No, per il momento, ma manca poco.

Con aria dispiaciuta si avvia al bancone Teresa la sta chiamando per la cassa, lascio raffreddare un poco il cappuccino e cerco di non perdermi neanche una briciola del cornetto, scorro gli annunci ma sono troppo cari per me, mentre sorseggio a piccoli sorsi il cappuccino, vedo arrivare Teresa

  • Liu ti vuole, vai al banco.

Sorpreso, con il cucchiaino prendo l’ultima nuvola d’aria di latte e mi alzo

  • Ascolta Mino, se non fossimo già in otto a casa, con mio marito i tre bambini e i genitori ti ospiterei, ma hai mai preso in considerazione di andare presso una famiglia che affitta una stanza?

Conoscevo questa coabitazione, ne avevo sentito parlare

  • Si, ma non saprei a chi domandare!

Si illuminò

  • Conosco una famiglia, posso parlarci io e se non è tardi troverai una sistemazione, due mesi fa tramite loro ho aiutato due ragazze, so che hanno un’altra stanzetta, il bimbo è piccolo e quindi potrebbe essere libera.
  • Grazie, ma se chiedono garanzie, io non ne ho per il momento.
  • Garantisco io, ora va, cerca un lavoro e io penso al resto.

Le ero riconoscente, avevo voglia di abbracciarla, ma non sapevo se potevo farlo, allora sorrisi come faceva lei imitandola, capì si fece una bella risata.

Mi aveva dato la carica, mi ero ripreso dal grigiore del mattino!

Avevo diviso la città in quattro rettangoli, il modo di operare era sempre lo stesso, cercavo lavoro nella ristorazione, era l’unica cosa che sapessi fare, ma quella mattina, decisi di fermarmi in ogni negozio, era l’ultimo rettangolo, dovevo trovare  assolutamente qualcosa.

Ero determinato, quelle porte sbattute in faccia non mi demoralizzarono, all’ora di pranzo, iniziai con i ristoranti, kebabberie, osterie, trattorie, pizzerie e fui fortunato!

“Osteria  da Davide” trattoria tipica.

Entrai nel locale gremito di persone, ne contai una cinquantina e vidi questo giovane con i capelli racchiusi in una coda di cavallo che si faceva largo tra i tavoli, carrozzine e sedie, portando dei piatti fumanti, chi lo chiamava, chi chiedeva dell’acqua, invece di stare ad aspettare alla cassa come facevo di solito con il mio foglio e il curriculum, mi avvicinai appena fu ad un passo da me

  • Ti serve una mano?

Non ci pensò due volte, mi squadrò

  • Certo!

Tanto mi bastava!

Mi tolsi giacca e cravatta, presi un grembiule di lato alla cassa e iniziai a ritirare dei piatti vuoti ad un tavolo, in tasca c’era un notes e presi l’ordinazione, così feci sistematicamente per altri tavoli vicini e senza dirci una parola ci dividemmo in due la sala e i tavoli e li servimmo in perfetta sintonia.

Una signora si affacciò quando depositai l’ennesimo biglietto

dell’ordinazione, stupita

  • E tu chi sei?

Di rimando, lo indicai

  • Aiuto lui!

Sorrise e continuammo.

Erano le 16.00, quando servimmo l’ultimo, continuai nello sparecchiare i tavoli, poi arrivò la signora , mi passò il tovagliato pulito e dopo aver pulito dei residui i tavoli, con il giovane iniziammo ad apparecchiare per la sera

  • Ciao io sono Davide.
  • Io Mino.

Il tutto sempre lavorando

  • Ci sai fare!
  • Grazie, cerco lavoro!

Si fermò

  • Di che tipo?
  • Di tutto, nella ristorazione.
  • Cameriere?
  • Certo!

Iniziai a pulire a terra.

Mi piaceva questa discussione, tra una tovaglia e le posate da mettere, Davide mi stava studiando lo vedevo, imperterrito continuavo, con un occhio al lavoro e l’altro in cucina dove era andato

  • Vieni Mino, ti presento mia madre.

Andammo in cucina, ordinatissima, fui presentato, c’era la signora Amelia e due indiani

  • Ti ho visto, mio figlio mi ha detto che cerci lavoro, avremmo pensato di tenerti da oggi in prova fino a sabato, servizio pranzo e cena, cinquanta euro al giorno compresi i contributi.

Non urlai in quel momento di gioia solo per non farmi internare, certo non era sicuro, ma era qualcosa, toccava a me farmi apprezzare

  • Accetto, grazie!
  • Ci vediamo alle 18.00.

Amelia mi diede un pacco

  • Ecco ti ho messo qualcosa da mangiare, certamente avresti voluto mangiare prima, ma poi ti sei messo a lavorare.
  • Grazie ma non dovevate.
  • Di nulla, a stasera.

Davide mi accompagnò

  • Se mamma è contenta come lo sono io, hai trovato lavoro.

Avevo le ali ai piedi, mi avviai di buon passo e volevo condividere con qualcuno, andai da Liu, fu contenta, mi misi in un tavolino in disparte e divorai tutto, mi stava aspettando disse, avevamo un appuntamento per la stanza.

Alla fine, ci avviammo, conobbi la famiglia erano delle brave persone, vidi la stanza, un letto a ponte, piccola era piccola, ma non mi interessava, chiesero trecento euro, ma chiudemmo a duecentocinquanta al mese, quando scendemmo non potetti fare a meno di abbracciarla, rimase meravigliata

  • Grazie, grazie, se tutto va bene sabato pago il primo mese in anticipo.
  • Non ho fatto nulla, ma mi ha fatto piacere il tuo abbraccio, benedetto ragazzo.

2 Ottobre 2023 – Aurora. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Napoli, stazione dell’alta velocità.

Il marciapiedi è semi vuoto, sto aspettando la visualizzazione sui monitor per il numero delle carrozze ed è in quel momento guardandomi intorno che la noto, poco più in la, una ragazza con due valigie, arranca sul marciapiedi, una più piccola maneggevole e l’altra più grande, a vederla sembra molto pesante, riesce comunque a trasportarle nonostante una borsa a tracolla, che gioca a fare l’altalena davanti e dietro al suo corpo, lasciandola senza fiato.

Alta, quasi come me, un metro e ottanta circa, molto magra al contrario del sottoscritto, capelli neri a caschetto, età sui venticinque anni circa, pantaloncini neri, maglia bianca, fantasmini rosa e scarpe da ginnastica dello stesso colore.

Ecco i numeri si visualizzano sui monitor, la vedo, siamo ad uno scompartimento di distanza, ma con due classi diverse, lei in prima ed io in smart, arriva il treno, tre minuti la sosta per poi ripartire, la perdo di vista un attimo, entro con il mio trolley ma mi fermo sulla soglia, l’appoggio a terra e ridiscendo, lei non c’è più, ma la valigia grande è lì, non vedo nessuno vicino, istintivamente mi avviò all’ingresso del suo vagone, guardo dentro, eccola sta trafficando con la prima valigia senza rendersi conto che il treno sta per partire

– Attenta!

Colpita, dalla mia voce, quasi urlò girandosi all’improvviso, sbilanciandosi

– Ma che succede?

Giusto il tempo per tirare il piede dentro, la porta del treno si rinchiude e tragicomicamente mi trovo spiaggiato tra i gradini di ingresso e in mano ancora stretto il valigione, portato in salvo dentro al vagone

– Non ti sei resa conto che il treno stava partendo?

Mi guarda meravigliata, gli occhialoni scuri da sole si abbassano sul nasino rivelando due occhi azzurri come il colore del mare

– No, mi dispiace! Vieni, ti aiuto.

Sbloccato finalmente da quella scomoda posizione, l’accompagno al posto nel suo scompartimento seguendola, mi guarda divertita

– Grazie.

– Di nulla, io mi chiamo Rino e tu?

– Aurora.

Non avevo voglia di andare via, l’aiutai a sistemare i bagagli, sul vano superiore

– Se dovessi aver bisogno di qualcosa, sto nell’altro scompartimento.

La vidi per un attimo smarrita, si guardò intorno, il suo vagone era semivuoto e inaspettatamente

– Perché non vieni qui?

Stavolta fui io ad essere stupito, ma l’idea mi piaceva, sorrisi

– Ora vedo se è possibile!

– Ma è vuoto?

– Si, è vero, ma è una classe diversa, vedo se è possibile.

– Grazie allora.

Le strinsi la mano, ma nessuno dei due aveva intenzione di lasciarla alla fine ci riuscimmo, mi feci undici vagoni prima di trovare il capotreno, gli spiegai la mia intenzione di cambiare classe e lui dal cellulare, vide un solo posto disponibile, il quindici, ed era proprio quello di fronte a lei, lo presi, pagai la differenza e tornai, stava leggendo o almeno così mi pareva, si illuminò vedendomi, contenta

– Ci sei riuscito?

– Si, è stata una fortuna, ho parlato con il capotreno e pagato la differenza.

Stupita

– Ma, era necessario?

– Non sarei stato capace di fare altro, sai sono figlio di un ferroviere e mi sarei sentito in imbarazzo in un posto non mio e di una classe diversa senza averne titolo.

Aggiustai il mio trolley mentre lei mi guardava, sempre più incuriosita

– Viaggi leggero?

Non era un’affermazione, ma una domanda

– Si, sto andando a fare un colloquio di lavoro.

Interessata

– Che lavoro fai?

Mi divertiva questo dialogo tra sconosciuti

– Ufficialmente sono un geometra, ma per diletto cucino.

Meravigliata, sorridendo

– E quale dei due lavori è impegnato in questo tuo viaggio?

– Entrambi!

30 Settembre 2023 – Il faro di Ondina! – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

La mia vita scorreva e sbagliavo e continuavo a sbagliare, come tutti cercavo sempre la gratificazione negli altri, ma al momento, non sono riuscito ancora ad ottenerla!

Ma dico? E’ mai possibile che noi dobbiamo adeguarci e gli altri devono solo giudicare?

Ho trenta anni, non sono un adone, per cinque anni ho cercato di accontentare una donna, ma mai l’ho vista contenta, si, quei pochi minuti di attività sessuale che ogni tanto mi concedeva, si, mi concedeva, perché toglietevelo dalla testa la frase fatta “l’uomo comanda”… è una bugia, non ha mai comandato, punto!

E sempre lei che comandava, lei che ordinava e tu ad eseguire per farla contenta e lo fai con lei, lo fai con i tuoi genitori, lo fai con il tuo datore di lavoro, mai per te stesso!

Per oltre dieci anni ho lavorato nel campo informatico, sono diplomato, poi ho acquisito una mini laurea con un Master in tecnologie avanzate e nell’A.I., l’intelligenza artificiale, ed è stata proprio quest’ultima che mi ha portato alla rovina.

Costi esorbitanti per i programmi, commesse oltre manica con ritardati pagamenti, avevo una visone particolare, volevo “umanizzare” i robot, l’idea piacque a tutti, tranne nello scucire i soldi che servivano per sviluppare il software necessario, quello era il mio compito, sviluppatore, ma cosa mai avrei potuto sviluppare, se non avessi avuto quei programmi che mi servivano per mettere a punto una strategia da utilizzare poi nella programmazione del robot?

Quindi, convinto della mia idea, iniziai ad anticipare, indebitandomi fino al collo, forte però della promessa dei finanziatori esteri di coprire le spese a trenta, sessanta, novanta giorni.

Ma ciò non avvenne!

Ed io?

Mi trovai, in mutande!…

…segue…

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29 Settembre 2023 – Tato – Sotto lo stesso tetto, ma non a letto. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Tato era il mio diminutivo, mia sorella me l’aveva affibbiato, era più piccola di me di cinque anni, non sapeva parlare, allora per chiamarmi, mi indicava con la manina e poi …Tato!

E dopo, anche in età adulta, invece di chiamarmi con il vero nome Antonio o con un diminutivo Nino, ero sempre per lei e per tutta la famiglia Tato e basta.

Non siamo stati molto fortunati, la nostra famiglia non navigava in buone acque, solo papà lavorava e mamma era casalinga, lui era quasi sempre lontano in viaggio e quindi abbiamo subito, si, subito, nostra madre, le sue ansie, le sue paure erano il miscuglio dei nostri caratteri.

Ancora oggi, il ricordo va a quell’estate, quando fui allontanato da casa, per il parto di mia madre e già all’epoca si partoriva in casa, non in ospedale o in una comoda clinica a pagamento, quindi fu l’occasione per inviarmi dai nonni, quando tornai dopo circa un mese, trovai questo fagotto che urlava e strepitava, faceva i suoi bisogni in continuazione, ma mai, mi fu data l’opportunità di familiarizzare, ero troppo piccolo dicevano e non si fidava di lasciarmela tenere in braccio da solo.

Passarono gli anni e tra noi nacque un tacito accordo, la lasciavo giocare con i miei trenini, ma sempre e solo quando ero presente, più d’una volta la trovai di nascosto con qualche autotreno giocattolo o altro, non amava molto le sue bambole, voleva imitarmi e io facevo finta di nulla.

Passarono gli anni, io alle medie e lei alle elementari, poi finito il ciclo dovevo passare alle superiori, avrei voluto fare il liceo classico, ma le condizioni economiche della famiglia non lo permettevano, dovevo fare qualcosa che mi avrebbe dato l’opportunità dopo cinque anni di lavorare e quindi fui iscritto contro la mia volontà ad un istituto tecnico, aspirazioni zero, non era adatta a me quella scuola, ma non avevo la possibilità di scegliere.

Lei iniziò le medie, poi il magistrale e io finalmente arrivai al diploma, e qui ci fu la svolta delle nostre vite, tragicamente, non avevamo un auto, mio padre per andare a trovare i suoi genitori utilizzava una macchina in affitto, si faceva trovare alla stazione per portarlo al paesello, quella volta complice un brutto raffreddore di mia sorella Evi, tra le nostre rimostranze, decisero di andare da soli, il guidatore prese una scivolata sul ghiaccio e i tre finirono in una scarpata molto profonda, persero la vita tutti.

E ci ritrovammo orfani, accolti a casa della nonna materna, donna energica e poco incline ai rapporti con due nipoti adolescenti, avevo intenzione di continuare a studiare, oramai con la maggiore età avrei potuto scegliere finalmente il mio corso di studi, ma nemmeno allora fu possibile, mia nonna era anziana, la sua pensione non bastava e quindi iniziai a lavorare, ovviamente in nero, nessuno ci diede una mano, lavoravo presso un cantiere edile, dove facevo di tutto, per la preparazione e la messa in opera dell’impianto elettrico degli appartamenti.

Non venivo pagato molto, ma alla fine della settimana consegnavo i soldi che mi venivano dati a mia nonna e lei provvedeva per il mangiare, il vestire e per lo studio di Evi e del sottoscritto.

Gli altri nonni erano ancora più indigenti e solo una volta all’anno, in prossimità del Natale, riuscivo ad organizzarmi per andarli a trovare, per il resto dei mesi, scrivevo delle lettere senza mai risposta, un loro vicino gliele leggevano, non sapevano ne scrivere, ne leggere.

Evi prima del diploma, iniziò ad avere dei dolori diffusi per tutto il corpo, era una donna oramai, non potendo scegliere si confidava con me, decisi che non poteva soffrire così e nonostante le proteste della nonna, la ricoverai nell’ospedale più vicino per delle indagini sul suo stato di salute, sei mesi durò, era affetta da una malattia incurabile e alla fine… mi ritrovai solo!

L’ultimo ricordo che ho di lei, fu il giorno della sua morte, ero nello stanzone dove era ricoverata

– Tato mi prometti una cosa?

Cercavo di non guardarla, stavo piangendo, mi feci forza

– Segui i tuoi sogni, me lo prometti?

Non volevo risponderle, avrei fatto di tutto per non vederla in quelle condizioni, ma lei imperterrita

– Me lo prometti Tato?

Feci cenno di si con la testa

– Non mi basta, devi dirmelo

Piangendo

– Si, te lo prometto!

E spirò!

Il dolore della sua perdita si impadronì di me, non riuscivo a connettere, ne a pensare, passai dei mesi totalmente assente, ma avevo promesso e ogni volta che mi recavo al cimitero, non potevo non pensare a quello.

Un pomeriggio d’estate mi ritrovai nei pressi di un fiume, l’acqua era alta e rumorosa, stavo accarezzando l’idea di lasciarmi andare, sarebbe stato tutto più semplice, ero tormentato e tentato, passai la notte sul riva, la mattina il sonno mi colse e fu liberatorio, sognai:

“Ero in una valle, vicino ad un fiume: “Signore, signore” dobbiamo andare, mi girai verso la voce e sorrisi alla bimba che avevo in braccio, due fari neri i suoi occhi mi stavano guardando e con la manina cercava di raggiungere la barba, poteva avere un anno o quasi, aveva sentito l’altra voce e cercava di girarsi, ma il sonno era più forte, mi sorrise e si abbandonò con gli occhi chiusi, con l’altra mano con l’indice sul mio naso feci segno a quella persona di non continuare, stavo ammirando un Angelo, il mio “Amore la prendo io”, due braccia si allungarono, non volevo lasciarla, vidi solo le braccia, una voglia di cioccolato sul braccio destro, le due mani a forma di conca e depositai il mio bene, alzai gli occhi per vederla.”

Mi svegliai!

Avevo freddo, si la tentazione era ancora forte, ma il sogno mi aveva distratto, inaspettatamente si alzò un venticello, un foglio di giornale volò per l’aria, chissà da dove proveniva, impattò le mie gambe, quel tocco inaspettato fu la mia fortuna, lessi il titolo, “Arruolamento volontario…”, la promessa, il sogno, il giornale.

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Erano gli anni ’70 “Peace and Love”, tutti o quasi tutti i giovani, si sentivano impegnati in questa missione, c’erano due fronti giovanili nettamente distinti, quello violento e i non violenti, Dina faceva parte del primo fronte, laureata giovanissima, senza genitori, aveva deciso di operare la sua missione d’amore in Africa, era specializzata in medicina d’urgenza, chiese e ottenne di entrare a far parte di un’organizzazione umanitaria che seguiva i conflitti nel Corno d’Africa.

Non aveva orari, erano tre medici, pochi paramedici e una folla di persone da accudire, nonostante la sua giovane età, aveva visto di tutto, la notte aveva gli incubi, spesso non riusciva a dimenticare, quei volti, i loro corpi straziati e la loro fine certa la morte, poi aveva un segreto che la sconvolgeva ogni notte.

Venne chiamata dal primario, corse già vestita

– Dove devo andare?

Il primario, non rispose, si alzò e gentilmente l’accompagnò ad una sedia da campo vicino alla scrivania

– Non devi andare da nessuna parte!

Stupita

– Ma allora, perché mi avete fatta chiamare, ho dei pazienti a cui devo fare la terapia?

Era stanca, rispose con una certa rabbia in corpo, ma quando alzò gli occhi, non vide più il burbero primario, ma un padre, le stava porgendo una lettera chiusa

– Che cos’è?

E lui dolcemente

– Di tuo nonno!

Di colpo un flash, due anni prima quando aveva detto a suo nonno e unico parente la decisione di entrare a far parte di un gruppo di medici in partenza per l’Africa, abbracciandola

– Fai bene bambina mia, potrai alleviare le pene di tante persone, metterai a disposizione il tuo sapere aiutando gli altri, sono fiero di te.

Lei meravigliata, si aspettava proteste, preghiere per dissuaderla, ma lui l’aveva spiazzata, poi aggiunse

– Dovrai avere molto coraggio, la tua non è una passeggiata nel paradiso, ma vai verso l’inferno, di sofferenze e di pianti, sii forte con te stessa, non perdere mai il tuo obbiettivo e il Signore ti darà la forza di andare avanti.

Rispose al’abbraccio, stringendolo forte, mai si sarebbe aspettata da un uomo rude come lui, tante belle parole, lo aveva visto sempre come una roccia, conduceva nella sua piccola fattoria, una vita semplice, dopo aver lavorato per anni, alla funivia di Lona 2000 metri, stava godendosi il meritato riposo e solo con il suo aiuto, dopo la morte dei genitori, era riuscita a laurearsi, da sola non ce l’avrebbe mai fatta

– Ti chiedo solo una cosa, quando la luna sarà piena, rivolgi una preghiera per me al Signore ed io farò altrettanto per te.

Stava piangendo, non riusciva a sciogliersi dall’abbraccio

– Te lo prometto nonno!

E partì!

La lettera era piegata, la prese con la mano tremolante

– Conoscete già il contenuto?

Fece di si con la testa e la lasciò da sola, prima ancora di aprirla guardò fuori, la luna era enorme e solo la sera prima quando divenne alta nel cielo, aveva pregato per il nonno

“Cara bambina,

sii forte, sono tre lune che non esco da casa, sono ammalato, pensavo di recuperare e non volevo farti preoccupare, ma oggi, lo specialista che mi tiene in cura domiciliare, su mia richiesta mi ha dato la diagnosi.

Sono in partenza, tra non molto raggiungerò tua nonna, non potevo non fartelo sapere…”

Si fermò non riusciva continuare, si fece forza

“…non ti devi preoccupare per me, sono assistito e con la terapia del dolore, alleviato nei momenti critici, sono stato sempre leale con te, ma il mio appuntamento con le lune è saltato e mi manca.

Continua la tua opera, volevo solo farti sapere che ti voglio un bene immenso, non piangere, un abbraccio.

Tuo nonno”

E avvenne il crollo, il corpo sussultava e le lacrime non bastarono più, la notizia l’aveva fatta realizzare che avrebbe perso l’unico suo grande affetto rimasto, piegò con meticolosità la lettera, la baciò e si girò, c’era il primario che stava dietro di lei

– So come ti senti, capisco il tuo dolore, tutti noi ti siamo grati per quello che hai fatto in questi due anni da giovane specializzata inesperta, oggi saresti in grado di dirigere un ospedale d’urgenza, sei combattuta, ne sono pienamente cosciente, sai quanto lavoro c’è qui da fare, siamo sott’organico e tu lo sai.

E lei timidamente

– E’ mio nonno, l’unico affetto, l’unico rimasto!

Le andò vicino

– Non sei in grado di decidere da sola, abbiamo deciso noi per te, c’è un aereo in partenza per l’Italia a venti minuti dal nostro campo base, ti riporterà a casa, noi siamo qui, ci dispiace, ma è il meno che possiamo fare per ringraziarti, i vertici si sono già messi in contatto approvando la nostra decisione è giusto così.

L’abbracciò

– Grazie, grazie.

E dopo poche ore scese all’aeroporto di Bergamo, dove trovò in attesa una jeep messa a disposizione dalla ONG per lei.

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Da quel foglio di giornale sulla mia gamba ad oggi, sono passati cinque anni!

Il primo anno fu durissimo, ma non mi interessava, il duro allenamento, i compagni dispettosi di leva, i superiori arroganti e razzisti, non mi toccavano per nulla, era l’unico modo per non pensare a lei, alla mia adorata sorella e alla sua fine prematura, da giovane mediterraneo mi ritrovai in mezzo alla neve ed ai ghiacciai, dove il cielo non era sempre blu, dove il vento sferzava nella garitta quando ero di servizio di guardia e le pareti di due metri e mezzo di neve, facevano da protezione al camminamento nel servizio alla polveriera distante trenta chilometri dalla caserma.

Cercavo i turni più massacranti, presi il brevetto di pilota d’elicottero, quando gli altri non volevano fare dei servizi notturni e si auto procuravano dei forti mal di pancia mi rendevo sempre disponibile a sostituirli, mangiavo poco e male, eravamo una compagnia molto variegata, c’erano tra di noi pochi in ferma volontaria, giovani che avevano tentato di tutto per non fare il servizio militare, ex spacciatori, renitenti alla leva per studio, gocce di umanità varia, eravamo cento da tutte le regioni italiane.

Avevamo una paga giornaliera e il sabato era l’unico giorno che decidevo cosa mangiare e dove, mi ricordo bene la prima volta che entrai in quel ristorante, era distante dalla caserma, c’erano solo tre persone, avevo capito già da tempo che non eravamo i benvenuti e entrare con la divisa voleva dire avere subito tutti gli sguardi delle persone, ma avevo fame, erano due giorni che avevo saltato pranzo e cena, solo la colazione ero riuscito di mala voglia ad accettare, caffè annacquato, latte annacquato nella patria del latte in mezzo alle montagne ai confini tra l’Italia e l’ Austria.

Incurante degli sguardi, forte della paga in tasca, venne una signora che stranamente mi sorrise, era rarissimo

– Desidera?

– Vorrei quattro uova ad occhio di bue!

Il notes e la penna caddero dalle mani

– Forse non ho capito bene…

Sempre molto serio

– No, è proprio così, quattro uova ad occhio di bue, del pane e un quarto di vino rosso, grazie.

Inutile dire che feci la festa alle uova tra lo stupore di tutti, non mi interessavano i loro sguardi, quando alla fine dopo la frutta chiesi il conto, la signora venne con un fagotto in mano

– Non so chi sei, ne da dove vieni, ma ti ho osservato bene, nonostante la gran fame, hai gustato con tutta calma ed educazione, nulla ti ha distratto, ho visto il tuo sguardo quando ti ho portato le uova e lo conosco bene, oggi sei stato nostro ospite, tieni questo è per te.

Ero meravigliatissimo, mai mi sarei aspettato una cosa simile, qui, in quella città, la stessa dove solo la settimana prima, in un bar mi avevano negato un bicchiere d’acqua e un caffè, perché detto in italiano, ma non mi persi d’animo, i miei compagni, in particolare Romolo di Roma e Flavio di Udine “Lascia stare, ora traduco io” mi disse, lo fermai “Flavio tu non farai nulla di questo, ci provo per la terza volta” e dissi “per piacere, tre caffè e dell’acqua, grazie” ad alta voce, nulla! Allora dissi a Romolo di andare fuori alla cabina e di chiamare l’ufficiale di picchetto, mi guardò strano “Che hai detto?”, – “Fallo a nome mio, io aspetto qui, non mi muovo” – “Tu sei pazzo!” ma uscì dopo un quarto d’ora arrivò il picchetto un sottufficiale e due militari.

Appena entrarono, tutti zittirono, noi tre ci mettemmo sugli attenti con un perfetto colpo dei tacchi degli anfibi, spiegai il perché della chiamata, sapevo bene chi era l’ufficiale di picchetto, era di Napoli, con una tranquillità estrema e una rabbia repressa, si appoggiò al bancone “Per piacere sei caffè e dell’acqua, grazie” immediatamente il barman eseguì l’ordine, ma quando arrivarono i sei caffè “Perché non avete servito prima quello che vi era stato richiesto?”, lui diventò rosso e in tedesco rispose “Non ho sentito!”, lasciammo i caffè al banco senza consumare nulla, telefonò in caserma e dopo al proprietario che era accorso, senza alzare la voce “ Dite ai vostri avventori di uscire!”- voleva replicare ma non gli diede il tempo, il tempo dell’ultimo cliente, arrivò un auto della polizia con un ordinanza di chiusura per un mese del locale pubblico, firmato dal Prefetto da affiggere all’esterno del locale “Per comportamento scorretto nei confronti delle forze militari presenti in città”.

Ecco cosa era successo, è questa era l’aria che respiravamo ogni giorno all’esterno, quindi il suo gesto per me aveva una validità notevole, volli comunque pagare e da quel giorno era il mio appuntamento fisso del sabato.

Nei due anni successivi, accadde di tutto, tralicci che saltavano con cariche di esplosivi, attentati dinamitardi a treni delle ferrovie italiane e noi, che eravamo in prima linea, passavamo giornate intere, pronti a muoverci con i camion e raggiungere luoghi da perlustrare o da salvaguardare, nel frattempo mi ero iscritto all’università, volevo mantenere la promessa fatta a mia sorella e anche coronare un mio sogno, ma era dura, avevo scelto Legge, ero diventato prima caporal maggiore, poi sergente in ferma indeterminata, quando un giorno mi mandò a chiamare il colonnello comandante, sicuro di non aver commesso nessun reato, mi recai alla palazzina comando lo stesso, con una certa ansia

– Allora, l’ho fatta chiamare, perché devo porle una domanda.

Ero sugli attenti, sulla porta

– Comandi!

– Riposo.

Mi rispose, mentre si avvicinava, incuteva timore

– Lo sa che a fine anno lei potrebbe congedarsi.

– Si, signore.

– Lo sa che è nostra prerogativa, mantenerla in servizio comunque.

– Si, signore.

Iniziai a tremare, dove voleva arrivare

– Quando ho letto le sue note caratteristiche, sono rimasto meravigliato dai commenti dei suoi superiori…

Pausa

– …e quando ho dato la libertà di scelta ai comandanti di compagnia di fornirmi un nome, tutti, nessuno escluso hanno fatto il suo nome…

Aspettava, ma sapeva bene che conoscevo il regolamento, che vietava di rispondere se non comandato a farlo

– Ho avuto pressioni da ogni parte, raccomandazioni, politici, prelati, addirittura un cardinale, mi da una spiegazione del perché tutti hanno fatto il suo nome?

Non sapevo cosa dire, ma dovevo rispondere, mi venne spontanea la prima cosa che volevo sapere

– Per cosa?

Era la risposta giusta. Lo capii

– Giusto, volevo sapere se eravate a conoscenza e se avevate fatto pressioni per candidarvi, ma ora ho la certezza che è stata una scelta precisa senza il vostro intervento, ora faccio una domanda precisa e voglio una risposta precisa, o si o no.

Si piantò di fronte a me guardandomi negli occhi

– Il nostro reggimento ha avuto la facoltà di inviare al Corso per la Scuola Ufficiali a Modena, un solo elemento della nostra guarnigione per diventare ufficiale effettivo con il grado di tenente, lei se la sente di partecipare?

Non muoveva un muscolo, ma nel frattempo stavo per svenire, dovevo rispondere in fretta, lo sapevo, anche quello avrebbe influito sulla sua decisione, in pochi attimi, rividi la mia vita

– Si, signore!

Era soddisfatto, mi strinse la mano e mi consegno l’ordine da mostrare al mio diretto superiore del trasferimento alla Scuola per ufficiali e solo allora, mentre attraversavo il cortile per far ritorno alla mia compagnia, venni a conoscenza di qualche notizia in più, ero stato assegnato per il conseguimento della Laurea in Magistrale in Giurisprudenza per il posto di ruolo quale Commissario al mio ritorno.

Gioivo ed ero incredulo, era un anno che stavo già studiano le materie giuridiche e questo voleva dire che non mi sarei dovuto preoccupare di altro, dovevo dedicarmi solo a questo.

Il tempo necessario per salutare i comandanti delle cinque compagnie e dopo aver salutato i miei compagni, partii per Modena.

Fu un’esperienza esaltante e difficile, avevo delle lacune di greco e latino, e in quei due anni, chiesi e ottenni delle lezioni a parte per studiare queste due lingue.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Fu commovente l’incontro con il nonno, a mala pena la riconobbe, il medico che lo teneva in cura, spiegò la terapia che stava somministrando, era quella del protocollo, ma in aggiunta, aveva anche disposto dei sedativi e quindi passava il tempo a dormire, di concerto fu deciso di eliminare i sedativi e quando finalmente fu sveglio

– Bambina mia, che ci fai qui?

Inginocchiandosi al lato del letto

– Non appena ho saputo, sono rientrata, non ti avrei mai lasciato da solo.

Rimasero abbracciati per molto tempo, nelle settimane successive, il medico fu favorevolmente sorpreso della ripresa del suo paziente, Dina gongolava, lo vedeva meglio, certo il male non era diminuito ma le sue condizioni stavano migliorando anche nelle relazioni sociali con le altre persone, non aveva più quell’aria abbattuta e dimessa del suo arrivo.

Per tenersi impegnata, si iscrisse ad un corso online  per un master per specializzarsi in Rianimazione all’università di Modena e quando era libera si dedicava alle faccende di casa, amava quel posto, amava la campagna, spesso faceva delle lunghe passeggiate a cavallo, non era suo, ma il vicino del nonno glielo offerse e lei di buon grado accettò.

Passarono delle settimane, visto il suo curriculum, la direzione della Scuola di specializzazione le riconobbe un certo numero di esami, quindi speditamente si stava per avvicinare il giorno della discussione della tesi, da fare di persona a Modena.

Più d’una volta fu chiamata dalla vicina città in ospedale, si meravigliò, poi il Direttore dell’Azienda Ospedaliera volle incontrarla, lo disse al nonno

– E’ tua la scelta, lo so che sei qui per me e ti ringrazio, ma questa è la tua vita, non nascondiamoci dietro le parole, tra non molto ti lascerò, lo sappiamo, devi decidere tu cosa fare.

Confortata dal nonno si presentò in ospedale

– Bene dottoressa sono contento che abbia accettato il nostro invito, lei è stata segnalata dal primario del pronto soccorso, ha avuto parole di plauso per le sue consulenze, è vero noi siamo un piccolo ospedale e non abbiamo in organico un sanitario per la Rianimazione, vorrei proporle di accettare un Progetto per un anno e non posso prometterle nulla, quando terminerà potrebbe partecipare al Concorso per rimanere in pianta stabile.

Era combattuta, sapeva perfettamente che non avrebbe avuto orari, ma si sa nella vita non sempre coincidono la passione per il lavoro con il resto.

Ringraziò e si prese qualche giorno per dare la risposta, ma fu sempre il nonno che la esortò a terminare nel più breve tempo l’ultimo esame e accettare la proposta.

E cosi fu!…”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

28 Settembre 2023 – Suma e il bacio rubato! – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

“Quella notte non riuscivo a dormire, ero in un albergo di prima classe a Rynek Starego Miasta di Varsavia, avevamo raggiunto il nostro scopo, c’erano voluti tre mesi di pedinamenti, appostamenti, ma la squadra aveva funzionato, invece di essere contento e soddisfatto, pensavo a  lei a quella stronza di Nadia, è vero, era passato un anno ma mi bruciava ancora, tornai da una missione in Cina e non la trovai più, solo un biglietto:

“In questa busta ci sono i documenti da firmare per il divorzio, non ho mai smesso di amare il mio ex e da due anni abbiamo una relazione, stiamo partendo per un nuovo lavoro in Australia, ti ho preso in giro, pensavo che i soldi mi avrebbero fatta felice, ma non mi sono bastati, amo un altro, addio!”

Non c’è cosa peggiore per un astemio, di attaccarsi ad una bottiglia di liquore per lenire la rabbia e il dolore… una sbornia colossale, una sola fortuna… i miei collaboratori!

Mi risvegliai completamente nudo nella vasca da bagno, l’acqua era gelida, il tempo di realizzare, da solo non potevo esserci caduto dentro, si aprì la porta

– Finalmente sei sveglio!

Era Cizia la mia collaboratrice e senza attendere risposta verso un secchio di ghiaccio nell’acqua

– Ma, sono nudo!

Sorrise

– Sai che sorpresa!

E uscì ridendo.

Cizia era una componente del mio team, trent’anni ben portati, esperta in armi e in arti marziali, maga nei travestimenti, collaborava con me da cinque anni, elemento prezioso e insostituibile, single per scelta, una volta uno sceicco si innamorò perdutamente di lei, ma lei lo snobbò lasciandolo a bocca asciutta, alta un metro e ottanta, capelli biondi fino alla schiena, due occhi celesti come il mare e un corpo da amazzone da far girare la testa.

Mi chiamo Lio, soprannominato la tigre, trentacinque anni, esperto investigatore nell’ambito bancario e finanziario, risolviamo casi di truffe d’alta finanza, pochi sono quelli che conoscono la nostra squadra, oltre a Cizia c’è un altro collaboratore esperto informatico Teo, esperto anche lui con le armi e peso massimo, quaranta anni ma ne dimostra trenta ed è la nostra guardia del corpo quando siamo in azione, il suo peso è ininfluente, nei cinque continenti molte persone sono andate in ospedale con prognosi da trenta giorni in su, per essersi scontrati con lui.

Ed  eccolo la, sta cucinando

– Allora capo come va?

– Anche tu qui?

Risero a crepapelle

– Quando Cizia mi ha chiamato, non riuscivo a crederci, tu, sbronzo…

– Poi, però quando gli ho mandato la foto dei documenti per il tuo divorzio…

– In cinque minuti, sono arrivato e ti ho trovato già svestito e nella vasca da bagno, ora non pensarci abbiamo un lavoro che ci aspetta, sto cucinando e vedrai che dopo questa colazione all’inglese ti sentirai più in forma che mai.

Mi ricordai tutto e già aveva ragione, senza parlare mi avviai verso il bagno

– E brava Cizia, faccio una doccia calda.

Non dissero nulla!

Il mio tono era eloquente, mi ripresi e li ringraziai e mi ricordai di tutto, la sera prima avevamo cenato con un nostro cliente, contento di aver risolto il suo problema, era da poco passata l’una di notte quando mi ero appoggiato sul letto sperando di poter riposare prima di partire per Roma il giorno successivo, ma notai sul cellulare un messaggio nella segreteria, lo lessi

“Tigre so che siete a Varsavia, un amico comune mi ha detto come rintracciarvi, vi aspetto domani nella mia sede di Amburgo per mezzogiorno o dove volete in quella città, ho un incarico per voi, ho versato sul vostro conto il dieci per cento dell’ammontare dell’incarico, quale acconto, aspetto conferma, Wrote – President of Bank of America”

Saltai dal letto, presi il mio computer e controllai il conto corrente e il nominativo, chiamai i miei collaboratori e li misi al corrente dell’incarico.

E questo è tutto!

Eravamo in auto, direzione Amburgo.

– Lio, non mi sono ancora svegliata, ma mi hai detto che l’acconto…

Teo era alla guida, sorrisi

– Centomila euro…

Un fischio da parte di Teo

– Quindi, l’incarico è di…

Cizia

– Un milione di euro!

Ecco perché eravamo in auto alle due e trenta della notte, avevamo sette ore e mezzo di viaggio per arrivare ad Amburgo, dovevamo essere puntuali, non era un cliente qualunque

– Cizia?

Silenzio

– Cizia?

– Sto già lavorando Lio, non mi distrarre!

Questa era lei, silenziosa e efficiente come non mai, arrivammo alle undici precise, alloggiammo in un albergo vicino alla sede della Banca d’America, presi una suite per noi tre, qui avremmo montato l’ufficio portatile, quando eravamo in giro, portavamo lo stretto necessario, tre computer, registratori da indossare, microfoni direzionali d’alta qualità e ancora altri supporti tecnologici comandati da Teo, mentre Cizia era addetta alle registrazioni

– Trovato qualcosa Cizia?

– Si, forse, vediamo cosa chiedono.

Mi stavo avviando all’appuntamento

– Spogliati!

Era Cizia

– Che intenzioni hai?

Sorrise

– Lo sai quello che dobbiamo fare.

– Ma è necessario?

– Certo!

Dopo avermi nastrato con registratore e auricolare, mandai un messaggio, eravamo di fronte alla Banca d’America

“Ristorante albergo Park Hyatt Hamburg, ore dodici-Tigre”

Erano le undici e quarantacinque, immediatamente

“Perfetto”

  • Teo andiamo!…”

——————————

Splash!

——————————

E’ in attimo, mi ritrovai, bagnato con una spugna maleodorante impregnata di detersivo all’aceto

– Lio, ma sei tonto, tra un quarto d’ora arriva la brigata di cucina!

Oddio, era tutto un sogno, ecco la verità, avevo sognato ancora una volta ad occhi aperti!

– Arrivo, arrivo, ho finito.

– Se continui così ti licenzio!

Chi ha parlato è il mio capo squadra, e già, faccio le pulizie in un ristorante la mattina e il pomeriggio curo l’archivio di un agenzia di investigazioni.

Mi chiamo Lio, età venticinque anni, nato in Sicilia, a Palermo per l’esattezza, nella mia infanzia ho incontrato persone di ogni tipo, ma la maggior parte erano figli di portuali come mio padre, avevo avuto da loro un’istruzione di strada, non per scrivere e leggere, quegli anni mi maturarono più della mia età anagrafica, ero curioso per natura, ma mi insegnarono la scaltrezza e la furbizia e il coraggio della paura, imparai a sopravvivere ed ero in gamba, dopo anni di insuccessi guadagnai il rispetto di tutti a suon di scazzottate, poi…sono emigrato a Milano dopo la morte dei miei genitori in un incidente stradale, diplomato in ragioneria, ramo internazionale, disoccupato cronico, conosco bene l’inglese, mia madre era di Bristol.

Lavoricchiavo in nero, ovviamente!

Ho provato diversi concorsi, ma nulla, dopo aver passato un anno a registrare fatture sul computer di un commercialista, con la promessa di essere assunto in pianta stabile come impiegato, rimborso cento euro a settimana lavorando dalle otto alle diciotto, tutti i giorno compreso il sabato, decisi di abbandonarlo, e ora?

La mattina lavoro e faccio le pulizie in un ristorante, in sala e cucina, così mi guadagno il pranzo e la cena, il pomeriggio in un’agenzia di investigazioni e guadagno venti euro al giorno e pago il fitto di un letto.

Aspirazioni:

–  tante, dopo il diploma, ho partecipato anche ad un corso per investigatore, vorrei mettere su una mia agenzia specifica per le truffe bancarie, ma ad oggi i gestori dell’agenzia dove faccio le pulizie, mi hanno utilizzato qualche volta nei pedinamenti e appostamenti o come guardia personale di qualche cliente, li ho aiutati anche nella gestione amministrativa, sono soddisfatti, ma non mi avevano ancora assunto stabilmente, ero uno dei quattro avventizi a chiamata presenti in agenzia.

Il sabato lavoravo mezza giornata in agenzia, così è accaduto anche quel famoso sabato che ha cambiato la mia vita… dopo aver messo tutto in ordine, stavo per chiudere la porta e andarmene quando sentii gracchiare il fax, era in arrivo qualcosa, feci il pari e dispari, poi decisi di attendere, mi avvicinai e lentamente uscì un foglio intestato

“Bank D’Arabia

Si richiede un incontro urgente oggi, ore 15.00 aeroporto di Milano, area scalo tecnico, ripartiamo alle 15.30, chiediamo conferma appuntamento.

Firmato Il Presidente Abdul Azeem.”

Rilessi più volte il messaggio, telefonai alla titolare, al figlio, agli impiegati, ma niente, nessuno dei cellulari o dei numeri fissi rispondeva, non sapevo cosa fare, poi un’idea pazzesca si fece largo nella mente…

… ci sarei andato io!

Non presi un foglio intestato, ma totalmente in bianco e lo rispedii al numero del fax di partenza, solo con un “Si”, non avevo infranto nessuna legge, avevo solo dato conferma.

Erano le 14, dovevo muovermi in fretta, chiesi alla signora Maria, l’affittacamere dove dormivo di stirarmi l’unico vestito che avevo, era di colore grigio scuro, dal mio coinquilino mi feci prestare una cravatta, l’unica che avevo era nera, l’ultima volta era stata usata per il funerale dei miei genitori, periti in un incidente stradale in Sicilia, il colpevole era fuggito dopo aver travolto la nostra utilitaria e uccisi i miei genitori.

Misi l’unica cosa preziosa che avevo al momento, oltre il documento d’identità, il tesserino di investigatore, me l’ero guadagnato e ne ero fiero, sentivo che le gambe mi tremavano, ma oramai ero in ballo, avrei trovato forse il modo di dire la verità alla titolare o se fossi stato scoperto e questo mi dava la forza di continuare.

Presi un tassì per arrivare all’aeroporto di Milano Linate, portavo con me una valigetta 24ore, praticamente vuota, c’erano solo dei fogli bianchi e una penna, ma faceva scena, mentre stavo per arrivare, fui preso dal panico e se avessero controllato e se avessero contattato la titolare, se…, se…, tanti se!

Ero arrivato, pagai e in un attimo mi passò davanti tutta la mia vita, quella che avevo vissuto fino ad oggi, no, non potevo tornare indietro, no, non l’avrei fatto, aspirai una quantità d’aria che avrebbe gonfiato un palloncino con un solo soffio, ed entrai.

All’ingresso in sala d’aspetto, mi bloccarono due persone, ovvero due guardie del corpo, mi chiesero i documenti e mentre stavano registrando e chiedendo l’autorizzazione per farmi entrare, mi sentii osservato, mi girai e la vidi, era una ragazza molto giovane, con un pantalone di lino bianco  una camicetta multicolore, alta quasi quanto il sottoscritto, un metro e ottanta, era con due donne, i nostri sguardi si incontrarono, fu un attimo, ma mi bastò, ero ipnotizzato, sorrise una spallina lasciò intravedere parte della spalla e notai una testa di tigre tatuata, piccola, non invasiva e mi ricordai del sogno ad occhi aperti di una settimana prima, e sparì

– Signore prego è atteso!

C’è qualcuno?

Non sentivo niente, mi sentii toccare sulla spalla, mi girai

– E’ atteso!

E mi indicò una saletta alla sua sinistra, una terza persona mi aprì la porta e mi trovai di fronte, un uomo sulla cinquantina, vestito in modo elegante, era di spalle, guardava giù nella hall dell’aeroporto, seguii il suo sguardo, guardava lei che stava andando via, chissà chi era, tossii, l’uomo si girò e la sua espressione fu di stupore e meraviglia, in inglese

– Lei è dell’agenzia investigativa?

Giuro che parlavo prima, ma i suoi occhi erano fissi sui miei, per radiografarmi dalla testa ai piedi

– Si signore per servirla.

Sempre più stupito

– Perfetto il suo inglese.

Arrossi

– Grazie, mia madre era inglese.

– Di dove?

– Di Bristol signore!

Mi fece segno di accomodarmi

– Non pensavo che la vostra agenzia avesse delle persone così giovani!

Primo problema

– La nostra titolare è un’illuminata, crede nelle nostre potenzialità.

Era soddisfatto

– La conosco bene, quindi non mi meraviglia affatto, il tuo nome?

E ora?

– Lio

– In azione?

Cosa vuole dire?

Poi in un decimo di secondo realizzai, un nome in codice, mi ricordai della ragazza e il sogno

– Tigre!

Sorrise colpito

– Perfetto, vorrei continuare questa discussione e sapere altro su di te Tigre, sono curioso, ma mi hanno anticipato il volo, ho una riunione urgente a Londra, questa cartellina racchiude il mio incarico, ci risentiamo tramite skype martedì mattina alle nove, domande?

E che vuoi domandare?

Anche dire la verità in quel momento era inutile, presi la cartellina e con una sicurezza che era data dalla paura che avevo dentro di essere scoperto

– A martedì!

Un ordine secco, in una lingua che non conoscevo, vidi entrare uno degli armadi umani che mi aveva accolto all’ingresso e mi indicò con delicatezza l’uscita.

Mi sentivo svuotato, di certo qualche chilo l’avevo perso per la tensione, ma mantenni un contegno, sicuro di essere osservato, appoggiai la mia valigetta, misi con calma la cartellina dentro, poi salutai cordialmente e con passo tranquillo uscii dall’aeroporto, solo nel tassì ebbi un mancamento, ma riuscii a mantenermi fino a casa, ma arrivato sotto casa… avevo deciso…

…no,  non potevo continuare, diedi l’indirizzo della signora, la titolare dell’agenzia e iniziai a pregare.

Bussai ripetutamente, ma nessuno mi apriva, poi finalmente si aprì la porta e vidi Federica, la nipote della signora Maregillo, viveva con loro da alcuni anni dopo la perdita dei genitori a distanza di sei mesi l’uno dall’altro per il male del nostro secolo, un tumore maligno

– Lio, come hai saputo?

La guardai strano

– Cosa?

– Della caduta?

Stavolta entrando meravigliato

– Quale caduta?

Arrivò la signora,  aveva un braccio al collo e un turbante che le fasciava la testa, mi cadde la valigetta per terra

– Signora?

Era stupita

– Anche tu qui? Ma chi ti ha avvertito?

Non dissi nulla, con l’altra mano mi prese e mi portò nella stanza di Gaetano, suo figlio, c’era un’infermiera che stava praticando una flebo

– Gaetano? Ma che è successo?

Senza accorgermene avevo quasi urlato

– Zitto, vieni!

E ritornammo nel salone… li mi raccontò tutto, la notte l’avevano passata in ospedale, dopo una caduta accidentale di Gaetano dalla scala su di lei, la sera prima era salito per dare una mano alla madre per prendere degli scatoloni per il cambio di stagione, lei era al di sotto alla scala, si era sbilanciato ed era caduto su di lei, ma purtroppo lui si era fratturate entrambe le gambe  e un braccio e lei solo un braccio e varie escoriazioni sulla testa, ascoltavo sgranando gli occhi

– Mi dispiace, non sapevo nulla!

Federica, mi guardava strano, poi

– Come sei elegante, come mai?

Era sorridente, ci piacevamo, è vero, avevamo avuto una storia due anni prima, ma poi, avevamo concluso che non c’era nulla tra di noi, tranne una grande amicizia, nulla di più, io la consideravo una sorella, quella che non avevo mai avuto e lei nei miei confronti era dolce come se fossi stato suo fratello

 

– Grazie Federica.

 

Dissi diventando rosso come il pomodoro, fu solo allora che la signora, attenta investigatrice

 

– E’ vero, allora, come mai sei qui?

 

Ecco, e ora, come me la cavavo, avevo la valigetta che avevo ripreso sulle ginocchia, lei fece una smorfia di dolore

– Signora non adesso, vi vedo dolorante.

Si riprese immediatamente

– Lio cosa mi nascondi?

Era arrivato il momento!

Capitolai e raccontai tutto, sotto lo sguardo stupito delle due donne, alla fine, aprii la valigetta e le diedi la cartellina, la vedevo, il suo viso si fece di mille colori, la tenne in mano, ma non l’aprì con fare severo

– Sai che hai fatto una cosa che non avresti dovuto fare?

– Si

– Sai che adesso ti dovrei cacciare fuori?

– Si

Federica

– Ma zia…

– Zitta!

Urlò!

Non aspettai la sentenza, mi alzai e mi stavo avviando verso l’uscita con Federica

– Fermati!

Mi bloccai, sempre di spalle

– Perché l’hai fatto?

Mi girai, abbassandomi all’altezza dei suoi occhi, cosa avevo da perdere e

– Signora sono cinque anni che lavoro e collaboro con voi, ho un sogno, aprire un’agenzia e voi lo sapete bene, conoscete i sacrifici per diplomarmi al vostro corso, per sdebitarmi ho fatto tempo fa anche le pulizie nel vostro ufficio e continuo tuttora collaborando con voi, non conosco il contenuto di quella cartellina, si per un attimo ho pensato di continuare da solo, ho venticinque anni, devo trovare la mia strada, ma non a queste condizioni. Quando ho letto il fax, sapevo di chi si trattava, il vostro miglior cliente, potete controllare, ho chiamato tutti voi, non avendo risposta, sono andato, non mi sono spacciato per un altro, ho detto che ero un vostro collaboratore e che voi eravate un imprenditrice illuminata che scommetteva sui giovani, controllate, se volete, ma alla fine non potevo ripagarvi in questo modo e sono venuto qui per raccontarvi tutto. Mi dispiace per quello che vi è accaduto, non sapevo, ma ora che sapete tutto, posso andarmene più sereno, ho la coscienza a posto, arrivederci.

E così dicendo, mi alzai, diedi un bacio sulla guancia a Federica e stavo per uscire dal salone

– Fermati!

Mi girai sbigottito

– Perché?

– Perché hai detto la verità, ecco perché! Vieni siediti e controlliamo insieme il contenuto della cartellina, tu sei un aiuto nell’agenzia e da oggi sei assunto a tempo pieno a quaranta ore settimanali con un contratto regolare, che ne dici?

Non dissi nulla, felice e meravigliato com’ero, ma l’abbracciai stando attento a non farle male, ero emozionato e anche loro due, Federica si sedette vicino a me

– Sono orgogliosa di te!

Finalmente sorrisi

– Grazie sorella.

.-.-.-.-..-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Siamo su un aereo di linea Milano – Roma, si siamo, io e Federica, ma andiamo per ordine.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

La signora era impedita ad aprire la cartellina, l’aprì Federica, c’era una lettera scritta a mano, una foto e una busta, me la diede per leggerla ad alta voce…

…continua…

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Araldo Gennaro Caparco

27 Settembre 2023 – Il “Principe” – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Roma stazione Termini.

Mai mi sarei aspettata quella raccomandata, ero certa che sarebbe stata solo una prova il partecipare al concorso in magistratura, che cavolo mi dicevo, ho solo venticinque anni e di certo ci saranno molti altri partecipanti più preparati di me.

Era un maxi concorso per 250 posti in tutta Italia, mio padre mi convinse e …

…dopo due mesi dal concorso mentre ero nel locale di mio padre a dare una mano, arrivò il postino e mi diede quella busta gialla indirizzata all’Avvocatessa Anna ……..

…mi tremavano le mani, aveva di sfuggita visto l’intestazione della busta

“Ministero di Grazie e Giustizia”

…mi trovai piegata in due per terra

– Anna che ti succede?

Non riuscivo a parlare, alzai solo la mano destra e mio padre prese il foglio, dopo poco

– Bambina mia, ce l’hai fatta!

Esclamò prima di abbracciarmi per terra, stavamo piangendo, ma fu solo un attimo, i miei occhi si rivolsero sulla mensola sopra la cassa, c’era una foto, era della mia mamma…

…guardai meglio…

…sembrava che sorridesse, strinsi ancora più forte mio padre

E lui

– Tua madre sarebbe orgogliosa di te, ma sono certo che da lassù sta esultando con noi.

Ecco!

Questo era quello che pensavo mentre ero in treno da Milano per Roma, ero stata convocata dal Ministero per conoscere la nostra destinazione di lavoro, dal documento si evinceva che ero la duecentoquarantaseiesima vincitrice…ma non mi importava nulla…avevo bruciato tutte le tappe della mia università e a solo ventitre anni mi ero laureata, partecipai l’anno successivo all’esame di stato e riuscii a vincerlo…

…e tutto questo perché mia madre era affetta da un male terribile e non volevo che lei non partecipasse alla gioia con me…

…e c’ero riuscita!

Ma…

… dopo la sua morte caddi in depressione, furono sei mesi terribili e mio padre tentò tutte le strade per farmi riprendere, lui non avrebbe voluto che l’aiutassi nel locale di mia madre, ma io ero  irremovibile, avrebbe voluto che aprissi uno studio legale, ma non volli e allora accettò solo dopo che avevo promesso di partecipare al concorso in magistratura.

Avevo promesso e non potevo non mantenere, anche se questo mi costava molto, di giorno lavoravo con lui al ristorante e di notte studiavo per il concorso…

…ma alla fine aveva avuto ragione lui, c’ero riuscita e a soli venticinque anni!

Avevo prenotato una camera nell’albergo più vicino, mi rinfrescai e scesi, quando arrivai al Ministero mi tremavano le gambe, all’ingresso c’erano i controlli della sicurezza, versai quelle poche cose che avevo dalla mia borsa e nelle tasche

– Signorina perché è venuta al Ministero?

Ero così assorta che non avevo sentito, poi

– Signorina?

Mi girai e c’era un signore sui cinquant’anni che aveva un foglio in mano

– Mi scusi?

– Di nulla, dovrebbe rispondermi…

Era sorpresa

– …ho qui l’elenco dei visitatori ammessi alla Cerimonia di insediamento dei nuovi magistrati della repubblica e lei non è nell’elenco…

Disse continuando a guardare il foglio, la mano mi tremava, ma cercai di non farlo notare, dalla tasca della giacca presi la preziosa raccomandata che avevo lasciato per ultima nel consegnarla per i controlli e…

…fu un attimo, come vide la busta gialla e cambiò espressione, con una velocità notevole lesse solo il nome

– Mi dispiace, non avevo capito, ma ora so chi e lei.

E con un cenno della testa ai vigilanti immediatamente mi ridiedero le mie cose e si avvicinò

– Venga con me, l’accompagno io!

Ero meravigliata da quell’uomo e lui capì

– Sono il capo dipartimento delle relazioni con il pubblico.

Ecco perche!

Fu la mia fortuna, la testa mi girava per tanta bellezza, c’era uno scalone che saliva al piano superiore contornato di statue, alzai gli occhi e vidi una cupola fatta di vetro che emanava una luce abbagliante sui numerosi marmi che tappezzavano le pareti, ma nulla fu a confronto quando quell’uomo

– Ecco, siamo arrivati, prego!

Si spostò e mi sorrise

– Grazie.

Lui scomparve e io rimasi a bocca aperta, eravamo nell’aula magna più grande che io avessi mai visto, rimasi talmente stupita che non mi resi conto di una hostess che mi stava dando una cartellina, la presi in automatico ringraziando e mi guardai intorno, vi era una moltitudine di persone di una certa età, mi feci piccola cercando un posto alla fine per non farmi notare, ma inaspettatamente la hostess

– Dottoressa mi segua.

E come una imbambolata la seguii, ma quando mi resi conto che mi stava portando in una delle prime file

– Mi scusi, ma non penso che questo sia il mio posto.

E lei, indicando il palco

– Non sono io che ho deciso, è stato quell’uomo che è lì sopra…

Mi girai, ed era quella persona che avevo incontrato all’ingresso che parlottava con il Presidente

-…ci ha raccomandato di portarla qui!

E mi lasciò interdetta, di fianco avevo due persone di una certa età, una delle due all’altra

– Mi hanno detto che il Presidente deve fare un comunicato prima di chiamarci…

E l’altra

– Speriamo bene, ho l’aereo di ritorno a casa tra due ore e sono la tredicesima, non vorrei perderlo, chissà dove mi manderanno…

Per uno strano caso, si rivolsero verso di me entrambe a e all’unisono

– Lei è una giornalista?

Le guardai e non volevo essere scortese

– No, sono una vincitrice del concorso!

Si portarono le mani alla bocca e poi…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

…segue…

Non sono uno scrittore ma un “sognatore narrante” e questi sono i miei sogni riportati sotto forma di E-Book.
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26 Settembre 2023 – Il volo del cormorano. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Valleamare è una cittadina sul mar Tirreno, con una popolazione di circa cinquecento abitanti, è isolata dai centri più urbanizzati delle città vicine ma è sede di due importanti presidii che servono il comprensorio, il presidio sanitario di pronto soccorso con l’appoggio di due elicotteri per le urgenze e l’altro presidio, la farmacia comunale.

Shimon era il farmacista di origine ebraica, autorevole con la sua “divisa”,  un elegante vestito nero con una rendigote così lunga, arrivava all’altezza delle ginocchia, incuteva timore solo a guardarlo, cosa che praticamente mi capitava tutti i giorni tornando da scuola, c’era una ragione per passare di la ogni giorno, abitavo all’esatto opposto dalla sua abitazione, ed era sua figlia Sara, si nonostante  la mia giovane età, dodicenne, mi ero perdutamente innamorato di lei.

A scuola eravamo nella stessa classe fin dalle elementari, ma praticamente per lei ero un perfetto sconosciuto, troppo bella e perfetta per me, un viso pieno di lentiggini, capelli biondi, alle medie i suoi capelli avevano raggiunto il suo fondo schiena tra l’invidia delle sue coetanee, vestiva sempre in modo accurato, ma mai, dico mai ero riuscito a parlare con lei, tranne per qualche saluto sporadico.

Il mio era un amore platonico, unidirezionale!

Alle superiori, la mia famiglia non potendo sostenere i costi per inviarmi al liceo nella città vicina, mi dovetti accontentare , giocoforza fui iscritto all’unica scuola presente a Valleamare, una succursale distaccata dell’istituto alberghiero.

Lei era e continuava ad essere presente nella mia immaginazione, quindi conoscendo gli orari dell’autista che l’accompagnava con l’auto all’uscita della scuola, facevo in modo di essere presente sulla sua strada, per poterla salutare.

– Leo vieni?

Si, mi chiamo Leo, diminutivo di Leopoldo, il nome del nonno, grande chef, ma non ho preso da lui purtroppo, mio padre fa il pescatore e mia madre invece cucina in un ristorante sul mare “Il volo del cormorano” in onore dei numerosi uccelli acquatici che nidificano nella zona, lei si ha preso del padre e ne sfrutta tutte le sue ricette, sono figlio unico, ma ho un’amica del cuore, Anna, abbiamo la stessa età e frequentiamo la stessa scuola superiore, a lei racconto tutti i miei segreti e lei fa altrettanto con me, almeno credevo

– Anna dimmi?

– Dobbiamo correre, scommetto che ti sei dimenticato che oggi inizia la prima lezione per il brevetto di pilota

Una mano in fronte, bugiardo matricolato

– Hai ragione, andiamo!

E ci mettemmo a correre, dovevamo arrivare alla capitaneria di porto per frequentare il corso per la navigazione come pilota, oltre le cinque miglia marine, fu una mia idea e coinvolsi pure lei

– Ma dove ce l’hai la testa?

Non volevo rispondere, pensai ad una bugia, ma poi, sapevo che mi sarei pentito, proprio con lei non potevo

– Sara!

Si fermò di botto

– Ancora, ma allora non hai capito che è meglio lasciare stare, lei non ti fila proprio e lo sai.

La guardai stupito, era la prima volta che si rivolgeva così

– Perché?

Arrabbiata

– Lascia stare!

E entrammo alla capitaneria, era iniziata già la lezione, ci sedemmo agli ultimi posti, la stanza era buia e stavano facendo vedere dei filmati, scrissi sul cellulare

– Sei cattiva?

Lei, dopo averlo letto, mi rispose

– Scusami, non so cosa mi sia preso.

– Scuse accettate!

Risposi, mi fece un bel sorriso.

Quando si accese la luce, il tenente di vascello fece l’appello e grande fu il mio stupore quando sentii il nome di Sara, sentii il “presente” ma avevo la vista offuscata dall’emozione e non riuscivo a capire da dove provenisse, Anna era più stupita di me, alla fine della lezione non mi mossi da quella sedia, eccola la vidi, mi passò accanto

– Ciao Leo, pure tu qui?

Come un ebete, feci solo si con la testa e lei scomparve, mi sentii scrollare, era Anna

– Sveglia, allora?

– E che…

– Allora ti ha parlato hai visto.

– Si, ma mi sono comportato come un imbecille.

Sottovoce disse qualcosa

– Che dici?

Rossa, non aggiunse parola e si avviò all’uscita seguito da me, fuori mi bloccai, stava parlando in inglese con uno dei partecipanti, non ero proprio una cima in quella lingua, Anna lo era, le chiesi di tradurmi quello che dicevano

– Ma tu guarda che mi fai fare!

– Ti prego sorella.

Stava per aggiungere qualcosa, ma poi decise di astenersi, si avvicinò a loro e poi

– Stanno parlando della festa di fine anno di stasera, da noi all’alberghiero, è  invitata e lui si è offerto di accompagnarla.

Ecco!

Ero sorpreso, non l’avevo mai visto a quello la, biondo, occhi azzurri, un fisico di un atleta, ben vestito, doveva avere la mia età, di certo l’avrei notato

– Ma sei sicura?

Per tutta risposta

– Perché non glielo chiedi!

E stava per avviarsi, la seguii, si io e lei ci eravamo conosciuti nello stesso istituto alberghiero, lei era più piccola di me di due anni, e io avendo perso un anno alle medie e un altro anno alle superiori, avevo ventitre anni e lei ventuno anni come Sara, lei seguiva il corso di chef ed io quella di commis di sala

– Anna, chi è quello?

Mi guardò

– Sei patetico!

– Dai, sei la mia mi amica del cuore, dai.

E così facendo la presi per le spalle dolcemente e la feci girare, sentii è vero un lieve tremore di lei ma non diedi importanza, ma quando mi guardò, era diversa, più dolce

– Ti prego!

E unii le mani in segno di preghiera, funzionava sempre con lei

– E va bene, viene da una delegazione di Londra, in visita intercollegiale con noi, si chiama James ed è anche ebreo come Sara.

Ecco perché, pensai e va bene allora si conoscono per questo, mi calmai un poco

– Grazie, sei…

Finì la frase

– Stupida

Sorrisi

– No, fantastica.

– Andiamo che è tardi.

Abbassando la testa, la presi sottobraccio e l’accompagnai a casa, poi mi avviai al ristorante dove lavorava mamma, quel giorno mio padre avrebbe fatto tardi, c’era la campagna della pesca dei tonni e quindi non sarebbe tornato se non a notte inoltrata, mamma mi stava aspettando e insieme pranzammo, dopo dovette ritornare in cucina, tra poco sarebbero arrivati i clienti e il padrone del locale, Giacobbe, pur sopportando che mangiassi con lei, non ammetteva ritardi nel servizio di cucina.

Già, stasera c’era la festa di fine anno, l’avrei rivista, inviai un messaggio ad Anna

“Vieni con me stasera”

“Perché?”

“Mi sento impacciato ad arrivare da solo”

“A  che ora?”

“Alle diciannove, va bene?”

“Si”

Avevamo la divisa ufficiale della scuola, ma quando la vidi sulla porta, restai meravigliato, in così poco tempo, aveva aggiustato i capelli alzandoli e come aggiunta alla divisa, aveva un sciarpa gialla che faceva il paio con i suo occhi castano chiaro

– Sei uno splendore!

– Finiscila, perché mi hai invitata?

– Mi faceva piacere e…mi devi aiutare devo parlarle, dai…

– Approfittatore.

Rispose arrabbiata

– Lo sai che sono anni che ci provo.

– Si, lo so e…

– Mi aiuterai?

No rispose, entrò in auto e in pochi minuti arrivammo, era una festa in grande, stasera ci saremmo salutati e sarebbe stato scelto uno solo per categoria che avrebbe ricevuto una borsa di studio per l’università e un viaggio premio, tutti eravamo in gara, anche noi due, cercavo nella folla Sara, ma non la vedevo, Anna si allontanò per salutare degli amici della sua classe ed io cercavo di curiosare per trovarla, messaggio sul cellulare

“L’hai trovata?”

Era Anna

“No”

“Ma allora ci fai o  lo sei, sta li sul banco della giuria con il padre”

Guardai meglio, era vero, mi meravigliai, poi lessi sullo striscione di benvenuto, sotto al palco

“Premio speciale offerto dalla Farmacia Shimon”

Ecco perché, c’era pure lei, stupenda e bellissima in un abito celeste che lasciava scoperto quasi il suo seno,  in quel momento i nostri occhi si incrociarono, lei alzò la mano per salutarmi e io goffamente risposi allo stesso modo, inutile dire, mi bloccai come una statua, mai mi aveva salutato così cordialmente.

Furono assegnati i premi, ma ne io ne Anna, eravamo tra i vincitori, non ero deluso, non mi importava nulla, volevo solo affiancarla e quando iniziarono le danze la stavo aspettando sotto al palco, ci sarei riuscito, volevo invitarla a ballare, ma…ad un certo punto, sentii la voce di Anna che stava urlando

– Ma come ti permetti?

Era si lontana, ma avevo sentito bene, mi girai e fu un tutt’uno per raggiungerla in mezzo a quelli scalmanati che ballavano, quando arrivai la vidi rossa in volto, con un gruppo di tre ragazzi che sghignazzavano e cercavano di alzarle la gonna, lei faceva di tutto per fermarli, ma loro imperterriti l’avevano circondata

– Ma si può sapere che state facendo?

E arrivai vicino a lei, mi risposero in inglese e uno dei tre cercò di darmi una bottigliata in testa, lo schivai, poi con un colpo ben assestato sulle palle lo feci rotolare a terra, fu un attimo, gli altri due si buttarono su di me, presi calci e pugni a non finire, erano più grossi di me, ma quando vidi uno dei due che cercò di baciare con violenza Anna, trovai il coraggio di rialzarmi e assestai un pugno al primo che faceva scudo all’amico che voleva approfittarsi di lei, gli ruppi il naso, poi di corsa, mi buttai a peso morto sull’ultimo, era di spalle, ma si girò e mi beccai un pugno sui denti, vedevo Anna atterrita, non mi fermai e con una testata stesi l’ultimo, presi Anna per mano

– Andiamo via!

E senza attendere la sua risposta, mi feci largo nel capannello di persone che si era formato, i quali invece di dare una mano, scattavano fotografie e filmati, sulla porta c’era Sara che aveva assistito a tutto.

Invece di andare in macchina, facemmo una corsa verso il mare

– Stai bene?

Era spaventata

– Tranquilla!

Per tutta risposta si mise a piangere, poi con un fazzoletto cercava di fermare il sangue sul mio viso

– Mi hanno preso alla sprovvista, poi uno dei tre ha cercato di mettere le mani sotto la gonna, aiutato dagli altri che si erano messi davanti per non farsi vedere da quelli che stavano ballando, ma tu stai perdendo sangue.

In effetti avevo il naso sanguinante

– Non ti preoccupare, ti ho sentito e sono accorso.

– Mi dispiace.

Eravamo vicino al mare, con il fazzoletto tamponai il sangue, la camicia era andata e pure la giacca, sentivo dolori in tutto il corpo, all’improvviso mi accasciai sulla sabbia

– Leo?

Urlò

– Chiamo qualcuno?

La fermai

– No lascia perdere, ora mi passa.

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Mi svegliai, avevo la febbre molto alta, avevo solo un vago ricordo di quella sera, cioè,  quando tornai a casa avevo nascosto il vestito nell’armadio e mi ero buttato sul letto, per tutta la notte sentii un freddo addosso, ma adesso mi guardavo intorno ma non riconoscevo la mia stanza, poi la vidi, stava ai piedi del letto era Anna

– Che ci fai qui? Ma dove sono?

Lei alzò la testa, si illuminò

– Dio sia lodato ti sei svegliato.

Corse a bussare un campanello, cercai di alzarmi dal letto, ma non ci riuscivo, poi guardai meglio ero in una stanza con altre persone, quattro letti solo allora realizzai, ero in ospedale, Anna era venuta vicino alla testata del letto, incredula, senza parole

– Anna che ci faccio qui?

Finalmente

– Hai…

Arrivò un medico con un’infermiera e prima che potessi dire qualcosa

– Uscite tutti, dobbiamo portare fuori un malato.

La vidi, stava piangendo, fu l’ultima immagine di lei quel giorno!

Nonostante le mie proteste e le invocazioni per sapere cosa mi era successo, non mi risposero e con un gesto veloce mi trasportarono su una lettiga, poi un corridoio e alla fine, vidi in alto, Sala Operatoria.

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Sono passati tre mesi d’inferno, in sala operatoria venni a conoscenza che mi dovevano operare per un ematoma al cranio, avevo tre costole incrinate, stavano quasi perforando il polmone e una frattura alla gamba destra ma non ebbi nemmeno il tempo di chiedere altro, dopo aver firmato il consenso informato mi fu fatta l’anestesia totale e operato.

Seguirono altri tre mesi ancora in ospedale, tra uscita dalla rianimazione e terapia intensiva, l’operazione aveva dato un buon esito, ma ora arrivava la fase più difficile, la riabilitazione.

In tutto questo, litigai di brutto con Anna, veniva spesso a trovarmi, fu lei che mi raccontò quello che era accaduto,  dopo quella notte, mi disse che la mattina successiva stava per venirmi a trovare, quando vide vicino casa l’autoambulanza, mia madre si era accorta che respiravo a fatica, avevo la febbre alta, mio padre era già andato a pescare all’alba, si vide persa e telefonò in ospedale, mandarono la guardia medica, ma la dottoressa dopo una visita veloce, chiamò il 118 per ricoverarmi in ospedale, lei e mia madre seguirono l’autoambulanza e dopo il ricovero scoprirono la verità sul mio stato di salute, mio padre era sconvolto, non sapeva nulla, furono i vicini che lo avvertirono al suo ritorno.

Avevo saputo da mia madre, che lei nei momenti liberi, rimaneva con me, ero contento, era la mia amica del cuore,  ma quel giorno le chiesi di Sara, lei non voleva rispondermi, poi dietro mie insistenze, venni a sapere che lei era andata alla direzione della scuola per denunciare quei tre che l’avevano molestata, ed era pronta ad andare dai carabinieri a raccontare tutto, raccontando anche come mi avevano conciato, ma trovò solo un muro di gomma e non avendo sufficienti prove per fare una denuncia per molestie, non trovò nessuno che la potesse aiutare.

Una sua amica ben informata, invece, la mise al corrente che il gruppo degli inglesi era partito dopo due giorni in  gran fretta e con loro era andata anche Sara, James era il suo fidanzato e il padre di lei per tacitare la scuola ed evitare le proteste in Inghilterra per il loro comportamento, aveva fatto una grossa donazione per sistemare la palestra della scuola.

– Leo mi senti?

Avevo chiusi gli occhi, tutto il mondo in quel momento mi era crollato addosso, tutte le mie aspettative, i miei sogni con lei ed ora me la ritrovavo fidanzata e in Inghilterra

– Leo, stai bene?

Ero arrabbiato con lei, quando aprii gli occhi

– Se quella sera l’avessi fermata, forse avrei avuto l’opportunità di parlarle, di esprimere quello che sentivo per lei, ma invece…

E la guardai, avevo gli occhi iniettati di rabbia!

Lei scoppiò a piangere e andò via e da allora non ritornò più in ospedale.

Avevo solo un chiodo fisso, rimettermi e poi…

…e poi sarei andato in cerca di lei in Inghilterra, mi mancava Anna la mia amica, cercai di telefonarle, chiesi a mi madre di contattarla volevo scusarmi, ma nulla, non venne più.

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Impiegai due mesi per convincere i miei genitori, volevo andare in Inghilterra a cercare lavoro, era una scusa ma loro non lo sapevano, fu un Natale triste per me, non c’era più Sara, Anna era scomparsa e i miei non mi rispondevano, ovvero mamma mi disse che Giacobbe mi avrebbe voluto al ristorante, lui non ci sapeva fare con i clienti in sala e quindi aveva deciso di assumermi, ma non accettai e visto che loro tentennavano decisi da solo.

Tramite la cameriera del farmacista, una donna di una certa età che mi conosceva fin da bambino, venni a sapere che Sara non stava a Londra ma a Bristol e aveva trovato lavoro tramite il padre del fidanzato James, un banchiere molto facoltoso di quella città, come insegnante di italiano al liceo inglese.

Eravamo prossimi al Carnevale, acquistai il biglietto aereo e mi recai al ristorante in una fredda giornata di febbraio per farlo sapere a mia madre

– Ti sei deciso, vero?

Era Giacobbe sorridente

– Per cosa?

Si stupì

– Ad accettare la mia proposta di lavoro, cos’altro?

Non ci pensavo proprio e

– No grazie signor Giacobbe, ma non sono qui per questo.

Meravigliato

– E perché?

Stavo per dargli una rispostaccia, ma poi mi calmai, mia madre lavorava la e lui era stato sempre gentile

– Parto, vado all’estero, ho trovato lavoro a Bristol in Inghilterra.

Dissi sorridendo

– Ma bravo…

E poi si avviò verso la cucina, prima che potessi fermarlo

– Emma c’è tuo figlio, sta per partire per l’inghilterra, ha trovato lavoro.

Veramente non volevo che accadesse così, dopo pochi istanti vidi mia mamma uscire stravolta, stava per venire verso di me, poi un fracasso di piatti rotti in cucina, fece dietrofront all’improvviso

– Anna, ma che succede?

Anna, stava li?

Mi avviai subito, ma sentii solo una porta sbattuta, quella del retro e vidi mia madre, mi stava aspettando sulla porta della cucina

– Perché mi hai fatto questo? Perché sei venuto all’improvviso?

Era arrabbiata, ma in quel momento pensavo alla mia amica, cercavo di guardare dentro, lei si accorse

– E’ andata via!

A casa venni a sapere che due mesi prima, Giacobbe le aveva chiesto di trovare qualcuno in cucina per aiutarla, e lei aveva fatto la proposta ad Anna, aveva accettato ed erano due mesi che lavorava con lei, quando le dissi

– Perché non me l’hai detto?

Per tutta risposta

– Cambiava qualcosa?”…

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

24 Settembre 2023 – La forza e la disperazione. – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

Vari riconoscimenti in dieci anni nella carriera di ufficiale non hanno impedito che mi comminassero una sanzione disciplinare grave per un’azione condotta male e con madornali errori non dipendenti dalla mia volontà, ed è per questo che sono stato spostato dall’ufficio operativo della narcotici dei carabinieri ad un reparto amministrativo in un’altra caserma da sei mesi.

Ma quello che è peggio, mi tengono inattivo, sono in questa stanzetta da sei mesi senza avere un incarico amministrativo, semplicemente mi ignorano!

Rispetto ai non orari che avevo prima, fare dalle 8 alle 14.00, mi pesa più di tutte le notti che sono stato operativo in pedinamento o appostamenti.

E la centesima volta che apro quest’armadio e lo rimetto a posto, pratiche dell’anno 2016, nessuno mi ha dato l’incarico di farlo, ma qualcosa dovrò pur fare, passo il tempo mortificandomi sempre giorno per giorno.

E’ un braccio di ferro tra me e loro.

Chi sono loro?

Sono i miei colleghi i topi da scrivania che non hanno mai fatto parte di un’azione operativa, sono “ dei senza pistola”, pure quella mi hanno ritirato, quando il capo ufficio mi ricevette, disse che ero stato fortunato che non mi avessero sbattuto fuori dall’arma dei carabinieri.

Non devo dare soddisfazione!

Certo mi macero dentro,  molto, ma no, la soddisfazione di urlare e sbattere i pugni o chiedere un incarico, non la devo dare, prima o poi si arrenderanno, ma non ho nessuna intenzione di farlo io per il momento.

Eravamo ai principi di dicembre, mi recai al bar della caserma, tutti sapevano e tutti mi evitavano, nessuno voleva parlare con me, ero un operativo messo a dimora, a trentacinque anni.

So quello che si aspettano: che dia le dimissioni, ma non lo farò!

Ordino il solito cappuccino, mentre aspetto, cerco i giornali per passare del tempo, stavo per avviarmi alla bacheca

– Allora come ti trattano?

Riconoscerei quella voce tra mille, è quella del mio ex capo

Sottovoce per non farmi sentire

– Buongiorno signore.

E lui sorridendo

– Il Signore è in cielo, lo sai.

– Ma io sono su questa terra all’inferno, a pagare per errori fatti da altri!

Vedo che la fronte si rabbuia

– Hai ragione, ma non ho potuto fare nulla per evitarlo.

– Voi no, lo so, ma i miei documenti, in dieci anni di attività, avrebbero potuto se fossero stati consultati!

Mi prende sottobraccio, vedo da lontano alcuni scribacchini che sorridono tra i denti

– Sono iene, mi tengono isolato.

Si guarda intorno

– Si ricrederanno!

Sono sorpreso, mi ha dato ragione senza dire nulla

– Vedi, c’è una ragione perché sono qui.

Mi fermo

– Quale?

– Andiamo nella tua cella.

Aveva usato la giusta espressione, ma tanti vedendomi in compagnia di un colonnello si meravigliarono, compreso il mio capo ufficio, che avvertito per tempo, si fece trovare sulla porta per omaggiare il suo superiore.

Lui, non lo guardò nemmeno, rispose solo al saluto ed entrammo nella mia “cella”.

– Eccoci!

Si guardò intorno, disgustato, presi una sedia, la mia e lo feci accomodare, già avevo solo una sedia, io mi misi su un gruppo di faldoni che stavano a terra

– Tutti possiamo sbagliare, ma vederti qui mi fa veramente male, so quello che hai fatto in questi dieci anni, non ti ho mai raccomandato e hai fatto tutto da solo, acquistando la stima dei tuoi colleghi, tu non lo sai ma loro hanno scritto una lettera di protesta al comandante generale, dopo che ti avevano escluso dall’operatività.

Ero contento, ma non sorpreso, li conoscevo tutti uno per uno.

– Ho lasciato che la commissione di indagini terminasse il lavoro e poi ho chiesto l’incontro con il Generale Orsola, l’avevo promesso a tuo padre dopo l’attentato cinque anni fa, dove perì anche tua madre, rea di essere solo insieme al marito in una domenica d’estate.

Quel ricordo, mi fece tremare, ero ancora in uno stato di shock

– Lui, mi chiese di tenerti d’occhio, ma non di aiutarti, sul letto d’ospedale prima che finisse. E così ho fatto! Quando è arrivata la cartellina dei documenti, che palesemente riportava che si c’era stato un errore, ma per un difetto di informazione, tu non potevi immaginare che l’uomo che hai arrestato all’aeroporto con la valigetta piena di droga era un ufficiale della guardia di finanza che era stato infiltrato.  Ho parlato con Francesco, il generale, che come sai era mio compagno di corso come tuo padre, poi lui con la laurea ha fatto carriera ed io no, facendo presente il tutto e lui che ben conosceva il caso, mi ha risposto che aveva ricevuto il verbale di chiusura e avevo ragione ma che comunque prima di un anno non avrebbe potuto reintegrarti.

Un anno? Oh mio Dio! Ancora sei mesi in questo tugurio, come farò?

Mi vide che mi ero distratto, mi richiamò all’ordine

– Ascolta, ci sarebbe una possibilità!

Ero attentissimo

– Mentre stavo contestando tale decisione, fu annunciato e fatto entrare un ufficiale della guardia di finanza, vedendomi non voleva parlare, ma fu sollecitato da Francesco “Dica? Il colonnello Piero qui presente è venuto in veste d’amico di vecchia data” lui non voleva, si vedeva, ma sollecitato obbedì “Onde evitare che possa ripresentarsi il problema di qualche mese fa, sono venuto per chiedervi una mano in un caso molto delicato”, mi accomodai poco distante e rimasi in ascolto “ Sappiamo che c’è un grosso carico di droga che sta per arrivare in città, sappiamo chi lo manda ma non chi lo riceverà, il nostro Capo di stato maggiore, vuole scoprire come fanno a smerciarlo nella nostra città per poi arrestare tutta la banda e chi l’ha ricevuto, stroncando il traffico illegale” il generale Orsola era molto attento e gli fece cenno di proseguire “Mi ha mandato qui per chiedervi di infiltrare qualcuno”.

Il discorso si faceva interessante

– “E questo qualcuno valido dove lo trovo adesso sotto le feste di Natale, i nostri agenti sono tutti impegnati, mi chiedete l’impossibile” a quel punto intervenni “ Francesco posso proporti qualcuno?” mi guardò strano, ma intuì subito “Se non accettasse?” ed io “Lo reintegri subito, se accetta?” ci pensò mentre il finanziare ci guardava interdetto “Si!” – “Bene allora, entro domani ti farò sapere, va bene?” il generale guardò il finanziere che disse subito di si, ed eccomi qua!

Mi stava scrutando, cercavo di non incontrare i suoi occhi, ma li sentivo che mi guardava, non lo feci attendere troppo

– Accetto!

Saltò dalla sedia, si alzò e sorridendo

– Lo sapevo!

Così dicendo, dalla borsa che aveva con se, prese la mia pistola e il mio tesserino e li mise sulla scrivania

– Ma come?

– Ne ero certo!

Mentre lui prese il cellulare e fece delle telefonate, guardavo la mia 38 special, quante volte mi aveva salvato, c’era il mio cinturino, automaticamente la incollai al mio piede destro, quello era il suo posto, riposi il tesserino in tasca e dal mio borsello ripresi la catenina con il mio numero di matricola 3828 e la misi al collo, finite le telefonate, sorridente

– Andiamo!

Non volevo chiedere nulla, era la mia unica carta da giocare per uscire da quel tugurio e tanto mi bastava!

Presi quelle poche cose che avevo nell’unico cassetto della scrivania, diedi un ultimo sguardo alla stanza e uscimmo, dal piantone fece chiamare il capo ufficio e presentatosi immediatamente, lo avvertì che da quel momento non facevo più parte del suo ufficio, rimase con la bocca aperta, salutò e fu ricambiato, senza alcun cenno di giustificazione

Solo nel cortile, dissi

– Dove andiamo?

– A pranzo!

Altro non seppi, ma lo stupore era stampato sul viso, l’attendente con l’auto stava fuori alla caserma, evidentemente sapeva dove dovevamo andare o era stato avvertito,  perché non chiese nulla e si avviò.

Dopo circa un’ora entrammo in un ristorante, l’addetto all’ingresso ci guidò verso un tavolo, dove era già seduta una persona, era di spalle, poi si girò

– No, non è possibile?

Feci un salto all’indietro

– Tu?

Il generale

– Vi conoscete?

Eravamo entrambi senza parole, c’erano altre persone, ma cercammo di non farci notare, ci accomodammo

– Certo, è quello che mi ha arrestato!

Di tutte le persone lui era l’unico che avevo sperato di non incontrare più sul mio cammino, ed era invece li, davanti a me, avevamo la stessa età o quasi, non dicemmo nulla per qualche minuto, poi stesi la mano

– Nino

Lui era titubante, poi la strinse

– Visto che dobbiamo lavorare insieme, Andrea.

Il colonnello non commentò, tentò di sdrammatizzare

– Bene, bene, vedo che siete leali, si è trattato di un malinteso e lui ha già pagato caro, ora nel frattempo che ci portano il pranzo, visto che avete un piano e non avete voluto che venisse da voi in caserma, saremmo curiosi di conoscerlo.

Il finanziere si risvegliò e divenne più formale

– L’operazione è troppo importante e non possiamo correre il rischio che qualche talpa la mandi a monte, si è vero sono sorpreso, ma conoscendo il tuo curriculum penso anche che sei la persona giusta per questa operazione.

Sentirlo mi fece piacere e la tensione si allentò!

– In una località a due ore da qui, c’è un distributore di benzina con annesso un piccolo centro commerciale formato da un market, un bar, una pescheria e un ristorante, si trova sull’autostrada. Sappiamo dalle nostre fonti,  che dovrebbe arrivare a giorni un carico di droga, destinato alla capitale, ma non sappiamo quando e a chi dovrà essere consegnato.

Lo guardavo con attenzione

– Abbiamo tentato di infiltrarci, più volte ma è come se qualcuno anticipasse le nostre mosse, abbiamo dovuto fare marcia indietro e in attesa di scoprire la nostra talpa abbiamo chiesto una mano a voi, vista l’urgenza. Nino te la senti di trasformarti in un senza casa per questo mese.

Che vuol dire senza casa? Non mi interessava! Immediatamente

– Si.

Lo avevo sorpreso

– E’ inutile dire che noi due saremo sempre in contatto. Alla fine di questa strada c’è un camper, piuttosto malandato nell’aspetto, ma è solo una parvenza, dentro troverai tutto il necessario, in una busta nell’armadio riceverai altre istruzioni, abbiamo fretta il carico potrebbe arrivare da un momento all’altro e quindi non appena abbiamo ricevuto la telefonata del Generale Orsola, abbiamo pianificato la logistica, te la senti?

Per la miseria, l’azione partiva subito, meglio così

– Certo, una sola domanda, posso restare in contatto con i miei uomini della squadra narcotici?

E lui

– Sono persone fidate?

– Certo li conosco perfettamente!

Vista la perplessità di Andrea, intervenne il colonnello

– Sarò il tramite da Nino per loro.

Dopo qualche minuto di riflessione

– Va bene.

Pranzammo piuttosto velocemente in silenzio, ci stavamo analizzando a vicenda, Andrea mi diede le chiavi del camper e dopo aver salutato uscii da solo.

Alla fine della strada vidi il camper, sembrava un catorcio, c’era ruggine dovunque, ma dentro era tutta un’altra cosa, quando lo misi in moto per allontanarmi dal ristorante, mi resi conto che il motore era come un orologio, veloce e scattante, perfetto!

Dopo qualche chilometro, mi fermai in una piazzola d’emergenza sulla strada statale, presi la busta che mi aveva indicato Andrea, conteneva dei fogli e una somma di denaro, lessi tutti avidamente, ero stato troppo fermo ed ora avevo l’eccitazione dell’azione.

Come era scritto in quei fogli, dopo averli letto li bruciai e mi cambiai d’abito, avevo solo delle tute di diverse taglie e delle scarpe da ginnastica.

La località era sull’autostrada e confinava con una strada che la collegava ad un paese vicino, prima di partire aprii l’armadio piccolo e trovai una stazione radio ricetrasmittente collegata alla Guardia di Finanza e un cellulare, inserii in memoria anche il numero del colonnello e riposi la mia pistola in una piccola  cassaforte, sotto la radio.

Da quel momento, i miei dati anagrafici erano:

Tano………, nato a Siracusa, avevo un passaporto con annulli vari di viaggi effettuati in paesi europei, i documenti erano perfetti e non mi sorpresi dalla velocità con cui erano stati preparati, perché era stato il mio comandante a farli fare, era certo che avrei accettato, presi solo la carta d’identità tipo bancomat e la carta di credito, e partii.

Dopo due ore ero sull’obiettivo, secondo le indicazioni mi posizionai nel parcheggio dei camion, a metà strada tra il distributore di benzina e il centro commerciale, abbassai i piedini di sosta del camper.

Uscii per dare un’occhiata all’esterno e familiarizzare con i luoghi, entrai nel bar, c’era una persona sui cinquanta anni al bancone, chiesi un caffè, nell’attesa mi guardai intorno, pochi avventori, la maggior parte dei camionisti che stavano facendo sosta per mangiare qualcosa, ero così assorto che non mi resi conto che la signora mi chiamava

– Il caffè è pronto!

Mi girai e ringraziando iniziai a sorbire il caffè

– Viene da lontano?

Era classico, mi aveva visto uscire dal camper

– Si, ho fatto un viaggio lungo.

Sempre più curiosa

– Da dove?

Senza infastidirmi

– Dalla Sicilia!

Contenta della risposta, continuai a guardarmi intorno.

Facendo finta di leggere qualche messaggio sul cellulare, fotografavo quello che poteva interessarmi, vidi una ragazza piuttosto rotondetta ma carina seduta ad un tavolo, sembrava in attesa di qualcosa o qualcuno e notai che  metteva in mostra le sue grazie per poi appartarsi con qualcuno che l’abbordava, foto, barista, foto, da li passai al market adiacente, alla cassa un signore attempato, foto, poi feci un giro per i reparti acquistando qualcosa, commessa, jeans e camicetta a quadri, capelli raccolti in una coda di cavallo, foto.

Tornai al camper, scaricai le foto e le inviai ad Andrea

“Mi servono informazioni su queste persone”

Sul cellulare, immediatamente venne visualizzato un ok.

Scesi dal camper, trafficai nel vano posteriore e presi una tanica vuota e con questa in mano mi diressi direttamente al distributore di benzina

– Le dispiace?

Un signore piuttosto alto e robusto era di spalle, intento a fare il pieno di una macchina, si gira e vede il mio gesto rivolto alla fontana per l’acqua

– Prego!

Perdo tempo a riempire la tanica, poi con il cellulare scatto la foto, alla fine

– Grazie.

Faccio per andarmene

– Si ferma molto?

Si dice che la curiosità sia appannaggio delle donne, ma non è proprio così

– Si, per qualche giorno!

Per nulla sorpreso, era abituato evidentemente e mi aveva visto appena arrivato

– Allora le consiglio di spostarsi verso la pescheria, li vicino può approvvigionarsi d’acqua e c’è anche il bocchettone per collegarlo allo scarico del camper e alla luce elettrica, se mi da il documento di identità, attivo la postazione n.1, poi pagherà quello che ha consumato quando andrà via

Stavolta ero io sorpreso da tanta gentilezza

– Grazie, io mi chiamo Tano

E lui stendendo la mano

– Augusto

Prendo il mio documento, lui fa una copia in un bugigattolo di fianco alla pompa di benzina e attiva la postazione.

Con un sorriso, mi consegna il documento

– E’ stato un piacere conoscerla, mi sposto subito, prima che faccia sera.

Aveva voglia di parlare, certo deve essere monotono stare tutta la giornata in attesa dei clienti

– Fa bene, stanotte si prevede burrasca, acqua e vento e forse neve, comunque io abito sopra il bar, se le dovesse servire qualcosa, può chiamarmi.

– Grazie Augusto, prima di posizionarmi è meglio che faccia il pieno, così non avrò problemi.

Con la testa annuisce e ritorno al camper, dopo poco sono al distributore per fare il pieno

– Viene da lontano?

– Si da Siracusa.

– E’ un bel viaggio!

– Si è vero, ma l’ho fatto a tappe, ora mi fermo qualche giorno.

– Fa bene, questa settimana l’autostrada sarà pericolosa per il ghiaccio.

Finisce di fare il pieno, pago, ringrazio e posiziono il camper dove mi aveva consigliato, sono di lato alla pescheria, si sente odore di pesce, ma date le temperature l’odore viene diminuito dal venticello che sta per aumentare, siamo alle 19.00 e visto che è ancora aperta, decido di andarci.

– Buonasera.

Entro, non vedo nessuno, i banchi sono stati puliti per la chiusura, odorano invece di puzzare, alzo la voce

– C’è nessuno?

– Vengo, vengo.

Vedo un ombra che arriva da una stanza del retro, una persona anziana, di certo ha superato i settanta

– Dica, in cosa posso esserle utile?

Prima di rispondere faccio finta di rispondere ad un messaggio e fotografo

– Volevo dirle che mi sono appoggiato col camper qui di fianco a voi, vi do disturbo?

Mi guarda scrutandomi

– No, assolutamente, ma se siete venuto per acquistare qualcosa, ho passato quello che mi era rimasto al ristorante, qui vicino, se vuole può provare a trovare qualcosa anche di già cucinato.

Ringrazio, esco e entro nel ristorante, stranamente e non so perché, pensavo che fosse vuoto, invece ci sono diverse persone che stanno già cenando, non vedo nessun cameriere quindi mi avvio verso la cassa, da li posso dare uno sguardo panoramico, quattro coppie anziane, cinque giovani ad un tavolo, una famiglia all’altro tavolo, l’ambiente è rustico ma carino.

Finalmente intravedo una ragazza che porta un vassoio, no, anzi due vassoi in mano, con qualcosa e corre trafelata verso il tavolo dei giovani, mi passa vicino, faccio appena in tempo a scansarla, uno sguardo e corre via, mi incrocia sulla mia strada al ritorno, hai i capelli attaccati all’occhio destro, è bella e buffa, mi viene da sorridere, mi guarda e mi fulmina con uno sguardo

– Hai bisogno di qualcosa?

La risata mi rimane in gola, mi ha fulminato con due occhi verdi smeraldo, quasi balbettando

– Hai bisogno di aiuto?

L’ho sorpresa, non avrei dovuto ma con la mano destra le sposto i capelli dall’occhio, ha apprezzato il gesto, mi fissa come se fossi un alieno

– Proprio oggi che era la giornata del baccalà, quello stupido di cameriere mi ha mollato, non ti conosco, ma se vuoi…

Non me lo faccio ripetere due volte, tolgo il giubbino e lo sistemo dietro alla cassa seguendola nel retro del locale, ovviamente nel riporre il cellulare, foto. La cucina è perfetta, c’è solo lei, passa ai fornelli e mi chiede di preparare dei…”….

…segue…
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Araldo Gennaro Caparco

22 Settembre 2023 – A.G.M. – Affetto Geneticamente Modificato – Romanzo di Araldo Gennaro Caparco

2022, otto anni dopo.

Sono all’aeroporto di Capodichino, devo fare solo due fermate, il tempo di passare a via Posillipo dal Notaio e al Cimitero Monumentale di Poggioreale.

Chi l’avrebbe mai detto?

Tornare a Napoli dopo otto anni passati negli Stati Uniti, mai avrei immaginato di trovarmi qui adesso, esco e l’afa del mese di giugno mi coglie impreparato…

già…

… oramai sono abituato a vivere in ambienti con l’aria condizionata a palla e tra un trasferimento e un altro in aerei dove bisogna indossare il golfino anche d’estate per le temperature basse nell’abitacolo.

Mi avvio verso la postazione dei tassì e dopo un attimo mi trovo a guardare con occhi diversi la mia città, già quella da cui mi sono allontanato dopo la morte della mamma, il cuore si stringe al suo ricordo, era una mattina di fine giugno, prossimo alla fine dell’anno scolastico e lei professoressa nel Liceo più conosciuto e invidiato di Napoli, la mattina mi aveva salutato dicendo

– Allora, nel fine settimana andiamo a Sorrento, sei con noi?

Disse rivolta verso mio padre, immerso nella lettura del giornale

– Alfio, mi hai sentito?

Spostò la pagina degli esteri

– Ma certo cara, andiamo a Sorrento!

Soddisfatta si rivolse verso di me

– E tu?

L’adoravo e nonostante la mia età, quasi ventidue anni, ero innamorato di quella donna, forte e energica quando ci voleva, dolce e mamma sempre

– Si mamma!

Venne per darmi un bacio sulla fronte

– Oggi…

– Vado a ritirare la tesi rilegata a Portici e la deposito in segreteria per la seduta di laurea, la prossima settimana.

Mi abbracciò

– Non posso crederci, hai bruciato tutte le tappe, e poi…

La guardai contento e riposi

-…si vedrà!

Solo allora mio padre spostò il giornale

– Lo sai che potrei darti una mano, vero!

Già, mio padre lavorava presso l’Ambasciata Americana a Napoli come addetto stampa, più volte mi aveva esortato a fare domanda per uno stage all’estero ed io gli avevo sempre risposto

“ Dopo la laurea.”

Ma adesso era il momento, ero prossima alla seduta di laurea, non potevo rimandare oltre

– Farò domanda papà!

Soddisfatto, si alzò e si diresse verso la sua scrivania, prese un foglio e me lo portò

– Se vuoi firma qui.

Lo guardai sorpreso e lui

– Ero certo che avresti accettato!

Vidi la mia richiesta già pronta e senza tentennamenti firmai.

Lui soddisfatto

– Verrà registrata oggi, auguri figlio mio.

Guardai mamma interrogativamente

– Sapevo già tutto!

Mi alzai per abbracciarli e poi come i grani del rosario uscimmo di casa in tre…

…non sapevo quella mattina che a fine della giornata…

… saremmo rimasti in due!

Nascosi il viso, le lacrime scendevano senza che io potessi fermarle, il tassista se ne accorse

– E’ da tanto tempo che manca da Napoli?

Era l’anima dei napoletani, il loto istinto, il desiderio di confortare una persona che sta piangendo seppur sconosciuta, annuii e lui soddisfatto

– E’ bella la nostra città, unica al mondo.

Non poteva sapere cosa mi stesse passando per la testa, ma era contento delle sue parole, lo lasciai fare, la prima fermata fu dal Notaio, chiesi di attendermi al tassista, il tempo di salire e ritirare delle chiavi e scesi, appena entrato

– Al Cimitero di Poggioreale per favore.

La sua faccia lasciva trasparire tutto il suo stupore, ma poi riprendendosi con una certa riverenza

– Subito, signore!

Quando arrivammo, guardai l’orologio non appena uscii dall’auto, avevo solo mezzora prima di prendere il prossimo aereo

– Potrebbe attendermi, ho un volo tra poco.

Stupito

– Già riparte?

Era leggermente deluso

– Si, mi attendono a Bari stamattina.

Aveva gli occhi stralunati

– Certo!

Volevo pagare in anticipo la corsa già effettuata, ma lui

– Mi offendete signore, ci vediamo dopo.

E mi aprì il cofano.

Presi una sacca delle due che avevo con me e non potetti fare a meno di guardarlo

– Posso aiutarla?

– No grazie, devo depositare una cosa e torno.

Quando arrivai alla Cappella della mia famiglia, non avevo più saliva, aprii con le chiavi e tolsi dalla sacca l’ulna con le ceneri di mio padre depositandole nella cripta di fianco a quella di mia madre, tutto era già stato scritto sulla lapide, cercavo di non guardare la tomba di lato, avevo paura di sentirmi male, poi mi feci coraggio e ad alta voce

– Ecco, era quello che avevi desiderato, riposare in pace vicino a lei!

21 Settembre 2023 – Il coraggio di resistere! – Fiaba moderna di Araldo Gennaro Caparco

Aeroporto di Milano

Cosa stavo pensando?

Un anno fa, mi trovavo nella stessa sala d’attesa, quella mattina dovevo partire per Madrid in Spagna, avevo vinto una borsa di studio di tre mesi per un approfondimento della Legge internazionale sulle adozioni, ma…

…già, ma…

…squillò all’improvviso il cellulare…

…e tutto cambiò!

La mia vita non era stata facile, orfana dei genitori a quattordici anni, io e mia sorella più grande di cinque anni ci trovammo all’improvviso catapultati in un’altra città, Caraglio in provincia di Torino, a casa della nonna materna, fu lei che da quel momento in poi ci accolse e ci guidò.

Poi, purtroppo mia sorella una sera tornando dal lavoro a soli trent’anni perse la vita per un maledetto tir che la travolse…e per me fu un colpo mortale, fui fortunata che la nonna, ormai oggi novantenne con uno spirito di una trent’enne, cercò di risollevarmi dal buio completo in cui ero caduta

– Figlia mia, lo so che ti manca, ma la vita deve andare avanti.

Piangevo, erano due settimane che non uscivo di casa

– Ma come faccio nonna, sono rimasta…

Lei mi accarezzò i capelli

– Non sei sola, siamo insieme!

E mi abbracciò!

Già, quella telefonata in aeroporto mi cambiò la vita e ancora non sapevo di quanto, guardai il display, era la clinica dove era ricoverata per un controllo mensile la nonna

– Pronto…

E tutto cambiò!

Raccolsi le mie cose, mi fiondai alla ricezione dei voli e mi feci rimborsare il biglietto, fui fortunata, non volevano, mancavano pochi minuti all’imbarco, ma c’era una ragazza più o meno della mia età, non era riuscita a trovare un biglietto per Madrid e quando sentì quello che stavo chiedendo

– Vendilo a me!

Non ci pensai due volte e glielo feci pagare la metà, non la finiva di ringraziarmi e poi, di corsa alla stazione dei tassì, entrai nel primo

– Clinica Nostra Signora di Guadalupe prego.

Tornai a casa a notte inoltrata, mi raggomitolai sul divano e piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste, in clinica

– Lei è la nipote Cloe?

Lo guardai, avevo un velo davanti agli occhi

– Si

– Mi dispiace averla turbata, sua nonna non voleva, sapeva che era in aeroporto…

Lo fermai, stropicciandomi gli occhi per scacciare il velo

– Mi dica!

Fu sorpreso

– Così giovane e così determinata!

– Grazie.

– Sua nonna ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, purtroppo non è in convenzione con l’ASL, dobbiamo intervenire sul cuore prima che sia troppo tardi, mi dispiace….

Le sentivo, le gocce di pianto, ma le ricacciai

– Quanto verrebbe a costare?

Era titubante

– Dottore?

– Tutto compreso…

Si fermò

-…diecimila euro! Cinquemila all’accettazione e gli altri al termine dell’operazione dopo la degenza.

Un colpo allo stomaco mi avrebbe fatto meno male…

…diecimila euro…un’enormità!

Con quest’animo l’indomani mattina mi recai a Torino, ero determinata a chiedere un prestito dando in garanzia il monolocale che avevo acquistato un anno prima con i soldi che mi avevano lasciato i miei genitori, il risarcimento dell’incidente di mia sorella e una quota parte dei soldi che mi aveva voluto donare mia nonna per evitare che facessi la spola tra Milano e Caraglio e la Facoltà di Giurisprudenza di Milano.

Ma nulla!

I soldi mi servivano in una settimana e tra banche e finanziarie, pur essendo notevolmente interessate ad acquisire la garanzia del monolocale, risposero che per istruire la pratica e portarla a termine ci voleva circa un mese.

Presi il treno ad alta velocità per Milano delle diciotto, ero stanca e delusa, non sapevo proprio a quale santo votarmi, ero a digiuno e mi avviai verso il distributore automatico per prendere qualcosa, lì vicino c’erano due ragazze che stavano parlottando concitatamente, pur non volendo

– Ma io lo denuncio…

Disse la più giovane sui ventitré anni…

E l’altra

– …ma perché non mi hai fatto entrare…

– Non ha voluto…

– Ma cosa è successo?

Lei diventando rossa dalla rabbia, guardandola diritto negli occhi

– …mi ha offerto del denaro per restare incinta…

Mi scappò il caffè dalle mani, si accorsero di me solo allora e disorientate immediatamente

– Andiamo via!

E lasciò cadere un biglietto in tanti pezzi a terra!

Giuro, non sapevo cosa fare, le guardai allontanarsi, ero sola nel vagone ristorante, quasi in uno stato ipnotico raccolsi quei quadratini, nascondendoli in tasca come se avessi rubato qualcosa.

Arrivai a Milano verso le diciannove, c’era un treno in partenza sul binario opposto, guardai, era diretto a Torino, non so cosa, saltai sul treno…

– Pronto?…

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

…segue…..

Storia originale di Araldo Gennaro Caparco

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